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Case di studenti – Tra autarchia e anarchia

© Scuola Filosofica

A Emilio, Matteo, Luca

e tutti gli altri miei coinquilini

che, in tutti questi anni,

hanno arricchito la mia vita,

al di là di ogni rottura di palle!

Preambolo

Dopo dieci anni di vita in affitto nei posti più diversi, posso dire di avere una certa cultura sulla natura delle case di studenti. O, per meglio dire, di una loro componente che spesso sfugge ad ogni logica di razionalizzazione, nel senso che in pochi dedicano studi e interesse a tale argomento che investe, invece, una enorme quantità di giovani. Vale a dire la codifica o, almeno, la disamina critica dei regolamenti che rendono possibili (o impossibili) le più elementari forme di convivenza tra perfetti estranei. Infatti, sia detto chiaramente, che non essendoci alcun legame di “classe”, laddove gli studenti sono tipicamente una compagine eterogenea ben difficilmente unita da interessi collettivi (a parte, e non sempre, la volontà di rompere la solitudine con feste e divertimenti di varia natura), se ne può concludere che la vita nelle case di studenti sia resa possibile dall’autoregolamentazione delle parti in causa.

Infatti, gli studenti non costituiscono una “classe” analoga agli operai o agli insegnanti. In primo luogo perché non hanno diritti comuni da difendere (nonostante le apparenze) perché le differenze istituzionali e pratiche tra discipline e corsi di studio rende ciò implausibile. In secondo luogo perché non hanno scopi condivisi, nella misura in cui tutti devono laurearsi, cioè hanno un obiettivo personale e individualizzato, che non prevede per la sua riuscita la presenza di terzi (almeno non in senso stretto). In terzo luogo le differenze di età e di interessi rendono la compagine studentesca quanto mai sfuggente ed aleatoria, ben difficile da riassumere in unico movimento, almeno in questo momento di assenza di ideologie dominanti al di fuori del mondo studentesco. In quarto luogo, e ben più importante, gli studenti non sono ancora una forza lavoro, sicché non sono che un’appendice del vero potere, costituito dai soldi, ovvero dallo stipendio dei genitori. In assenza di un contratto lavorativo, in assenza di scambio di forza lavoro per un compenso, non c’è un diritto che debba venire difeso, fatto salvo il diritto allo studio. Inoltre, gli interessi degli studenti sono genericamente tre: studiare, avere un compagno/compagna, divertirsi nel tempo libero. Nonostante le apparenze, si tratta di tre obiettivi comuni, sì, ma quanto mai individuali. Una volta che si trova la compagna, una volta che l’elemento diversivo diminuisce di interesse, rimane ben poco altro che si può condividere di per sé, in quanto appartenenza di classe.

Intendiamo parlare di “case di studenti” come generiche “case con estranei”. Infatti, i lavoratori (in genere) sono gli inquilini meno problematici per la semplice ragione che sono molto più vincolati al lavoro e i tempi di permanenza in casa sono assai bassi (inevitabilmente). Inoltre, nel nord Italia (a differenza, ad esempio, che nel centro Italia) il lavoratore in genere prende una casa in affitto per poi tornare nella sua propria dimora nel fine settimana. Infatti, il lavoratore del nord Italia tende a prendere una casa in affitto come pied-à-terre di cui è felice di liberarsi quando è possibile (chi, appunto, preferirebbe vivere tra estranei e non godersi il televisore al plasma del padre e riportare le mutande sporche dalla madre? Io per primo sono convinto che i vantaggi del ritorno a casa siano sufficientemente evidenti).

Mentre per quanto riguarda gli studenti fuori sede o i lavoratori emigranti, l’affitto di una stanza corrisponde all’acquisizione affatto temporanea di un tetto sulla testa, vale a dire tutta la cagione dell’esistenza! Ed infatti è tipico scoprire che le persone del nord Italia sono molto più libere di andare nel resto d’Europa proprio perché non sono emigranti due volte. Infatti le migliori opportunità di lavoro (se non le sole) e la gran parte delle migliori università si trovano tutte sull’asse ferroviario Torino-Milano-Venezia, con parziale scambio ferroviario ad arrivare a Bologna e con Genova innestata (ma con i suoi peculiari problemi). Sicché è raro trovare persone del nord Italia più a sud di Bologna, anche perché a quel punto tanto vale andare a Vienna, a Marsiglia, Londra o Berlino, a seconda degli interessi e delle proprie ubicazioni domiciliari.

In generale, per la popolazione del centro-sud e sud Italia, invece, le cose sono invertite nella misura in cui prima di tutto vanno (più) a nord e poi fuori, in Europa. A parte quelli che si avventurano direttamente nel magico mondo del continente europeo (comunque una minoranza), il processo di spostamento del sud Italia segue due passi inevitabili: lo spostamento in un punto più a nord e solo dopo l’eventuale salto nel continente europeo extraitaliano. Inoltre si sottovalutano gli spostamenti interni al sud, che costituiscono un fenomeno migratorio a sé. Infatti, le difficoltà di andare nel resto d’Europa sono molte, a iniziare dalla lingua e una cultura comunque diversa, meno diversa, per altro, da quella dell’Italia del Nord, geograficamente e economicamente più integrata (non necessariamente vicina) a quella del centro Europa (asse Londra-Parigi-Milano piuttosto che Berlino-Monaco-Vienna/Praga-Venezia-Padova). Inoltre i costi sono maggiori, le garanzie minori, le difficoltà maggiori e i benefici tutti da discutere. Sicché gli assi principali di mobilitazione dal sud sono su Roma-Perugia/Siena/Pisa-Firenze oppure Roma-Bologna-Urbino oppure direttamente nel nord vero e proprio.

