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Stirare o non stirare, questo il problema!

Ferro

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Tutto è iniziato dieci anni fa, quando iniziai la mia vita d’apolide in mezzo all’Italia. La prima esperienza che fa un uomo trapiantato in un altro posto: le mutande non si lavano da sole e le calze si possono girare una sola volta, secondo una pratica non molto igienica che però non mai praticato! Non solo. Ma il frigorifero tende misteriosamente a svuotarsi di continuo e non si riempie se qualcuno non mette dentro delle nuove vivande. Inoltre le stanze hanno una peculiare perversione devota all’aumento dello sporco e sono piuttosto restie a lavarsi senza chiedere l’intervento esterno di qualcuno. Inoltre, i cibi si mangiano per lo più cotti e alcuni sono così bastardi da non potersi digerire se non prima cucinati. Il che li rende, prima facie, più antipatici degli altri, per quanto una dieta equilibrata appunto preveda l’esclusione di quei beni di consumo più buoni (magari) ma anche meno salutari… Non si può vivere di sole patate fritte in busta o di wurstel crudi, due delle colonne portanti di molti studenti fuori sede. Per non parlare, poi, del disordine sistemico o causale che esso sia, a dimostrazione che l’entropia esiste eccome!

Tutte queste piccole ovvietà non lo sono fino in fondo per chi ha vissuto in famiglia e ha traslato la sua esistenza da una famiglia ad un’altra. Avendo traslato me stesso da una famiglia a una casa di studenti in cui regna l’anarchia hobbesiana (e talvolta si sospende anche la proprietà privata per alcuni peculiari tipi di beni…) mi sono presto reso conto che tutte queste attività, operazioni  e ameni passatempi in realtà richiedono energie e tempi peculiari a cui ci si deve irrimediabilmente dedicare.

Sempre al primo anno, però, mi scontrai con una di queste attività particolari: stirare. In famiglia non avevo mai stirato altro che degli asciugamani, vale a dire quelle cose che neppure vanno stirate ma che mi venne fatto fare perché in famiglia mi hanno insegnato a fare quasi tutte le più tediose faccende domestiche. Faceva parte, infatti, di un addestramento pregresso il cui senso, allora, era solo quello di farmi divertire (così mi sembrava!). Ma quando sbarcai in quel di Siena mi resi conto rapidamente che molto di quell’addestramento mi era in realtà molto prezioso ad esempio, sapevo farmi la pasta asciutta. Cosa che sembra banale e scontata, ma non per tutti. O almeno non per alcuni dei miei coinquilini. Anzi, aggiungo che alcuni non sanno usare neppure la moca!

Dubito fortemente che ci sia mai stato qualcuno che abbia amato stirare. E’ una pratica barbarica che coinvolge più forme di dissipazione energetica: energia cinetica, energia termica ed energia elettrica. E’ raro, a pensarci, trovare una attività che richieda tutte queste forme complesse di interazione energetica per un solo lavoro domestico (pulire per terra richiede l’energia cinetica ma non le altre, cucinare richiede l’energia termica più che le altre etc.). E c’è un altro fatto. Stirare richiede un addestramento specifico perché non basta passare il ferro da stiro sul vestito: deve essere fatto con un certo vigore, in un certo modo e possibilmente in un certo ordine. Il risultato può essere molto frustrante.

Al che nacque subito la domanda: ma perché devo stirare? Ragionai così:

a. Stirare richiede tempo (in genere un’ora o due).

b. Stirare richiede molta energia.

c. Stirare implica il rischio di rovinare la biancheria (alcuni capi di vestiario non si devono stirare e non bisogna distrarsi lasciando il ferro caldo sul vestito).

d. Stirare è indubbiamente un’attività noiosa.

e. Stirare richiede attenzione.

f. Stirare fa caldo (in estate è insopportabile).

