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Cosa ne pensava davvero Kurt Gödel?

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Logica da Zero a Gödel di Francesco Berto e Fallacie di ragionamento


Abstract

Questo saggio non vuole riportare l’intera ricerca di Kurt Gödel (1906-1978). Quanto mi propongo di fare è soltanto presentare i risultati di mie recenti letture di alcuni testi filosofici del maggiore logico del XX secolo. Infatti, il risultato principale consiste sostanzialmente nella contemplazione di una posizione filosofica estremamente precisa e delineata. Dato il fatto che il pensiero di Gödel è espresso in modo chiaro e distinto, mediante uno stile argomentativo rigoroso, denso ma pienamente comprensibile, il mio invito è quello di dedicarsi alla lettura diretta dei testi del logico, ancor prima di andare a guardare nel grande mare di una letteratura piuttosto tecnica e non sempre soddisfacente.


Kurt Gödel (1906-1978) è stato uno dei più grandi matematici del XX secolo. Si può dire, parafrasando Churchill, mai così tanti presero così tanto ad uno soltanto. Infatti, Kurt Gödel è ancora oggi una delle celebrità intellettuali più citate e probabilmente più ignorate allo stesso tempo. Questo paradosso, invero assai diffuso in certi ambienti, è dovuto al fatto che le sue dimostrazioni (soprattutto i due celebri teoremi di incompletezza) hanno oscurato totalmente ciò che viene prima e dopo, cioè il suo pensiero filosofico. Per tale ragione, dunque, Gödel risulta tra i più citati in senso lato ma più ignorati in senso stretto.

E tale fatto curioso è tanto più strano perché Gödel non solo utilizza varie volte i suoi teoremi per mostrare la sua visione filosofica, ma riflette anche sulle possibili alternative visioni della matematica, giungendo sempre alle medesime conclusioni anche sulla base dei suoi risultati logico-formali.

Va subito detto che un curioso, quanto usuale, effetto collaterale di questo fatto consiste nel completo travisamento del significato dei suoi teoremi di incompletezza: essi vengono citati per dimostrare il pensiero debole o l’assenza di una verità anche nella regina delle scienze. In altre parole, essi vengono strumentalizzati per mostrare esattamente il contrario di quanto Gödel intendeva dimostrare. Questo è tanto più vero, quanto più chi usa i teoremi in questo senso degenere di certo non soltanto non conosce la natura logica dei teoremi di Gödel, ma neppure è in grado di utilizzarne i risultati superficiali, né si è chiesto cosa ne pensasse l’autore in persona.

In fine è curioso il fatto che di Gödel si citino spesso i suoi teoremi nelle varie formulazioni possibili, ma è molto raro trovare citazioni dirette dei suoi scritti filosofici e, in genere, ci si accontenta di riportare la sua posizione generale. Questo può essere corretto in testi brevi e generali sui risultati del logico austriaco, ma non quando se ne riporta la filosofia. Per questo, in definitiva, si potrebbe dire che Gödel è uno dei più grandi matematici della storia più strumentalizzati e per questo realmente ignorati. La natura degli studiosi sa essere ironica quanto la vita, visto che per lanciare una riflessione su Gödel in un festival della scienza, non si è riusciti a fare a meno di iniziare dalle infinite più che numerabili turbe mentali di Gödel, piuttosto che dalla sua visione positiva della matematica e della mente umana.

La posizione filosofica di Gödel è la ben nota posizione platonista sui fondamenti della matematica, ovvero l’idea che la matematica non si riduce al solo dimostrabile sia in senso stretto che in senso ampio. In senso stretto un enunciato matematico può essere vero indipendentemente dal fatto che esso sia dimostrabile: questa è una peculiare interpretazione di Gödel dei suoi teoremi di incompletezza. In senso ampio, la matematica non è mai riducibile a nessun tipo di formalizzazione e questa è una delle principali tesi filosofiche difese da Gödel. In generale, dunque, la filosofia del logico austriaco non è particolarmente elaborata, nel senso che egli ha poche ma fondamentali idee che difende contro ogni alternativa. I suoi argomenti sono grossomodo sempre gli stessi, il che non vuol dire che non siano dotati di una certa peculiare profondità. Inoltre, essi sono caratterizzati da un rigore estremo nonché da una peculiare asciuttezza stilistica che avvicina i saggi filosofici di Gödel a dei saggi di metalogica o di logica vera e propria.

