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Categoria: Filosofia Contemporanea

La posizione dell’uomo nel cosmo (1928) – l’antropologia filosofica di Max Scheler

 

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Consigliamo – l’intervista al Professor Tagliagambe


Il testo di Max Scheler (principale fonte d’informazione sulla sua antropologia filosofica) risponde alle domande che cos’è l’uomo e qual è la sua posizione nell’essere.

La mancanza d’un’idea unitaria dell’uomo è determinata in buona misura dall’incuranza reciproca tra antropologia teologica, filosofica e scientifica; ovvero, manca una concezione unificante. L’uomo appare a se stesso ancora come un enigma. Questi fatti giustificano il tentativo intrapreso da Scheler di sviluppare un’antropologia filosofica, basandosi su conoscenze provenienti da diversi campi del sapere, in particolare di integrare scienza e filosofia.

Per capire qual è la particolare posizione metafisica dell’uomo, dobbiamo chiarire il termine e il concetto di ‘uomo’. Il concetto di uomo è ambiguo. Di fronte ad un termine designante qualcosa di appartenente al (vertice del) genere animale, abbiamo un termine designante qualcosa che si oppone all’animale. Se l’uomo abbia una posizione particolare del tutto differente da qualsiasi altro essere vivente nel mondo, è la questione, risolta la quale avremo il concetto di ‘uomo’.

Virtue Epistemology – Una introduzione

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A cura di Giangiuseppe Pili l’Introduzione schematica all’epistemologia


1. Introduzione

La Virtue Epistemology (VE) è una branca dell’epistemologia analitica che abbraccia vari ambiti della teoria della conoscenza (teoria della giustificazione, definizione di conoscenza). L’idea comune a tutte le posizioni di VE è che l’Epistemologia sia una ricerca normativa di tipo individualistico tale che la conoscenza scaturisca dall’uso di particolari virtù epistemiche, virtù variamente identificate come un tratto tipico di un soggetto cognitivo umano. La differenziazione principale, nonché distintiva, è appunto la caratterizzazione dei vizi e delle virtù epistemiche. Si tratta, dunque, comunque di un approccio individuale alla teoria della conoscenza e non sociale, nonostante ci sia chi, come Kvanving [1992], ha cercato di proporre problematiche non propriamente di epistemologia individuale.

Affidabilismo e il valore della conoscenza.

Considerazioni sul valore della conoscenza:

 E così si dice…

Se conosci il nemico e te stesso…

La vittoria sarà indubbia…

Se conosci la terra e il cielo…

La vittoria sarà totale.[1]

Sun Tzu.

 

La conoscenza debole è credenza vera e la centralità della verità sulla giustificazione.

La conoscenza è credenza vera giustificata. Ogni teoria epistemologicamente rilevante deve trattare del problema della definizione della giustificazione, cioè della terza clausola della definizione di “conoscenza”, giustificazione che è un termine epistemicamente carico, come abbiamo visto. L’Affidabilismo di Alvin Goldman assume che S sa che p solo se S crede che p, p è vera e p è stata prodotta da un processo o da un metodo affidabile. Nel testo principale in cui Goldman propone la sua analisi sul valore della conoscenza, egli riporta la seguente definizione: “According to process reliabilism, a subject S knows that p if and only if (1) p is true, (2) S believes p to be true, (3) S’s belief that p was produce through a reliable process, and (4) a suitable anti-Gettier clause is satisfied”.[2]

L’Epistemologia Sociale di Alvin Goldman. Una presentazione essenziale.

I. Approccio generale dell’Epistemologia e l’Epistemologia sociale.

La ricerca di un’adeguata definizione dei termini epistemologicamente fondamentali, come quello di giustificazione, certezza, evidenza sono stati alla base di un’impostazione che ha privilegiato la mente, come cosa pensante, come ultimo fondamento soggettivo alla base della conoscenza: “Epistemology has had a strongly individualist orientation, at least since Descartes”.[1] Cartesio parlava di cogito così come la tradizione empirista parlava di un “centro di percezioni”, Leibniz parlava di “appercezione” mentre Kant parlava di “soggetto conoscente” ma tutta la tradizione moderna ha fondato la teoria della conoscenza direttamente sul soggetto e su sue particolari attitudini nel retto pensiero. La conoscenza, sia essa pensata nei termini empiristi o razionalisti, si fondava sulle capacità “cognitive” del soggetto conoscente tali per cui la certezza e l’evidenza sono caratteristiche di determinate idee, idee che sono parte del contenuto della mente. Un’impostazione meno legata alla presenza di un soggetto individuale conoscente, come unico centro della conoscenza, è quella del successivo pensiero idealista, con il pieno e consapevole vertice di Hegel, per il quale la conoscenza è un fatto di conflitto di opposti e superamento, superamento che è, però, un fatto della storia dello Spirito, e non semplicemente dei singoli individui.