Se i punti (a-f) fossero veri anche solo a coppie… Domanda: perché devo stirare? Chi me lo fa fare? Mi domandai subito se stirare fosse necessario per aumentare la durata del vestito. In questo caso c’era un’ottima ragione per farlo! Infatti, una volta che sei uno studente fuori casa devi comprarti i vestiti tu e se si rovinano devi correre ai ripari, dissipando i soldi (pochi) a disposizione per il vitto complessivo fornito dalla famiglia (generatore di infiniti sensi di colpa quando spesi in modo stupido o inutile). Ma la verità è che stirare non aumenta la durata del capo, semmai può portarne solo alla diminuzione della sua durata nell’esistenza, per usare una locuzione spinoziana. Infatti, se ci si dimentica del ferro da stiro sul vestito (può capitare… e capita…) si ritrova un odore di bruciato. E il bruciato è il vestito stesso… che diventa ipso facto inutilizzabile. Quindi, se questo è vero, allora stirare non serve per aumentare il tempo di utilizzo del vestito che, anzi, può essere rovinato (e non conta quanto siete esperti in quest’arte. E’ un fatto di condizioni potenziali che talvolta capitano). In definitiva, stirare non è una cosa utile per il buon mantenimento del capo di vestiario. Nel migliore dei casi non è né utile né inutile, è neutrale.

Però potrebbero esserci dei vestiti che non possono essere utilizzati senza essere stirati. Nel senso che, se non vengono stirati, sono talmente scomodi da essere troppo fastidiosi da essere indossati. Ma quali sono questi vestiti? Di sicuro non sono le magliette e neppure tutti gli abiti che si indossano sopra altri abiti: i maglioni, le felpe, le giacche non sono a diretto contatto con la pelle, quindi non possono dare tutto questo fastidio, anche sotto la supposizione, contestabile almeno in via potenziale, che se non stirati danno irritazioni. Alcuni tipi di pantaloni possono dare un po’ di fastidio. Ma fino a che punto? Non c’è un solo capo di abbigliamento che io utilizzo che mi dia tutto questo fastidio, sicché questa ragione sembra cadere. E allora ritorna la domanda: perché stirare?

Il mio ragionamento fu compiuto che avevo diciotto anni e fu all’incirca il seguente. Ogni lavoro richiede un investimento complessivo di risorse in relazione al fine stesso del lavoro. Ogni lavoro ha un fine e un insieme di mezzi per raggiungerlo. Se il costo complessivo di lavoro supera di gran lunga il vantaggio acquisito dalla realizzazione, va da sé che questo lavoro perde di senso (se non è proprio irrazionale). Stirare richiede tempo, energie, fatica, una certa dose di perizia e implica un rischio (trascurabile?) di rovinare il vestito e il compenso è quello di togliere delle pieghe di un pezzo di stoffa. Togliere le pieghe di un pezzo di stoffa non mi sembrò un obiettivo tale da giustificare tutte le operazioni sopra dette sicché decisi di non stirare. La mia filosofia di vita pratica è sempre stata la stessa da quando ho a disposizione la mia ragione: se una operazione ha ragion d’essere, allora va fatta; se un’operazione non ha ragion d’essere allora non va fatta. Dunque… si tratta di un platonismo etico spicciolo ma con un suo peculiare appeal. Quindi non si tratta di pigrizia. Ma di ragioni.

Ultimamente sono ritornato su questo tema per un fatto divertente. Come in altri casi, mi sono spesso domandato perché non faccio (oppure faccio) quello che fanno o non fanno altri. E se c’è una differenza tra il mio comportamento e quello degli altri, cerco di capire se le mie ragioni non siano in difetto. Sicché mi sono dedicato all’odioso sport di chiedere ragione del comportamento ad altri circa lo stiraggio dei vestiti! Ed ecco le principali risposte:

1. Stiro per abitudine.

2. Stiro perché l’abito mi sembra più bello.

3. Stiro perché l’abito è più comodo.

4. Stiro perché devo andare a lavoro.

Se ci fate caso, nessuna delle risposte (1-4) dice che si stira per piacere nello stirare. Sicché c’è comune concordanza sul fatto che stirare ha un alto costo individuale. Ma sono risposte accettabili? Non ne sono sicuro. Veniamo ad analizzarle una per una. Ma prima di iniziare si faccia caso che le risposte sono solo di natura soggettiva! Esse non dicono che c’è una ragione in sé nell’azione che la giustifichi ma la ragione sta solo nel fatto che essa dipende intrinsecamente dalla persona… ad esempio, nessuno invoca l’igiene per giustificare lo stiramento degli abiti, e l’igiene (e non la percezione dell’igiene) sarebbe un fatto obiettivo, uno stato di cose misurabile e indipendente dal soggetto che ci farebbe propendere per stirare.

