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Capitolo 24. Visnu e il Signore supremo nel contesto delle Upanisad

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Visnu, divinità secondaria nei Veda ma di importanza primaria nei testi successivi, in particolare nei Purana, è il dio déi ‘tre magnifici passi’, in definitiva, il Signore supremo.

Un passaggio del Rg-veda (I,154) descrive Visnu. In esso si fa ampio riferimento alla grandiosa azione compiuta dal dio con soli tre passi. La storia è questa: Visnu, sotto forma di nano, venne ospitato alla corte del re Bali, re degli dei Asura; quest’ultimo promise, assecondando le regole dell’ospitalità in uso, di dare al nano quanta terra egli avesse potuto coprire con tre passi; Visnu, ripresa la sua forma e potenza divina, con tre soli passi coprì, rispettivamente, la Terra intera, il Cielo della Terra, e il Cielo oltre la Terra, ovvero il Cosmo.

L’operazione, oltre ad essere un raffinato prodotto dell’astuzia del dio e un’imponente manifestazione della sua potenza, è anche un atto di fondazione e sostegno di quelle cose conquistate con sì poco sforzo da poter essere poi mantenute in essere dalla grande potenza di chi ne ha preso possesso. Di fatto, il passo preso in esame esordisce così:

Io proclamerò le grandi gesta di Visnu / che misurò le regioni della terra e sostenne / i cieli di sopra, compiendo nel suo percorso / tre grandi passi.

Non è un’appropriazione fine a se stessa quella di dio – egli vuole ed ottiene, semmai con l’inganno, tutto quanto l’esistente non già per un capriccio ma, in un qualche senso, per adempiere il suo dovere, per servire ciò di cui si appropria. Non è, pertanto, un dominio assoluto quello del dio, se con assoluto vogliamo intendere privo di ogni responsabilità, ovvero, nella condizione di operare in modo arbitrario con la propria proprietà. Avere il dominio, possedere, dettare legge significa avere cura della proprietà, avere doveri su di essa, proprio per il fatto che di essa, ora che se ne è padroni, se ne è, anche, fondamento, appoggio fondamentale. Si capisce che le gesta di Visnu, oltre ad essere degne di lode e sentita proclamazione in se stesse, lo sono anche in ragione del fatto d’essere azioni che sostengono la Terra e il Cielo. I passi di Visnu sono ciò che ora sostiene l’esistente (non è grandioso e terribile questo fondamento?). All’esistente danno la misura nel senso che essi lo racchiudono tutto quanto, determinandone i margini più estremi, sostenendolo. In quanto passi forse gravano e pesano sulle cose? – eppure queste ad essi si aggrappano per non scomparire nell’indeterminatezza. Si tratta di schiacciare le cose al loro posto? Gli appoggi dell’esistente ne determinano l’estensione. Il fondamento della cosa è anche la misura della sua determinazione. La misura è indizio della regola. E questo dio, garante del fondamento del Cosmo, è allo stesso tempo dentro le cose sostenute (ad esempio: Ora possa la mia preghiera salire a Visnu dai grandi passi, il Toro, che dimora sulle montagne …) e fuori di esse, nella sfera del trascendente. Egli abita le montagne della Terra come abita il cielo oltre il Cielo della Terra. Questa doppia abitazione, che è nel contempo un abitare in nessun luogo, un rifiuto della stessa logica che vuole l’opposizione tra immanente e trascendente, è propria e anticipa la concezione del dio, del Signore supremo, successiva ai Veda, propria delle Upanisad.

Per chiarire quest’ultimo punto e, al contempo, dare una caratterizzazione riassuntiva del Signore supremo, prendiamo alcuni passaggi tratti dalla Svetasvatara-upanisad (III,3-4;V,13;VI,7-9e16-19)e dalla Mahanarayana-upanisad (6;233-245).

