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La Costituzione estetica al genitivo impolitico d’un Potremmo

Da Heidegger, il Destino della Metafisica Occidentale non sembra tanto l’aver “ridotto” l’Essere ad un ente particolare. Questo identificherà l’idea di Platone, il motore immobile di Aristotele, la res cogitans di Cartesio ecc… Piuttosto, il Destino della Metafisica Occidentale si compirebbe avendo “esagerato” l’Essere. Servirà “caricarvi” il potere d’un ente particolare, ed essenzialmente per lo strutturalismo in politica. Heidegger menziona il “mistero” d’un cammino verso il linguaggio. Forse egli ci chiede di rimpiazzare la politica, e mediante l’estetologia. Solo quest’ultima è percepibile mettendo la creatività prima della libertà. Precisamente, l’estetologia vale nella sua formatività. La creatività presuppone il potremmo, per cui uno si limita da solo, verso un servizio agli Altri, senza la necessità dell’autogiustificazione (mediante la “banalità” d’un potere).

Da Heidegger, ci ricordiamo la dialettica fra il Welt e la Erde. Il primo identificherà il Mondo (per il concettualismo del potere); la seconda rinvierà alla Terra (da un “lirismo” del potremmo)[1]. Forse, l’ontologismo di Heidegger va filtrato tramite il vitalismo di Deleuze. Se la filosofia è creazione di concettualismi “muscolari”, alla “misteriosa” e “lirica” Erde s’allaccia una “non più meccanica” de-territorializzazione[2]. Il cammino verso il linguaggio di Heidegger diventa la perdita del presupposto plato-hobbesiano per cui l’uomo deve governarsi solo tramite la politica. Qualcosa da percepire in chiave estet-ontologica. Se i concetti per Deleuze sono agonistici, giacché quelli “s’allargano” gli uni sugli altri, allora bisognerebbe “svelare” un Destino della Generazione Metafisica, tramite dei “parti” concettuali(stici).

Anche una comunità fra sconosciuti presupporrebbe il crearsela. Torna la dimensione del “parto” concettualistico che, tramite Deleuze, si percepirebbe come una “contrazione” sul contrattualismo (classicamente del giusnaturalismo). Platone nel Simposio dice che L’amore è per la generazione < nel > parto e < nel > bello. Qualcosa da rileggere col filtro di Heidegger. Così, si scriverà: L’amore è per la generazione < nel > parto concettuali(stico) e < nel > bello concettuali(stico). Di conseguenza, si recupera anche il filtro di Deleuze. Uscirebbe che < non > abbiamo ancora “svelato” un Destino in post-metafisica dell’Estetologia Occidentale (della Erde), da mettere davanti al “tradizionale” Destino del Potere (del Welt), “ridotto” in via prettamente politica.

Quanto vorremo apprezzare il sincero moralismo di Platone, cercando la repubblica ideale? Più “neutralmente”, constatiamo che egli fu uno dei primi filosofi a “cadere nel tranello” della politica come disciplina suprema in società. Ad esempio, la percezione dell’anima diventerebbe molto interessante. E’ noto che essa “rinforza” la dottrina delle Idee, tramite la reminiscenza. Ma Platone avrebbe dovuto preferire un universalismo più estetologico. Dal suo dialogo del Fedro, si potrebbe sviluppare l’anima che partecipi delle Idee tramite la “mania” lirica. Qualcosa da percepire in via virtuosa e pure comunitaria, ma senza un “subordinarsi” alla politica. Una partecipazione è in se stessa problematica, in quanto dialettica. Quella non “si fossilizzerà” sempre in forme di potere. La “mania” lirica è creativa. Indirizzandola verso le Idee, noi otterremmo una virtù impolitica. Una preferenza verso l’estetica ci permette, correndo avanti nei secoli e sino all’era contemporanea, di respingere pure il liberalismo “spicciolo”. Una creatività, in quanto costantemente formativa, “ci vaccina” dal totalitarismo.

In democrazia resta il paradosso del liberalismo, che rischia di “chiudere” il singolo uomo intorno a se stesso, allontanandolo dalla solidarietà. Dunque conviene mettere la creatività davanti ai propri “desideri” (o decisioni). Una dialettica estetologica in democrazia sarebbe più “predisposta” al servizio disinteressato per gli Altri. Forse Platone sbaglia eticamente, mentre il liberalismo sbaglia politicamente… Tuttavia, in entrambi i casi si rischia la “fossilizzazione” d’un potere. Tornando agli albori della filosofia, aggiungendovi il “filtro” d’una de-territorializzazione, bisognerà “allargare” la mania < alla > estetica, anziché “aizzare” la repubblica < della > politica. Menzionando Heidegger, varrebbe il “cambio” dal genitivo del Potere (solo “individualista”) al dativo nel Potremmo (pure comunitario)[3]. Se volessimo “aggiornare” l’idealismo di Platone, scriveremmo che:

< La repubblica è “l’anima” del popolo, il quale non rispecchia mai un mero agglomerato di singoli individui (da riunire sotto il governo della politica), bensì una comunione di genti formative (nella speranza di ri-creare la giustizia, e dopo aver immaginato un interesse) >

Secondo la teoretica, “allacciamo” l’ontologismo di Heidegger al post-strutturalismo di Foucault, Deleuze o Derrida. Come an-archeologia[4] < del > (genitivo) Potere, costituzionalizziamo una pre-costruzione dell’archi-struttura, ergo una decostruzione infinitamente generativa < al > (dativo) Potremmo. Va cambiato il background concettualistico dell’intera democrazia, a prescindere dai suoi consolidamenti in epoca contemporanea. In futuro, oltre il potere politico, c’aspetterebbe un potremmo estetico[5]. Non dovremmo più subire né il “freddo” pragmatismo del governo, né (in contrapposizione) la “calda” ingenuità del populismo. Si passerebbe dalla democrazia politica alla democrazia estetica. Se trattassimo l’arbitraria “sopravvalutazione” del Potere, ma pure una critica alle sue “concessioni” per liberalismo:

  • Porsi un problema politico: è quello che l’uomo fa sempre (male)
  • Porsi un problema individuale: è quello che l’uomo vorrebbe fare sempre (né bene né male)
  • Porsi un problema estetico: è quello che l’uomo non fa sempre (bene)

Per la sociologia contemporanea, il consumismo, la globalizzazione, la telematica o la pubblicità favoriscono la civiltà del “simulacro”, in cui pretendiamo di conferire all’apparenza il valore della verità. Sorge così il problema dell’estetizzazione, che la politica non sembra arginare, ed anzi tende a subire. La dialettica marxista genericamente accusa il capitalismo. Ma possiamo recuperare le “criptiche intuizioni” di Heidegger, fra il Mondo (Welt) e la Terra (Erde). Va conferito al simulacro un “carico” ontologico. Se adesso c’è la politica che si rende estetizzazione, per il futuro si metterà l’estetologia anche prima della politica. Il populismo per esempio “sopravvaluterebbe” il Potere al paradosso d’un “falso liberalismo”. Spesso quello s’accompagna al simulacro dell’elargizione, dopo una propaganda elettorale di facili promesse. Ma così sparirà ogni “virtù” dell’impolitico! Di contro, siccome l’estetica in via fenomenologica è formativa, il suo nesso con la libertà immediatamente solidarizza con l’alterità. Ogni apparenza del caso avrà una funzionalità positiva, al progresso d’una conoscenza dovuta all’interazione col pubblico. Il populismo si limita a “calare dall’alto” le leggi a “briciole” per le promesse elettorali, se il controllo costituzionale suggerisce una moderazione. In futuro dovremo preferire l’impolitico, il cui “simulacro” nel politico è già (in se stesso) “vaccinato”, per formatività costante, contro la propria estetizzazione. Secondo la fenomenologia:

  • Il diritto rimanda alla conservazione
  • La riforma rimanda al liberalismo

Quindi il diritto < sta > alla conservazione < come > la riforma < sta > al liberalismo. Alcuni equilibri in democrazia non paiono “stravolgibili”, nemmeno per i populisti. Ma sulla giusta proporzione fra il diritto e la riforma si può “caricare” l’impolitico, per esempio al “filtro” d’una creatività costante. Il “liberalismo” dell’artista prevede che gli spettatori ne reinterpretino l’opera conservata. Per un nuovo costituzionalismo, la de-territorializzazione da seguire sarà rigorosamente ontologica al “filtro” dell’estetica. L’unione fra le due “venature” comporta un rifiuto impolitico del marxismo. Crolla la dialettica del tipo tesi come antitesi “moltiplicata” < per > sintesi (al Potere), favorendo la dialettica del tipo tesi come antitesi “divisa” < in > sintesi (al Potremmo). Le sue ripercussioni sull’economia sono ovviamente importanti. Il crollo della dialettica hegelo-marxista consente una “vaccinazione” sul capitalismo, il quale dovrà accumulare paradossalmente per “sola generosità (solidarietà)”. Ma prima bisognerà tornare alla mania di Platone, “spostandola” dalla repubblica sintetizzante alla metessi (partecipazione) de-territorializzante. Così s’ottiene un potere soltanto formativo, e sino a “vaccinarsi” dalla politica, attraverso l’estet-ontologia.

Consideriamo l’antropologia, al “filtro” dell’esistenzialismo. In 3000 anni di civiltà, tutti sembrano “azzuffarsi” (politicamente) per il potere di sconfiggere un avversario, laddove invece basterebbe incartare (esteticamente) la sua metessi. E’ una dialettica che può funzionare anche in economia? Forse il problema vero non pare l’abbattere il capitale, ma il fatto che non “ci vacciniamo” (grazie alla creatività costante) dal capitale.

Serve un post-modernismo metafisico che “elevi” al post-modernismo metaforico. Il primo vale alla decostruzione della politica millenaria (“fossilizzatasi” sul pregiudizio del Potere), e consente per il nostro futuro di conferire al secondo (coi propri simulacri) un “carico” ontologico. Ma non ci pare un “percorso” adatto al classico liberalismo. Bisogna avere il “coraggio intellettuale” d’essere più post-politici in ontologia che post-moderni in metafisica. Annotiamo che persino i rivoluzionari cadono nell’errore di sostituirsi ai reazionari, se mantengono in “piedi” il pregiudizio del potere. Né serve il “distarsi” (a volte nel proprio radicalismo) sul libero post-moderno d’un comunitarismo. La conquista dei diritti in democrazia rischia “d’obliare” l’intuizione per cui, più ontologicamente, ai tempi di Platone bisognava condividere l’armonizzazione dalla creatività (in estetica), anziché il controllo dal potere (in politica).

Ranciere ricostruisce la fenomenologia per una partizione del sensibile. Una comunità presuppone che “spontaneamente” qualcuno abbia un “ruolo”, bisognoso di “farsi inquadrare”[6]. Il tempo e lo spazio, dall’attitudine o dalla competenza, si ripartiscono… in se stessi. Questa dimensione appare a Ranciere estetica. Dunque esisterebbe un’impoliticità “al governo” del vissuto spontaneo. Se per Platone ad esempio l’artigiano non ha la giusta percezione d’una “comunità”, è per via del proprio “allenamento” a “sfuggire” nell’altrove d’una competenza. Qualcosa che la politica “frenerebbe”, responsabilizzando ciascuno ad assumere un “ruolo”. L’esperto a pelle “ci convince” per la propria organizzazione, nel tempo e nello spazio d’un lavoro. Tale fenomenologia nell’artista si radicalizza. La sua estetica avrà voluto e dato “una certa visibilità” alla semplice competenza. L’opera d’arte non serve a nulla, opponendosi alla tecnologia. Essa lascia la competenza “alla sola sensibilità” di se stessa. L’estetica “neutralmente” rappresenterebbe… di rappresentare[7]. Ranciere si chiede pure all’inverso quanto la politica “vari” la sensibilità spontaneamente ripartita nel proprio vissuto. Può darsi che, “aggiornando” Aristotele, l’uomo sia prima di tutto un “animale estetico”. Così la politica interverrà “rimettendo in carreggiata” uno “sfuggire” alla sensibilità per la propria competenza. Ma si rischia immediatamente un paradosso… La democrazia ad esempio desidera le competenze, nel “gioco” fra le opinioni e le proposte, da “premiare” col voto libero. Il rischio è che la logica del consenso “appiattisca” la sensibilità persino inventiva del popolo. Quanto l’esperto ha fin troppe “sicurezze” per pretendere d’agire “in solitaria”? Ranciere preferirà l’apoliticità del comunitarismo costantemente al “conflitto ri-creativo”.

Deleuze invita alle de-territorializzazioni anche accettando il vitalismo. Così, il prendere posizione (politicamente) deriverà da un allargarsi del prensile (esteticamente). A Deleuze il Mondo pare un uovo[8]. Basta che l’Essere si definisca di tipo essenzialmente dinamico. Ma bisogna specificare bene la dialettica del prensile. Tutti gli enti (astratti o materiali) diventano tali perché si differenziano gli uni con gli altri. La loro molteplicità si percepisce al “ripiegarsi” delle singole delimitazioni. Sempre in un vitalismo, Nietzsche dice che la volontà di potenza è una volontà di volere. Ciò implica la propria responsabilizzazione. La volontà di potenza precisamente si contrae, aggiungendovi una percezione di Deleuze. La sua temporalità tornerà continuamente in se stessa.

Ma approfondiamo la fenomenologia delle de-territorializzazioni estetiche. L’alterità ci appare ad attivare la contrazione del sé. E’ ciò che avviene ad esempio tramite una riflessione concettuale. L’alterità funziona un po’ come la “funicella”, per “l’imbuto” del sé. Bisogna che percepiamo tale responsabilizzazione, nel nostro potere di contrarci e/o con-trattarci. La riflessione concettuale attivamente va oltre… Ma quella per Deleuze seguirà un “imbuto” del volere. Più genericamente, si darebbero le sintesi passive (come per la contrazione) e le sintesi attive (come per la riflessione concettuale)[9]. Tale fenomenologia avrà una “deriva” in politica? Quantomeno, la percezione della contrazione, se applicata al pensiero, un po’ eticamente lo spinge al rispetto dell’intera corporeità. Oggi si vive nel secolo che “espande” Internet. Percepiamo le “contrazioni” del mero click. Ma pure alla loro estetica noi conferiremo un “carico” ontologistico.

Oggigiorno, assistiamo al sorgere di nuovi partiti dal populismo anti-casta (anti-potere). In quelli, evidentemente possono rientrare tanto il centro, quanto la destra o la sinistra (secondo il classico schema del post-Rivoluzione Francese). Ma il populismo anti-casta rischia di funzionare male, se gli manca un po’ di “sano” post-strutturalismo. Secondo il progresso, esattamente come Internet < deve > sostituire il Siemens Bigrigio, prima o poi i concetti di destra / centro / sinistra < dovranno > farsi sostituire da… “qualcos’altro” (che ancora “ci sfugge”). Inoltre, dialetticamente ci porremo la domanda sul < Chi sono i non populisti >? I neo-costituzionalisti estetologi li potranno “attirare”! Obiettivamente, l’impostazione cara ai populisti d’un contratto sociale “alla Rousseau” ha un suo umanismo. Essa potrebbe “rompere” col “manicheismo” del tipo destra / sinistra (i cui disastri sono secolari). Ma subentreranno fatalmente alcuni paradossi. Un contratto sociale “alla Rousseau” comunque “eleva” la politica a scienza suprema dell’uomo. Così, si rischia di giustificare il potere… del non-potere? Sarà preferibile rimpiazzare completamente la politica, ad esempio attraverso l’estetologia. Un contratto sociale continuamente creativo (che “svolti” da Rousseau a Deleuze) “si depurerebbe” subito dal populismo o dalla demagogia. Servirà il potremmo, in luogo del potere. Si tratterebbe di conferire al volontarismo di Rousseau la ri-creatività di Deleuze. Il populismo esiste logicamente solo in quanto esiste la politica. Possiamo rimpiazzare la seconda, affinché il primo non “scada” mai nel qualunquismo. Ma l’errore virtualmente appartenne già a Platone. Non si doveva “contrattare” la politica prima dell’estetica, bensì “variare” l’estetica prima della politica. Il populismo attuale in fondo perdura a farsi “fagocitare” dal potere.

Meglio sarebbe per noi il tornare ad una responsabilizzazione (esteticamente) del contratto sociale (politicamente). In via fenomenologica, immaginiamo di “gestire” una dialettica del contenere / scoperchiare. Allora, ci servirebbe un ontologismo estetico. Questo conterrebbe l’Economico < di (allo) > scoperchiare il Politico. Spesso sentiamo dire che il “vero” governo è in mano solo alla grande finanza. Ma il capitale rappresenta comunque un ordine, coi propri poteri d’istituzione e di consolidamento. Secondo la fenomenologia, uno scoperchiare non rimuoverà completamente il contenitore, bensì lo conterrà al “niente” di sé. Forse vi mancherà un forte consolidamento… Più in generale, l’economia è il contenitore. Tutti noi tendiamo (anche impulsivamente) a trattenere. Ma la nozione di potere (ordinante e consolidante) secondo la logica viene prima. Essa quindi funge da coperchio. La nozione di potere va attaccata anche nel contrattualismo economico / finanziario, che molti stimano l’unico al governo del mondo. Possiamo partire dall’estetologia, se la creatività in genere tende a scoperchiare. Di conseguenza, ci resterà il contenitore “vuoto” dell’economia. Questa dovrà sprecarsi (citando un’immagine di Bataille), avendo la sensibilità d’una generosità per Altri. Ci serve lo scoperchiare, tramite una “sana” estet-ontologia. In questo modo, l’Economico conterrà il “nulla” di sé (in via più solidale). Né occorrerà l’idealismo dei rivoluzionari, fagocitabile dal solito pregiudizio sul potere.

Deleuze cita l’immagine del rizoma[10]. Esso si sviluppa “solo facendosi” (allargandosi ben oltre se stesso), giacché si muove in terra. L’albero, invece, tende a risalire. Esso si distenderà unicamente in cielo. Una dimensione che per Deleuze rischierebbe di simboleggiare il mero piano d’astrazione concettualistica. Invece, il rizoma s’allarga in modo sul serio de-territorializzante. Si può accettare che l’intellettuale abbia una “profondità” che “risale” alla responsabilità. Ci rimane da spiegare come ciò avvenga. La metafora cara a Deleuze del rizoma è per crea < ma > ri-crea, anziché per teoria < e > prassi. Il macchinico, da lui “candidabile” per il desiderio in psicanalisi, ad esempio carburerebbe. Magari la poiesis è ontologicamente preferibile. Quella appare nel contempo più “umile” della theoria (senza “l’ansia” dell’idealismo), e più “sicura” della praxis (senza “l’onere” dello scopo). L’estetica sarebbe rizomatica in un trio con l’universalità dell’etica e la situazionalità della politica. Si considerino queste affermazioni:

1) Le leggi devono essere < al > servizio dell’uomo: etica

2) L’uomo dev’essere < al > servizio delle leggi: politica

3) < al > servizio: estetica

Il termine medio è dunque l’estetica. La preposizione < al > dativo diventa impolitica, mancandole il < di > genitivo che “si fossilizza” in un Potere. L’antropologia svela un errore di “precedenze”, per la storia delle civiltà. Nessuno ha mai costituzionalizzato sul serio la poiesis, bensì solo la theoria + praxis. Accettando il “filtro” mediatore dell’estetica, fra l’universalità dell’etica ed il pragmatismo della politica, s’abbandonerebbe la dialettica del tipo hegelo-marxista, per abbracciare la dialettica del tipo heideggero-deleuziano. Sarà fondamentale “l’attacco” fenomenologico al pregiudizio del Potere. Già si conoscono le esposizioni d’arte politica; e tuttavia qui serve il costituzionalizzare l’estetica prima della politica. Supponiamo d’incontrare per caso:

1) La “signora” etica, che è universale e quindi non ha bisogno di rivendicare per sé un potere

2) La “signora” estetica, che non è universale ma cui non interessa il rivendicare per sé un potere

3) La “signora” politica, che non è universale ma cui interessa il rivendicare per sé un potere

