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Categoria: Storia

Sui movimenti politici del XXI secolo

Ispirati dalle numerose e prestigiose conferenze tenute da Ivan Krastev, Chairman of the Centre for Liberal Strategies in Sofia, proponiamo una analisi ad ampio raggio sui vari movimenti politici del XXI secolo che si sono affermati o che vanno ad affermarsi soprattutto, ma non solo, in Europa. Gran parte delle osservazioni contenute in questo articolo sono, appunto, riprese dai risultati dell’ascolto di varie conferenze e su alcune riflessioni personali.

I movimenti politici sono sempre esistiti nella cultura politica europea, almeno dalla rivoluzione francese del 1789 in avanti. Da un punto di vista filosofico, le parole “un movimento politico” stanno per una descrizione definita che si riferisce ad un insieme di oggetti sociali vaghi e diversificati. Infatti, la dicitura “movimento politico” non solo non è un nome (un designatore rigido nei termini di Saul Kripke o, differentemente, come termine per un individuo singolo nella teoria di Frege e Russell) ma non è neppure una locuzione che si riferisce ad un solo tipo di insieme di individui. Il termine è vago ma anche l’oggetto identificato è sfuggente perché l’oggetto sociale in questione non è unico. L’insieme dei gatti è unico ed è chiaro, l’insieme dei movimenti politici include molte cose diverse all’interno. Il lettore avrà subito osservato che non ho impiegato la parola “organizzazione” e ciò è di proposito. Solamente alcuni movimenti finiscono per diventare vere e proprie organizzazioni. In particolare, proprio i movimenti politici più diffusi nel XXI secolo, distinti ad esempio dai partiti tradizionali (quindi per natura verticali), si autocaratterizzano come non-organizzati, come insieme di individui che partecipano alla stessa attività spontaneamente.

Dei delitti e delle pene – Cesare Beccaria

[Q]uando la norma del giusto o dell’ingiusto, che deve dirigere le azioni sì del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto, allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire, più fatali che quelle di un solo perché il dispotismo di molti non è correggibile che dal dispotismo di un solo e la crudeltà di un dispotico è proporzionata non alla forza, ma agli ostacoli.

Qual esempio alla nazione sarebbe poi se si mancasse all’impunità promessa, e che per dotte cavillazioni si strascinasse al supplicio ad onta della fede pubblica chi ha corrisposto all’invito delle leggi! Non sono rari nelle nazioni tali esempi, e perciò rari non sono coloro che non hanno una nazione altra idea che di una macchina complicata, di cui il più destro e il più potente ne muovono a lor talento gli ordigni…

Cesare Beccaria – Dei delitti e delle pene


  1. Introduzione ai fondamenti del trattato

Dei delitti e delle pene (1764) è uno dei più importanti studi filosofici del secolo dei Lumi e rimane ancora oggi una pietra miliare della filosofia del diritto e della filosofia politica. L’autore, Cesare Beccaria, era un nobile facoltoso che, grazie all’educazione religiosa e rigida dell’epoca, unita ad un’intelligenza fuori dall’ordinario, era riuscito a vivere una vita irta di problemi: aveva preso le distanze (anche economiche, dettaglio diremmo indice dello spirito di Beccaria) dalla famiglia e sposato una donna, da alcuni definita “volubile”. Alle difficoltà della vita e di un carattere complesso, sicuramente inadatto a mantenersi nella società mondana, Beccaria studia i principali autori illuministi, tra cui Diderot e Hume. Di quest’ultimo senza dubbio deve aver letto il Trattato sulla natura umana, perché si trova continuamente traccia della nozione di idea come aggregato di percezioni sensibili e di come, di fatto, la stessa conoscenza umana sia esclusivamente un aggregato di percezioni e sentimenti correlati ad esse. Infine, dopo aver lavorato anche come maestro, Beccaria diventa infine un magistrato. [Se vuoi scaricare l’articolo in pdf.: vai qui]

