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Ragione ed emozione nella filosofia morale (3/3)

No machine-readable author provided. Sympho assumed (based on copyright claims)., CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons

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3. la filosofia moderna

Con l’epoca moderna abbiamo i primi segni dell’incrinatura del dominio del paradigma razionalista[1]. Si può già vedere, in pensatori come Pascal e Nicole, i quali riprendono diverse direzioni del pensiero di Agostino, una sorta di recupero del sentimento contro la ragione, o per lo meno il superamento temporaneo della tradizionale contrapposizione tra sentimento e ragione. Non sono d’accordo con questa interpretazione. Penso piuttosto che queste filosofie possano essere tranquillamente catalogate come filosofie della retta ragione, per cui è sempre all’istanza della ragione che è demandato il compito di guidare l’azione. Per quanto riguarda l’amore di cui molto parlano queste filosofie credo basti quanto già osservato a proposito di Agostino; l’amore per il dio non va confuso con l’amore terreno. Che poi la ragione sia inerme senza la grazia del Dio, è una questione del tutto irrilevante per i nostri particolari interessi.

Le condizioni della felicità

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E’ bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo.

Epicuro

L’analisi dei modi della felicità, delle sue condizioni e della sua ricerca è un discorso moralmente vincolato in modo limitato. Il vincolo è imposto dal fatto che gran parte delle azioni umane sono eticamente connotate. Useremo la parola “morale” come se fosse equivalente a “etica” e così gli aggettivi relativi. All’interno dell’etica si distinguono le azioni intenzionate al bene dell’umanità nel suo complesso. Tali azioni sono consapevoli e frutto della ragione indirizzata verso sé come scopo ultimo.

Ragione ed emozione nella filosofia morale (2/3)

No machine-readable author provided. Sympho assumed (based on copyright claims)., CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons

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2. la filosofia medievale

È senz’altro ridicolo tentare di riassumere il pensiero filosofico etico medievale in poche parole. Per questo non tento qui tanto un riassunto, quanto piuttosto di mostrare attraverso le figure filosofiche più importanti o significative, sempre selezionando i contenuti in ragione di una risposta alla nostra domanda, come questo – il pensiero – si muova attraverso i secoli fino alla modernità tenendo per lo più fermo un suo comune dominatore, che è allora in grado di unificarlo: la retta ragione (recta ratio). Preliminarmente possiamo dire che, rispetto all’etica antica, l’etica medievale non concepisce più il peccato come sopraffazione della parte irrazionale dell’anima su quella razionale, ma piuttosto come libera volontà di fare il male. La categoria della volontà è senz’altro una grande novità del pensiero etico medievale. Punto di continuità con il pensiero antico è invece proprio la recta ratio. Mostreremo che anche il pensiero etico medievale per lo più privilegia la componente della ragione a discapito della componente emotiva del processo di presa di decisione e azione morale.

Entrambe le grandi tradizioni antiche, quella platonica e soprattutto quella aristotelica, rimangono ben vive nel pensiero medievale. La prima si impone soprattutto nella prima fase del pensiero medievale, dopo Agostino, che propriamente è un filosofo del tardo antico; la seconda si impone nella seconda parte del pensiero medievale, con particolare forza dopo la traduzione in latino dell’Etica Nicomachea. Contrariamente alle tradizioni antiche, si afferma spesso, durante il medioevo, la visione per cui il sommo valore non è la felicità ma l’amore, atto della volontà. Sicché la volontà riceve un’attenzione prima sconosciuta. Sottolineo questo solo per dire che questo primato della volontà, spesso sostenuto (da Agostino prima di tutti), non è di per sé in contraddizione con il pensiero per cui deve essere la razionalità a guidare il processo di presa di decisione e quello d’azione. La contrapposizione volontà ragione non è la contrapposizione passione (o emozione, sentimento) ragione, a meno di non concepire la volontà come determinata dalla passione. A noi interessa il rapporto ragione passione.