Il tema

Prima di addentrarci voglio dire che parleremo principalmente delle regole che consentono la convivenza nelle case di persone sconosciute, prive di un chiaro retroterra culturale comune. Non perché gli usi e costumi siano così diversi (anche se spesso lo sono…), ma perché tale retroterra culturale è, in genere, poco influente, se non assente. Prima di tutto va detto che gli esseri umani coesistono solo in base alla presenza di regole, tacite o esplicite che siano. Gli studenti, nonostante la gran parte del pensiero dei-non studenti, sono esseri umani. E infatti gli studenti si danno delle regole. In secondo luogo, molto può cambiare nelle case degli studenti, dalla composizione per genere (maschi-maschi, maschi-femmine [caso più raro], femmine-femmine) alla composizione geografica degli inquilini, ma non cambia la presenza di regole che rende possibile la coesistenza più o meno pacifica.

Veniamo, dunque, al caso delle case di studenti. La mia esperienza non è limitata soltanto a case nel nord Italia, ma anche a case nel centro. Inoltre, giocoforza, ho conosciuto molte persone che, oltre a me, hanno condiviso (o condividono) case con altre persone. Sebbene abbia l’esperienza diretta di tre domicili e mezzo nel centro Italia e tre domicili nel nord Italia, posso dire di aver avuto cognizione di una quantità di case e relative leggi non scritte molto maggiore, a tal punto che mi è impossibile contarle. In fine, tratterò delle sole case monosessuate, cioè con una sola tipologia di genere perché sono, senza dubbio, le più diffuse.

Analisi delle case per composizione: alcune premesse

Prima di tutto possiamo iniziare da considerazioni quantitative. Stando alla mia esperienza, le case di studenti vanno da un minimo di due (un monolocale, oltre ad essere tipico del lavoratore, è anche un caso privo di interesse per ovvie ragioni) ad un numero massimo di sette. Ovviamente non è detto che sette sia il numero massimo, ma è ragionevole assumerlo come caso limite. I casi più diffusi, però, sono tra i tre e cinque inquilini. Nel mio caso, ad esempio, sono stato in casa di 7, 6, 2, 4 inquilini (media 4,75) che è proprio un valore compreso tra 4 e 5. Questo aspetto quantitativo, però, non ci dà troppe informazioni perché altri aspetti importanti sono (a) quanti bagni sono presenti in casa, (b) quante singole e quante doppie e (c) quanti spazi comuni ci sono. Per quanto riguarda la presenza di doppie, si crea un microambiente che non conosco in modo troppo diretto e che richiede un numero di regole da rispettare supplementare su cui non è lecito addentrarsi.

La presenza di doppie è importante sia perché impone regole supplementari, sia perché causa una suddivisione degli spazi comuni diversa (ovviamente uno che sta in doppia tenderà ad occupare gli spazi comuni in modo più continuativo).

Un discorso a parte va fatto per i bagni che, giocoforza, sono tra gli ambienti più “sensibili”, specialmente in presenza di donne. Infatti non è tanto il fatto che le donne sono in generale più pulite dei maschi (mito di antico sapore sessista assolutamente da sfatare), quanto il fatto che esse vogliono un certo tipo di tempistica e pulizia diverse per zone diverse.

Le donne tendono a stare più a lungo nel bagno dei maschi (fatto abbastanza ovvio) e tendono a volere questo ambiente più pulito di quanto lo desideri un uomo medio perlomeno perché, appunto, ci passa più tempo. Mentre un maschio tende ad avere un ordine della stanza maggiore, le donne sono più sensibili alla già di per sé delicata “questione bagno”. Che è un grande problema nella condivisione degli spazi perché l’ordine della propria stanza è un problema del singolo, ma la gestione del bagno non lo è. Anche perché le feci non individuano di preciso la persona, salvo fatti strani…, ma sono un problema per tutti. Quindi, in generale, tanto maggiore è la densità di popolazione per bagno, tanto maggiore è la probabilità di disaccordi dovuti alle tempistiche e alla pulizia.

Quindi la serenità relativa di una casa si può parzialmente monitorizzare dal rapporto inversamente proporzionale tra inquilini e bagni (tanto più ci sono bagni liberi e tanto meno si figura lo scenario problematico… in realtà una serie di scenari problematici). Anche perché più bagni ci sono e più c’è la possibilità di razionalizzare il loro uso: due inquilini usano un bagno e gli altri due un altro, sicché i problemi sono dimezzati (va da sé, infatti, che se uno ha problemi con il suo condivisore di bagno, gli altri due continuano ad andare d’amore e d’accordo. Quindi la probabilità di problemi collettivi totali diminuisce con l’aumentare dei water). Oltre al fatto ovvio che tenere la pulizia in un bagno diviso con un altro è ben altra cosa che tenerlo pulito con altri, poniamo, quattro inquilini (come ben sanno gli addetti ai servizi igienici di luoghi pubblici).