4.0 Conclusioni: cosa rimane oggi delle istituzioni passate? | Bibliografia

A prescindere dal risultato economico delle singole aziende agrarie delle colonie penali agricole, si deve in ogni modo constatare che la colonizzazione interna della Sardegna, che la legge si riprometteva di ottenere, mediante tale istituzione, non è stato ottenuto. Per esempio la colonia del Sarcidano, come tutti gli insediamenti penitenziari, non diventerà mai un paesello autosufficiente, confermando l’assunto che la struttura penitenziaria prevale e si impone a qualsiasi logica produttiva finalizzata all’autosufficienza. Al recluso doveva sostituirsi, dopo la bonifica, il colono libero, che fissandosi con la sua famiglia nelle case coloniche, avrebbe dovuto concorrere assieme agli altri, alla cosiddetta colonizzazione interna. Se questo avvicendarsi di reclusi e di liberi coloni si fosse realmente realizzato, oggi avremo descritto gli sviluppi di una vera colonizzazione.

3.6 Economia penitenziaria, mansioni e organizzazione del lavoro nelle colonie penali agricole

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Il regolamento per le colonie penali agricole entrò in vigore ufficialmente nel gennaio del 1887[1]: gli articoli erano settantadue e all’interno di questi erano scritte le regole per la buona gestione economica di una colonia penale, oltreché l’organizzazione del lavoro e le varie mansioni. Partiamo proprio da queste ultime: la colonia aveva alla guida il direttore che rispetto al passato perse la sua totalità decisionale. Infatti, si instaurò una nuova figura di primaria importanza, ovvero quella dell’agronomo. Ben tredici articoli del nuovo regolamento erano riservati a questa figura, assimilabile al vicedirettore, e che aveva diritto di voto per quanto concerneva “tutti gli affari di qualche importanza relativi all’andamento industriale della colonia e specialmente all’attivazione di nuove coltivazione, nuove costruzioni, lavori di miglioramento, ecc. […]; era responsabile della buona conservazione delle macchine, degli attrezzi e degli utensili, nonché dei prodotti e del bestiame. Aveva il compito di formare le squadre di lavoro dei detenuti.”[2] Giuseppe Cusmano fu l’agronomo più in vista fra quelli impegnati nelle case di pena intermedia: si dimostrò un abile “pubblicista oltremodo fertile e nei suoi (numerosissimi) articoli si occupò di questioni direttamente legate all’agricoltura, così come alla medicina, all’igiene e all’amministrazione penitenziaria. Non a caso Cusmano lavorò stabilmente per parecchi anni come agronomo nella colonia di Castiadas, nel Sarrabus, senza mai mancare di avere numerose collaborazioni con le altre colonie. È proprio grazie a Giuseppe Cusmano che disponiamo la maggior parte delle statistiche sulle colonie penali agricole sarde.

Antropologia culturale: il Giappone prima dell’occupazione americana

Indice

  1. Il Giappone come oggetto di studio
  2. La Leggenda dei quarantasette Ronin
    • Giri verso il proprio “buon nome”
    • I doveri Chu
    • Giri verso la società
    • La virtù della sincerità (makoto)
  3. Il capitano Teshima e l’autodisciplina dell’esercito
    • Le passioni umane
  4. Bibliografia 

castle-708854_960_720Il Giappone come oggetto di studio

Ogni popolo guarda il mondo attraverso lenti culturali proprie, distinte in parte o del tutto da quelle di altri popoli. Queste lenti sono il risultato del processo storico proprio del popolo in questione, con il suo corredo di istituzioni sociali e politiche più o meno durature, rapporti tra forze sociali interdipendenti, rapporti con rappresentanti di altri popoli, leggi, regole morali, e così via. La mancata comprensione di queste lenti rende incomprensibili pratiche, usanze e modi di rapportarsi con se stessi e il mondo. Esplicitarne il contenuto è il compito dell’antropologia culturale.