Ragione ed emozione nella filosofia morale (1/3)

No machine-readable author provided. Sympho assumed (based on copyright claims)., CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons

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Introduzione

La storia della filosofia morale è senz’altro molto lunga e complessa, dunque ogni tentativo di ridurla a schema evolutivo secondo categorie dal potenziale dicotomico come quelle di ragione ed emozione non può che portarci ad una conoscenza parziale della complessità che compone il percorso della filosofia morale dal suo nascere ad oggi. La riduzione è nondimeno necessaria, e le categorie riducenti possono senz’altro avere due vantaggi: primo, agevolano la nostra comprensione della storia, altrimenti difficilmente raggiungibile; secondo, permettono alle volte, quando le categorie sono inusuali rispetto alla norma, di scoprire fatti nuovi o portare alla luce fenomeni prima all’oscuro, attraverso il darsi di nuove interpretazioni. Tolto l’ausilio della semplificazione e della categoria rimaniamo in preda al caos e all’indeterminazione più assoluti, i quali non permettono la nostra comprensione dei fatti. Il farsi carico di questa necessità però non implica sfigurare i fatti della storia attraverso le proprie categorie e il proprio metodo di comprensione – nonostante si ammetta questo sia in certa misura necessario o costitutivo al darsi della realtà – ma anzi tendere verso una sempre maggiore aderenza alle vicende storiche del pensiero.

Esaminate le vicende del pensiero filosofico morale, azzardo un’asserzione audace, che cercherò di supportare mostrando l’andamento della storia, interpretata alla luce della risposta che le varie filosofie nel loro susseguirsi hanno dato alla domanda del ruolo relativo di emozione e ragione nel processo di presa di decisione e azione morale. L’asserzione audace è che la storia della filosofia morale occidentale, almeno fino alla modernità, è caratterizzata da un pensiero che enfatizza ed esalta la componente della ragione nel processo di presa di decisione e azione morale, mentre demonizza e scredita la componente emotiva, alla prima opposta. Se la ragione ci mette in contatto con le idee più alte e nobili (es. con la divinità stessa), l’emozione non è che il ricordo nell’uomo della sua animalità. Dove la ragione è l’alta manifestazione dell’anima, l’emozione è la bassa manifestazione del corpo. La ragione favorisce e arricchisce la nostra vita morale, mentre l’emozione per lo più impedisce il suo corretto darsi. La moralità stessa è concepita come un sistema di principi coglibile astrattamente dalla ragione, e le emozioni come motivazioni che possono favorire o sovvertire la nostra decisione razionale, motivazioni che sono però moti (ciechi) non-razionali che tendono a dominarci. Questa tendenza generale della filosofia morale rappresenta per noi il paradigma della tradizione, messo in discussione dalla filosofia sentimentalista del XVIII secolo. A questa discussione del paradigma, o rivoluzione, come più avanti l’ho chiamata, segue la risposta della tradizione, che si compie in Kant. Il pensiero post-kantiano però vede il superamento del paradigma tradizionale, nel solo senso che tendenzialmente l’emozione non è più ignorata come elemento di disturbo o inessenziale alla morale.

Virtue Epistemology – Una introduzione

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A cura di Giangiuseppe Pili l’Introduzione schematica all’epistemologia


1. Introduzione

La Virtue Epistemology (VE) è una branca dell’epistemologia analitica che abbraccia vari ambiti della teoria della conoscenza (teoria della giustificazione, definizione di conoscenza). L’idea comune a tutte le posizioni di VE è che l’Epistemologia sia una ricerca normativa di tipo individualistico tale che la conoscenza scaturisca dall’uso di particolari virtù epistemiche, virtù variamente identificate come un tratto tipico di un soggetto cognitivo umano. La differenziazione principale, nonché distintiva, è appunto la caratterizzazione dei vizi e delle virtù epistemiche. Si tratta, dunque, comunque di un approccio individuale alla teoria della conoscenza e non sociale, nonostante ci sia chi, come Kvanving [1992], ha cercato di proporre problematiche non propriamente di epistemologia individuale.

Le figlie di Shakespeare aspettano. Margoni F..

La prima regia di Francesco Margoni sembra un film nato per suscitare forti e contrastanti sensazioni. La trama de Le figlie di Shakespeare aspettano è assai scarna e può essere enunciata in poche parole: quattro ragazze vanno in montagna per finire inguaiate per via dei problemi sentimentali che una di loro ha con il proprio fidanzato; sole nel bosco dovranno trovare la strada per tornare a casa.

Le intuizioni di uno spettatore digiuno di un certo genere cinematografico, che si richiama direttamente (i dialoghi, l’elemento estraniante di un albero ripreso in rosso, le varie immagini di Cordelia ripresa seduta in una sedia comparsa nel nulla, la maglietta insozzata di sangue senza causa apparente) o indirettamente (la stessa trama, l’uso di una scelta di regia quasi “intrusiva”, laddove l’immagine segue quasi ossessivamente per lungo tempo sempre lo stesso soggetto, un montaggio assai scarno) al surrealismo italiano o spagnolo (Ferreri, Bunuel su tutti): le assonanze del film di Margoni con quelle dei surrealisti si spinge sul piano astratto e non necessariamente fattuale, e mantiene dei tratti originali (come l’amore o l’apprezzamento per la femminilità).