In fine, c’è da considerare il problema aggiuntivo della presenza di relativi “compagni” e “compagne”. Infatti, la ragazza di un inquilino potrebbe avere bisogno di andare in bagno (eh, come no?!) o il ragazzo di un’inquilina potrebbe averlo (per forza!, e che stia attento ad abbassare la tavoletta una volta finito). Sicché il bagno si “popola” ancora di più e si creano ancora più problemi perché è tipico quello di chiedersi come sia possibile che il proprio ragazzo possa vivere in un tale stato di degrado che, ovviamente, si scopre sempre colpa dell’altro… creando così ulteriori questioni, per così dire, intermedie. E non c’è da sottovalutare affatto i problemi del giudizio del bagno da parte della propria cara metà. Non impossibili, poi, i casi in cui costoro vogliano farsi accompagnare per ragioni di privacy o vergogna.

In fine, il numero degli spazi comuni è importante perché oltre al bagno e alla cucina, spesso si associa la presenza di una zona “condivisa”, che può essere il balcone o un salotto (raro). Anche in questo caso, la presenza di più spazi condivisi determina un aumento relativo di problemi e regole, ma anche genera uno sfogo salutare. Infatti, vivere in un ambiente composto di solo bagno, cucina e stanza è comunque faticoso perché i momenti di rilassamento (importanti) sono divisi con un estraneo. E un estraneo aumenta la quantità di peso cognitivo pro capite perché impone attenzione, vigilanza e rispetto consapevole delle regole, condizione complicata dalla reciprocità (entrambi stanno sul chi vive). Infatti, un estraneo va trattato con più rispetto di uno che si conosce perché non se ne conoscono i limiti, le suscettibilità e i desideri. Inoltre con un amico non si deve necessariamente fare lo sforzo di parlare, perché ci si parla e basta, cosa che non avviene con un estraneo. Quindi, un ambiente condiviso comune pone più regole, ma anche opportunità di sfogo.

Infatti, un problema tipico è l’invasione di estranei dovuta alla catena eventuale di inviti di un inquilino. Se costui non dispone di uno spazio esterno alla propria stanza, finisce inevitabilmente per stare in cucina o nella propria stanza o entrambe le cose, con il risultato di determinare un sovrappopolamento parziale dell’abitazione, con stress supplementare per gli altri. Detto questo, naturalmente, si creano anche coordinazioni e alleanze, se non proprio amicizie, che eliminano almeno parzialmente simili problemi. Ma questo, ancora una volta, significa regole da seguire. E qui veniamo alla composizione dei legami in case di studenti.

Composizione dei legami e gradazioni

Le case di studenti si dividono in due categorie estreme, con infiniti gradi intermedi. I due casi estremi sono l’atomizzazione totale e l’amicizia fraterna. A me è capitato di vivere in entrambi questi casi e anche in condizioni intermedie. I casi intermedi sono quelli in cui si creano amicizie tra due o più coinquilini. Sia detto chiaramente che quest’ultimo caso è il più probabile, perché il caso dell’atomizzazione totale implica che tutti si è indifferenti rispetto a tutti mentre l’amicizia fraterna, si sa, è cosa rara a prescindere. L’atomizzazione avviene soprattutto in case molto numerose in cui i coinquilini vanno e vengono, non rendendo possibile quel tempo necessario a prendere confidenza l’uno con l’altro.

Altro caso di atomizzazione probabilmente più alta è, in genere, più frequente tra più ragazze che hanno un compagno e si ritrovano insieme nella stessa casa. Esse, infatti, prediligono spendere il proprio tempo con il ragazzo (cosa non necessariamente vera per il contrario, che ama la playstation o i giochi di società…), sicché sono meno interessate a intrattenere rapporti di amicizia o comunque ci dedicano meno tempo e meno attenzioni, cosa non vera per il contrario (fatto salve le solite eccezioni). Questo non significa che sia sempre così o che sia un male o un bene di per sé. Né vuol dire che le ragazze non tendano ad avere rapporti amicali tra loro. Ma ho potuto osservare che l’amicizia si instaura molto più raramente, se con questa parola si intende una condivisione di stati di interesse duratura che va avanti nel tempo e indipendentemente dal domicilio. Sarà forse un bias cognitivo dovuto alla mia esperienza limitata…

