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Grammatica generativa e senso comune

Gavina S, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Searl mostra in modo molto intelligente come il punto di vista chomskiano sia controintuivo e, probabilmente, ciò sta alla base della scetticità che ha incontrato in ambito accademico da principio. Non è raro nel mondo della scienza che chi si rivendichi scienziato non accetti tutte poi le conseguenze d’esserlo, come è stato mostrato in modo emblematico da Thomas Kuhn.

La teoria “folk” del linguaggio è riassumibile in questi termini:

  1. Il fine della lingua è la comunicazione.
  2. Gli atti linguistici si possono studiare a partire dall’interazione con gli altri comportamenti manifesti non linguistici concomitanti.
  3. La comprensione dei meccanismi fisici che soggiacciono alla capacità linguistica sono ininfluenti per la descrizione del linguaggio stesso.
  4. L’analisi sintattica segue dall’analisi semantica.

Spieghiamo ciascun punto. Il linguaggio è un mezzo di comunicazione. Esso è definito in basa al fine, cioè all’intenzione associata al parlante. Se considerassimo il linguaggio privo di fine, dovremmo concluderne che esso esiste indipendentemente dall’intenzione del parlare. Ma ciò è contraddittorio nella misura in cui “parlare” implica l’intenzione. Inoltre, si può anche considerare come dato di fatto che il linguaggio sia usato in vista dello scambio di idee, di vedute o di ciò che si vuole.

Gli atti linguistici si possono studiare come dei fenomeni non distinti dalle altre azioni fisiche, vale a dire nei termini di cause e di effetti. Se io pesto il piede a qualcuno, è molto probabile che osserverò determinate risposte verbali. Inoltre, quando si insegna la propria lingua a delle persone di nazionalità e lingua molto diversa, si procede facendo associare un’immagine o un oggetto ad una parola. La prima cosa necessaria per comunicare con chi ha un codice linguistico del tutto diverso dal nostro, cioè che è dissimile interamente a livello di “parametri” e di “fonologia” è proprio l’uso di parole che rimandino a oggetti della vita quotidiana. Solo successivamente si può procedere nell’apprendimento di parti del linguaggio che non rivestono un ruolo nella “forma semantica”, ad esempio gli articoli. Per fare ciò, si procede attraverso i disegni di oggetti concreti, oppure attraverso l’ostensione. L’importante è creare uno stimolo a cui associare un determinato suono, la parola. In fine, si procede alla ripetizione e all’uso di rinforzi, positivi o negativi, in base alla qualità delle risposte. Questo è un metodo che funziona per insegnare la lingua a individui di nazione e linguaggio diverso dal nostro.

A questo secondo punto, segue un corollario: il linguaggio è interamente descrivibile a partire dalla scienza fisica o da una scienza riscrivibile in quei termini. L’immagine del senso comune applicata al linguaggio consente di “ridurre” la lingua a puro meccanismo nel quale non ha importanza come avvenga il processo fisico a livelli di analisi più dettagliati (ad esempio nei termini delle funzioni d’onda di propagazione del suono etc.) ma consente, in linea di principio, di poterlo spiegare in quei termini.

Diventa più chiaro il punto tre: “La comprensione dei meccanismi fisici che soggiacciono alla capacità linguistica sono ininfluenti per la descrizione del linguaggio stesso”. I meccanismi di ordine puramente meccanico o fisiologico sono ininfluenti giacché basta una descrizione sommaria, cioè ad alto livello, del comportamento di un parlante, delle risposte che ha dato a determinati stimoli e rinforzi. Il livello psicologico è del tutto escluso. Non ha importanza la rappresentazione mentale, sia essa a livello simbolico che subsimbolico, del linguaggio. Essa non concorre in alcun modo alla spiegazione degli atti linguistici. Se ci poniamo dal un punto di vista di chi debba insegnare il linguaggio ad un’intera classe di parlanti di lingua dai parametri totalmente diversi dalla sua, è evidente che egli procederà ignorando i singoli stati mentali di ciascuno.

In fine, se il linguaggio è uno strumento di comunicazione, se il linguaggio può essere spiegato a partire dalla sua finalità allora le espressioni linguistiche sono ottenute dal significato da comunicare. Il linguaggio è uno strumento e uno strumento si definisce in relazione alla finalità del soggetto. Ciò che vogliamo comunicare è il significato delle parole. Se ammettessimo il contrario, dovremmo ammettere che, quando parliamo, vogliamo ottenere qualcosa di simile a chi suona il flauto: un bel suono privo di valore semantico. Ma questo è smentito dai fatti. Così, quando voglio articolare un’espressione linguistica di senso compiuto mi accingo a pensare a cosa voglio dire e solo dopo mi concentro sul modo attraverso cui dirlo.

Uno strumento è definito come un’operazione, o un insieme di operazioni, attraverso cui soddisfare una certa intenzione. Per un solo fine, esistono più strumenti. Il linguaggio è un insieme di operazioni attraverso cui soddisfiamo l’intenzione di comunicare. Ci sono molte forme diverse per raggiungere lo stesso scopo: scrittura, espressione vocale, linguaggio dei gesti. Se la visione del linguaggio come strumento è corretta, allora il suo apprendimento non è dissimile da quello di una zappa: esso si soppesa, si adopera. Se si sbaglia, veniamo corretti, se facciamo giusto, veniamo ricompensati. Per descrivere uno strumento possiamo o descriverne il fine o descriverne la componente fisica. Se dovessimo applicare questo ragionamento al linguaggio, allora dobbiamo concludere che è possibile rintracciare le cause fisiche che soggiacciono alla produzione di atti linguistici. Ciò è vero, ma inutile di fronte al fatto che il “fine” ci dice immediatamente tutto ciò che ci interessa sapere intorno ad esso.