Prima di continuare fughiamo anche un’altra ricostruzione a posteriori che si rivela nient’altro che una confabulazione (arte di costruire ragioni a posteriori per azioni causate da altre intenzioni, arte nota e studiata dai neuroscienziati più che da tutti gli altri): l’abito non ha un miglior profumo in quanto è stirato. L’odore dell’abito, infatti, non dipende né dall’abito né da un pezzo di ferro riscaldato né dalla loro combinazione (non si vede come). L’odore dipende principalmente (a) dagli agenti chimici contenuti nei saponi per bucato e (b) dall’amido di mais che si spruzza copiosamente. Vi invito a fare l’esperimento: spruzzate l’amido di mais senza stirare, fatelo asciugare bene e poi riponete l’abito nel cassetto. Quando lo indosserete sarete in grado di notare la differenza?

Un’abitudine non è una giustificazione razionale per un’azione. Si tratta di una giustificazione che va bene per qualsiasi domanda. Ad esempio, io non stiro per abitudine! Quindi l’abitudine non è una ragione, ma solo una motivazione. Essa mi dà una spiegazione causale del fenomeno, ma non mi dice perché dovrei impegnare le mie risorse (preziose perché limitate) per un certo scopo. Noi, in fondo, non vogliamo una spiegazione ma vogliamo una ragione che giustifichi lo scopo. Qualcosa che abbia a che fare con un senso, con un significato dell’atto e non rispetto alla genesi causale di quell’atto. Quindi la (1) è una risposta apparente che in realtà non sta realmente rispondendo alla domanda, cioè alla vera questione.

La seconda ragione sembra più fondata della prima. Essa ci dice che un abito è più bello solo se si stira. Ma è vero? Per prima cosa ci sono abiti che, se ben stesi, sembrano stirati. Ma non lo sono. E allora è evidente che la bellezza dell’abito non dipende dal fatto che esso sia stirato, ma solo dal fatto che esso è senza pieghe. Un abito può essere senza pieghe senza essere stirato quindi “stiro perché l’abito mi sembra più bello” è sotto condizione che l’abito avesse prima delle pieghe. Prima osservazione. Quindi in sé lo stiraggio non è condizione necessaria né sufficiente per la bellezza dell’abito!

Ma ora poniamo il caso che lo sia. Esso avrebbe davvero risposto alla nostra domanda? Io non credo. Infatti, non mi dice molto: cosa significa che l’abito è più bello stirato? La domanda successiva è immediata: “Perché l’abito ti sembra più bello?” Non è banale e in genere le persone non sanno rispondere a questa ulteriore domanda e rispondono senza aggiungere nuove ragioni: “Mi sembra più bello perché mi sembra più bello” oppure “Mi sembra più bello perché mi piace”. Il piacere è spesso considerato una parte della fruizione soggettiva della bellezza, per quanto le due nozioni siano comunque distinte. Ma dal punto di vista soggettivo, la presenza del piacere è perlomeno un indicatore della presenza di qualcosa di bello. Quindi dire “Mi sembra bello perché mi piace” è una proposizione vera perché circolare. Sicché, in altre parole, non sanno aggiungere altre qualità all’abito che siano tali da giustificare l’aumento di bellezza. Infatti, la strategia (debole) argomentativa è questa: x ha senso se x ha senso per me, x ha senso per me… quindi x ha senso. Il che è chiaramente un’assurdità salvo il caso che x sia una condizione puramente soggettiva. Ma qui si sta parlando di abiti, quindi comunque questo argomento è perlomeno debole se non proprio invalido.

