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Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea

Articolo pubblicato sul numero 35 della rivista NUOVA META (rivista di critica delle arti fondata da Piero Maffessoli e diretta da Claudio Cerritelli) e titolato Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea.

Proponiamo al lettore una riflessione sui modi della fruizione e comprensione propri dell’arte contemporanea, tesa ad argomentare la tesi che una certa credenza, ch’andremo a specificare, è pregiudiziale.

In questa riflessione opponiamo schematicamente l’arte contemporanea all’arte che la precede cronologicamente, categorizzando come contemporanea (ma solamente in funzione della semplicità del discorso e dell’opposizione che intendiamo avere in esso) non solo l’arte prodotta dopo il superamento (?) del modernismo, ovvero l’arte dal post-modernismo in poi – anche se, per lo più, con ‘contemporanea’ di fatto intendiamo riferirci alla cangiante, caotica e plurale esperienza degli ultimi quarant’anni – ma anche i lavori artistici moderni prodotti dopo la seconda guerra mondiale.Dunque, usando la formula ‘arte contemporanea’ intendiamo indicare sia l’esperienza di semplificazione, controllo, astrazione, rarefazione, stitichezza, razionalismo, chiarezza e rigore di certa arte moderna, sia l’esperienza di complessità, caos, istintività, espansione, ludicità, estroversione, frammentazione e ricercata contraddizione dell’arte propriamente detta contemporanea.

Veniamo subito alla questione centrale e chiariamola in poche righe. È abbastanza diffusa la credenza – per altro generalmente accompagnata dall’ulteriore credenza che essa è un prodotto del tutto originale della propria ragione e sensibilità – chel’arte contemporanea è più immediata nei confronti del fruitore, semplice, emotivamente connotata e, in un certo senso, comprensibile o intuibile dell’arte anteriore.Questo detto in generale, s’intende. Ebbene, noi riteniamo questa credenza falsa.

Ora, avere la credenza giusto esposta, presuppone l’impreparazione o, diciamo pure, l’ignoranza (più o meno cosciente) della materia. Infatti, il pensiero, esaurientemente enunciato, sarebbe: a parità di ignoranza, e comunque ad ignoranza data, fruire d’un’opera d’arte contemporanea è più vivamente coinvolgente e intellettualmente stimolante che fruire d’un opera d’arte appartenente all’arte precedente; ergo, forse l’arte contemporanea può essere fruita con soddisfazione e relativa pienezza anche dall’ignorante, mentre l’arte anteriore abbisogna, per essere fruita con soddisfazione, di una preparazione intellettuale, ovvero del superamento dell’ignoranza. Facciamo un esempio. Vedere in un museo dall’architettura maestosamente conturbante, insolita e innovativa, la registrazione di una performance body-art di Gina Pane è senz’altro e in media più emotivamente coinvolgente e intellettualmente stimolante che vedere, pure nelle stanze di Palazzo Pitti, un’accozzaglia di Madonne cinque-seicentesche con bambinello oleografico. Questo perché, tra le altre cose, il linguaggio di Gina Pane è senz’altro più immediato, emotivamente connotato, strutturato dalla volontà di stupire, provocare, scandalizzare ma portare alla riflessione, nonché temporalmente più vicino a noi rispetto al linguaggio di un – poniamo – Carlo Dolci. Se la Madonna col bambino nel peggiore dei casi produce noia – appunto la massima espressione di disapprovazione emotiva che Dolci è in grado di suscitare al medio fruitore di oggi – la performance di Pane può invece tranquillamente arrivare a suscitare forti sentimenti di rifiuto: rabbia, indignata irritazione, disprezzo, etc. – sia verso l’oggetto a cui l’artista riferisce, sia verso l’artista e la performance stessi. Questi fatti sono perfettamente comprensibili, considerando che noi viviamo circa (cioè, con una scarsa dilazione temporale) nel periodo storico, ovvero nel mondo di Gina Pane, e nel contempo viviamo un mondo distante da quello vissuto da Dolci – quattro secoli di evoluzione in cui il linguaggio, le categorie cognitive, le visioni del mondo e il mondo stesso sono cose andate cambiandosi, piuttosto radicalmente.