Pur non essendo uno specialista, è comunque possibile osservare almeno due caratteristiche del pensiero filosofico di Gödel: prima di tutto egli è molto chiaro e rigoroso, ben di più di ogni lettura possibile di altri; in secondo luogo la sua lettura, per quanto molto densa, risulta estremamente godibile anche da un quasi profano della disciplina. Perché Kurt Gödel fa parte di quegli intelletti rari capaci di tradurre in parole i pensieri in modo così cristallino che ognuno può cogliere qualcosa. Questo perché, ancora una volta, il pensiero classico degli autori che credono in una disciplina vale infinitamente di più di tutti gli scribacchini che arzigogolano parole su parole intorno a quello che forse hanno anche letto, ma sicuramente usano a proprio scopo personale, per altro privo di ogni interesse scientifico. Ma la storia va così sin dalla notte dei tempi e, per questo, è necessario continuare a leggere gli scritti puri degli intelletti eccellenti come Darwin, Gödel o Kant: perché solo tramite la lettura dei loro lavori si può cogliere qualcosa di interessante anche per noi.

Prima di iniziare, potrebbe essere utile schematizzare le principali tesi di Gödel:

  1. Gli assiomi matematici sono resi veri dai concetti matematici.
  2. I concetti matematici sono il contenuto degli assiomi della matematica.
  3. I concetti matematici sono enti indipendenti dalla mente umana e non sono interamente riducibili a nessun apparato logico formale.
  4. I concetti matematici sono cogliibili mediante l’intuizione matematica.
  5. La matematica è inesauribile.

La filosofia di Kurt Gödel si sostanzia su due principali idee connesse tra loro. La prima è che la matematica non può essere ridotta in alcun modo a qualcosa di più elementare, sia essa la logica, la sintassi del linguaggio o all’empiria. La riduzione della matematica è resa impossibile per due vie. La prima è che ogni sistema logico formale non fa altro che assumere certe nozioni irriducibilmente matematiche, che non sono di per sé di natura logica. Quindi, in sostanza, i sistemi di logica non fanno altro che simulare alcune porzioni della matematica. Ma tale simulazione si gioca sull’introduzione surrettizia di quelle nozioni e concetti di cui, appunto, non si può mai fare a meno, qualora si voglia davvero riprodurre la matematica.

In secondo luogo, la matematica non può essere interamente ridotta alla logica per via dei due teoremi di incompletezza. Per Gödel i due teoremi mostrano in modo inequivocabile che la dimostrabilità di una proposizione e la sua verità non sono necessariamente due proprietà identiche e che la verità eccede la dimostrabilità. Al contrario, dato un certo sistema logico-formale sufficientemente potente da esprimere tutte le funzioni ricorsive primitive, c’è almeno una proposizione che è indimostrabile ma è vera, sotto condizione di coerenza del sistema. E la verità della proposizione si coglie attraverso l’intuizione matematica.

L’argomento sull’irriducibilità del contenuto genuinamente matematico può essere così enucleato: l’idea che la matematica abbia un contenuto è valida indipendentemente dalla singola prospettiva sulla matematica (sia essa empirista, logicista, etc.), ciò perché i teoremi della matematica esprimono fatti oggettivi e quindi obiettivi. I singoli fatti combinati sono inequivocabilmente relazioni tra i termini primitivi del processo combinatorio. Inoltre, i termini come “coppia”, “uguaglianza” e “relazione” sono ineliminabili perché per applicare queste convenzioni è necessaria un’intuizione o una conoscenza empirica di fatti che coinvolgono gli stessi concetti o altri ad essi isomorfi. Questo argomento è quasi una citazione testuale di Gödel (1953). L’argomento, dunque, dimostrerebbe almeno due fatti rimarchevoli. Prima di tutto che i concetti matematici prevengono le dimostrazioni formali di essi: non è possibile dimostrare qualcosa che prima non si sia colto vero precedentemente alla linea dimostrativa vera e propria. In secondo luogo, la matematica viene anche dopo la dimostrazione perché, una volta terminata la dimostrazione, il risultato è la contemplazione di un fatto oggettivo (il teorema), che è di per sé significativo indipendentemente da ciò che l’ha preceduto.

Kurt Gödel (Gödel (1951)) porta anche un secondo argomento a favore della tesi che la matematica sia un fatto oggettivo. Esistono proposizioni matematiche indecidibili (per i teoremi di incompletezza), quindi la matematica non è soltanto una nostra creazione perché il creatore conosce tutte le proprietà della creatura posta da lui ad essere, sicché sembra che debbano esistere fatti matematici indipendenti dalla nostra mente. Questo argomento potrebbe apparire di per sé debole, perché suppone che il creatore di qualcosa debba conoscere ogni proprietà di quel qualcosa. Ma Gödel appone una specifica per bloccare questa obiezione: se fossimo noi i creatori, dovremmo aver chiari i fondamenti e avremmo con ciò piena consapevolezza di ogni proprietà dell’oggetto creato, inoltre la matematica ha raggiunto una chiarezza insuperabile sui suoi fondamenti pur non avendo, con ciò, risolto alcun problema matematico. Quindi l’attività dei matematici mostra poca reale libertà, fatto che non si accorda con la natura del creatore. Le proprietà matematiche degli enti matematici vengono scoperte solo dopo che vengono scoperte o create altre entità matematiche. Quindi o le proprietà ascritte a quegli enti matematici stavano prima nell’oggetto, oppure perché richiedere nuove entità per dimostrarle?