Il terzo punto: l’abito è più comodo. Può essere vero per alcuni abiti (i jeans ad esempio). Ma quanti e quali? Io non ne ho una lista e in genere nessuno dispone di una lista chiara. Se non si dispone di una lista precisa di questi abiti, significa che non si dispone neppure di una ragione chiara perché, in genere, si stirano quasi tutti ma non tutti. Ovvero, il punto è che senza una lista esaustiva non abbiamo il criterio di identificazione grazie al quale possiamo discriminare con precisione questo tipo di abiti: la proprietà “essere scomodo” è chiaramente vaga e addirittura ammette polivalenza (vale a dire che una cosa scomoda potrebbe divenire comoda). Quindi senza un criterio di identificazione chiaro viene meno la possibilità di stilare una lista o di fornire il criterio in base a quella lista. E il risultato comunque è sempre lo stesso: la scomodità non è che un criterio molto imperfetto. Inoltre, ribadisco, non mi vengono in mente abiti che siano tanto scomodi da essere inutilizzabili se non vengono stirati. O io non ne possiedo perché sono tanto fortunato da aver acquistato solo singoli vestiti che sono comodi anche non stirati, oppure questi abiti così scomodi sono solo ipotetici. Infatti, abbiamo già detto che gli abiti scomodi dovrebbero essere (sub condicione!!) quelli che sono a diretto contatto con la pelle. Eppure le calze non si stirano, le mutande non si stirano, le magliette intime molti non le stirano… Le camicie sono simili alle magliette e non danno fastidio al diretto contatto con la pelle. Stessa considerazione vale per i pantaloni. O almeno io non ho mai indossato alcun paio di pantaloni che poi mi sono tolto perché troppo scomodi perché non li ho stirati.

In fine l’unica ragione che non riguarda la sfera propriamente soggettiva della valutazione dell’abito riguarda il fatto che sia indispensabile stirare gli abiti che si usano nei posti di lavoro. In questo caso c’è davvero una ragione forte per stirare. Senza abiti stirati non puoi lavorare. Ma questo significa che se si andasse a lavorare in un posto di lavoro che non richiede gli abiti stirati oppure si è disoccupati oppure si è studenti, pensionati, imprenditori etc., non c’è nessuna ragione per stirare l’abito.

In definitiva, i punti (1-4) nel migliore dei casi spiegano soltanto perché uno o due individui devono stirare, cioè hanno delle buone ragioni per farlo. Ma perché centinaia, migliaia ovvero milioni di individui dissipano tempo ed energie per questa causa? Aggiungo altre due domande: perché nei posti di lavoro si richiede l’abito stirato? Perché ad alcune persone l’abito stirato sembra più bello? Supponiamo di vivere in un posto in cui non si è mai stirato alcun abito e nessuno lo ha mai richiesto per lavorare. In questo posto ci verrebbe da stirare? Non credo proprio.

Aggiungiamo che oggi si parla spesso di sostenibilità ambientale. Avete idea di quanto consuma un ferro da stiro? Molto. E quell’energia viene prodotta da una centrale elettrica che consuma petrolio oppure gas naturale oppure carbone piuttosto che uranio o plutonio e quello che volete. Oppure stiamo consumando l’energia rinnovabile che potrebbe essere utilmente stoccata per altri scopi. Dall’esistenza dei ferri da stiro (almeno duecento anni) avete idea di quanta energia sia stata consumata per questo scopo? Quanti milioni di ore lavoro siano trascorsi per questa causa? Non sono la persona giusta per fare simili calcoli, ma ci vuole ben poco a farsi due conti alla buona. Considerato che solo in Italia ci sono 60.000.000 di persone e che almeno 1/4 stira (cioè un individuo per famiglia), si arriva al totale di 15.000.000 di stiratori. Se ammettiamo che essi in media dedicano 1 ora di tempo alla settimana (chi ne impiega molte di più chi meno), che in un mese ci sono 4 settimane e in un anno 12 mesi, si ottiene che in un solo anno nella sola Italia si spendano ben 720.000.000 di ore per stirare. Si tratta di una cifra altamente indicativa, di scarso dettaglio, ma a mio modesto avviso sufficiente a darci una immagine approssimata della dimensione. Immaginiamo poi di moltiplicare quel numero per 50, cioè per gli anni di esistenza dei ferri da stiro elettrici…

Altra domanda. Di quei 15.000.000 di stiratori, quanti si sono realmente domandati se avesse senso farlo? Una sparuta minoranza, a giudicare dalle mie modeste indagini. Nella maggioranza dei casi loro non lo sanno ma lo fanno. E cercano una risposta solamente una volta che gli viene fatta la domanda. Sicché essi stanno ragionando in questo modo: “quale è una spiegazione plausibile del fatto che si stira?” Ovvero si chiedono quale è la ragione per cui avrebbe senso farlo, non perché realmente loro lo facciano.