Prima però desidereremo accennare ad un ultimo punto riguardante Visnu e l’atto del sacrificio come atto volto a dare esistenza. Visnu, non lo abbiamo detto prima, nel compiere i tre passi, compie un sacrificio. Lo stesso dio Bali promette la terra a Visnu (ancora nelle sembianze di un nano) durante il compimento di un sacrificio (nel caso, il sacrificio del cavallo, ma poco importa). Visnu compie perfettamente il sacrificio e perciò acquista, in virtù della perfezione del suo agire, ancora prima che sia il re a cederle, tutte le cose del Cosmo e il Cosmo stesso. E’ possibile rendere coerenti questi passaggi della storia di Visnu tenendo presente la specifica concezione vedica del sacrificio. L’atto del sacrificio è un atto creatore. Esso permette il darsi dell’esistenza, della vita. Non si tratta di sacrificare l’esistenza per una dimensione che sta oltre a quella vissuta su questa Terra, si tratta dell’opposto: è il sacrificio a rendere possibile l’esistenza su questa Terra. Sicché viene tolto qualsiasi compito di espiazione da affidarsi alle azioni dell’uomo, le quali, insieme al suo soggetto, sono da sempre inserite in un contesto al contempo terreno e ultra-terreno, profano e sacro, in cui partecipa l’elemento creato e l’elemento creatore, dove, anzi, non si dà differenza tra l’uno e l’altro, e tutto è tutto come tutto è qualcosa e niente al contempo. Ma veniamo all’ultimo punto di cui abbiamo detto volerci occupare.

L’idea che ci proponiamo di illustrare è che il Signore supremo è estraneo ad ogni contrapposizione concettuale; ovvero egli è, nello stesso tempo, qualcosa di trascendente e immanente, un principio soggettivo e oggettivo, interno ed esterno all’uomo, un dio personale e impersonale, Uno in sé e molteplice nelle cose, et cetera. Il Signore supremo, dio degli dei, è l’unità che contiene il molteplice, che nel molteplice si esprime e risiede, pur rimanendo estranea a questo molteplice. Il Signore supremo è l’origine di tutto, anche degli dei, è creatore e padrone di tutte le cose; conosce tutto ed è causa di tutto. E solo Lui possiede queste caratteristiche. Egli è l’unico a pervadere di sé  tutte le cose e le forme del molteplice. In Lui non c’è niente (non c’è azione, ad esempio), ma da Lui tutto proviene, ed Egli può agire; Egli non ha causa, governo o generazione, ma tutto da Egli è causato, governato e generato. Essendo creatore di tutto e in tutto, Egli è anche il creatore dei Veda, della Parola Sacra. È dunque in Esso che l’uomo vedico cerca rifugio e da Esso che cerca illuminazione. Non vogliamo tuttavia allungare inutilmente il discorso. Il punto dovrebbe essere chiaro: il Signore supremo è il superamento e la contraddizione di qualsivoglia comprensione che si pretende d’avere su di Esso.

Un ulteriore passaggio, tratto dalla Bhagavad-gita (IX,18;22;31-32;34), ci permette di capire un’altra caratteristica del Signore supremo, paradossale in relazione a quanto appena detto, ovvero che il Signore è qualcosa su cui non si può nemmeno parlare con chiarezza. Il Signore supremo è vicino all’uomo che in Esso si rifugia, ovvero all’uomo che ad Esso rivolge la propria preghiera, il proprio sentimento e pensiero. Il Signore supremo, questa cosa unica di cui nulla è pensabile superiore, è anche amico dell’uomo. All’uomo può concedere doni e grazia, oltre che amicizia e rifugio (emotivo, spirituale e materiale). Il Signore supremo aiuta l’uomo nel suo percorso di crescita morale e spirituale, lo aiuta ad avvicinarsi alla divinità, in sostanza, a raggiungere le sue mete attraverso un percorso di crescita continua. Così recita la Bhagabad-gita:

Io sono la Via, il sostenitore; tuo Signore e tuo testimone, / casa, rifugio e amico, / […] A coloro che meditano su di Me e mi adorano / con cuore indiviso, / io conferisco l’ottenimento di ciò che non hanno, e conservo ciò che essi hanno. […] Nessun mio devoto è mai perduto.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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