3.5 Colonia penale agricola di San Bartolomeo (Cagliari)

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Al pari di Isili la colonia di San Bartolomeo nasce come appendice del penitenziario di Cagliari. Carlo Alberto infatti, al suo undicesimo anno come re di Sardegna, nel 1842 fondò il nuovo stabilimento che avrebbe ospitato i lavoratori delle regie saline di Cagliari e di Carloforte.[1] Oltre che nelle saline, i detenuti venivano utilizzati a bordo di una nave addetta “spurgo del porto di Cagliari.”[2]

Il bagno penale di San Bartolomeo rimase tale fino a quando il ministero dell’Interno, lo sottrasse al ministero della Marina,[3] avocando a sé la diretta amministrazione e facendolo diventare una colonia agricola, senza per questo rinunciare all’impiego dei condannati nelle saline, attraverso ditte private che pagavano l’amministrazione penitenziaria per farsi ‘cedere’ dei detenuti per i lavori.

5. Perestroika, glasnost e il crollo dell’URSS

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Al periodo dell’interregno tra Andropov e Chernenko (cfr. § 4) seguì la fase conclusiva della guerra fredda. Mikhail Gorbaciov (1931) fu consacrato come leader dell’URSS nel 1985. Egli ripudiò la politica di Leonid Brezhnev (cfr. § 4), definendone il periodo come di stagnazione. Si impegnò a ritirare le truppe dall’Afghanistan ma, come ogni ritiro, fu più lungo del previsto. Inoltre, incentrò la sua politica interna e quella estera in nome di alcuni principi guida, le cui parole d’ordine erano perestroika (ricostruzione) e glasnost (apertura). Come spesso accade, i nomi delle imprese umane vengono dati per degli stati di cose qualificati come contrari, cosa ben nota a George Orwell, che imposta molto del suo 1984 sulla divergenza tra ciò che vien dichiarato e ciò che esiste. L’URSS andava riformata economicamente e istituzionalmente.

A complicare le cose dell’URSS fu l’ingresso nella scena politica di Ronald Reagan e il disastro di Chernobyl (1986). Ronald Reagan (1911-2004) era stato eletto presidente anche per via del suo acceso anticomunismo: egli doveva rappresentare il ritorno della linea dura nella politica estera americana. In realtà, nonostante uno stile di comunicazione che evocava il regno del male, rimane che, sul piano dei fatti, Reagan si impegnò nel disarmo nucleare e fu un sostenitore di Mikhail Gorbaciov. Reagan aveva inizialmente sostenuto l’iniziativa di difesa strategica (Strategic Defence Initiative) nel 1983, nota anche come “guerre stellari” (star wars). Si trattava di un progetto monumentale di sistema antimissile che sarebbe stato parzialmente dispiegato direttamente nello spazio. I sovietici dubitavano della possibile realizzabilità del progetto, ma sta di fatto che fu preso assai sul serio.

4. Détente o non détente: il dilemma del ventennio di Leonid Brezhnev e la stagnazione

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Nikita Kruscev si era spinto troppo in avanti nella crisi di Cuba e aveva incrinato i rapporti con il colosso cinese, la cui qualità nasceva principalmente dalla quantità. A seguito di ciò e del fatto che Kruscev era capace di prendere anche iniziative isolate dall’élite, si tramò alle sue spalle. L’organizzazione del complotto portò Leonid Brezhnev (1906-1982) al potere.

Leonid Brezhnev era stato uno dei principali sostenitori di Kruscev, ma questo non gli impedì di conquistare il comando dell’URSS. Kruscev fu semplicemente ‘invitato’ a uscire fuori dalla scena politica, un sistema che egli stesso ricordò amaramente, sostenendo che il suo contributo alla causa era stato rendere possibile un simile fatto senza rischiare, come sotto Stalin, di finire direttamente in un gulag. Sicché egli rimase in vita, gli venne concessa una pensione di stato e una casa. Quando, poi, iniziò a scrivere le sue memorie, data la natura delle stesse, la pensione fu ridotta e fu costretto a cambiare casa e la nuova dimora non era piacevole come la precedente. Ad ogni modo, dopo un iniziale scoramento, Kruscev ebbe modo di terminare la sua vita in pace.