Uno dei motivi di questa asimmetria è quello della richiesta di pulizia che deve essere fatta in un certo modo. Infatti, per un maschio come e perché un piatto sia lavato è una faccenda totalmente priva di importanza. Non è invece il caso delle donne, che in genere vogliono che le faccende domestiche siano fatte in un certo modo. Cioè il loro. Questo complica il quadro perché pone restrizioni ai mezzi di vita e non soltanto ai fini, aumentando così, inevitabilmente, la probabilità di giudizio e conseguente attrito. Infatti, un maschio vuole raggiunto l’obiettivo, vuole la cucina più o meno pulita, ma non è interessato a sapere quando e perché la cucina sia pulita. La donna, invece, è più vigile sotto questo aspetto e, quindi, è più portata ad osservare problemi e imperfezioni nell’altra, perché lei certamente non ha colpe, essendo che sa benissimo come si lavano le cose (eh, quando mai?!). A questo si aggiunga che le ragazze in generale hanno mediamente più vestiti e di tipo diversificato (che quindi vanno lavati a parte) e quindi richiedono la lavatrice vuota e lo stenditoio a disposizione, cioè beni comuni. Ed è anche evidente che loro tengono molto di più alla pulizia del vestiario di quanto non lo sia per un uomo medio che, comunque, al massimo vuole il vestito stirato ma non sarà lui certamente a prendersene cura, almeno potenzialmente.

Dicevamo, dunque, che i due estremi sono le case in cui ci sono amici fraterni e case in cui gli inquilini sono atomizzati. Va da sé che la qualità della vita è direttamente scalare dai due estremi. Il peggio ed il meglio delle case condivise si gioca sulla composizione di questi due estremi. Infatti, pochi sanno quanto si viva bene con il più caro degli amici (e io ne so qualcosa), ma pochi sanno quanto si viva male con perfetti e puri estranei (e anche di questo so qualcosa). E il problema non è tanto dovuto al rispetto delle regole.

Infatti, le regole tra estranei sono rispettate con molta più precisione proprio perché non si può sapere come l’altro reagisca. Il problema è che, appunto, si rimane soli e la sensazione di solitudine materiale si accompagna alla frustrazione di essere parte di un ambiente in cui il proprio spazio è molto piccolo. Il massimo dei problemi si tocca, poi, quando uno di questi fa “il colpo di mano” e occupa uno spazio condiviso, per esempio il salotto, tramutandolo in studio. Il risultato è che si crea un attrito tacito che spesso esplode in furiose azioni di controffensiva su altri fronti o esplosioni di rabbia dirette.

Infatti, i problemi con estranei sono tipicamente difficili da risolvere per la semplice ragione che (a) non si può essere schietti e quindi (b) non si sa come l’altro reagisca (tipicamente si pensa al peggio, cioè ad una situazione perpetuamente ostile, per quanto latente, a tempo indefinito). E siccome (a) e (b) si implicano reciprocamente, il problema sussiste inevitabilmente. Il risultato è che nella maggioranza dei casi si tace il problema, importante o no, creando così un accumulo latente di fastidio, che genera poi in rabbia, soprattutto perché gli attriti finiscono inevitabilmente per trovare alleati: prima era la televisione, poi la tavoletta del water… e ancora si tiene. Ma quando si trova il risvolto di alluminio dello yogurt sulla tavola!… no, questo è troppo! Questo fatto è tipico nelle problematiche internazionali in cui stati di interesse si sommano insieme determinando una situazione complessa di instabilità. Perché la singola circostanza non basta a determinare la guerra, ma dopo che le condizioni si sommano assieme, allora il conflitto diventa il risultato su cui scommettere. Una cosa simile, dunque, accade anche tra coinquilini, quando si crea la situazione pericolosissima di escalation. Questo capita più spesso tra estranei perché, appunto, è difficile non avere remore ed essere schietti. E quelli schietti di natura finiscono assai spesso per lasciarsi trascinare dal loro carattere ed essere o eccessivi o troppo diretti.

Legislazioni: dalla carta costituzionale alle regole non scritte

Per diminuire la probabilità dell’insorgenza di questi problemi, si mettono delle regole. In primo luogo esse nascono dalla carta costituzionale che è il contratto di casa. Tanto più il contratto è dettagliato, tanto più le discordie nascono sulle zone lasciate vuote da esso. Dopo la carta costituzionale, uguale per tutti, si pongono dei problemi supplementari: (a) gestione delle aree comuni suddivise in base alla loro partizione (in ordine di importanza: bagno, cucina, eventuale salotto e balcone), (b) gestione delle risorse comuni (c) convenzioni su inviti di amici e ragazze.

Ogni casa pone questi problemi perché sono sostanzialmente tutte le attività che si fanno e si devono fare a casa propria. Infatti, quando si vive in famiglia, i problemi sono esattamente gli stessi, con la differenza che si è più inclini ad accettare l’amico del fratello che non l’amico del coinquilino e comunque il fratello può essere insultato più facilmente di un coinquilino. Più discutibili sono le spesso arbitrarie regole materne/paterne, acquisite in forza di abitudini talmente lontane nel passato da essere ormai state rimosse le cause e, dato il fatto che spesso non si sanno spiegare, risultano quanto mai incomprensibili. E quando una regola è adottata senza una buona ragione, si finisce assai spesso per non volerla seguire. Dacché ne seguono le infinite diatribe familiari tra figli/e e madri/padri. Contese, spesso, evitabili se soltanto ci si prendesse la briga di spiegare la cagione delle norme adottate (da un lato) e di capirle (dall’altro). E queste cose sono universali, non dipendono dalla composizione per genere, età o interesse.