Sono dunque due le conseguenze di questa visione della matematica: la prima consiste nell’idea che sussista un modo di cogliere le verità matematiche che sia indipendente dalla dimostrabilità della verità matematica in questione. Questa sarebbe l’intuizione matematica. L’intuizione matematica è un procedimento intuitivo che non è di per sé passibile di riduzione formale proprio perché la riduzione formale prende le mosse dall’intuizione matematica e non viceversa. In secondo luogo, questa intuizione matematica non fa altro che cogliere fatti oggettivi, che è una assunzione di esistenza di fatti matematici ben superiore alla sola richiesta di obiettività. Vale a dire che ciò che il matematico intende tramite intuizione, prima, e dimostrazione, poi, è un fatto vero e proprio, indipendente dalla sua mente: esso è un fatto extramentale, non passibile di riduzione a dati empirici o a nozioni formali. E infatti Gödel spende molte parole proprio per dimostrare che tali riduzioni siano impossibili. L’argomento antiempirista si può riassumere nella constatazione che le richieste empiriste siano o insufficienti o unilaterali: perché si dovrebbe ridurre il concetto di numero al solo dato empirico? Inoltre, gli empiristi riescono a ricostruire solo alcune parti della matematica e sostengono che il restante non è vera matematica. Questa, sostiene Gödel, è una visione unilaterale, semplificata della matematica.

Gödel (1953) porta anche un argomento a favore dell’intuizione matematica: se si accetta l’intuizione matematica, si accetta il contenuto matematico come esistente. Se questo fosse falso, allora gli assiomi della matematica possono essere derivati a loro volta, perché essi non disporrebbero di un contenuto che li rende formulabili (sulla base di cosa e perché essi andrebbero formulati?). Ma siccome noi possiamo effettivamente formalizzare dei concetti matematici attraverso simboli e tali assiomi sono veri proprio in relazione al contenuto che essi esprimono, allora i contenuti non cogliibili mediante l’assiomatizzazione, devono essere colti mediante qualcosa: attraverso l’intuizione matematica. Infatti, non si possono definire assiomi mediante altri oggetti astratti senza cadere nell’assurdo (vedi Gödel (1961)), sicché il procedimento deve quindi consistere in una chiarificazione di senso che non consiste nel definire.

La matematica può essere interpretata come: (1) una sintassi induttiva finitaria, (2) una sintassi deduttiva finitaria, (3) una sintassi non finitaria, (4) una sintassi finitaria con alcuni limiti, (5) non può essere ridotta esclusivamente a sintassi finitaria. Si intende con “finitario” il metodo di dimostrazione matematico che non utilizzi concetti di infinito sia attuale che potenziale perché si tratta di una nozione controversa: tutto deve essere dimostrato senza fare appello ad alcunché di infinito. Si intende con “non finitario” il metodo di dimostrazione che accetta e utilizza termini di infinito attuale e potenziale. Sia detto, per inciso, che sulla definizione di “finitario” e “non finitario” molti tendono a dire che siano nozioni vaghe. Non è chiaro, però, in cosa consista questa vaghezza perché, almeno negli scritti di Kurt Gödel, le due nozioni sembrano invero assai precise. I due termini sono ripresi dai lavori di David Hilbert (per esempio: Grundlagen Der Mathematik), di cui Gödel è in un certo senso un continuatore, nel senso che la sua riflessione prende avvio almeno dai principali risultati hilbertiani, per quanto non da un punto di vista strettamente filosofico, fatto incontestabile su cui addirittura la letteratura e i commentatori convergono.

Le posizioni (1-4) vengono argomentativamente refutate da Gödel, sicché l’unica accettabile è la (5). Secondo Gödel la matematica è inesauribile e, perciò, irriducibile ad ogni formalizzazione: (I) il contenuto intuitivo della matematica è necessario in larga parte per comprendere le convenzioni sintattiche; (II) i teoremi matematici perdono la loro applicabilità man mano che i suoi contenuti vengano ignorati; (III) la coerenza, che non è necessaria per le applicazioni dei teoremi matematici, deve essere fondata sull’induzione empirica. In sostanza, dunque, tutte le riduzioni della matematica alla sola logica formale (sintassi finitaria o non finitaria) sono fallimentari, nel senso che non sono sufficienti a esaurire la matematica ma, al più, ne contengono una parte. Il che non significa che Gödel neghi l’importanza dei metodi finitari formali o di quelli propriamente empirici, semplicemente nega il fatto che la matematica sia interamente riducibile a quelli.