William James – Il praticalismo

Di Notman Studios (photographer) – [1]MS Am 1092 (1185), Series II, 23, Houghton Library, Harvard University, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16250941

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Di seguito si propone un sunto, ragionato ma fedele, del discorso Concetti filosofici e risultati pratici, tenuto da James nel 1898 all’Unione Filosofica dell’Università di California. Il testo del discorso, pubblicato nel 1904 con il titolo The Pragmatic Method, secondo una visione diffusa «sancisce ufficialmente la nascita del pragmatismo» (Vimercati, 2000).[1]

In via introduttiva è utile chiarire quale sia la posizione di James nei confronti del pragmatismo di Peirce. Posto che, come afferma Peirce, il significato di una concezione (metafisica, ad esempio) è chiaribile solo attraverso la comprensione della condotta (o dell’abito) che essa ispira o comunque che da essa discende, per James è naturale allora prendere in esame, nella considerazione e di fronte ai dilemmi metafisici o più in generale filosofici, la condotta pratica, ovvero propriamente la vita, piuttosto che la logica. In sostanza, James si propone di ampliare il messaggio e il metodo di Peirce; dove Peirce intende il pragmatismo come un metodo sperimentale non tanto volto a stabilire verità, quanto piuttosto a chiarire concetti e dissolvere problemi, mostrandone l’inconsistenza, James opera uno spostamento di obbiettivo: il praticalismo o pragmatismo, o meglio, la massima pragmatica di Peirce, servirebbe a chiarire e distinguere il vero dal falso. Di fronte al dilemma, il filosofo deve stabilire quali siano le condotte che discendono da entrambi i corni, e stabilirne le differenze, per poi operare una scelta in favore della concezione che implica per noi la condotta più conveniente e a noi più consona: e questo corno del dilemma sarà quello vero, dal momento che la nozione di verità è chiarita nei termini delle conseguenze pratiche sensibilmente apprezzabili prodotte dalla teoria. Ma vediamo con maggior chiarezza come si delinea, nello scritto, questa visione ed evoluzione del pensiero di Peirce.[2]

Entropy in a World of Causes

 Abstract

In this short paper will present ideas taken from some recent crossings between philosophy of causation, philosophy of time and speculative physics[G1]  (especially Albert 2000, Loewer 2007, Frisch 2007, Kutasch 2007) investigating on a way to reconcile counterfactual asymmetry and thermodynamic asymmetric features such as entropy. I will consider those proposals from their theoretical point of view and then present criticism taken from the authors above and some personal thoughts.

Breve chiarificazione: ‘Cos’è l’Experimental Philosophy?’

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Obbiettivo dello scritto è chiarire cosa si intende per “filosofia sperimentale”.

La filosofia sperimentale (anche detta x-phi, abbreviando la denominazione inglese) è una nuova tendenza d’indagine filosofica che integra l’ormai tradizionale metodologia d’indagine della filosofia analitica con il metodo scientifico della scienza cognitiva. La filosofia sperimentale è diffusa soprattutto negli Usa (Yale, Arizona, Buffalo), mentre in Italia viene sostanzialmente ignorata.

Il punto centrale è questo: il filosofo è detto sperimentale quando si occupa di indagare attraverso la ricerca e il metodo empirico, ovvero attraverso uno studio sistematico, rigoroso e scientifico, il pensiero e le intuizioni dell’uomo comune sulle questioni che stanno a fondamento della discussione filosofica.

John Austin – Filosofia degli atti linguistici

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Vita

John L. Austin nasce a Lancaster il 26 marzo del 1911 e muore a Oxford nel 1960. Egli fu uno studioso di Aristotele, di cui tradusse opere in inglese. Fu traduttore di testi filosofici importanti, come I fondamenti dell’aritmetica di Frege. Tenne diversi cicli di conferenze, di cui uno ad Harward e da cui fu tratto il libro Come fare cose con le parole.

Opere

Are there a priori concepts? (1959)

Other minds (1946).

Truth (1950).

Per una critica all’economia neoclassica.

Di Giangiuseppe Pili         www.scuolafilosofica.com

Breve discussione della metodologia di analisi.

5.631 Il soggetto che pensa, che immagina, non v’è.

Wittgenstein

L’economia neoclassica è una teoria che ha assunto un’importanza fondamentale all’interno del nostro sistema economico e sociale: molte politiche seguono i suoi dettami e grazie all’influenza indiretta sulla cultura, siamo tutti convinti che solo dall’egoismo collettivo possa nascere una società felice. L’economia neoclassica gode della fiducia che è scaturita per difetto: non essendoci nulla di meglio a cui credere, ci teniamo stretti ciò che pensiamo.

Pragmatica – Verifiche empiriche e discussioni normative

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Perché non è possibile limitarsi allo studio della logica nell’analisi del linguaggio comunicativo ordinario

Parte 1: perché la logica e la semantica non sono sufficienti?

Aldo: Però, dopo aver fatto l’amore, non lo so…

Giovanni: Eh, non si sa, in queste cose non si sa mai.

Aldo: Lo so. Sto dicendo non lo so è un modo di dire.

Ho detto non lo so però lo so.

Giovanni: Hai detto non lo so e pensavo…

Aldo: Stavo dicendo: ho finito di fare l’amore, non lo so…

Giovanni: Lo vedi che non lo sai.

Aldo: Miii, sto dicendo che non lo so per dire che lo so.

Giovanni: Ma allora dici lo so per dire non lo so.

Aldo: Eh che è tu quando dici non lo so

se voglio andare al mare non è che non lo sai![1]

Aldo, Giovanni e Giacomo