Gestione delle aree comuni

(a) La gestione delle aree comuni determina l’adozione di regole esplicite. E quando questo non accade sono problemi seri. A me è capitato di vivere in una casa dove queste regole erano state esplicitate solo in parte, cioè a me toccava lavare una volta al mese la cucina, come per tutti gli altri. Ma da un mese all’altro la cucina si sporcava prima. Inoltre si era creato il problema perigliosissimo che investe gli operatori specializzati: sapendo che non è mansione propria, si prestava poca o punta attenzione a lasciare pulito l’ambiente (la cura della permanenza dell’ambiente è un fatto importante, l’unico che garantisce la pulizia della casa a tempo indefinito). C’erano, dunque, dei volenterosi che lavavano a prescindere, mentre altri no. Io facevo parte della via di mezzo, nella misura in cui talvolta sentivo l’esigenza di farlo e talvolta no. Anche perché, in un tale sistema di ambiguità, il risultato pericoloso è quello di avere la percezione di fare di più di quelli che non facevano niente (cosa quanto mai irritante), ma non fare neppure troppo, perché sarebbe stato da stupidi. Questo dimostra una generale attitudine umana: ci sono alcuni che lavorano e rispettano le regole indipendentemente dai discorsi di costi e benefici, ci sono altri che non lavorano e non rispettano le regole se non costretti con la forza e la maggioranza si situa nel mezzo: alcuni compiti li fa anche volentieri, altri solo con la forza. Inoltre, il sistema di regole non del tutto esplicito lascia sempre delle zone d’ombra: chi deve tenere ordinato lo sgabuzzino (ad esempio)?

La condizione di mancanza di regole esplicite determina una situazione che può degenerare in ogni momento perché se i volenterosi cessano di esserlo, la casa finisce ben presto per diventare anarchica. Nessuno, infatti, si prenderà la briga di rispettare le regole. Questo è un rischio latente nelle case con molti inquilini perché (1) si scarica la colpa sempre su qualcun altro perché (2) nessuno può identificare il vero colpevole che diventa, così, “un altro”, inoltre (3) in tanti si scaricano oneri ma non gli onori, visto che la pulizia e l’ordine sono un fatto eminentemente relativo: tutti ne vogliono un po’, pochissimi nessuno e pochissimi molto. Con il risultato che si tende ad andare al ribasso, cioè verso il degrado. Infatti, tendendo ad accontentarsi del minimo, anche il minimo viene disatteso per la stessa logica di fondo.

Altra condizione pericolosa è l’infrazione ripetuta ad una regola, che cade così in prescrizione. Infatti, una regola, quale che sia, ha una forza motivante solo se viene reiterata nel tempo. Quando questa cessa di essere applicata, tipicamente ripristinarla è molto difficile. Questo perché l’abitudine al rispetto delle regole aumenta con il tempo di rispetto delle regole stesse. Quando l’applicazione di una regola diventa abitudine, allora si è formata la convenzione e l’uso della sua stessa esistenza, sicché diventa da un fatto “legale” a un fatto “culturale” e “morale”, condizioni che vengono inglobate nella percezione del “rispetto” da parte di tutti. Ma quando qualcuno cessa di rispettare le regole o si prende delle concessioni non dovute, si crea una situazione di pericolo perché si rischia che tutti gli altri facciano allo stesso modo e l’ordine decade. Se tutti infrangono i limiti di velocità, si è portati ad andare più veloci perché non abbiamo ostacoli. Così per le regole in casa.

La struttura del rispetto delle regole può essere esplicita a tal punto che in alcune case si vede scritto l’ordine da rispettare direttamente in un foglio di carta che, tipicamente, si configura come un organigramma settimanale o mensile, con i giorni ripartiti per attività e persona. Ed è divertente nella sua futilità. Dato il fatto che si sa quali giorni si debba fare cosa, sarebbe di per sé implausibile pensare a dimenticanze involontarie. Ma il foglio ha la valenza della normativa sull’uso dei mezzi pubblici affisse direttamente in pullman: essa mostra la legge e la sua inderogabilità, nonché punto di accordo evidente per le parti in causa. In altre parole, l’organigramma normativo elimina il dubbio della dimenticanza. Questo genere di curiosità legale, una finezza grotziana, si vede molto più frequentemente nelle case delle donne, che vogliono la pulizia garantita e ben visibile, così che i colpevoli possono essere più facilmente rintracciati. Mentre nel caso delle case maschili si possono trovare, ma è più raro. E inoltre nel caso delle donne questa organizzazione è avvertita come più vincolante, soprattutto in relazione alle tempistiche. Mentre, come si è già detto, per i maschi il quando e il come non è così importanti. L’importante è un generale senso di “decoro” che si mantenga nel tempo. Questo senso di decoro, però, non dice quando e come debba essere mantenuto. Sicché esso, tendenzialmente, si mantiene ma senza precise restrizioni temporali o metodologiche.

