Press "Enter" to skip to content

Lo scialle giallo – Storia della prostituzione – Braun Lasse

Iscriviti alla Newsletter!


La storia della prostituzione è una delle vicende più interessanti e meno studiate dalla storiografia professionale. Ciò, per diversi motivi. In primo luogo, sebbene essa sia la testimonianza di una parte importante della componente sociale, attraverso la quale si può capire meglio la natura umana nella relazione con il sesso, essa non compare in primo piano nelle vicende storiche rilevanti. Ammesso e non concesso che i grandi personaggi storici si siano mai avvalsi di prostitute, come personaggi di mediazione o come persone capaci di aver su di loro una certa influenza, ciò non sarebbe notato volentieri da nessuno. Infatti, è un fatto recente l’ammissione di certi politici alla loro attiva partecipazione a certi menage.

In secondo luogo, la prostituzione rappresenta un fatto moralmente ritenuto deteriore e molta parte della storiografia “classica”, cioè fino alle soglie della storia-naturalizzata contemporanea, si poneva come sommo obbiettivo quello di tracciare una linea “progressiva” nella quale la storia veniva vista come l’affermarsi del progresso sociale, del progresso economico quando non proprio la provvidenza. Hegel tocca l’apice di questa “confusione storiografica” giacché, per lui, la storia del divenire dello spirito coincide con l’affermarsi dell’ordine razionale, giusto: l’affermarsi della Libertà. In questa prospettiva, l’interesse diretto o mediato verso la prostituzione non trova posto.

In terzo luogo, fare i conti con la prostituzione, implica scontrarsi con il comune senso del pudore e con le resistenze di editori che, ben restii di accaparrarsi i rischi di una pubblicazione ad alto rischio, evitano di prendere direttamente in mano la questione. Non è un caso, infatti, che due testi recenti su argomenti moralmente importanti ma difficili da trattare, siano editi da due case editrici di settore: la ISBN (Pensare la pornografia) e le famigerate Edizioni Clandestine (Lo scialle giallo).

Il libro Lo scialle giallo vuole essere una storia della prostituzione dall’antichità fino ai giorni nostri. L’autore, un uomo che si è reso noto come portabandiera della pornografia contro la censura, rivendica la centralità della prostituzione, come forma libera di scambio di reciproci favori. In altre parole, l’idea ideologica di fondo, perché si tratta di un libro fortemente impegnato nel politico, è quella che la prostituzione sia sempre esistita sia per ragioni di “benessere sociale”, sia perché la donna è naturalmente incline a concedere prestazioni sessuali in cambio di vantaggi, anche perché prova piacere nel farlo. Le prove a sostegno di quest’ultima tesi meritano di essere riportate per intero, perché lasciano intendere molto delle intenzioni dell’autore, del suo stile e dei suoi metodi argomentativi:

Quale ulteriore “stranezza”, le donne godono (o possono godere) del sesso e raggiungono orgasmi intensi, sussultori, anche multipli, gemendo e persino gridando fuori controllo. Essendo in calore, le femmine mammifere mostrano qualche segno di gradimento alla vicinanza del maschio, ma non si è mai potuto osservare un orgasmo nemmeno lontanamente paragonabile a quello delle femmine umane. Probabilmente, il cervello più ampio ed intelligente ha indotto le femmine sapiens-sapiens a diventare più “amorose” per ottenere maggior protezione per se stesse e per la prole, o per dividere coi maschi cacciatori i frutti della caccia. Per quanto ne sanno gli antropologi, potrebbe anche essere avvenuto il contrario. E cioè che, diventando più amorose, le femmine umane abbiano sviluppato più cervello. In ogni modo, è ovvio che le femmine ominidi più amorose e più esibizioniste del gruppo conquistarono più delle altre l’attenzione dei maschi dominanti, i quali compensarono il loro nuovo comportamento con cibo e protezione, trasmettendo, a loro insaputa, i geni delle nuove femmine lungo le linee dell’evoluzione, fino alle donne di oggigiorno. In quest’ottica si comprende che l’istinto amoroso/esibizionista delle nuove femmine umane, pur essendosi reso più indipendente a partire dalla seconda metà del 1900, rimane legato ad un compenso che può essere di natura affettiva, ma coinvolge solitamente elementi economici, sia come prevenzione, sia come mantenimento, soprattutto quando avviene in seguito al matrimonio tradizionale. Da questo legame sesso-contro-compenso deriva anche la prostituzione, cioè una forma più diretta che molte donne scelgono per sfruttare le loro doti fisiche e amorose.[1]

