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Incoerenze tra agenti educativi: possibili conseguenze

ABSTRACT

La conflittualità tra agenti educativi, genitori, famiglia allargata, ma anche tra famiglia e scuola, genera situazioni che potrebbero definirsi anomiche. Climi di questo genere tendono a minare lo sviluppo armonico del minore per l’assenza di punti di riferimento stabili e univoci. L’apice delle incongruenze educative può essere raggiunto quando è presente la Parental Alienation Sindrome perchè, sebbene non possa essere ancora provato che è una patologia, è certamente una forma di squalifica e di incoerenza grave rispetto alle linee educative da seguire. Incoerenze gravi  possono generare scarsa integrazione, abbandono scolastico, possibili disturbi di personalità.  E’ importante quindi che gli agenti educativi, i genitori e la famiglia allargata sanciscano un patto pedagogico coerente e caratterizzato da chiare regole fin dalla prima infanzia.


Lo scopo del presente articolo è favorire una riflessione pedagogica sul tema della rottura o dell’assenza di accordo sull’educazione tra genitori o tra parti educative. Accordo qui specificato come un patto pedagogico in grado di garantire l’evoluzione personale armoniosa e l’integrazione sociale dei minori. La rottura del patto pedagogico è un evento sociale a volte connesso ad un altro fenomeno di ancora più grave discordia tra genitori che in questi ultimi dieci anni è diventato oggetto di discussione sulla rete e sui media, la PAS o Sindrome da Alienazione Genitoriale. Scoperta dallo psichiatra americano Gardner, consiste nella manipolazione di un figlio da parte di un genitore per instaurare un’alleanza distruttiva nei confronti dell’altro genitore. E’ facile inferire come sia impossibile per i genitori coinvolti nella PAS condividere scopi educativi di qualsiasi natura. In altre parole, si intende interpretare la Parental Alienation Syndrome e le sue nefaste conseguenze cliniche, sul piano più moderato e frequentemente osservabile di conflittualità e squalifica del ruolo genitoriale nella sua azione educativa. Un modo di desautorare l’altro inteso come origine di atteggiamenti nei figli socialmente e culturalmente disfunzionali e quindi limitanti rispetto ad una loro corretta integrazione sociale. Inizieremo perciò con una breve descrizione della sindrome e dei suoi effetti senza tuttavia soffermarci troppo sulle asettiche esposizioni cliniche e da qui muoveremo verso considerazioni legate alle problematiche pedagogiche derivanti dalla squalifica degli obiettivi e dei metodi educativi. Andremo a vedere ossia, alcune conseguenze, denunciate dalla ricerca psicologica, sul probabile sviluppo di certi tratti di personalità connessi agli stili di relazione in argomento.

Si intende tuttavia giungere a considerare il fatto che le relazioni interpersonali nella famiglia non esauriscono in sé la problematica educativa ma sono da collocare e da interpretare come elemento di un più ampio contesto di azioni ed interventi legati ad ambiti socio-culturali di differente complessità, la cui natura è oggetto di un’analisi genuinamente pedagogica. In altre parole, la lente d’ingrandimento sperimentale che mette in luce le sole relazioni interpersonali, è una selezione rispetto all’azione educativa nel suo insieme. Questa infatti non si risolve soltanto nella relazione tra genitori e nemmeno nella sola relazione con gli educandi, ma trova compimento nei contenuti di una progettazione collettiva e coordinata in contesti sociali ampi, integrati e ricchi di obiettivi, metodi, didattiche, filosofie, culture, tradizioni e storia.

 

Parental Alienation Syndrome

E’ intesa come un insieme di manifestazioni comportamentali derivanti da una specifica forma di conflittualità tra genitori nel divorzio. Uno dei due genitori, mediante comportamenti manipolatori, riesce ad indurre nel figlio o nei figli un cupo sentimento di ostilità verso l’altro. Nei casi più gravi tale risentimento non si esaurisce nemmeno in età adulta. La PAS tuttavia è un concetto controverso perchè non ci sono ricerche in numero sufficiente per poter affermare in maniera indubitabile che il fenomeno si verifica nel modo e per le ragioni che ha esposto Gardner. Lo psichiatra statunitense descrive la PAS come una specie di programmazione del figlio che avviene tramite le false accuse, la denigrazione e la colpevolizzazione. Tale comportamento genererebbe un’alleanza tra il minore e il genitore manipolatore che si manifesta nei seguenti comportamenti.