Seppur vi possa essere, nel pensiero appena esposto, una parte di verità, comunque povera o da chiarirsi e circoscriversi con accuratezza, esso è falso, e la sua formazione è strettamente legata all’ignoranza del fruitore dell’opera artistica.

È pur vero che l’arte contemporanea sa essere spesso più diretta e coinvolgente rispetto all’arte altra e precedente. Questa verità però è relativa ad una fruizione superficiale dell’opera artistica. La fruizione può essere superficiale o profonda, e profonda a diversi livelli: è superficiale quando non è informata, è profonda quando è informata. Con ‘informata’ intendiamo ‘accompagnata da una preparazione culturale specifica relativa al contesto storico, culturale, sociale e individuale (biografia e percorso di ricerca stilistica dell’artista) in cui l’opera è stata ideata e realizzata’. Sosteniamo che se vogliamo fruire dell’opera d’arte contemporanea in modo profondo e completo incontreremo difficoltà simili (anche se, come poi sosterremo meglio, non equivalenti) a quelle che abbiamo nel fruire delle Madonne dipinte da Dolci. Come osserva correttamente Daniel Birnbaum1:

Molta arte proveniente dai secoli scorsi, come le allegorie barocche o i motivi religiosi rinascimentali, richiede una grande conoscenza per poter essere totalmente apprezzata; perché per l’arte contemporanea dovrebbe essere diverso?

Birnbaum ha certamente ragione, anche se noi pensiamo che il discorso vada approfondito con lo specificare che una certa differenza tra l’arte contemporanea e l’arte ad essa precedente, per quanto riguarda i modi della fruizione e comprensione, c’è (o ci dovrebbe essere, posta pure un’attitudine conoscitiva al fenomeno estetico consapevole e profonda da parte del fruitore).

Affermare che l’arte contemporanea non abbisogna, per essere totalmente apprezzata, dello sforzo conoscitivo ch’invece abbisogna l’arte rinascimentale, è affermare un pregiudizio, il quale nasce ed è rinforzato, da una parte, dalla (apparente) semplicità o povertà artigianale dell’opera artistica contemporanea (quando è il caso) e, dall’altra, dall’immediatezza comunicativa di operazioni artistiche ch’appaiono per lo più emotive o suggestive. Il fruitore della domenica pomeriggio, trovatosi di fronte ad un’opera d’arte contemporanea la quale puntualmente non è da esso compresa nelle sue pieghe più profonde, ma che ciò nonostante gli comunica perlomeno un’emozione, quando proprio non un contenuto dotato di senso pienamente e linguisticamente esprimibile, o non gli stimola la vulcanica mente a produrre un’assorta catena di pensieri senz’altro intriganti, egli (il fruitore della domenica) è portato a pensare (in modo pregiudizievole) che la sua ricchissima fenomenologia sentimental-mentale è tutto quello che l’autore poteva e, magari, voleva comunicare, ovvero, che la fruizione è, infine, una questione del tutto personale e soggettiva, e può prescindere dalla conoscenza del contesto collettivo e individuale che ha pur portato alla produzione dell’opera d’arte – mentre, quello stesso fruitore della domenica pomeriggio, posto questa volta di fronte alla Madonna con bambinello, si sentirà talmente poco stimolato da pensare (ora con ragione) che la causa della sua noia è da individuarsi, oltre che nella casualità della visita a Palazzo Pitti e nell’abbiocco per il lauto pranzo consumato, soprattutto nell’impreparazione culturale, ovvero nell’ignoranza che da una vita asseconda i suoi tristi e scontati pensieri. Questo è detto riguardo una possibile genesi del pregiudizio.