E continua più sotto sostenendo che “Tranne che nei casi di prostituzione forzata, come a volte avvenne e avviene al giorno d’oggi, è sempre la donna che sfrutta, giustamente, la propria avvenenza e disponibilità, per trarne affetto, profitto o denaro contante”.[2] Come se ciò che accade sia necessariamente giusto o come se questo fenomeno, descritto in modo così generale, sia la “sostanza” di tutti i fenomeni che riguardano la prostituzione.

Questi due passi sono molto rappresentativi, rispetto alla capacità argomentativa dell’autore e anche al suo stile, come avremo modo di rimarcare più avanti. Qui ci limitiamo a esprimere quelle che sono le prerogative dell’autore: scrivere un libro di storia che tenga conto di peculiari esigenze ideologiche, le quali sono supportate sia dalla storia stessa che da un corposo apparato di note nelle quali si trovano le informazioni più stravaganti e disparate.

Partiamo dal principio. Che si tratti di un libro di storia è discutibile per alcune, decisive ragioni: in primo luogo non c’è un apparato di fonti e, quelle poche citate, non sembrano sufficienti a rimandare a fatti realmente accaduti. La fonte più citata, infatti, è La bibbia che, come ribadisce più di una volta l’autore stesso, non è che una lista numericamente grossa di mitologie e non di fatti storici accreditati: illuminante è, in tal senso, l’attacco alle narrazioni vangeliche, sia apocrife che canoniche, basato sul fatto che tutti i  vangeli vengono scritti molto più tardi, rispetto ai fatti narrati. D’altra parte, con l’assenza di un apparato di fonti diventa molto difficile discernere ciò che è accaduto sul serio, da ciò che è, invece, un abbellimento, per così dire, frutto della fantasia dell’autore. In alcuni passi è evidente che si tratta di enfatizzazioni, come quando si parla di Cleopatra come della faraona delle fellatio, un’arte appresa con perizia da esperte del settore nel mondo egizio. In altri passi, invece, c’è del vero ma non si è indotti a dubitarne. D’altra parte, in mezzo a tante osservazioni, capaci solo di sviare l’attenzione del lettore, la densità della narrazione storica è talmente rarefatta che la ricostruzione stessa dell’evoluzione della prostituzione risulta al quanto lacunosa. Ad esempio, l’autore parla di una grande cesura iniziata dall’ebraismo, confermata con la caduta dell’impero romano d’Occidente che diventa “cristiano” e “papista”, e ribadita prima con l’alto medioevo e poi con la controriforma. Tuttavia, come attesta l’esimio storico Peter Brown nel monumentale Storia dell’Europa cristiana, il processo del periodo tardoantico vede un lungo periodo di commistione e sincretismo tra le due culture, una fortemente politeista e l’altra fortemente monoteista, periodo durante il quale le due culture vivono momenti di incontro/scontro, che determineranno una civiltà finale molto romana e molto cristiana (verso l’800, cioè dopo otto secoli dalla morte di cristo e dopo quattro dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, un tempo assai prolungato, se si tiene conto che cinquant’anni vengono considerati da un altro straordinario storico, il Bayly, come un tempo lungo, da un punto di vista storico). Per avere un’idea di ciò, lasciamo parlare il più esperto e eloquente Brown:

Questi dèi di rango inferiore erano indicati di solito dai politeisti come daimones, esseri intermedi invisibili. Per i cristiani, tutti gli dei erano “demoni”, nel senso in cui noi usiamo tuttora la parola “demoni”. Essi non erano semplicemente permalosi. Erano cattivi. I cristiani non negarono mai l’esistenza degli dèi. Ma piuttosto, li trattavano tutti, anche quelli di più alto rango, come malevoli e inaffidabili.[3]

Come si vede, dunque, c’è qualcosa da rivedere nell’immagine della storia del Braun. In ogni caso, la prostituzione, evidentemente, subirà un lento cambiamento sia nella concezione che nella pratica. Ma nulla, nel libro, suggerisce qualcosa di simile. Questo vuole essere solo un esempio, ma lascia intendere molto della “densità del dettaglio” di un libro che, d’altronde, non può esaurire l’argomento in meno di 150 pagine.