  1. Campagna di denigrazione del genitore alienato.
  2. Razionalizzazione debole dell’astio.
  3. Mancanza di ambivalenza.
  4. Il fenomeno del pensatore indipendente.
  5. Appoggio automatico del genitore alienante.
  6. Assenza di senso di colpa.
  7. Scenari presi a prestito.
  8. Estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore alienato.

Per poter affermare che un caso è effettivamente PAS si dovrebbe quindi poter osservare una forte conflittualità di coppia in cui l’aggressività viene espressa con modalità asimmetriche e quasi unilaterali, ma in modi che non sono necessariamente diretti, bensì passivi e trasversali. Un figlio che denigra pubblicamente uno dei due genitori, lamentando maltrattamenti e muovendo critiche che però non è in grado di giustificare. Accuse e lamentele rivolte nei confronti di uno solo dei due genitori, mentre l’altro viene descritto in maniera del tutto positiva. Le istanze del minore dovrebbero inoltre essere espresse in termini e concetti che sono propri di un adulto e che ricalcano il linguaggio del genitore alienante pur dichiarando che le ragioni derivano da un’elaborazione autonoma. Il figlio inoltre tenderebbe a prendere sempre le difese di uno solo dei genitori, tutto ciò in assenza di senso di colpa, tramite descrizioni di scenari presi a prestito. Il medesimo trattamento dovrebbe riservarlo alla famiglia del genitore alienato.

Ora, sebbene le ricerche non siano in numero sufficiente da permettere di inserire la PAS nel DSM-V (il manuale diagnostico psichiatrico), è evidente che i comportamenti osservati da Gardner non possono essere considerati comportamenti sani o socialmente funzionali. La scientificità in questo caso sembra dipendere solo dalla possibilità di correlare su base probabilistica questi comportamenti con i comportamenti, anch’essi osservati, del genitore alienante. Considerando la scientificità della sindrome alla luce della teoria induttiva, l’ipotesi alternativa è un’implicazione il cui antecedente è dato dai comportamenti manipolatori del genitore e il conseguente dai comportamenti patologici del figlio. L’ipotesi nulla sarebbe quindi quell’implicazione il cui antecedente è dato dai comportamenti manipolatori del genitore e il conseguente dai comportamenti, questa volta normali, del figlio. Ovvero, ciò che effettivamente non si conosce ancora è il numero di casi in cui, nonostante i tentativi di manipolazione di uno dei genitori, i figli rimangono fedeli anche all’altro. Non si conoscono inoltre un numero sufficiente di casi in cui certamente un genitore è manipolatore e il figlio manifesta i sintomi.

Concludere affermando che è alta la probabilità condizionale che un genitore è agente di atteggiamenti manipolatori dato che il figlio presenta i sintomi descritti, risulta quindi azzardato.

Infatti, sul fronte teorico generale, secondo Sinnott-Armstrong, se X fosse una condizione sufficiente per Y “non dovrebbero esistere casi [oppure dovrebbe essere limitato il numero di casi] in cui X è presente e Y assente. Quindi si dovrebbero testare una grande quantità di situazioni che includano casi in cui X è presente ma anche casi in cui Y è assente”[1]. Dovremmo inoltre aver controllato un vasto numero di casi in cui è probabile che X sia presente e Y assente se un tale caso esiste.

La seguente tavola di verità serve a chiarire il rapporto suddetto esistente tra una condizione sufficiente X e un effetto Y. Il rapporto segue la regola condizionale nei termini della probabilità. L’ipotesi sarà più probabile se il numero di casi in cui X causa non-Y è basso.