Le differenze di genere mostrano soprattutto il fatto che le donne tengono di più ad avere alcune aree pulite (tipicamente il bagno) e tengono soprattutto ad identificare la pulizia con la persona: ci vuole un responsabile diretto. Vale a dire che vedono la pulizia come un problema prettamente metodologico, cioè insito nella procedura attraverso cui ottenerlo. Mentre il maschio ha più la tendenza a vedere la pulizia come inerente all’oggetto, vale a dire a come esso si presenta. Non ha interesse diretto a sapere come questo diventi pulito, perché gli interessa che esso sia pulito (se gli interessa). Inoltre anche l’interesse per l’ordine è differente. Basta aprire il cassetto dei “calzini” di una ragazza per rendersi conto del significato della parola “disordine” (lasciamo perdere le borsette… universi iperdensi la cui congenita entropia li rende propriamente caratteristici), come basta vedere la disposizione ordinata della batteria sapone-spugnetta-lavabo per capire la natura dell’ordine. C’è un’asimmetria (nel migliore dei casi complementare) tra il senso di ordine medio di una donna e di un uomo. Lo vogliono ma in cose diverse e soprattutto in modi diversi, tanto che l’ingenua credenza popolare che vuole le donne come “esseri casalinghi” è dovuta al fatto che esse tengono più alla pulizia come procedura sistematica che non come oggetto pulito intrinsecamente. Come al solito le cose sono più complicate delle réclame di saponi per lavare a terra che, guarda caso, piazzano sempre una donna di turno… alla faccia di quanto hanno tentato di insegnarci gli avveduti movimenti femministi, non senza le loro giuste ragioni.

Gestione delle risorse comuni

(b) La gestione delle risorse comuni è un altro dei problemi inevitabili in una casa, ma è anche uno di quelli che genera meno questioni pratiche. Infatti si tratta di un problema propriamente logistico e ad impatto economico piuttosto basso. Esso diventa un problema solo quando sono state già infrante altre regole o si è già incontrata una situazione di attrito. In altre parole, difficilmente esso diventa un problema di per sé, ma si configura spesso tra le concause di un dissidio. Ad ogni modo, in questo caso si ha a che fare con oggetti concreti: sapone per i piatti, sgrassatore, wcnet etc.. Basta comprarli e il problema si risolve, non come una regola, che va applicata di continuo. La questione può essere più seria se si condividono le spese anche del vitto, cosa assolutamente da evitare. Infatti, il problema del vettovagliamento dei beni comuni diventa una querelle solo nel caso in cui un inquilino incominci a sospettare di essere sempre lui a comprare i saponi che l’altro consuma. Il problema, comunque, è in genere avvertito come poco significativo perché l’impatto economico è relativamente basso e, quindi, non troppo problematico.

In una casa ci si era organizzati semplicemente comprando ognuno i beni corrispettivi della sua attività: se doveva lavare per terra, comprava lui il sapone per pavimenti, con il risultato che si faceva molta economia sui saponi… In un’altra casa si faceva, più razionalmente, un computo generale delle spese comuni conservando gli scontrini e ogni tot mesi si sommavano le spese di tutti e se c’erano debiti si colmavano. Questo è un sistema razionale perché evita l’eventuale iniquità nella spesa comune e si ripartiscono gli oneri del consumo collettivo. In un’altra casa, invece (cosa che capita quando si è in pochi), avevano stabilito che ognuno comprasse qualcosa quando mancava, con l’irrimediabile risultato che alcuni compravano qualcosa, qualcuno niente e qualcun altro tutto. Questo accade specialmente quando c’è “l’uomo o la donna di casa”, cioè una persona tendenzialmente più isolata, che spende molto tempo in casa e che se prende più cura degli altri. Costui, tipicamente una persona un po’ contratta, finisce per essere un grande occhio sulla vita degli altri (e spesso dei vicini). Con il risultato che ha una percezione eccessiva del danno. Simili casi, purtroppo, capitano. Per tale ragione il sistema di tracking-record è così efficiente: elimina il problema alla radice.

Amici e compagni/e dei coinquilini: un problema spinoso!

(c) Il più spinoso dei problemi è senz’altro quello della gestione delle entrate di estranei amici di inquilini, per quanto si osservi raramente. In realtà, si tratta dell’onere maggiore in termini psicologici, ma dato il fatto che tutti stimano legittimo invitare gente a casa quando e come si vuole, si finisce spesso per determinare débâcle in sede di pulizia quando il problema era nato da altre cause! Il problema maggiore è il caso dell’orda, che può configurarsi in cene, festicciole, festeggiamenti imponenti. Questo diventa un problema soprattutto quando la condizione è spesso reiterata nel tempo e quanto il numero di persone è molto ampio. E, soprattutto, quando lo stato di amicizia tra un inquilino e il festeggiante è basso o assente. Infatti, se un amico invita una torma di amici, non c’è nessun problema. E infatti capita molto di frequente il caso di feste felici in case di amici alla Friends. Ma se le cose non stanno così, allora la presenza di altre persone in casa può diventare inevitabilmente cagione di attrito.