Quanto la credibilità delle informazioni nel libro possa essere discutibile, può essere mostrata da questo passo esemplare: “Marozia e le sue puttane assunsero il controllo di Roma per un anno intero. Diramarono decreti liberatori; ristabilirono l’antica Gilda delle Prostitute Romane; (…) ed offrirono prebende o sesso gratis ai collaboratori e a coloro che propagandavano non solo la lussuria, ma l’incitamento a tutte le donne di darsi alla prostituzione fino alla “fine del mondo”.[4]

Abbiamo voluto riportare i passi precedenti per dare l’idea di come l’autore scambi buoni argomenti con ragionamenti fallaci. In primo luogo, è difficile argomentare sulla genesi della prostituzione, fondandola direttamente sulla biologia della donna (e dell’uomo), giacché non è ben chiaro il confine di ciò che non è “prostituzione”: anche soddisfare le voglie della propria moglie o del proprio marito diventa una forma lieve di prostituzione, così come lo diventa il baciare il proprio fidanzato per renderlo o rendersi felice.

In secondo luogo, è a dir poco sorprendente l’idea che la donna si sia evoluta in modo da diventare una “dispensatrice di piacere”, come se ciò fosse di per sé merito suo e non dell’orgasmo maschile: non la donna, ma l’uomo gode del piacere dell’atto sessuale perché ognuno gode della sua propria soddisfazione sessuale. Il piacere è un fatto personale, interno all’individuo giacché io godo di ciò che provo io, non di quel che prova l’altro. Dunque, sulle basi dell’argomento Braun-biologista, si può ribaltare il tutto dicendo che la chiave vincente dell’evoluzione sia stato il grande piacere dell’orgasmo maschile. Argomenti di discutibilissimo valore.

In terzo luogo, la “prostituzione” riguarda una pratica sociale, definita in termini di “transazione”, termine che non riguarda né molto né poco la biologia, ma la giurisprudenza e il diritto delle genti.

In fine, se la prostituzione è un fatto biologico, allora essa andrebbe spiegata nei termini ben più sottili di meccanismi biochimici che, però, tralasciano l’aspetto sociale e, di conseguenza, non ci sarebbe una “storia” della prostituzione ma solo una “fisica” della prostituzione con allegata una “psicologia” della prostituta e del fruitore.

Ma Braun ha, chiaramente, in mente qualcosa di diverso. L’interesse non è che l’argomento sia rigoroso, ma che sia convincente. Tuttavia, anche concedendo questo beneficio di inventario, ci si chiede se egli sia in grado di persuadere qualcuno, a parte i già fruitori convinti di pornografia. Infatti, difficilmente una donna verrà persuasa dall’idea che sia nata prostituta o meretrice che sia (tra i due concetti intercorre qualche differenza) e non per niente: perché si elimina un aspetto importante della sessualità: il darsi gratuitamente, come dono al proprio partner. Naturalmente, il sesso, come tutte le altre cose umane, può diventare strumento per ottenere vantaggi, quali che siano. Ma questo non deve fuorviare dal fatto che l’essere umano riconosce l’aspetto sessuale come un prolungamento della sua sfera affettiva, anche quando diventa una pura necessità fisiologica. Prova ne è il fatto che la sessualità è una sfera nella quale le emozioni e i sentimenti prorompenti finiscono per imporre all’uomo e alla donna una serie di conseguenze profonde sul livello emotivo. Chi vive il sesso come un fatto tra gli altri, o come un solo strumento di piacere (dunque, un interesse derivato) non è necessariamente un buon esempio, cioè un caso rappresentativo, dell’intera umanità. Ma gli argomenti di Braun non convincono neppure gli uomini, in generale, giacché molti vivono la sessualità tra due poli: gioco e serietà. La serietà consiste nel momento della vita nella quale si condivide la propria intimità con la donna amata (e viceversa). Il gioco, invece, è l’aspetto nel quale la sessualità viene vista come una forma regolata di intrattenimento vicendevole nel quale è permesso tutto, a patto di non andare contro la volontà del partner del gioco. In questa sfera “giocosa” può rientrare parte della prostituzione, ma non necessariamente. Ad esempio, una coppia che si concede una serata di sesso sta “giocando” in questo senso, anche quando uno dei due trae vantaggio dal farlo. Tuttavia, questa forma di intrattenimento sociale (perché lo è a tutti gli effetti, essendo i contraenti del patto due esseri umani consenzienti) non costituisce un vero sfruttamento del corpo, quanto un suo uso deliberato. Lo sfruttamento del corpo indica l’assenza di un gioco e la presenza di un vincolo d’interesse economico e può implicare che uno dei due attori sia costretto, per soddisfare il patto, a eseguire prestazioni contro il suo desiderio (forzandone la volontà, come un lavoro che si compie per dovere e non per piacere); cosa che non accade nel gioco. Per fare un esempio alla Braun, se una prostituta nega la fellatio al suo cliente, lei non avrà i soldi; se una ragazza nega la fellatio al proprio partner perché non le procura piacere o, in generale, va contro le sue intenzioni, non ne avrà una ritorsione: nel gioco non c’è remunerazione, se non si fa una gara, una competizione. E il sesso non è una competizione perché in esso non vince nessuno, ma al massimo si vince insieme. Che ci debba essere nell’uomo e nella donna il bisogno di uno spazio di libertà sessuale più ampia, rispetto a quelle che sono state le esigenze di certa parte della religiosità europea, è attestata dal già citato storico Brown, che ricorda come i dettami cristiani, già al loro principio, vietavano gran parte delle pratiche sessuali più diffuse, quali alcune posizioni sessuali, ritenute degne solo degli animali.