X causa   Y                  Vero (che X è una condizione sufficiente di Y)

X causa  non-Y           Falso (che X è una condizione sufficiente di Y)

non-X causa Y            Vero (che X è una condizione sufficiente di Y)

non-X causa non-Y    Vero (che X è una condizione sufficiente di Y)

Ma queste considerazioni non negano l’esistenza di minori con atteggiamenti come quelli descritti da Gardner e nemmeno negano l’esistenza di genitori che mettono in atto polemiche denigratorie nei confronti dell’altro genitore coinvolgendo i minori. Quindi, da un punto di vista pedagogico, qualora si dovessero rilevare le condizioni suddette, sarebbe difficile ipotizzare che il progetto educativo dei due genitori, data l’ostilità dell’uno nei confronti dell’altro, sia da essi condiviso. Venendo ad estinguersi il patto pedagogico tra genitori, il minore si troverebbe comunque in un grave contrasto normativo che lo priverebbe di punti di riferimento stabili. La PAS, ma a questo punto è meglio dire la conflittualità e la squalifica, costituiscono una radicale opposizione tra genitori e tra un genitore e il minore. Una situazione che ha gravi ricadute sulle prassi educative ed è in grado quindi di rendere impossibile l’apprendimento di quei contenuti e di quelle prassi che definiscono le basi di una vita sociale appagante. Consumandosi in rapporti di estrema conflittualità, in cui la vittima è il genitore, che viene “prevaricato dalla personalità patologica del figlio [e dell’altro genitore] che non gli riconosce più un ruolo”,[2] il minore ha un’elevata probabilità di sviluppare, data l’anomia che la polemica genera nel suo ambiente, una bassa tolleranza alla frustrazione e quindi una scarsa autoefficacia nelle relazioni interpersonali.

 

Personalità passivo-aggressiva e incoerenza

La rottura del patto pedagogico, la polemica e le gravi discrepanze negli interventi e nelle scelte educative, l’alta emotività espressa, i giudizi negativi e i conflitti coperti riversati sul minore, costituiscono contesti socio-culturali decisamente incoerenti ed imprevedibili. Non è improbabile sotto certe condizioni addirittura lo sviluppo di una personalità disturbata. Il disturbo oppositivo provocatorio, il disturbo della condotta, l’aggressività verbale/fisica patologica, e infine la personalità passivo-aggressiva sono solo alcuni dei risvolti possibili.

Secondo Millon, la personalità passivo-aggressiva è un modo di essere particolarmente correlato con l’incoerenza nell’educazione, infatti “di solito la personalità passivo-aggressiva si sviluppa quando un bambino interiorizza le incoerenze e i vacillamenti contenuti negli atteggiamenti e nei comportamenti ai quali egli è esposto”[3].

La struttura della personalità infatti dipende sensibilmente dai processi di socializzazione, attività umane intenzionalmente o non intenzionalmente volte a definire e a trasmettere ruoli, norme, principi e valori condivisi in una società o in un gruppo. La socializzazione inizia con la sperimentazione degli effetti e delle gratificazioni che possono insorgere dalle relazioni sociali. Mead afferma che la personalità si sviluppa tramite una costante interpretazione delle intenzioni degli altri verso se stessi portandosi gradatamente a divenire un’interpretazione di se stessi in base ad un Altro generalizzato che costituisce la sintesi dei giudizi, delle interpretazioni e delle reazioni che gli altri hanno fornito nelle differenti situazioni sociali. Il contesto delle relazioni affettive prossime assume così un significato fondamentale in quanto costitutivo del nucleo della personalità, il “me”.