Vogliamo però dare almeno un esempio, preso dal campo della video-arte contemporanea, al fine di far capire la realtà del pregiudizio.,Der Sandmann,(1995) è una video-installazione dell’artista canadese (e beckettiano) Stan Douglas che, attraverso una doppia proiezione, mostra uno Schrebergärten ricostruito come trent’anni fa e una sua versione attuale. Da quest’opera lo spettatore medio, ingenuo e impreparato, può senz’altro venire coinvolto emotivamente, e, in certa misura, intellettualmente. Il video può senz’altro comunicare una fascinazione, ma anche un contenuto semantico preciso, generalmente legato alla personalità, al vissuto, alla visione del mondo, ai recenti avvenimenti o alle recenti riflessioni dello spettatore. Il livello della fascinazione è però ancora legato alla visione superficiale del materiale proposto da Douglas. È possibile comprendere il video in modo decisamente più approfondito. Per fare ciò è però necessaria una precedente preparazione da parte del fruitore. Occorre conoscere qualcosa sulla poetica (intendo: stile, temi e varie fisse d’autore) e la biografia di Douglas, e, nello specifico, relativamente all’opera,Der Sandmann, occorre avere una certa famigliarità con le fonti su cui l’artista ha lavorato e che entrano anche solo indirettamente nella composizione dell’opera: il racconto di Hoffmann,L’uomo della sabbia,(1815), citato nel saggio di Freud,Il perturbante, lo stesso saggio di Freud, le teorie sulla ripetizione, le,Memorie delle mie malattie nervose,di Schreber figlio; occorre sapere poi qualcosa sui diversi aspetti della pianificazione urbana della città di Potsdam in Germania dopo la caduta del muro di Berlino, qualcosa sui cosiddetti,Schrebergärten, gli stretti appezzamenti di terra nella periferia della città tedesca, affittati ai ceti poveri; occorre avere qualche (anche minima) consapevolezza sui meccanismi del montaggio cinematografico, e riflettere sulla nostra struttura cognitiva, nonché sulle nostre aspettative di coerenza narrativa che permettono al montaggio cinematografico d’essere com’è, etc.2Queste fonti e conoscenze andrebbero poi riportate e messe in relazione alle intenzioni e riflessioni dell’artista, intenzioni e riflessioni c’hanno prodotto,Der Sandmann, a sua volta intenzionale riflessione su qualcosa di ben preciso. Ovvero,,Der Sandmannnon è semplicemente un prodotto vagamente poetico, suggestivo e onirico vertente su certi ricordi d’infanzia relativi alla periferia di Potsdam, per quanto per lo spettatore superficiale e impreparato possa, di fatto, essere questo – è invece una riflessione precisa, consapevole e non scontata sulla temporalità da parte dell’artista.

Ora, la cosa particolare della questione è che le conoscenze e i riferimenti ruotanti attorno alla produzione dell’opera di Douglas (assunta nel nostro discorso ad esempio paradigmatico dell’opera d’arte contemporanea) e necessari alla fruizione consapevole e profonda, non sono immediatamente deducibili dalla visione dell’opera, anche per un esperto di questo tipo d’arte.

Oltre al profano, anche l’esperto ha bisogno di recuperare ed approfondire pazientemente le fonti che hanno contribuito alla costruzione dell’opera, per saperne giudicare e fruire con consapevolezza e completezza. Ovvero, non è possibile dedurre solamente dal contesto storico, culturale, individuale dell’autore, dai canoni e dai modi propri del movimento a cui l’autore potrebbe appartenere (spesso, quali?), le conoscenze e le direttive interpretative date invece dall’analisi delle fonti che hanno aiutato e sorretto il processo di ideazione e costruzione dell’opera da parte dell’autore.

Facciamo notare che questa particolarità sembra proprio essere caratterizzante chi la possiede, ovvero sembra essere un criterio di demarcazione tra arte contemporanea e arte altra. Sosteniamo cioè che, per la consapevole e profonda fruizione dell’arte contemporanea, è necessario un lavoro di informazione e approfondimento generalmente maggiore rispetto a quello richiesto da una consapevole e profonda fruizione dell’arte altra, dal momento che le biografie, le personalità, i singoli fatti relativi all’individuo artista, le esigenze e i riferimenti che aiutano l’autore a ideare e costruire l’opera, sono spesso e tutte cose di fondamentale importanza per la comprensione dell’opera stessa. Altrimenti detto, la profonda e consapevole fruizione dell’arte antecedente sembra essere maggiormente indipendente dalla conoscenza della personalità di chi la produce, rispetto alla fruizione dell’arte contemporanea, che invece sembra essere più dipendente dalla conoscenza e comprensione della personalità, delle intenzioni, dei problemi, dei sentimenti, dell’intero mondo interiore dell’artista (spesso del tutto parallelo al nostro), nonché della rete di riferimenti a cui l’autore si appoggia nella sua argomentazione artistica del tema che sceglie d’affrontare o d’eludere.

