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Fisicità e Spiritualità

 

Anselm Grün e Michael Grün sono fratelli, tedeschi: il primo è un monaco benedettino, istruttore di spiritualità; il secondo è un fisico, ex docente di fisica e matematica nella scuola. Insieme hanno scritto il libro Qualche nota su Dio e sulla fisica quantistica (Due facce della stessa medaglia) [2015, io mi riferisco alla prima edizione TEA 2019], costituito dalla Prefazione di Michael, dalla trascrizione di una conferenza di Michael intitolata Fisica e religione, dalle Note di Anselm sul tema della conferenza stessa, dalla Postfazione di Michael.

Nella sua conferenza Michael espone, anzitutto, le tappe fondamentali dello sviluppo della fisica classica (i cui pilastri sono stati Galilei e Newton per ciò che riguarda la parte propriamente fisica, Descartes e Kant per quanto concerne i fondamenti filosofici), nella quale il meccanicismo aveva una funzione assai importante, e il ruolo di Dio era ridotto sostanzialmente a quello di ideatore e creatore dell’universo (tuttavia vari esponenti, in seguito, arrivarono a negare la Sua presenza, considerandola superflua). Egli esamina poi le acquisizioni della fisica del XX secolo che hanno messo in crisi il paradigma precedente, vale a dire la cosmologia basata sulla teoria del Big Bang, la teoria einsteiniana della Relatività, sia Ristretta sia Generale, la fisica quantistica (evidenziando i suoi aspetti “paradossali”). Un passo piuttosto rilevante della conferenza riportata è il seguente: «La fisica deve prendere atto del fatto che il suo sapere è influenzato dai metodi con cui studia la natura, e che, perciò, non è la scienza della natura, ma la scienza della nostra conoscenza della natura» (p. 47). Michael termina con alcune riflessioni attinenti ai limiti della conoscenza umana dell’universo e al compito delle religioni, auspicando che queste e la fisica moderna si integrino a vicenda, giacché tanto le prime quanto la seconda si occupano di proiezioni della verità assoluta (rispettivamente, sul piano dell’interiorità e sul piano dell’esteriorità relativamente all’essere umano). Molto significativo è il passo finale: «Oggi alcuni scienziati credono – secondo l’espressione utilizzata dal fisico Paul Davies – che il cammino verso Dio sia meno impervio se si segue la via della fisica piuttosto che quella della teologia. Vorrei concludere con una citazione di Werner Heisenberg, uno dei più geniali scienziati del XX secolo, che così descrive l’esperienza di molti grandi fisici moderni: Il primo sorso dal bicchiere delle scienze naturali rende atei, ma in fondo al bicchiere ci attende Dio» (p. 68).

Nelle Note sul tema della conferenza di suo fratello, Anselm inizia ripercorrendo sinteticamente il cammino del dialogo tra filosofia e teologia cristiana (prima) e fra scienza e teologia cristiana (dopo), ravvisando i loro punti di contatto, piuttosto che quelli di contrasto, riguardo alla conoscenza della realtà. Egli affronta poi il problema del rapporto fra spirito, inteso generalmente come facoltà di pensiero, e materia (con riferimenti alla teoria dell’Evoluzione, alle neuroscienze, alla fisica quantistica) sostenendo che, pur nelle loro diverse nature, sono legati inscindibilmente l’uno all’altra, e prendendo in considerazione specificamente gli effetti della preghiera e dei sacramenti della Chiesa alla luce degli insegnamenti e delle azioni di Gesù, il Cristo. Quindi, individua un’immagine “nuova” del Dio del Cristianesimo – ente trascendentalmente assoluto e immanentemente personale allo stesso tempo (a questo proposito l’autore cita il teologo contemporaneo Hans Küng) –, delineando inoltre una sorta di spiritualità della bellezza, fondata sulla tradizione filosofica greca e su quella dei Padri della Chiesa, nonché sul pensiero scientifico moderno, e non trascurando di accennare, infine, ai rapporti tra fede cristiana e razionalità in un’ottica complementaristica tipicamente ratzingeriana. Un passo particolarmente suggestivo dell’intervento di Anselm è quello nel quale fa riferimento a una nota conferenza tenuta da Werner Heisenberg, intitolata Oltre le frontiere della scienza: «Per Heisenberg la conoscenza religiosa e quella scientifica sono perciò strettamente imparentate e legate alla coscienza della bellezza del mondo. In tale bellezza si intuisce sempre qualcosa di Dio, poiché Egli è bellezza assoluta, che traspare attraverso la bellezza della natura e la bellezza della conoscenza umana. Heisenberg termina il suo discorso, rivolto agli artisti, con una parafrasi di un principio fondamentale di Keplero: La matematica è l’archetipo della bellezza del mondo» (p. 100). Ma uno dei passi che rivelano maggiormente l’originalità del suo approccio al tema in questione (a tal proposito l’autore cita i teologi gesuiti Karl Rahner e Pierre Teilhard de Chardin, quest’ultimo anche paleoantropologo) è il seguente: «Basandoci sulla fisica quantistica, possiamo immaginare che la vita, la morte e la resurrezione di Gesù abbiano cambiato il fondamento del cosmo. Anche se non possiamo “dimostrare” questa trasformazione, possiamo certamente immaginarla» (p. 85).

Michael Grün, e soprattutto Anselm Grün, non ci parlano di un amore qualunque, ma dell’Amore, quello in grado di rendere l’essere umano e il resto dell’universo davvero nuovi.


Giorgio Della Rocca

Sono nato il 10 Agosto 1964 a Pontinia, comune dell’Agro Pontino in provincia di Latina, e vi abito. Mi sono diplomato al Liceo Scientifico "G.B. Grassi" di Latina, e laureato in Matematica con indirizzo Didattico all’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Negli anni Novanta ho svolto attività di collaborazione con "La Sapienza", anche presso la sede decentrata di Latina. Dal 1992 insegno Matematica in quello che attualmente è l’Istituto Statale di Istruzione Superiore "San Benedetto" (fondato nel 1956), situato nel territorio del comune di Latina. Altri interessi si possono evincere dai miei articoli presenti in "ScuolaFilosofica". Il mio motto: Scienza, Coscienza, Sapienza!

One Comment

  1. Giorgio Della Rocca Giorgio Della Rocca 4 Maggio, 2020

    Propongo una riflessione a integrazione del mio articolo.

    Il pontificato di Giovanni Paolo I è stato uno dei più brevi nella storia della Chiesa, essendo durato trentatré giorni, dal tardo pomeriggio del 26 agosto alla tarda sera del 28 settembre 1978.
    A questo proposito, voglio raccontare un aneddoto. La mattina del 29 settembre 1978 io, che non avevo ancora appreso la notizia della morte del Papa, mi recai a scuola (frequentavo il primo anno di Liceo Scientifico). Al cancello di entrata un compagno di Classe, Nicola, mi chiese: «Hai saputo che è morto il Papa?». Pensando a uno scherzo risposi: «Sì!», con l’idea di fornire una risposta scherzosa a una domanda scherzosa… Invece, era accaduto veramente.
    Nelle sue riflessioni dopo l’Angelus del 10 settembre 1978 il Papa aveva affermato che Dio «è papà; più ancora è madre»: un concetto teologico, a mio avviso, molto significativo.

    Chi potrebbe amare più di un genitore – e, in particolare, più di una madre – le sue creature?
    «Una madre può dimenticare la sua creatura, cessare di amare il figlio delle sue viscere? Anche se lei si dimenticasse, io non ti dimenticherò»! (Libro del profeta Isaia 49,15)
    Eppure, Dio è più che un genitore per i Suoi figli!

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