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Autore: Salvatore Magra

Norme costitutive

geralt (pixabay.com)

Ci proponiamo di approfondire il pensiero di Carcaterra sulle norme costitutive, in rapporto ai performativi.

La discussione specifica sul tema delle norme costitutive è stata avviata dalle due monografie di Carcaterra Le norme costitutive, del 1974, e La forza costitutiva delle norme, del 1979. In questi due lavori, Carcaterra svolge una critica del modello prescrittivista.

Norme di validazione

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[1]In astratto, l’efficacia di un principio si auto-conferma, e quindi appare se si manifesta come vigente, anche quando quel principio è adoperato per validare o invalidare norme secondarie in conflitto con quel principio. E’ questa funzione della validazione o dell’invalidazione l’essenza del principio su cui poggiano siffatte norme primarie, sicché si comprende il senso per il quale la realtà stessa della validazione o invalidazione, nel suo operare costante e concreto, conferma il principio e la ratio delle disposizioni in questione. Si tratta, essenzialmente, di metanorme, ossia di norme che si occupano di altre norme.

Ruolo del diritto, norme di validità, norme primarie e norme secondarie

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Occorre penetrare l’essenza del diritto, per comprendere e la ragione dell’estrinsecazione delle norme, di cui esso si compone. Per Cotta, il principio costitutivo del diritto, quale forma coesistenziale, è la regola[1]. La regola è presente anche in altre forme coesistenziali (si pensi al rapporto amicale, familiare o politico), ma nel rapporto giuridico essa è presente nella suo concetto più puro, esteso in tutte le direzioni. Il rapporto interpersonale assume la massima estensione e stabilità. Occorre esplicitare la distinzione tra giuridicità generica (esistono delle regole in altre forme della coesistenza, ma si rimane su un’indole prevalentemente formale, benché si ripercuota sull’autenticità della relazione) e la giuridicità specifica del diritto in sé. Quando di esamini la giuridicità in sé del diritto, la sua funzione propria è di realizzare la legalità universale, basata sul riconoscimento che il primo, elementare elemento di struttura del diritto è l’universalità degli uomini. L’analisi strutturale del diritto è confermata sia del sentire comune, sia della riflessione della filosofia classica del diritto. Il diritto ha una propria funzione, vale a dire di attuare la legalità universale secondo giustizia, superando la realtà del diritto degli Stati. L’analisi cottiana prende così le mosse dalla regola ma approda alla giustizia.

Zen e Koan – Una breve presentazione

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I modi di approccio alla realtà sono diversi e occorre prender atto dell’esistenza di concezioni, differenti da quelle di matrice occidentale, le quali, spesso, sono caratterizzate dalla frammentazione della realtà in componenti distinte. Oriente e Occidente dovrebbero considerarsi come complementari e familiarizzare con la filosofia zen può essere utile per sedimentare tale convinzione.

“Zen” è la traslitterazione giapponese del termine cinese “cham”, deriva dal sanscrito “dhyåna”, “meditazione”. Si tratta di un approccio orientato alla valorizzazione della vita attimo per attimo, approccio orientato al superamento dei condizionamenti e gli attaccamenti. Appare fuorviante etichettare lo zen come filosofia o religione. Può considerarsi una metodologia per orientare la propria mente, alla quale può aderirsi in qualunque tempo e in qualunque luogo, in quanto non esiste la possibilità di “confinare” siffatta concezione entro un criterio storicamente e geograficamente relativo.

Introduzione alla filosofia del diritto

La materia è infinita e ci si limiterà a brevi cenni, che eventualmente verranno sviluppati in successivi interventi.

Il diritto sarebbe orfano, senza un sostrato filosofico. L’attenzione in prospettiva filosofica al fenomeno giuridico è consustanziale ai primi sviluppi del pensiero umano, in quanto l’uomo, per la circostanza di vivere in un contesto sociale, è portato a meditare sulle regole che devono costituire la base per la regolamentazione del rapporto con i consociati.

Si suole affermare che una manifestazione della giuridicità è la circostanza che una conseguenza sicura della mancata applicazione di una norma è l’irrogazione di una sanzione, a seguito della sua violazione, con il corollario che il precetto quando sia solo morale, è suscettibile di violazione, senza alcun intervento sanzionatorio, ma la questione è più articolata, in quanto deve anche coesistere presso la comunità la convinzione della giuridicità di una certa disposizione, sia che essa sia cristallizzata in un testo scritto, sia che derivi da una consuetudine, la cui applicazione concreta appaia protrattasi nel tempo. Spesso ci può essere un’intersezione di regole morali e giuridiche, accorpate e allora occorre bilanciare e modulare il criterio di analisi. I princìpi generali del diritto (non sempre agevolmente distinguibili dalle mere regole) son considerati un ponte di collegamento fra diritto e morale, ma la compenetrazione fra diritto e morale in genere implica l’esigenza di un superamento dell’utilizzo della sola logica sillogistica, al fine di analizzare il testo normativo. Tra diritto e morale in astratto può configurarsi un nesso di separazione o connessione. Il filosofo Austin ha sostenuto la tesi della separazione, osservando che una regola giuridica è tale, anche quando non corrisponda alla concezione etica prevalente in una data fase. Tuttavia, spesso nella costruzione dei testi normativi intervengono concetti etici come “buon costume”, “ordine pubblico”, i quali, ai fini di un’appropriata decodificazione, richiedono il riferimento a un sistema logico, che tenga conto delle sfumature e non si limiti a un mero esame dei poli opposti di una questione (bianco-nero, per es.). Nell’individuazione dei parametri per l’analisi congrua delle regole morali, occorrerà anche verificare se venga in considerazione una morale “laica”, indifferente al religioso o addirittura antagonista a essa o una morale impregnata di religiosità e/o misticismo.