L’assenza di fonti e la narrazione storica lacunosa rendono Lo scialle giallo un libro non molto interessante, sotto il profilo della storiografia. D’altra parte, anche la pretestuosità argomentativa può lasciare interdetto un lettore che abbisogni di valide spiegazioni o di puntuali definizioni e concettualizzazioni. Abbiamo già mostrato come Braun sia troppo vago nella distinzione tra prostituzione, sessualità come prolungamento affettivo e sessualità come gioco. Ma vogliamo, qui, portare un altro esempio di argomento tipico dell’autore:

In Olanda, negli anni 1970, condussi una ricerca su 200 donne, circa le loro fantasie sessuali. Scoprii presto che il cosidetto Gioco della cortigiana, cioè fingere di fare la puttana, era la fantasia femminile più ricorrente. Cosicché aggiunsi una piccola indagine anche sulla propensione delle donne comuni a farsi effettivamente scopare per soldi. Partendo da 10 fiorini (ca. 10 euro odierni) ed aumentando l’offerta gradualmente, molte cedevano a 50 o 100; per le giovani studentesse più restie, la soglia del sì e del no si trovava a 200; per altre lo era 500. A 1000 quasi tutte cedevano, anche le mogliettine italiane fedelissime al marito (sic!). Non potei fare questo secondo tipo di ricerca su più di una quarantina di donne.[5]

Riportare, così, un esperimento casalingo ne inficia assai la credibilità. Quante erano le donne intervistate? In quali condizioni venivano sottoposte le domande? Quale era il ceto di appartenenza, il grado culturale delle donne intervistate? Inoltre, come si fa a credere che l’ammissione della soglia pecuniaria coincida con l’immediata esecuzione del compito? Se intervistassimo un centinaio di uomini sulla loro possibilità di uccidere un uomo sotto ricompensa, molto probabilmente trarremmo risultati simili a quelli di Braun senza dimostrare nulla. Inoltre, il grado di istruzione e la professione, con la rispettiva indipendenza economica, sicuramente indurranno standard di richieste diversi tra le varie persone intervistate. Non a caso, lo stesso Braun riconosce che “le studentesse più esigenti” richiedevano compensi in denaro più elevati.