Assumo che ben pochi, forse, siano consapevoli e che sia il caso dell’identità tra la vera motivazione dell’azione e l’azione stessa. Ma questo coinvolge poche persone, troppo poche e che hanno spiegazioni peculiari. Non spiegano il fenomeno. E neppure lo giustificano. Le ragioni sono debolissime (l’abbiamo visto) e non sembrano sufficienti a farci dire: “ah, sulla base dell’abitudine, della presunta bellezza, della comodità dell’abito io ritorno sui miei passi e sono disposto a spendere una marea di ore, energie e noia per questo scopo”. Ovvero lo scopo sembra richiedere mezzi che lo rendono vagamente insensato (e infatti così sembra anche alle persone a cui viene richiesto esplicitamente di giustificare il loro operato).

Sia detto che non vale l’obiezione inversa: almeno apparentemente (lascio giudicare a voi) ho delle buone ragioni per non stirare. Non rischio di rovinare l’abito, non perdo tempo, non mi affatico, non mi stanco, non mi annoio. E sono ragioni obiettive: stirare stanca perché richiede uno sforzo fisico, stirare annoia perché è un’attività ripetitiva, stirare consuma tempo perché è un’attività materiale (quindi esiste nel tempo).

Ma allora perché le persone stirano? La mia risposta non coinvolge uno specifico individuo. La mia spiegazione (non giustificazione, perché appunto non sembra esserci… almeno così, a naso) è simile a quella che sarebbe invocata per spiegare perché usiamo i caratteri dell’alfabeto e non gli ideogrammi. Semplicemente per una tradizione di cui si è persa la memoria delle ragioni. Se si fossero date le giuste condizioni nel passato, oggi useremmo gli ideogrammi.

Non è sempre stato vero che si potevano usare gli abiti senza che si dovessero stirare. Cento o duecento anni fa (e anche meno, in alcune zone dell’Italia) esistevano degli abiti che erano così rigidi che non si potevano usare senza essere stirati. Infatti i ferri da stiro sono uno strumento relativamente antico. Prima andavano a carbone o si scaldavano direttamente sulla fiamma. All’epoca si doveva fare per ragioni di semplice utilità: se non si stiravano certi abiti, essi non erano indossabili. Ma questo non vale più oggi. E’ evidente. Non si trattava di semplice comodità, ma di vera e propria utilizzabilità. Che è una cosa ben diversa.

E’ anche evidente che ci fossero delle persone che non potevano passare molto tempo a stirare i loro abiti proprio per tutte le difficoltà dette prima (addestramento, tempo, risorse, rischio di rovinare l’abito). E infatti c’erano degli addetti specifici: le casalinghe. Quando si parla di disparità delle opportunità (giustamente) bisogna comunque ricordarsi che fare la casalinga era un lavoro fondamentale, nobile e imprescindibile. Ed era un lavoro duro, serio, faticoso e importante. Erano loro le esperte. Ed era grazie a loro che i maschi si potevano permettere il lusso di indossare i loro abiti senza pieghe.

Chi non si sposava, però, non aveva a disposizione simili servizi e probabilmente non aveva tempo per diventare perito nell’arte dello stiraggio. E chi non era sposato, se non era così ricco da essere solo “uno scapolo facoltoso”, non era ben giudicato. Era considerato uno strano e inaffidabile. I facoltosi assoldavano personale addetto (cameriere, governanti etc.) per prendersi cura dei loro abiti. In una parola, l’abito, da sempre segno di distinzione, stirato bene era un rimarcare la differenza tra chi poteva permettersi di farlo da chi, invece, non poteva se non costretto. Quindi il fattore estetico si determinava da una necessità di distinzione sociale che, da sempre, è una prassi per molti irrinunciabile. Non giudico, semplicemente osservo. Invero, si sono fatte cose molto più stupide per creare simili barriere sociali, ma stirare era un segno di ordine.

Quindi per fare bella impressione a chi voleva distinguersi in questo modo bisognava assumere i suoi stessi parametri. Così, lentamente ma non troppo, l’abito stirato è diventato sinonimo di ordine e distinzione e di ricchezza relativa. E di questo appunto si trova traccia nel fatto che in certi posti di lavoro un abito non stirato è segno di cattiva distinzione.