La penultilma verità – Philip Dick

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La guerra dei mondi di H.G. Wells


Un brav’uomo a capo di una comunità costretta a vivere sotto terra per via della guerra che si combatte in superficie tra gli Stati Occidentali liberali e i Rossi viene costretto ad andare in superficie per recuperare un pancreas artificiale in grado di salvare la vita del meccanico dell’officina, l’unico uomo a salvarli dal disastro della sottoproduzione. Nello stesso tempo un uomo-Yance scrive il suo articolo più importante senza usare gli utili meccanismi di produzione di discorsi artificiali e, per questo, viene chiamato dal dominatore del mondo, Stenton Brose, per un incarico importante. Nello stesso tempo, Lantano, un altro uomo-Yance sembra avere un piano per rendere libero il popolo, costretto in schiavitù sottoterra. Parallelamente il potente capo dell’agenzia di spionaggio più potente del mondo con sede a Londra sembra aver scoperto qualcosa di veramente importante.

Il lungo addio – Raymond Chandler

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Consigliamo – La finestra sul vuoto di R. Chandler – a cura di Giangiuseppe PiliLa Fuga


Tutto inizia da un’amicizia casuale: Terry Lennox e Marlowe si incontrano in modo inusuale, quando Terry viene abbandonato da una bionda vistosa e Marlowe si prende cura di lui. Vanno a prendere qualche drink assieme, e l’amicizia iniziale prende una piega inaspettata quando Terry chiede a Marlowe di accompagnarlo a prendere un aereo per andare oltre confine: egli dice di essere stato il responsabile della morte della moglie, una donna viziosa, totalmente prona alla lussuria ma dotata di una cospicua quantità di denaro, per via del padre, un potente uomo del quarto potere, il quale tiene in mano giornali e soldi… e quindi tutto. Marlowe riceve a casa una lettera di confessione di Lennox e un ritratto di Madison (una banconota da cinquemila dollari), come compenso del suo aiuto. Ma Marlowe non riesce ad usarlo e la sua depressione per la perdita di un amico non si risolleva, anche grazie alla sua reclusione in prigione per via dell’aiuto che aveva dato a Lennox per scappare. Rilasciato, viene ingaggiato dalla bellissima Eileen Wade per aiutare il marito, uno scrittore di mediocri libri erotici, alcolista e violento. Ma c’è una connessione tra i Wade e Lennox? Perché tutto sembra non filare liscio? E Marlowe che ruolo ha all’interno di questo quadro a tinte fosche, in mondo ricco e decadente, nel quale nessuno è felice e nessuno fa lo sforzo per sembrarlo?

Giordano Bruno – Vita e pensiero

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Vita

Se i primi umanisti erano ancora uomini che non avevano ripudiato la vita ecclesiastica e vedevano nel cristianesimo la religione razionale, nonostante si fosse ormai fatta strada l’idea che sussistesse una pluralità nelle visioni e interpretazioni sia relativamente alle sacre scritture, sia relativamente alla religione stessa, con Bruno ci si avviava ad una svolta decisiva.

Come tutti i letterati, anche Bruno iniziò i suoi studi all’interno di ambienti religiosi, ma, ben presto, sarà costretto a fuggire per non essere inquisito. Giordano (il suo nome di battesimo era Giovanni, poi cambiato in Giordano all’entrata nell’ordine domenicano) nasce a Nola nel 1548, entra a diciotto anni nell’ordine e nel 1576 è costretto a lasciare la città per non essere inquisito, perché sospettato di eresia. Incomincia una serie di viaggi che lo vedono protagonista di una serie di vicende fondamentali per comprendere la sua personalità, sempre volta al rifiuto dell’autorità costituita. A Ginevra si converte, per un breve periodo, al calvinismo. Ben presto entra in conflitto con la comunità e, dunque, è costretto a riparare a Parigi. Dalla città più importante di Francia si sposta in Inghilterra, a Oxford. Successivamente si reca in Germania e a Praga e, in fine, viene chiamato da un nobile veneziano per impartirgli lezioni sull’arte della memoria (memotecnica). Ma il nobile, forse perché scontento delle lezioni di Giordano, lo consegna alle mani dell’inquisizione, così Bruno viene condotto a Roma con l’accusa di eresia. A Roma viene imprigionato e torturato, fino a che Bruno accetta di ritrattare le sue posizioni filosofiche. Nonostante ciò, i misericordiosi aguzzini lo lasciano in prigione per otto anni, prima di portarlo alla piazza laddove verrà arso vivo nel 1600.