Questa situazione si crea anche in condizioni più quotidiane: una ragazza che vive infaticabilmente dentro la stanza dell’inquilino è, alla lunga, una grande rottura di palle, rottura di balle analoga del ragazzo che allestisce il suo feudo dalla sua corrispettiva. Nel breve termine si può non solo tollerare, ma anche apprezzare. Prima di tutto perché è sempre bello sapere che c’è qualcuno felice in casa e, in secondo luogo, perché tutto considerato è una presenza lieta. Ma quando si fuoriesce dal breve termine e la compagnia diventa una nuova persona da gestire (giocoforza), il risultato è un crescente stato di irritazione. Perché la questione è che la compagnia è concepita come estensione dello stato di influenza del coinquilino/a, che diventa, così, maggiore e diminuisce la propria. A questo problema di asimmetrie delle zone di influenza si aggiunga il fatto che a volte non si dispone del proprio contrappeso (se si è con una compagna/o, allora ovviamente il problema è minore perché all’influenza dell’altro si contrappone la propria), altre volte invece si percepisce la realtà in modo non commisurato: tutto considerato capita di sentirsi in difetto per il fatto di avere un’altra persona in casa a cui pensare.

Anche in questo caso le regole possono essere esplicite o implicite. Meglio se esplicite, comunque. In quasi tutte le case in cui sono stato non ci sono state questioni circa un fatto basilare: nessuno disturbi le ragazze. Ovvero, se uno ha una ragazza ha tutto il diritto di portarla a casa (…) e nessuno ha il benché minimo diritto di eccepire. Questa si tratta di una delle regole universali a cui solo un ferreo contratto può eccepire. Ma contratti a parte, si tratta davvero di una legge assoluta. In genere essa viene esplicitata nelle case maschili, anche perché è un modo di vedere lo stato di interesse generale (quanti single, quanti accompagnati? E’ molto utile saperlo perché i maschi tendono a fare presto due più due sulle potenziali opportunità offerte da altri nella stessa condizione). Nelle case di donne credo (ma non ne sono sicuro) che la cosa sia altrettanto ovvia, con la differenza che non si sente il bisogno di esplicitare la regola. Vale a dire che se hai un ragazzo è abbastanza ovvio (ma non del tutto), che venga di quando in quando a casa. Ma a volte si crea la santa alleanza per una generale convenienza, ma non sempre. Quindi, tra le donne su questo punto si sorvola più facilmente che non sulle regole della pulizia.

A parte questa regola aurea, universale e necessaria, si condivide l’idea che in casa possano entrare gli amici. Durante il giorno nessuno pone delle grandi restrizioni o, almeno, io non ne ho mai sentite. Cosa diversa è per un eventuale pernottamento (se previsto da contratto). In un simile caso è comune la norma di buon senso di avvisare gli altri, onde metterli sull’avviso. Come si è già detto, questo non vale per la ragazza/o, che è esente dall’essere oggetto di avvertimento. Stessa considerazione vale per l’organizzazione di pranzi, cene e feste perché riguardano tutte le sfere della casa, sia nel caso in cui si sia invitati che no (può capitare…).

Narrativa e giurisprudenza

Un fenomeno di indubbio rilievo filosofico è offerto da una caratteristica universale delle case degli studenti, vale a dire la costruzione di una narrativa comune fondata sull’adozione di parole, neologismi, miti e leggende legate intrinsecamente alla casa e alla vita comune. Per esempio, parlando di un vicino, si è recentemente introdotta la parola “purgatore”, per intendere una persona di sana e robusta costituzione, capace di albergare a tempo indefinito nella stanza della propria ragazza (presunta tale). In questo contesto, il “purgatore” è chiaramente una parola priva di un significato indipendente dalla natura dell’interazione sociale creata all’interno della casa, nel momento in cui nessun lettore poteva minimamente sospettare il suo significato. E anche dopo averlo appreso, ben difficilmente può sapere la storia del neologismo, coniato per indicare prima una persona in particolare, passato poi in uso per indicare una intera categoria di persone (i ragazzi di sana e robustissima costituzione alberganti le case delle proprie ragazze a loro spese!).

Altra parola analoga è “degrado postsovietico”, per intendere una situazione di pulizia e organizzazione degenere, stato in cui scivola una casa in assenza di una serie di norme, dovuto al loro pedissequo abbandono (la legge c’è, ma sta velocemente cadendo in prescrizione). “Degrado postsovietico” era stata utilizzata per la prima volta per indicare un periodo circoscritto del passato, ormai diverso dal presente. Ancora una volta, nessun lettore può sapere con precisione il significato di “degrado postsovietico”, se non ha acquisito l’insieme di storie nate a seguito del periodo comune così denominato, con tutti gli inevitabili significati associati. Questi non sono che degli esempi.

Un altro esempio può essere il soprannome di una persona che è passata per la casa e ha lasciato la sua inconfondibile ombra su di essa. Per esempio, una volta si discusse a lungo in una casa sulla natura del “Duca”, un personaggio quanto mai affascinante, perché non portava mai niente, nonostante mangiasse come un cinghiale. Tale personaggio con l’aria distinta diventava un astuto predatore delle tavole imbastite, da qui l’appellativo signorile.

Tutti questi casi mostrano come in condizioni di vita comune, condivisa non soltanto si formino nuove parole, ma si creino vere e proprie storie, che formano una sorta di coscienza comune e storia di famiglia collettiva legata all’abitazione. Quando il periodo è prolungato ed è significativamente condiviso, la storia della casa diventa addirittura costitutiva per aumentare la consapevolezza della vita comune e costruire un’esperienza di vita completa.