Le tesi portate da Braun, più volte ribadite nel corpo del testo, ma esposte più concisamente alla fine, possono essere variamente discutibili. Tuttavia, almeno una merita di essere considerata: l’avversione “papista” alla prostituzione e, soprattutto, la considerazione negativa del cristianesimo sull’argomento. Senza dubbio l’autore ha ragione quando dice:

La pressione dell’educazione e dell’informazione si rivolge in modo particolare alle giovani femmine, sulle quali si aggiunge la pressione dei famigliari interessati a mantenerle “fuori pericolo”. Fin da bambine s’insegna loro la “vergogna” relativa agli organi genitali. Da quelle parti sgorgano escrementi, per cui è bene che da piccole imparino a controllarsi. Approfittando di questo fatto, da scolarette si aggiungono una serie di restrizioni meno necessarie. (…)[6]

Su questo punto non si può che convenire perché è vero che le donne in Occidente sono state abituate a concepire le mestruazioni come un fatto negativo, aberrante, frutto della loro malattia, dell’esser donna e, dunque, di essere almeno parzialmente sbagliate. Purtroppo, poi, c’è da dire che la donna è stata abituata, durante i secoli, a nascondere la propria intimità, non per ragioni igieniche, ma per ragioni di morale ed estetica: ciò che è sbagliato è anche brutto. A ciò, si aggiunga questo passo, tratto da un buon studio sull’argomento:

Il sentimento di vergogna nel guardarsi nudi è provato da una percentuale piccolissima di maschi, mentre nel caso delle femmine, seppure bassa, tale percentuale sale notevolmente. È da notare che la percentuale di soggetti che si vergogna del proprio corpo cala con l’aumentare dell’età degli stessi, fino a raggiungere lo zero nel caso dei soggetti di età compresa tra i 25 e i 29 anni.[7]

Purtroppo, non è stata solo la cristianità a insistere sull'”aberrazione femminile” ma anche l’antica Grecia, con pensatori come Aristotele. D’altra parte, cosa che Braun dimentica di discutere, in Grecia la donna era rinchiusa in casa, costretta a vivere nei suoi spazi e privata di uno spazio pubblico rilevante. Aristofane fa un’opera da “carnevale” col sommo capolavoro della Lisistrata che, però, rimane un’operazione di un uomo che stravolge la società per metterla alla berlina, non per cambiarla o per elogiarla. Uno storico avrebbe anche parlato del problema sociale (definito sul fatto che una donna doveva esser vergine per giungere al matrimonio e, dunque, sopravvivere) ma non Braun, che si serve anche dei buoni argomenti per sostenere solo la causa della sua ideologia di fondo. Dunque, almeno su un punto bisogna sposare le tesi dell’autore: le donne vanno liberate tutte dall’idea che la loro sessualità sia inferiore o diversamente giusta da quella maschile, come bisogna liberarle dalla loro stessa autopudicizia, e non per sposare un mondo di libertinaggio, ma perché la sessualità, proprio perché sentimentalmente carica, possa essere vissuta nel modo più felice possibile, secondo i propri gusti, con molte o poche posizioni, con molti o pochi giochi erotici: non è questo il sintomo della libertà, ma l’assenza del disturbo nell’intimità.

In fine, anche lo stile non sembra né adatto ad un libro di storia, né ad un pamphlet politico, laddove si possono trovare delle genuine perle narrative come questa:

Il godimento sessuale aumentava man mano che le contrazioni pelviche andavano fuori controllo. L’orgasmo che seguiva alle contrazioni involontarie, era per lei più forte quando esplodeva dopo un lungo eccitamento preliminare e coitale. A quel fremito magico prolungato, pochi uomini potevano resistere, ed eiaculavano anche loro getti più forti e numerosi di sperma. Un autentica delizia.[8]

E non c’è bisogno di essere dei “papisti” per sorridere di parole come queste. I perché del sorriso fa poca differenza, in questo caso. Sta di fatto, comunque, che lo stile dovrebbe essere adeguato al genere narrativo e al suo argomento. In questo caso, un tema delicato, andrebbe trattato con raffinatezza e non con le consuete frasi ad effetto, che un tempo sarebbero state definite “pornografiche”, se non altro per rendere credibile una trattazione che vuole essere un minimo scientifica. Si può rimanere attoniti, forse divertiti per qualche istante, ma difficilmente se ne rimarrà soddisfatti.

E’ curioso che un libro del genere non riporti l’importante letteratura femminista in materia, che rivestirebbe il ruolo di “contraltare culturale” e di “interlocutore competente”.

Se ci può essere ancora spazio per qualche parola, bisogna pur spenderne due per parlare dei lati interessanti del libro.