Questa differenza demarcante è, in parte, causata dall’assenza di scuole, canoni, correnti e stili diffusi e precisi. Ogni artista sembra essere a sé stante; il che è dire che ogni artista sembra irriducibile ad una scuola, uno stile, una corrente, un canone, una maniera; ovvero, forte sperimentazione, continuo superamento, volontà di individuazione. La categorizzazione dell’artista sembra difficoltosa ed è complessa, questo perché l’arte è sempre più, da parte di chi la fa, un fatto individuale.Mancando i riferimenti di categoria al cui interno individuare e interpretare l’opera, il fruitore è necessariamente, posto che voglia fruire in modo profondo, portato ad addentrarsi nel mondo personale dell’artista; questo percorso di penetrazione, con la profondità qui richiesta, non sembra da farsi se, ad esempio, vogliamo fruire delle Madonne rappresentate da Dolci.

L’arte contemporanea appare caotica, plurale ed eterogenea, proprio perché è maggiormente dipendente dalle personalità e dai mondi privati degli artisti. La categorizzazione di un artista come post-modernista non dice granché. È discutibile la categoria stessa, poiché appare inutile tentare di ridurre la complessità, l’eterogeneità e la pluralità all’interno di una categoria che si struttura proprio attorno a queste caratteristiche. Inutile, se non fosse per il sacro fine didattico e d’ordine principalmente cognitivo: la semplificazione. L’opera d’arte contemporanea solo raramente si spiega da sé, in modo autonomo, ovvero, raramente è un pezzo di materia che sussiste ed è interpretabile in autonomia dalla sussistenza e dall’interpretazione e conoscenza del mondo interiore dell’artista che l’ha pensata e prodotta. Anche l’arte precedente non si spiega da sola, ma posta pure la conoscenza del contesto storico e qualche nozione relativa alla storia dell’arte da parte del fruitore, è maggiormente godibile rispetto all’opera contemporanea.

In un certo senso, dunque, l’idea propria delle avanguardie, che sia l’artista a definire cosa è arte3, sembra essere un’eredità ormai stabile e sempre attuale della nuova arte contemporanea. Ovvero, l’arte sembra diventare sempre più espressione di un’individualità – di cui però, certo, non per il solo fatto di essere individualità ne è impedita, da parte dell’interprete e fruitore, la precisazione e conoscenza – espressione di un mondo concettuale, di una mitologia e cosmogonia private, che non tardano a manifestarsi, alle volte impudicamente, e, forse, troppo spesso tese (la mitologia e cosmogonia private) a far indugiare i critici in un’esasperata opera ermeneutica – ma questo è tutt’altro discorso.


Note:

  1. in Birnbaum, D. (2007). Cronologia. Tempo e identità nei film e nei video degli artisti contemporanei. Postmedia: Milano; p. 9.
  2. Magari avere, ad esempio, qualche famigliarità con le teorie di Gidal P. sul montaggio, o con la teorizzazione di Badiou, anche se qui siamo di certo al livello più profondo di fruizione: critica e fortemente interpretante. Specifico che devo i riferimenti agli autori citati al puntuale per quanto a tratti inconsistente saggio di Birnbaum sul tempo e l’identità nei film e nei video degli artisti contemporanei.
  3. «Fare le cose che vengono intese come arte non è più ritenuto compito dell’artista, anzi, viene disapprovato. Oggigiorno artista è colui che fa intendere come arte le cose che fa lui.» è la celeberrima e citatissima affermazione di Tom Stoppard.

Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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