Bruner invece mette in luce come i primi apprendimenti passino attraverso la partecipazione ai contesti culturali, attraverso prassi che solo più tardi potranno essere espresse verbalmente. Intende che la comprensione sociale è antecedente alla comprensione degli oggetti e che strutture cognitive come la causalità o il pensiero simbolico, sviluppatisi già nei primi diciotto mesi di vita come provato da Piaget, sono rivolti dai bambini, in primo luogo sugli oggetti sociali e culturali allo scopo di interpretarli per agire con essi efficacemente, solo in seconda battuta sugli oggetti materiali. E’ molto precoce quindi l’apprendimento relativo ai modi per realizzare fini, evitare il confronto, giustificare cio che si sta facendo. Fin dai primi anni di vita l’uomo apprende degli scripts che poi tende a generalizzare. Sono schemi ricorsivi di comportamenti che si assumono in specifiche situazioni. Si impara ad esempio ad esercitare un comportamento adatto ad un ambiente come il ristorante. Gli elementi sempre uguali come prenotare, prendere posto, ordinare ecc. incominciano ad entrare a far parte del bagaglio culturale del bambino e costituiscono aspettative riguardo alle relazioni sussistenti in quel luogo. Se gli esperimenti al riguardo sono veri, tra i molteplici scripts appresi dovrebbero esserci anche i comportamenti relativi alle relazioni prossime o familiari.

Assumendo che alcuni luoghi significativi possano essere caratterizzati da ricorsive incoerenze, e quindi da aspettative e scopi discrepanti spesso sottilmente nascosti in un conflitto coperto, possiamo lecitamente inferire dalle premesse sperimentali suddette, che i pattern di comportamento appresi debbano essere forme di adattamento ad essi. La personalità passivo-aggressiva è appunto una di queste forme, un modo di comportarsi che esprime rabbia e aggressività in modo indiretto, senza esporsi, rivolgendosi contro se stessa per accusare o danneggiare gli altri. Quando questa espressione diventa costante e generalizzata, si parla di personalità passivo-aggressiva, altrimenti di comportamenti passivo-aggressivi.

Le personalità passivo-aggressive quindi conciliano una facciata impeccabile con un’aggressività che non hanno il coraggio di esprimere. Come nel caso della PAS, in cui l’accusatore è in realtà responsabile di muovere accuse esagerate o addirittura false nei confronti dell’accusato, coinvolto questo tramite il minore e i contesti sociali condivisi. L’accusa prende la forma di un’aggressività sociale che costruisce il mito della colpa con l’intermediazione di tutto il sistema circostante: amici, scuole, tribunali, avvocati, psicologi, figlio compreso.

“L’ aggressività indiretta ma estremamente efficace si concretizza in vari modi: ostruzionismo, cocciutaggine, procrastinazione, resistenza alle richieste di prestazioni adeguate, inefficienza intenzionale, perdita di tempo, tergiversare, tenere il broncio, «dimenticarsi», fraintendere, sparlare di nascosto, cinismo, sarcasmo, lasciare le cose in sospeso, agire in modo sfuggente, presentarsi di proposito di cattivo umore, eccessivo mangiare o dormire, compiacere gli altri (soprattutto l’autorità) per poi lamentarsi di loro, accusare malattie psicosomatiche, negare i propri sentimenti veri se qualcuno li riconosce, tenere il muso, indifferenza, non cooperazione, invidia nascosta per i successi altrui, visione negativa del futuro”.[4]

Ma per poter veramente parlare di aggressività, dobbiamo riconoscere che questi atteggiamenti devono essere accompagnati da una volontà ostile e sottilmente provocatoria di danneggiare gli altri. “Chi è ostile e aggressivo in forma passiva non è ostile in un momento e poi gentile in un altro, ma è entrambi nello stesso momento.” Aggressività e collera vengono spesso confuse, si può essere aggressivi senza mai alzare la voce, né avere l’aria incollerita.

Ora, tali fenomeni sono correlati con una scarsa padronanza nel gestire la frustrazione. Riuscire ad elaborare le situazioni frustranti in modo costruttivo è uno dei compiti che in maggior misura impegna la crescita e perdura lungo tutto l’arco vitale. Il problema dell’educazione ruota quindi massicciamente intorno a questo obiettivo che è alla base della morale, ma anche della prestazione fisica, cognitiva e sociale. L’abilità di procrastinare, di scegliere, ovvero di rinunciare ad una gratificazione per ottenerne un’altra, di rinunciare in toto quando necessario, di moderare gli impulsi e di valutare i beni rispetto al loro effettivo valore, di motivare e di auto-motivarsi, dipende da un impegno personale e collettivo che prosegue dalla prima infanzia ed è garanzia di armonia personale. Un patto pedagogico genitoriale coerente e collettivamente condiviso, lontano dalla polemica sterile e dalla critica personale, garantisce un’alta probabilità di successo ed è caldamente consigliato dalle istituzioni educative e di ricerca internazionali.