3. L’era della nuclear brinkmanship 1953-1964

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Lo stato di tensione interno delle due superpotenze si manifestò su piani diversi: per gli Stati Uniti il 1951 fu l’anno dell’ondata maccartista, mentre nell’URSS erano gli ultimi anni del potere staliniano e del suo ‘stile’ di governo. Il senatore Joseph McCarthy (1908-1957) scatenò una feroce propaganda anticomunista, terminata in una ‘caccia alle streghe’ contro intellettuali, personaggi pubblici di spicco e contro il mondo della cultura in generale. Dwight Eisenhower (1890-1969), il generale a capo delle truppe alleate durante lo sbarco in Normandia, vinse le elezioni. La sua politica estera fu pianificata dal suo segretario di stato, John Foster Dulles (1888-1959): ci si proponeva di trovare un modo per diminuire l’influenza comunista nel mondo, sostenere iniziative in medio oriente a favore del sostegno degli stati medio orientali alla causa USA (dottrina Eisenhower) e, in generale, di sostenere i popoli a rischio di dominio comunista. Questo proposito venne perseguito mediante aiuti economici e patti.

Gli anni 1945-1960 videro un’espansione dell’economia americana: dopo la conversione delle industrie e del sistema economico da economia di guerra a economia civile, gli USA aumentarono la produzione e il benessere medio interno. A seguito di questo fatto si incominciò a parlare del conformismo della civiltà americana, come modello di consumi che indirizzò il consumatore ad assumere bisogni e beni standardizzati, tali da condurre ad un sistema di vita unificato e mediano. Lo spettro del conformismo incominciava a propagarsi per il mondo proprio dai due poli antitetici: nell’Unione Sovietica sotto lo stalinismo fu abolita qualsiasi indipendenza di pensiero e l’arbritrarismo della gestione del potere determinava la selezione artificiale di uomini privi di capacità critica (pena il rischio di ricadere nelle purghe: si poteva venire accusati anche sulla base di voci e dubbi sospetti e anche dai bambini, inclusi i propri figli); negli USA il sistema produttivo sembrava indurre all’omogeneità e all’omologazione. Testimone di questo duplice disagio è il capolavoro L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel, mondo in cui una massa di umanoidi privi di emozioni si propagano sostituendosi agli uomini: Don Siegel lasciò volutamente aperta alla doppia possibile interpretazione (è il comunismo o il capitalismo a generare l’omologazione?).

2. Dalla seconda guerra mondiale alla morte di Stalin

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La fine della seconda guerra mondiale aveva lasciato l’Europa in una condizione di distruzione senza precedenti. Alla distruzione si aggiunga la difficoltà di organizzare i popoli, vinti e vincitori, sotto un nuovo ordine, un nuovo ordine che avrebbe dovuto garantire l’assenza di una nuova guerra mondiale totale. Per questa ragione, durante i primi anni del secondo dopoguerra si assiste ad una massiccia ridistribuzione della popolazione in aree territoriali omogenee per via etnica. Tra decisioni politiche, ridefinizione di confini e la presa di coscienza di alcuni dei risultati più deteriori delle politiche razziali, ci furono atti di espulsione di massa o di emigrazioni di grandi dimensioni. Oltre a ciò, al termine della seconda guerra mondiale si crearono nuove e più accese tensioni tra le colonie e il centro degli imperi.

La seconda guerra mondiale è stato il più grande massacro della storia e, in particolare, è stato il più grande disastro di civili: si stima che circa il 50% dei morti furono di civili. Il che non sorprende, perché nella guerra totale il civile è un obiettivo militare. Infatti, le infrastrutture che garantiscono il mantenimento di un esercito sono quelle della civiltà materiale a disposizione di uno stato, riallineate con i bisogni della guerra. Questa realtà era già implicitamente nota dalla prima guerra mondiale, ma durante essa non c’era ancora molto modo di sorvolare le linee delle trincee per giungere direttamente a colpire la popolazione, per quanto alcuni sforzi in tal senso furono fatti come dimostra il caso degli zeppelin e come dimostrano le prime dottrine dell’air power: già circolavano dottrine sui bombardamenti strategici che coinvolgevano la popolazione civile e le infrastrutture.