Al di là della narrativa, in case di studenti con ricambio può sussistere una sorta di giurisprudenza. Vale a dire che, spesso, il nuovo arrivato può chiedere conto di regole adottate. Oppure, dopo un certo periodo, ci si rende conto che una variazione nell’ordine costituito potrebbe giovare all’intera comunità. E’ un momento di intense discussioni circa la natura delle regole acquisite, per cui si valutano pro e contro, con tanto di scenari possibili ed ipotetici per un futuro migliore con regole migliori. Sicché talvolta si decide di sperimentare una leggera variazione e raramente si rivoluzionano le norme.

Dal punto di vista delle norme è interessare notare che il turn over degli studenti impone sempre una certa variazione, sul lungo periodo, delle stesse. Ma non tutte. Infatti, le case degli studenti si impostano quasi sempre su un diritto consuetudinario che si eredita dai padri fondatori, i primi ad essersi inseriti nella casa. I continuatori ereditano alcune regole e quasi sempre le mantengono e raramente le rivoluzionano, anche quando le cambino. Sicché il risultato è che le case degli studenti hanno tutte regole abbastanza simili, ma allo stesso tempo si instauri una variazione sul tema che, a lungo andare, possono stravolgere le regole di partenza.

Sicché, in conclusione, possiamo concludere che l’organizzazione spontanea delle case degli studenti sia lontana dall’anarchia quanto lo è lo stato di natura presunto di Hobbes. Non è affatto vero che gli studenti (cioè gli individui più vicini agli animali, secondo molti) vivano in uno stato di confusione e disordine permanenti. Il “degrado postsovietico” è quasi sempre un limite estremo. Semplicemente non vivono in famiglia, hanno problemi peculiari di convivenza e devono trovare dei rimedi. E’ vero, talvolta si finisce nel “degrado postsovietico”. Ma questo non nasce dall’assenza di regole, ma dal loro essere caduti in prescrizione. Che non è tipicamente quello che penserebbe un anarchico del diritto. Al contrario, gli studenti spontaneamente scelgono di organizzarsi in piccole comunità che, tutto considerato, gli consente di sopravvivere e, talvolta, vivere delle eccezionali esperienze.

Una serie di precetti pratici per salvarvi la vita

Chiudiamo dando una serie di consigli utili per chi dovrà affrontare la vita in comune. In virtù di quella che è stata una decennale esperienza complessivamente molto positiva. Infatti, a parte il caso di una casa, in tutte le altre non posso dire di essermi trovato male e, anzi, talvolta non mi sarei potuto trovare meglio.

1. Prima di tutto, bisogna essere tolleranti e, possibilmente, comprensivi. Se riuscite a capire le esigenze degli altri è più facile tollerare i loro errori e le loro manchevolezze. D’altra parte, voi per primi farete degli errori o incapperete in manchevolezze, perciò dovete essere pazienti. E capire che siamo tutti degli esseri umani. E se avete delle esigenze speciali, non fatele passare come se fossero vostri diritti, perché non lo sono. Non potete pretendere che il balcone sia predisposto di una sedia per voi soltanto, dove potete prendere il sole. Lo potete chiedere come favore, ma non lo potete pretendere. Così come tante altre cose non necessarie.

2. Esplicitate le regole anche senza che siano scritte. La cultura orale è più che sufficiente, ma pretendete sempre la chiarezza e la mancanza di ambiguità perché sono gli unici modi per rendere una regola applicabile al di fuori di ogni dubbio.

3. Rispettate le regole prima di tutto voi e solo dopo potete pretendere che gli altri le rispettino. Il “rispetto”, parola quanto mai vaga, è tale solo se si onorano i propri doveri e si rispettano i diritti degli altri.

4. Minimizzate i beni comuni nella misura del possibile. Non fate la cazzata madornale di fare la spesa con altri, se non siete già molto affiatati ed amici. Perché a creare un’escalation di insoddisfazione si fa presto. Fate una spesa comune per una cena comune. Stesse considerazioni valgono per gli oggetti della casa che non sono vostri. Usateli, ma il meno possibile e quando è legittimo farlo. Non appropriatevene, perché non sono vostri. Così come il salotto di tutti non è il vostro studio, soltanto perché (ancora) nessuno vi ha scacciato da lì.

5. Non partite prevenuti nei confronti dei vostri coinquilini e dei loro amici. Non saranno le persone migliori del mondo, ma fatto sta che ci dovete vivere insieme. Sicché se potete trattarli come esseri umani, se non proprio diventarne amici, è meglio che trattarli con diffidenza se non proprio con ostilità.

6. Rispettate le esigenze degli altri e cercate di coinvolgerli in quello che fate, nella misura del possibile. E’ molto antipatico fare una cena e non invitarli, fare una festa ed escluderli. E se proprio dovete, allora fatelo rapidamente perché non è giusto che gli altri paghino per il vostro lusso.

7. Pagate quello che c’è da pagare e non seccate perché non c’è un modo per ripartire l’energia elettrica o per capire il consumo pro capite di svelto piatti. Quindi non siate tirchi, perché tanto il problema sarà solo vostro.

 


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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