Il principale pregio consiste nel risultare sgradevole, anche ad un lettore maschio occidentale e non papista. Infatti, perché un libro possa essere apprezzato, bisogna condividerne almeno in parte le assunzioni e lo spirito di fondo. Nel caso specifico, difficilmente si raggiunge questo grado di partecipazione, se non si è molto vicini alle premesse dell’autore. Eppure, proprio questo grado di fastidio può essere un utile pungolo per comprenderne i motivi: il pregio di Braun è l’indiscutibile sincerità e ingenuità con cui espone le sue tesi, al di là del fatto che le rivesta di una credibilità storica che, comunque, risulta non beneficiata dall’assenso scientifico.

In secondo luogo, il libro si prende la briga di discutere alcuni problemi che, bisogna pur dirlo, vengono sorvolati dalla società civile e, conseguentemente, dalla politica italiana. Un caso analogo è l’istituzione carceraria. Senza dubbio la prostituzione rimane un fatto lasciato in sospeso nell’ipocrisia, teorica e pratica, del nostro Stato e della nostra società: ben pochi hanno il coraggio di trattare di quest’argomento, sebbene la prostituzione sia uno dei traffici sempre fiorenti del nostro Paese, soprattutto nel “moralista” e più “civile” nord, nel quale i maggiori traffici economici riescono a compensare il maggiore radicamento della mafia nel sud Italia. Pare che i fruitori estemporanei di prostituzione siano almeno nove milioni e che ci siano dalle 50.000 alle 70.000 prostitute, un dato incredibile, se si tiene conto che oggi esiste un fiorente mercato della pornografia internazionalizzato e capace di soddisfare gran parte della fetta potenziale di mercato. Se è vero il dato dei “consumatori” di prostituzione, va tenuto presente che sono una cifra enorme, giacché tolte le donne e tolti gli inabili sessualmente (anziani e bambini), il rimanente rimane molto piccolo: la quantità di maschi totale, rilevata dall’ISTAT nel 2005 è di 28.376.80 unità. Il 44% è costituito da scapoli e il 51% da coniugati, dati che lasciano intendere molto (il resto si spartisce tra vedovi e divorziati). Tenuto presente di ciò, i dati secchi parlano chiaro: 1 maschio su 3 è andato almeno una volta con prostitute, ma il dato aumenterebbe, se si considera che nei 28 milioni sono inclusi anche i maschi sessualmente inabili.

In fine, ultima nota di rilievo: bisogna domandarsi seriamente se la prostituzione debba essere considerata illegale e lesiva dei diritti delle lavoratrici e se non sia, sebbene a malincuore, una delle attività umane da prevedere in una società virtuosa, visto e considerato che la natura umana prevede certe esigenze le quali debbono essere espletate in qualche modo non violento e, possibilmente, positivo nei confronti dell’essere umano stesso. La prostituta è una donna che rivendica la propria dignità (come attestò la femminista Millet, non senza grande stupore), così come la rivendica il cliente. Rimane aperta la domanda: è la prostituzione il problema o il nostro modo di concepire la sessualità come qualcosa di eccessivamente canonico? Sicuramente l’uomo ha l’esigenza di porre delle regole, sente il bisogno di imbrigliare la propria natura all’interno di uno schema normativo che attribuisca dei valori alla propria essenza. E’ importante, però, che tale schema non diventi una gabbia, giacché esso nasce per migliorare la vita e non per peggiorarla. Allora, in questa prospettiva, anche un libro provocatorio come quello di Braun può svolgere un importante funzione di pungolo ai nostri pregiudizi affrettati.


BRAUN LASSE

LO SCIALLE GIALLO. STORIA DELLA PROSTITUZIONE DALLE ORIGINI A OGGI

EDIZIONI CLANDESTINE

MARINA DI MASSA

PAGINE: 150.

EURO: 9.00.


[1] Braun L., Lo scialle giallo, Editrici Clandestine, Marina di Massa, 2004, pp. 17-18.

[2] Ivi., p. 18.

[3] Brown P., (1995), La formazione dell’Europa cristiana, Mondadori, Milano, 2011, pp. 79-80.

[4] Braun L., Lo scialle giallo, Editrici Clandestine, Marina di Massa, 2004, p. 55.

[5] Ivi., pp. 76-77.

[6] Ivi., 143.

[7] http://www.armentaro.it/abitudini%20sessuali.html#1._Dati_Socio_anagrafici

[8] Ivi., 44.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *