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Categoria: Filosofia della Mente

Defining Intelligence as a Cognitive Capacity – A Reply to a Reader

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Diagram_of_the_brain._Wellcome_L0008294.jpg

How do you define intelligence in the cognitive domain?

I never delved deeply into the intelligence-mind problem. Defining intelligence is a slipper problem and, in my opinion, not necessarily very interesting. Moreover, there is too much talk about it, which shows that we are possibly hitting a wall. When I first read Turing and approached the philosophy of mind, I never believed there was much promise in that space (definition of intelligence) for many reasons. One reason is the significant confusion about what we can confidently claim to know versus what remains unknown or not fully understood from the neurobiological perspective. When Turing tackled the topic, he simply demonstrated that intelligence essentially boils down to performance when it can be concretely defined. In other words, if x produces y, and if a human would produce y in a manner that we, as humans, would deem intelligent, then x is intelligent (thus, the trick lies in constructing a transitive argument for comparison, etc., which is fair enough for programmers or pure logicians attempting to create some form of computing machine). Turing was very candid in setting limits to the thought experiment. I believe that intelligence pertains to a certain type of performance that necessitates specific properties at the causal level.

[I] If S produces x through I, where I has causal capacity such that x is not produced by chance and x achieve a solution for a given problem, then S is intelligent.

On the understandability of the universe and the a priori proof of the existence of God

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:2001-Sunrise.png

And there it was God – Understanding the a priori proof of existence

Anybody who tried to understand and replicate the a priori proof of the existence of God should have experienced both a sense of wonder and distrust. The wonder comes from recognizing the power of reason, able to formulate a proposition about the world that, if thinkable, should be true for its only being formulable. Namely, the truth-value of that special statement must be true in force only of its being thinkable. This cannot be as a major cause of wonder! Indeed, how many times we formulate propositions in our mind that, then, just turn to be merely possible and, if true, in force of their match to something external to them, usually some conditions in nature or any other realm to which the proposition applies (e.g., numbers). Humans as we are, we spend time thinking about possibilities, different situations, counterfactuals, and how the world can be nicer to us or how our soulmate looks. And we forget that among those speculations, there are some special that actually turn out to be true only for their own nature of being formulable.

Storia della follia nell’età classica – Michel Foucault

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Storia della follia nell’età classica (1961) è un trattato di Michel Foucault, scritto come dissertazione dottorale, per altro rifiutata prima da una università scandinava e poi accettata, ma senza grandi elogi, in Francia. Si tratta probabilmente di uno dei testi fondamentali del filosofo francese, già pienamente espressione di quella “archeologia del sapere” che egli intendeva proporre come sua prospettiva filosofica, a suo modo, neo-illuministica.

Uno dei valutatori della tesi di Foucault aveva osservato che il libro non è né propriamente una “storia” né propriamente una analisi filosofica. E’ difficile non concordare con questo giudizio, per quanto non si possa negare il peculiare valore dell’opera. Non si tratta di una analisi storica perché, per quanto Foucault si rifaccia anche a materiale archivistico e a opere di “esperti” e medici dell’età classica (XVI-XVIII secoli), non sono comunque sufficienti fondare una narrativa esclusivamente fondata su fatti o su ricostruzioni causali di essi. Non solo i fatti riportati vengono continuamente analizzati da un punto di vista filosofico, ma molto spesso vengono presentati proprio come conseguenze di contenuti culturali. Foucault si industria per mostrare quanto la nozione stessa di follia (che è una categoria della sragione, concetto più ampio e mai pienamente chiarito ma ripreso continuamente) sia culturally laden. Quindi, in questo senso, proporre una “storia” della follia è anche scavarne i significati culturali. Ma anche da questa prospettiva può essere un’esperienza frustrante quella di cercare di districarsi nella densissima analisi dei “significati” della follia, senza mai giungere ad un risultato chiaro e distinto.

In difesa del senso comune di George E. Moore [Traduzione]

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.

– Si segnalano:

Breve biografia di George E. Moore.

Il testo originale del testo tradotto.

Alcuni materiali integrativi.


In difesa del senso comune

In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.

Embodied Cognition – L’essenziale

Embodied Cognition

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Consigliamo – A cura di Giangiuseppe Pili e l’Introduzione schematica all’epistemologia


Abstract

In questo articolo si considerano le linee generali della Embodied Cognition, un nuovo fertile campo di ricerca sulla mente e sulla cognizione. Il rifiuto dell’impostazione classica alla filosofia della mente, la riconsiderazione del ruolo del corpo all’interno della cognizione fanno di questa relativamente nuova disciplina un campo di analisi per il presente e per il futuro.


L’Embodied Cognition è l’ultima Revolution in Academic Affairs ed è un settore di ricerca che si situa all’interno della filosofia della mente, dell’intelligenza artificiale e della fenomenologia. Il suo primario campo di indagine risulta essere la relazione mente/corpo e, soprattutto, come questa relazione influenzi la cognizione. L’idea principale, riportata in modo generico e vago ma fa capire, è che il corpo influenzi la cognizione in quanto il corpo stesso è parte attiva del processo cognitivo. Da questo principio, da cui l’Embodied Cognition prende avvio, si evince immediatamente: (a) il rifiuto dell’impostazione classica alla mente e (b) l’interesse dell’Embodied Cognition per tutti quei settori di ricerca che studiano la natura della relazione mente/corpo soprattutto dal punto di vista del corpo.