Alcuni standard internazionali per un patto pedagogico coerente

“Il comportamento “disciplinato” di un bambino è la risultante di una somma di apprendimenti di regole. Il percorso è lungo e faticoso. Il rispetto delle regole e delle norme da parte del bambino, è uno dei motivi principali dell’armonia e serenità in famiglia, della felicità dei genitori”. [5]

Le moderne ricerche sull’educazione, nonostante l’enfasi diffusa al livello del grande pubblico sui micro-rapporti individuali, sulla comunicazione o sugli stili educativi, mettono in rilievo anche come i contesti d’apprendimento o di socializzazione dovrebbero essere caratterizzati sia nelle istituzioni educative, sia nelle famiglie, da chiari indirizzi sul piano del comportamento e sul piano dei fini, dei contenuti e dei valori. Sebbene quest’ultimi debbano essere lasciati alla discrezionalità dei singoli, rimane costante lo sforzo delle istituzioni internazionali come l’UNESCO, l’International Bureau of Education, l’International Accademy of Education, nel fissare linee di sviluppo coerenti con un mondo in rapido cambiamento che rende obsoleti molti degli obiettivi sociali e pedagogici del ‘900. Indirizzi generali volti all’integrazione dell’adulto futuro in società complesse, regole di condotta derivanti dallo studio delle correlazioni tra integrazione sociale, successo scolastico e caratteristiche familiari, possono essere quindi condivisi nella cultura familiare e chiaramente espressi allo scopo di creare dei frame socioculturali con obiettivi trasparenti, utili anche al di là dalla variabilità delle relazioni interpersonali e della personalità dei genitori.

Un buon esempio potrebbe essere lo schema seguente, promosso dall’UNESCO, che deriva dai risultati di innumerevoli ricerche volte a caratterizzare la relazione esistente tra curriculum familiare, successo scolastico e integrazione sociale. Ricerche che fissano così, su base empirica, gli standard per un’educazione di elevata qualità. Nel caso specifico si tratta del contenuto di quelle relazioni, routine e aspettative che, quando presenti in famiglia, aumentano la probabilità di raggiungere obiettivi personali di integrazione ed istruzione.

 

THE PARENT/CHILD RELATIONSHIP

  • Daily conversation about everyday events; • Expressions of affection; • Family discussion of books, newspapers, magazines, television programmes; • Family visits to libraries, museums, zoos, historical sites, cultural activities; and • Encouragement to try new words, expand vocabulary.

 

ROUTINE OF FAMILY LIFE

  • Formal study time at home; • A daily routine that includes time to eat, sleep, play, work, study and read; • A quiet place to study and read; and • Family interest in hobbies, games, activities of educational value.

FAMILY EXPECTATIONS AND SUPERVISION

  • Priority given to schoolwork and reading over television and recreation; • Expectation of punctuality; Identifiable patterns of family life contribute to a child’s ability to learn in school.

  • Parental expectation that children do their best; • Concern for correct and effective use of language; • Parental monitoring of children’s peer group; • Monitoring and joint analysis of televiewing; and • Parental knowledge of child’s progress in school and personal growth.[6]

Esaminando questa classificazione possiamo comprendere come la famiglia sia da considerare un contesto formativo caratterizzato non solo dall’affettività, ma anche da chiare regole e routine, attività condivise, interessi culturali condivisi, aspettative di risultato. Queste scelte progettuali contrastano nettamente con le istanze personali e con quei moti di spirito che determinano le incoerenze, le alleanze e l’ostilità genitoriale nelle situazioni dette. L’educazione progettata e pianificata si delinea invece come una costruzione di contesti sociali formativi sulla base di standard culturalmente e scientificamente condivisibili e perciò in grado di istituire un patto pedagogico tra le parti. Quindi “passare dalla condizione di “essere coppia” a quella di “essere genitori” e educatori, significa impegnarsi seriamente e mettere in atto comportamenti per perseguire specifici obiettivi, avendone le competenze”.[7]

Non a caso l’enfasi viene posta sulle routine familiari, l’educazione infatti soffre fortemente quando piccoli impegni, coerenza, comportamenti di rispetto verso le cose e le persone, non sono richiesti dai genitori prima che siano richiesti dalla scuola. I genitori che tendono a non coinvolgere precocemente i figli negli interessi personali, della casa e del nucleo familiare, che non discutono le decisioni e le attività con i minori, che non dicono di no, saranno costretti poi ad esercitare pressioni quando la società richiederà ai loro figli maggior impegno, ma sarà tardi perché i bambini saranno già abituati a decidere tutto da soli, secondo la loro personale convenienza e senza responsabilità verso altri. L’ignoranza o l’inconsapevolezza dei contenuti che devono essere veicolati ai minori, la polemica, l’opposizione immotivata e personale, possono gravemente minare un appropriato inserimento sociale, i rapporti sentimentali, le amicizie, il raggiungimento di obiettivi. Una tale forma di inconsapevolezza pedagogica si concretizza anche, come abbiamo visto, nel rifiuto da parte di un genitore di applicare fermamente quelle norme che garantiranno al minore quella padronanza sui suoi desideri e sugli impulsi che lo guiderà verso l’equilibrio interiore, verso la reciprocità delle relazioni e verso esperienze affettive basate sulla capacità di rinunciare ad una parte dei propri desideri per realizzare una convivenza basata sull’interesse comune. Possiamo notare al riguardo che “negli ultimi decenni la cultura familiare ha trovato una giustificazione “moderna”, che induce moltissimi genitori a rinunciare inopportunamente al proprio diritto-dovere di imporre regole e limiti [rinunciando quindi ad un chiaro indirizzo educativo]. Si tratta del timore di causare un trauma psicologico. […] Così esitano a imporgli i sacrifici più ovvi, come quello di andare a dormire a un orario decente, lavarsi i denti dopo mangiato, mettere a posto i giocattoli, ecc.  Rinunciando alla fermezza e alla coerenza necessarie, moltissimi genitori impediscono ai figli di allenarsi ad affrontare le difficoltà della vita”. [8]

La coerenza con un patto pedagogico non è solo un dovere educativo delle famiglie ma se ci affidiamo alle ricerche di Vygotskij, allora l’intero contesto socio-culturale risulta fortemente coinvolto nell’azione educativa. Il Mozart della psicologia russa considera infatti il micro contesto familiare un sistema fortemente influenzato da un meso-sistema, da un eso-sistema e da un macro-sistema. Il meso-sistema coinvolge le persone, le idee, gli usi e i costumi di coloro che stanno in relazione contemporaneamente con i componenti di un micro-sistema. L’eso-sistema è costituito da coloro che sono in relazione con alcuni dei componenti di un micro-sistema, mentre il macro sistema è relativo ai valori, alle regole e alle credenze della società intera. Tutto ciò che è culturale, linguistico e interpsichico, tende a diventare intrapsichico. A tal proposito vediamo come l’UNESCO promuova quindi ampie forme di integrazione, tra scuola famiglia e società: “because families vary in their relationship to schools, schools must use different strategies to engage all families in the learning lives of their children” e ancora ‘when the families of children in a school associate with one another, social capital is increased, children are watched over by a larger number of caring adults, and parents share standards, norms and the experiences of child-rearing”.[9]

Diventa chiaro quindi come l’accordo tra genitori (ma anche il disaccordo) ricada in un più ampio contesto, caratterizzato da un progetto educativo che mira a rendere coerenti i rapporti tra famiglia allargata, agenti educativi esterni e il tessuto sociale in generale per realizzare un patto pedagogico comune, produttivo di valore. Patto pedagogico essenziale per la corretta implementazione di processi di sviluppo umanamente congrui e socialmente evolutivi.

In sintesi

Abbiamo visto come le ricerche sperimentali sullo sviluppo sociale, le ricerche cliniche sugli aspetti patologici della personalità e le ricerche educative coincidano nel considerare che qualsiasi forma grave di discrepanza o incoerenza tra le parti nell’esercizio dell’educazione, oppure un profondo disaccordo tra agenti educativi, sia che siano individui singoli, sia che si tratti di contesti ed istituzioni, comporti probabili limitazioni nello sviluppo individuale dei minori. Limitazioni che possono produrre una scarsa integrazione sociale, oppure scarsi risultati scolastici e abbandono scolastico, giungendo nei casi più gravi, fino a procurare alcuni disturbi della personalità. Tra i casi  gravi possiamo includere anche la PAS sebbene non possa ancora essere scientificamente provata nella sua specificità. Un patto pedagogico coerente deve quindi essere rispettato e deve essere ricco di contenuti qualitativamente elevati, espressi in chiare regole, condivise e diffuse tra differenti agenti educativi.

 

Riferimenti bibliografic

Redding, Parents and learning, International Bureau of education and International Academy of Education, 2002, Losanna.

C.Pascoletti, Genitori Educatori, spunti e idee per un’educazione di qualità, 2017, Istituto Ricerca e Sviluppo per la Sicurezza (IRSS).

Mathias J.Panthalanickal, La Personalità Passivo-Aggressiva, 2007, 3D.

Vianello, Psicologia dello sviluppo, 1995, Bergamo.

P.H.Miller, Teorie dello Sviluppo Psicologico, 1996, Urbino.

W.Sinnott-Armstrong, R.Fogelin, Understanding Arguments, An introduction to informal logic, 2013, Cengage Learning.

Siti internet

Manca, Figli Padroni e Manipolatori, Cosa deve fare il genitore quando si ribaltano i ruoli, Adole-Scienza.it, https://www.adolescienza.it/sos/sos-genitori-adolescenti/figli-padroni-e-manipolatori-cosa-deve-fare-il-genitore-quando-si-ribaltano-i-ruoli/


[1]W.Sinnott-Armstrong, R.Fogelin, Understanding Arguments, An introduction to informal logic, pp. 226-227.

[2]M. Manca, Figli Padroni e Manipolatori, Cosa deve fare il genitore quando si ribaltano i ruoli, Adole-Scienza.it

[3] J. Mathias J.Panthalanickal, La Personalità Passivo-Aggressiva, p.2.

[4]Ibid.p.1

[5]C.Pascoletti, Genitori Educatori, spunti e idee per un’educazione di qualità, p.16.

[6]S. Redding, Parents and learning, pp. 7-8.

[7] C.Pascoletti, Genitori Educatori, spunti e idee per un’educazione di qualità, p.13.

[8] Ibid. p.15.

[9]S. Redding, Parents and learning, pp. 24-27


Massimo Fabi

Nato a Trieste nel 1968, mi sono laureato nel 1999 presso l'Università degli Studi di Trieste in Scienze dell'Educazione seguendo l'indirizzo per Esperti nei Processi Formativi. Ho scritto una tesi in Storia della Filosofia dal titolo Bontadini e il Dialogo con L'Idealismo incentrata sugli studi bontadiniani del gnoseologismo moderno e sull'intenzionalità del pensiero. Negli anni successivi, dopo aver seguito un master in Formazione dei Formatori e un corso di perfezionamento in Terapia della Famiglia, mi sono iscritto all'albo dell'Associazione Nazionale dei Pedagogisti (ANPE). Tuttavia, gli interessi per la logica e la filosofia della scienza, sviluppati all'università durante un tirocinio del prof. Alessandro Cortese, allievo di Bontadini, in Scrittura Filosofica, mi hanno seguito portandomi tutt'oggi a concentrarmi sulle problematiche relative all'analisi del linguaggio, alla coscienza critica, all'epistemologia, alla metafisica e agli aspetti fondazionali e metodologici delle scienze umane. Ho collaborato inoltre come Mentor dell'Università di Duke per il corso Think Again: Inductive Reasoning della piattaforma on line Coursera dell'Università di Stanford.

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