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Tag: Storia colonia penale

3.2 Colonia penale agricola di Sarcidano (Isili)

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Tre anni dopo la fondazione della colonia di Castiadas, nel marzo del 1878, sorgeva nelle campagne di Isili una nuova colonia. Isili, posto al centro della Sardegna nel Sarcidano, non lontano da Laconi, aveva una economia basata prettamente sull’agricoltura e ancor di più sull’allevamento e pastorizia: infatti, la morfologia del territorio non prospettava la possibilità di grandi coltivazioni, come invece era nel Sarrabus a Castiadas. Era sorto come succursale del penitenziario di Cagliari, però divenne presto autonoma. A differenza di altre zone della Sardegna, specie quelle pianeggianti, il Sarcidano non era flagellato dalla malaria, anche se non si doveva mai trascurare la ‘potenza’ di questa malattia. Tuttavia la bonifica era necessaria: i terreni incolti, appartenenti ai vecchi ademprivi, erano sempre consistenti, e per questo da bonificare e da rendere fruibili ai futuri coloni.

Si estendeva su una superficie di circa 734 ettari, dei quali soltanto 250 coltivabili: il podere di Isili stava sopra delle rocce “giuraliassiche e il suolo era formato da macigni grandi e piccoli, più o meno emergenti. […] Il terreno destinato alle colture si hanno il calcare, l’argilla e l’arena, variamente mescolate. […] nel suolo roccioso si tengono il sughero, le querce, il leccio e nel sottobosco sono presenti lentischio, fillirea, erica, e via dicendo”[1]

2 La nascita della colonia penale agricola in Europa

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Il paragrafo precedente ha voluto analizzare come si sia sviluppata nel diciottesimo secolo un’intensa attività, da parte delle principali potenze europee, di colonizzazione interna nelle terre extraeuropee. Molte volte la colonizzazione avvenne anche tramite la ‘colonia penale agricola’. Come vedremo in questo paragrafo, si sviluppò un importante dibattito sulle condizioni dei coloni e sull’utilità delle colonie stesse.

Nella prima metà dell’Ottocento si sviluppò in Italia, come altrove in Europa, specialmente in Olanda e Francia, un intenso dibattito sui sistemi penitenziari: si prendeva infatti in considerazione l’idea di rendere le pene detentive meno truci, svincolando il detenuto da quel triste avanzo della galera: la catena.[1] La pena non doveva essere semplicemente ‘punitiva’, ma doveva avere al suo interno un significato catartico per il detenuto. L’Italia, a differenza di quasi la totalità dei Paesi europei dell’Ottocento, aveva pochi possedimenti d’oltremare che permettessero la sperimentazione di colonie penali; solo stati come Francia e il Regno Unito, cercarono di effettuare una colonizzazione dei possedimenti d’oltremare con l’invio di condannati dalla madrepatria.[2]

Nell’ambito del dibattito sui penitenziari in Europa si ragionò comunque sulle possibili alternative al carcere come simbolo del luogo di pena: nacque così il concetto di ‘colonia penale agricola’. Secondo la definizione del Digesto “le colonie penali potevano essere di due specie: di oltremare e interne, le prime in territori conquistati in luoghi lontani dalla madrepatria, le seconde all’interno dei confini naturali”[3].