La teoria fondata sulla grammatica generativa si fonda su presupposti completamente diversi:

  1. Il linguaggio è una facoltà mentale priva di finalità.
  2. L’eventuale finalità comunicativa non influenza la codifica profonda delle componenti sintattiche.
  3. La sintassi si struttura su una base fisica pre-definita.
  4. Il processo fisico di codifica del linguaggio è al di sotto del livello cosciente.

La distanza tra i due approcci si vede già dal primo punto. L’idea che il linguaggio sia una facoltà mentale priva di finalità è del tutto estranea al senso comune, anche considerato la migliore estensione di questo, la teoria comportamentista. Infatti, considerare il linguaggio come una computazione su un supporto fisico esclude che esso abbia una qualche finalità, a meno di ricadere al di fuori della teoria darwiniana. Gli organi hanno una funzione per “descrizione” ma non per “intenzione”, cioè noi definiamo il cuore come “l’organo che pompa il sangue”, tuttavia è un fatto puramente casuale che il cuore faccia quel che faccia. Evidentemente, nel passato, ci sono state delle mutazioni umane che si sono estinte perché non avevano un organo capace di fare quel che fa il cuore. In questo senso, anche per il linguaggio deve valere la stessa idea: esso si è sviluppato a seguito della selezione naturale e, di conseguenza, esso nasce privo di finalità.

Che il linguaggio sia usato spesso per comunicare non è un fatto da poter esser messo in dubbio. Tuttavia Chomsky considera il fatto che il linguaggio ha una molteplicità d’usi anche assai diversi dal puro uso comunicativo, come rompere un silenzio imbarazzante, estendere la propria memoria. Ma ci sono anche altri esempi che Chomsky non considera e forse sono anche più pertinenti: ci sono molte persone che, per puro divertimento, dicono cose senza senso. Capita di parlare ma non di voler esser capiti. Altre volte uno parla da solo per puro sfogo. Questi esempi minano l’idea che il linguaggio sia stato uno strumento elaborato dall’uomo su base intenzionale per comunicare. In effetti, se ciò fosse vero, allora perché talune frasi vengono dette per far ridere, oppure, sempre per lo stesso scopo vengono elaborati giochi di parole che non hanno alcun significato? Su questo punto, l’idea di Chomsky è molto convincente.

Il secondo punto è molto importante giacché sancisce la distanza tra semantica e sintassi sostenendo che l’espressione linguistica di senso compiuto, una proposizione, non viene articolata in base al suo significato ma alla sua sintassi. In effetti, questo è un punto molto sottile e non facilmente dimostrabile senza un’adeguata conoscenza tecnica. Tuttavia potrebbe essere illuminante il fatto che sebbene noi abbiamo spesso chiaro cosa vogliamo dire, meno spesso sappiamo come dirlo bene e non sappiamo mai su quali leggi si fondi la nostra articolazione finale. In altre parole, anche quando parlo la mia lingua naturale, non sono mai conscio di quali meccanismi mentali mi portino a dire una certa determinata cosa, né sono in grado di enunciare la gran parte delle leggi linguistiche che rendono possibile una certa espressione piuttosto che un’altra. Il fatto che ci siano delle frasi incomprensibili è una prova molto forte del fatto che la semantica si articola sulla sintassi e non viceversa: perché esistono frasi incomprensibili, se ogni termine del linguaggio è stato fissato da una convenzione tale da poter essere anche modificata? Il problema non si articola su uno sfondo semantico come “La casa è un cubo cilindrico”, cioè una frase priva corrispettivo oggettivo nel mondo, ma su uno sfondo grammaticale come “Di case ce ne sono molte di case” o “Lui ha detto che lei che ha detto che lui è biondo, è bionda”. Queste ultime frasi non hanno un senso sintattico, esse è ininterpretabile. E’ difficile spiegare nei termini di un’analisi non generativista esempi di questo genere.

Se il linguaggio è una facoltà della mente che codifica espressioni attraverso la sintassi, va da sé che la sintassi sia una particolare attività mentale implementata sul cervello. Se tutti gli uomini sono costituiti dallo stesso patrimonio genetico ed ereditano la capacità linguistica, se tutti gli uomini hanno la medesima facoltà linguistica allora tutte le lingue parlate saranno strutturate su dei principi comuni, cioè su una grammatica universale. Questo ragionamento si può applicare a molte proprietà umane, come l’uso delle mani: esse sono un organo ereditato geneticamente e il cui uso si struttura allo stesso modo in tutti gli uomini. Possono variare le impugnature degli oggetti, ma non il modo di ripiegare le dita attorno ad essi.

Il processo fisico che porta alla formulazione di espressioni linguistiche munite di senso è al di sotto della soglia cosciente dell’individuo. Ciò perché il linguaggio non è un’attività intenzionale o non lo è esclusivamente. Di certo non siamo consci delle computazioni mentali, siano esse di carattere algoritmico piuttosto che di processazione parallela.

Non ci interessa stare qui a disquisire tra quali delle due concezioni sia la più forte. Tuttavia ci interessava osservare quanto sia controintuitiva l’analisi di Chomsky e, al contempo, quale portata esplicativa essa abbia. Dobbiamo a Searl l’aver richiamato la nostra attenzione sulla distanza effettiva tra il senso comune applicato al linguaggio e l’impostazione chomskiana.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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