Così le persone si sono tramandate come buona abitudine quella di stirare gli abiti. Esattamente come sorridere è un segno di socialità, così come mangiare i bruchi è segno di povertà o stravaganza negativa (in Occidente), così stirare è un segno di appartenenza ad un sistema estetico condiviso. E’ un modo per capire se Luigi fa parte dei nostri o fa parte di altri. Si faccia caso che questo, si, è un criterio obiettivo di discernimento (non la valutazione negativa o positiva dell’identificazione, che è cosa ben diversa): un abito o è stirato o no, sicché se Luigi indossa un abito non stirato ha rifiutato una convenzione sociale ed è identificabile in modo indipendente dal fatto che uno lo pensi o no. Non dipende certo dalla mia opinione né da quella di nessuno che la mia camicia sia stirata, ma solo dal fatto che essa sia stata stirata. Per questa ragione stirare è un modo per marchiare la propria appartenenza ad una certa comunità che si identifica con gli uomini che si stirano gli abiti a differenza di quelli che non si stirano gli abiti.Comics

Si tratta, allora, di una tradizione che ha perso la funzione iniziale, cioè quella di rendere gli abiti utilizzabili e di creare una forte distinzione sociale. Oggi stirare, a mio modesto avviso, è dovuto ad una chiara condizione inerziale insita nella mente umana che raramente si domanda il perché delle proprie abitudini.

Concludo, allora, dicendo che non trovo che un abito non stirato sia più brutto. Né che una persona che non stira i suoi abiti sia sciatta. Semplicemente concludo che quasi tutti quelli che possono stirano, ma non sanno perché. Il che non significa molto. Significa soltanto che non vedo perché debba venire voglia di stirare anche a me!


Tengo a ringraziare il mio giovane amico Luca Toscano, che ha accettato di disegnare la simpaticissima immagine di copertina: grazie Luca!!Ferro


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

3 Comments

  1. Lene Lene 28 Giugno, 2019

    A me stirare piace. Vedere tutto in ordine è una soddisfazione. Le fibre degli abiti si distendono e i miei nervi con loro. Che a qualcuno non piaccia ci può stare. Che l’entropia dell’universo aumenti, anche. Ma non è necessariamente un’attività infame, ce ne sono di peggiori.
    Se non si vuole stirare per ragioni ecologiche (che è giusto) comunque è bene acquistare capi di abbigliamento che non necessitino di essere stirati. Le magliette stropicciate addosso alla gente non si possono vedere.

    • Redazione Redazione 1 Luglio, 2019

      Gentilissima,

      La ringraziamo per averci letto e per il suo commento.

      Nessuno questiona che a qualcuno piaccia stirare e che nell’insieme delle persone a cui piace stirare ci sia anche lei. La nozione di piacere è così personale e individuale che nessuno la questiona ed esistono gruppi di condivisione degli hobby più disparati. Nell’articolo nessuno dichiara che stirare sia un’attività infame in qualsiasi senso della parola: morale, etico, estetico o personale. Si insinua che essa sia non ecologica e che essa non apporti nessun beneficio né ai capi di abbigliamento in quanto tali, né a chi li indossa e che anche se quest’ultimo beneficio ci fosse (cosa appunto concessa) sarebbe comunque una questione percettiva il cui costo è legittimo discutere. Che ci siano attività o azioni peggiori, di nuovo, nessuno lo questiona minimamente. L’articolo non aveva certo lo scopo di dimostrare che stirare è peggio di (per esempio) danneggiare psicologicamente o fisicamente qualcuno. Su tutti questi punti siamo evidentemente d’accordo. L’articolo mette soltanto in mostra che sebbene a qualcuno piaccia stirare, stirare è obiettivamente un’attività onerosa sotto molti punti di vista e che la soddisfazione che essa genera, oltre ad essere circoscritta ad alcuni, non basta a giustificare la sua ragion d’essere che nasce da ragioni semplicemente storiche poi tramandate per abitudine. E l’argomento, infatti, voleva mostrare come stirare richieda tempo, fatica, energia (biochimica ed elettrica). Tutte commodity costose. E mi pare che anche su questo siamo d’accordo. E circa il risultato finale: questo è semplicemente un giudizio di gusto individuale che, per quanto legittimo, non cambia in alcun modo la semplice natura degli argomenti presentati nell’articolo.

      Un caloroso saluto e le auguriamo una felice navigazione in Scuola Filosofica

  2. Sinthoras Sinthoras 24 Settembre, 2023

    Finalmente qualcuno che mi capisca!! <3

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