Gödel difende il suo platonismo sulla base del fatto che questa tesi filosofica sarebbe l’unica sostenibile per salvare l’idea che esista una conoscenza matematica, ovvero: (1) la matematica descrive qualcosa di non sensoriale; (2) la matematica esiste indipendentemente dalla volontà e dalle inclinazioni della mente umana e (3) la mente percepisce la matematica solo in modo incompleto. Queste tesi, come abbiamo visto, nascono dalla constatazione che ogni alternativa sia implausibile: la riduzione alla logica formale è implausibile, l’idea che il matematico sia libero o creatore (o entrambe le cose) è implausibile allo stesso modo, come è implausibile pensare di ridurre la matematica all’attività empirica. Ogni variante di queste alternative risulta fallimentare sulla base delle stesse ragioni di questi tre modi di intendere la matematica, sicché sembra resistere solo la possibilità platonista. In fine, per quanto riguarda l’intuizione matematica, Gödel respinge esplicitamente la posizione kantiana dell’intuizione (Gödel (1946/1949)) per difendere la plausibilità di esplorare la nozione di intuizione sulla base della fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938), definita come una possibile reinterpretazione della posizione kantiana, senza però condividerne i difetti.

La fenomenologia husserliana potrebbe essere intesa come una tecnica che dovrebbe produrre un nuovo stato di coscienza attraverso cui descrivere i concetti fondamentali e i derivati da essi (Gödel (1946)). La fenomenologia sarebbe, così, intesa come mezzo per giungere alla contemplazione chiara e distinta dei concetti matematici fondamentali, così come delle combinazioni di questi. Ed in questo Gödel mostra un’altra sua tesi filosofica: una macchina non può imitare l’analisi di scoperta di nuovi assiomi sulla base delle nozioni primitive proprio perché non è capace di una preliminare intuizione dei contenuti degli assiomi da cui parte. Per tale ragione, unita all’irriducibilità della matematica alla sola riduzione formale, è facile capire i motivi che spingono Kurt Gödel a sostenere che la matematica è intrinsecamente inesauribile.

Concludiamo fornendo un’idea di come Gödel utilizzi i suoi teoremi. In primo luogo, esso li utilizza in senso strumentale ma abbastanza vicino ancora alla loro natura logica, vale a dire che egli li invoca per mostrare come la verità in matematica non si riduca alla sola dimostrabilità. In secondo luogo, egli li impiega per supportare la tesi, conseguenza di quanto sopra, che il contenuto matematico sia esauribile alla sola formalizzazione. Ciò è implausibile proprio perché il contenuto cogliibile mediante intuizione è proprio ciò che rende vero l’enunciato indecidibile (e quindi indimostrabile). Sicché Gödel difende la sua posizione filosofica proprio invocando i suoi teoremi: essi mostrerebbero che la matematica è un regno extramentale, non creato dal matematico, passibile di conoscenza prima di tutto mediante intuizione. Questa è la tesi più forte riguardo la natura degli oggetti matematici ed è ben lontana da tutte quelle interpretazioni che vorrebbero i suoi teoremi una dimostrazione del pensiero debole e, più in generale, della ragione umana. Se con ragione umana si intende soltanto la capacità di calcolo e capacità di deduzione, forse può godel-kurtessere vero; ma ciò è proprio quanto Gödel sembra non volere in alcun modo, laddove egli difende proprio l’idea contraria: la mente può quel che la macchina non può proprio perché vede la verità laddove la macchina gira soltanto a vuoto.


Bibliografia

Gödel K., (1944), “La logica matematica di Russell”, in Gödel K., (1995), Scritti scelti, Bollati Boringhieri, Milano.

Gödel K., (1946/1949), “Alcune osservazioni sulla relazione tra la teoria della relatività e la filosofia kantiana”, in Gödel K., (1995), Scritti scelti, Bollati Boringhieri, Milano.

Gödel K., (1951), “Alcuni teoremi basilari sui fondamenti della matematica e le loro implicazioni filosofiche”, in Gödel K., (1995), Scritti scelti, Bollati Boringhieri, Milano.

Gödel K., (1953/59), “La matematica è sintassi del linguaggio?”, in Gödel K., (1995), Scritti scelti, Bollati Boringhieri, Milano.

Gödel K., (1961), “Il moderno sviluppo dei fondamenti della matematica alla luce della filosofia”, in Gödel K., (1995), Scritti scelti, Bollati Boringhieri, Milano.

Hilbert D., (1978), Ricerche sui fondamenti della matematica, Bibliopolis, Napoli.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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