John Polkinghorne è un fisico teorico, teologo e pastore anglicano. È autore del libro Credere in Dio nell’età della scienza [1998, io utilizzo l’edizione Raffaello Cortina del 2000].
John Polkinghorne è un fisico teorico, teologo e pastore anglicano. È autore del libro Credere in Dio nell’età della scienza [1998, io utilizzo l’edizione Raffaello Cortina del 2000].
Anselm Grün e Michael Grün sono fratelli, tedeschi: il primo è un monaco benedettino, istruttore di spiritualità; il secondo è un fisico, ex docente di fisica e matematica nella scuola. Insieme hanno scritto il libro Qualche nota su Dio e sulla fisica quantistica (Due facce della stessa medaglia) [2015, io mi riferisco alla prima edizione TEA 2019], costituito dalla Prefazione di Michael, dalla trascrizione di una conferenza di Michael intitolata Fisica e religione, dalle Note di Anselm sul tema della conferenza stessa, dalla Postfazione di Michael.
L’astrofisica è una scienza particolare, per vari motivi. Nel libro L’universo e io (Una filosofia dell’astrofisica) [pubblicato nel 2017; faccio riferimento all’edizione Solferino (I libri del Corriere della Sera) del 2018], l’astrofisica tedesca Sibylle Anderl (nata nel 1981) scrive a tal proposito: «L’astrofisica ha infinite peculiarità! In fin dei conti, è una delle poche scienze che non può mai interagire con i propri oggetti di ricerca. L’universo è troppo grande, e quasi tutto ciò che interessa a noi astrofisici è semplicemente troppo lontano. Le condizioni nell’universo, d’altro canto, sono assai più estreme di quelle che possiamo ricreare nei nostri laboratori terrestri, e le scale temporali in cui i processi si svolgono nell’universo sono sempre troppo lunghe in confronto alle nostre brevi esistenze umane» [Prologo II, p. 11-12].
Nel paragrafo Perché Dio?, del capitolo La conoscenza e il significato della vita umana, del libro Perché ancora la filosofia (Editori Laterza 2008), il filosofo Carlo Cellucci scrive: «Dopo tutto, prima di Russell anche Spinoza aveva affermato che lo scopo e il significato ultimo della vita umana “è la conoscenza dell’unione che la mente ha con tutta la natura”. La vita umana ha effettivamente un significato, nel senso che ciascuno di noi bene o male ne dà uno alla propria, ma non vi è alcuna prova che Dio esista, né che esista un disegno di Dio a cui la vita umana è chiamata a contribuire. Perciò, che la vita umana abbia un significato, non significa che essa abbia uno scopo e un significato ultimo» (p. 479).
Dal capitolo Il Dio di Einstein del libro Einstein (La sua vita, il suo universo), scritto dal giornalista Walter Isaacson (2007, faccio riferimento all’edizione Mondadori 2008), apprendiamo che nell’aprile 1929 un noto rabbino di New York, Herbert S. Goldstein, in un telegramma, chiese al fisico teorico di origine ebraica Albert Einstein se credesse in Dio, invitandolo a rispondere in modo sintetico; la risposta dello scienziato fu: «Credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’armonia governata da leggi di tutto ciò che esiste, ma non in un Dio che si preoccupa del destino e delle azioni dell’umanità». In un intervento tenuto il 10 settembre 1941 a un convegno svoltosi a New York, dedicato al tema del rapporto fra scienza e religione, Einstein espresse tale rapporto attraverso un’immagine divenuta celebre: «La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca» (pp. 375 e 377).
«Che cos’è la matematica? […] La matematica è fondamentalmente una attività dello spirito umano, che si interfaccia continuamente con problemi che all’uomo si presentano e che l’uomo si pone, che si sviluppa con una sua dinamica specifica e con procedure in cui la razionalità, e la logica in particolare, gioca un ruolo essenziale. […] Essendo la matematica un’attività, è solo l’esperienza attiva, il fare matematica, che ci può far capire davvero che cos’è la matematica».
La matematica non serve a nulla è il titolo di un libro il cui sottotitolo è Provocazioni e risposte per capire di più (ed. Compositori 2010), scritto dai matematici Giorgio Bolondi e Bruno D’Amore (quest’ultimo laureato anche in filosofia e in pedagogia). «Ma quali altre risposte si possono dare alla domanda a che cosa serve la matematica? Ne sono state date molte, naturalmente, talvolta complementari e talvolta contrastanti tra loro. C’è chi ha detto che è una scienza che si coltiva solo per l’onore dello spirito umano [si tratta del matematico Carl Gustav Jacobi (1804-1851)] e quindi poco ci interessa che serva a qualcosa; chi ha scritto che tutto sommato è solo quella parte della fisica in cui gli esperimenti costano poco [si tratta del matematico e fisico matematico Vladimir Igorevič Arnol’d (1937-2010)] (e la fisica, tutti sappiamo o crediamo di sapere che serve); chi ha parlato dell’irragionevole efficacia della matematica [si tratta del fisico teorico Eugene Paul Wigner (1902-1995), premio Nobel per la fisica nel 1963]: serve, eccome, ma non c’è nessun motivo ragionevole per cui debba essere così».
Prendendo spunto da una prova ontologica dell’esistenza (e unicità) di Dio ideata dal monaco e teologo Anselmo d’Aosta nell’XI secolo, e dopo la teorizzazione da parte del filosofo Immanuel Kant, nel XVIII secolo, dell’impossibilità di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, il logico matematico e filosofo della Matematica Kurt Gödel (1906-1978) ha elaborato, nel XX secolo, un teorema dell’esistenza (e unicità) di Dio [cfr. il libro “Kurt Gödel: La prova matematica dell’esistenza di Dio”, a cura di Gabriele Lolli e Piergiorgio Odifreddi, ed. Bollati Boringhieri 2006]. Il teorema fu pubblicato dopo la morte di Gödel, il quale (battista luterano ancorché non appartenente ad alcuna congregazione, teista non panteista, nel solco di Leibniz, come dichiarò lui stesso in un questionario nel 1975) aveva precisato di nutrire esclusivamente interessi di carattere logico verso la prova elaborata.
«All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo.»
Ennio De Giorgi
Il 25 ottobre 1996 moriva, a Pisa, Ennio De Giorgi (era nato a Lecce l’8 febbraio 1928). Egli è stato un valente matematico del XX secolo.
In questa sede, prendo in considerazione alcune sue idee inerenti al rapporto fra matematica e fede religiosa espresse in “Riflessioni su matematica e sapienza” (a cura di Antonio Marino e Carlo Sbordone, Quaderni dell’Accademia Pontaniana, vol. 18, Napoli 1996) [faccio riferimento a “ENNIO DE GIORGI: Hanno detto di lui …”, a cura di Giuseppe De Cecco e Maria Letizia Rosato, Quaderno 5/2004, Università degli Studi di Lecce, Dipartimento di Matematica “Ennio De Giorgi”, Edizioni del Grifo (i tre brani riportati subito dopo si trovano nell’Appendice “Valore Sapienziale della Matematica”)].
«Certamente neanche le più grandi scoperte di questo secolo, le più ardite teorie fisico-matematiche, la relatività generale, il Big Bang, il principio di indeterminazione, gli spazi a infinite dimensioni di Hilbert e Banach, i teoremi di Gödel, danno una risposta alle domande fondamentali riguardanti il mondo, Dio, l’uomo. Tuttavia tali scoperte e teorie hanno avuto un grande merito: hanno liberato lo spirito umano da una concezione troppo angusta della realtà, dalle paure di tutto ciò che appare inatteso e paradossale».