Un cartesianesimo naturalizzato sulle intuizioni?

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Leggi anche Il discorso sul metodo di CartesioLa mente e le menti di Daniel Dennett


L’articolo di George Rey ha alcuni obiettivi congiunti: (1) chiarire la plausibilità delle tesi di chi ha sostenuto o difeso il ruolo delle intuizioni o dell’introspezione da un punto di vista neocartesiano; (2) delucidare le alternative e le critiche rivolte a chi ha difeso posizioni neocartesiane e (3) difendere indirettamente la plausibilità di un neocartesianesimo naturalizzato circa le intuizioni e l’introspezione (in particolare riguardo la teoria delle TAG che Rey aveva già presentato e difeso).

In generale, poste due tesi t1 e t2, si può stabilire una preferenza tra t1 e t2 in base a ragioni di natura esplicativa: è razionale prediligere tra t1 e t2 quella teoria che è maggiormente esplicativa. Si noti che in questa dichiarazione di selezione sulla base di questa tipologia di preferenza, si esclude sia la possibilità di trovare argomentazioni puramente a priori o considerare queste ultime come decisive, ma anche, all’estremo opposto, la possibilità di contare esclusivamente su evidenze empiriche. Infatti, per fornire la migliore esplicazione di un certo evento e non sarà semplicemente sufficiente descriverlo in termini empirici, ma è indispensabile darne una caratterizzazione almeno in parte normativa: non a caso, l’articolo di Rey presenta tanto argomentazioni filosofiche su basi empiriche che su basi propriamente a priori.

Thomas Metzinger: il tunnel dell’io

Table of contents

1. Introduzione

2.1 L’analogia con il tunnel

2.2 Un esperimento e alcuni casi clinici

3   Hic et Nunc

4 L’autocoscienza come conseguenza dell’evoluzione

5  Conclusioni finali

6 Bibliografia

1 Introduzione

In questo mio articolo affronterò il tema della coscienza dal punto di vista di Thomas Metzinger, docente di Filosofia teoretica presso l’Università di Johannes Gutenberg di Mainz, in Germania.

Il filosofo tedesco vede l’insorgere della coscienza come un aspetto caratterizzante la teoria evoluzionistica darwiniana, la sua posizione viene presentata come materialistica e, tutto sommato, vicina a quella dei coniugi Churchland, i quali sostengono l’inesistenza del fenomeno della coscienza, poiché non riconducibile ad una sostanza mentale distinta da quella materiale. La coscienza dovrebbe, per i Churchland, essere descritta in futuro attraverso termini scientifici, ovvero ogni singola esperienza cosciente deve essere riconducibile ad una particolare configurazione neuronale all’interno del cervello. Per questo motivo la loro teoria prende il nome di eliminativismo, in quanto essa elimina dal proprio quadro concettuale, che cerca di essere più vicino possibile alla scienza, ogni singolo riferimento a termini riguardanti la coscienza o stati mentali. Essa si concentra solamente sugli eventi fisici, mentre l’idea è che in futuro la coscienza diventi un termine obsoleto così come lo è diventata la parola flogisto. Se osserviamo da vicino questa teoria essa si presenta, a mio parere, come l’opposto del dualismo cartesiano, il quale sosteneva la vera e propria esistenza di una sfera mentale contrapposta a quella fisica, tanto da cercarne una corretta descrizione in ambito scientifico.

William James – La concezione della coscienza

Di Notman Studios (photographer) – [1]MS Am 1092 (1185), Series II, 23, Houghton Library, Harvard University, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16250941

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Il discorso che riassumo (e commento) è stato tenuto da James a Roma in occasione del V Congresso Internazionale di Psicologia del 1905, ed è un testo centrale per capire la filosofia pragmatista e quella di James (pensatore dalle idee chiare ma non sempre chiaramente espresse). Il testo dà un’analisi perfettamente pragmatista d’uno dei postulati ancor’oggi centrali della psicologia, m’anche della filosofia.

Language between Evolutionism and the Code Model. A criticalanalisys of Ferretti’s work: “Perché non siamo speciali” (2007).

 Abstract.

Providing an hypothetical synthesis between contemporary evolutionary theories and the main chomskian paradigm, and starting from a comparison among a Code Model of Language (tailored around an integration of Fodor’s L.O.T. view) and an ongoing original prospective about human language, Ferretti (2007) introduces many theoretical concepts. In this paper I will propose acritics of thosesolutions, underlining some uneasy consequences of his theoretical assumptions (with special regards over the notion of “intelligence”) trying, in the end, to sketch a personal proposal.

1.Introduction

Human Language is not totally social driven and conventional, rather its basis is structured beyond a strictly generative process that take part from given set of principles and parameters. With this simple[G1]  idea in mind, Noam Chomsky (1959) wiped away most of the behaviorist approach ambitions[1], changing the rules concerning not only research programs in linguistics but also giving an important impetus to cognitive science in its childhood.