Di nuovo conta massimamente il termine medio. Secondo la semplice fenomenologia, fra l’estetica e la politica, la prima è assai più vicina all’etica, con cui condivide un < non > rispetto al potere. Sin dagli albori della civiltà, l’uomo ha sbagliato a sopravvalutare l’interesse. Questo inevitabilmente s’è concluso nel “fossilizzarsi” d’un potere. Avremmo fatto meglio a “filtrare” la politica mediante l’estetica. Nella costituzione d’una poiesis, secondo la fenomenologia il potere non interessa. Pure l’esistenzialismo aiuta a dimostrarlo:

  • Da un punto di vista esistenzialistico: Non si può non prendere una decisione
  • Da un punto di vista politico: Non si può non prendere una decisione, quindi < ho il potere > di prenderne una
  • Da un punto di vista estetico: Non si può non prendere una decisione, quindi < avrei il potrei > di prenderne una

Va respinta la democrazia politica, rimpiazzandola con la democrazia estetica. La prima si fossilizza in un potere, la seconda crea un potremmo. Se abbiamo una condanna esistenzialistica a scegliere, allora è meglio farlo da creativi, anziché da liberi. Solo nel primo caso uno si limita pure in funzione degli Altri. Stranamente, in tutta la storia umana non s’è mai intuita la convenienza d’assegnare un valore costituzionale all’impoliticità dell’esistenzialismo. Questa “dimenticanza” deve rientrare nel Destino della Metafisica Occidentale, da Heidegger. Grazie alle de-territorializzazioni di Deleuze, si potrebbe ricostruire un genitivo oggettivo (sull’Essere che “pone” se stesso) oltre un condizionale estetologico (sull’Essere che “crea” se stesso). Heidegger cita la fenomenologia della noia[11]. Questa aiuta a percepire l’attaccamento per il nostro esserci al mondo, il quale in se stesso rappresenta “un buon microcosmo” per la constatazione della metafisica, rispetto alla temporalità. La stessa comparazione varrà per il politicismo della civiltà. La noia metafisica sarà “un buon microcosmo” per il Mondo (Welt) del Potere, il quale constata il raggiungimento d’una maggioranza al governo. Certo nell’epoca contemporanea predomina la spettacolarizzazione. L’elettorato deve riconoscersi nella promessa d’una grande riforma. Il governo dei tecnici normalmente è valutato come noioso, persino laddove esso porti una competenza obiettiva e neutrale. Contro il “fermarsi” odierno alla mera politica per estetizzazione, a noi converrà “ri-cercare” in futuro l’estet-ontologia prima del politicismo. L’artista dal canto suo non può annoiare il pubblico di visitatori, restando fedelmente al servizio delle loro reinterpretazioni.

A Heidegger, la Tecnica pare il “compimento” della Metafisica Occidentale[12]. Grazie a quella, senza troppi fronzoli si può ridurre l’Essere in un concettualismo che funziona per la volontà singolare. Ma, se “attaccassimo” il Mondo (o Welt) con le de-territorializzazioni (dalla Erde), allora il Destino della Metafisica Occidentale coinciderebbe col Potere, in una sopravvalutazione della politica. Oggi il populismo sfrutta comunque la tecnologia, per influenzare a proprio vantaggio l’andamento del voto. Basta “sparare” la prima “ideuzza” che passa in testa… Questa è la peggiore estetizzazione. Al resto, “ci penserà” l’ampissima vetrina d’un social-network. Senza troppi fronzoli, il populismo rappresenta quindi l’ultimo stadio per la Metafisica sul Potere.

In futuro, bisognerà che rimpiazziamo la politica, e con l’estet-ontologia. Conseguentemente, la tecnica “virerà” verso la “discrezione” dell’immaginario. Questo sarà più immediato da percepire eticamente, grazie al suo universalismo che non “omologa”. Spesso s’accusa il radical-chic per le velleità liberali d’una protesta contro i poteri forti. Ma esserlo serve davvero a poco, senza un tipo di comunitarismo che spinga alla creatività continua. L’immaginario ci libera verso l’umanesimo solidale, e contro il nulla d’un soggettivismo che s’imponga. Già Sartre lo sosteneva, dal proprio esistenzialismo. Rimpiazzando il potere con la creatività, allora l’economia “si spreca”. Essa si dona e senza eliminare il capitalismo, in quanto le basterà averlo “ingannato”. S’offre alla finanza un potenziamento appena creativo, ma per ricavarne un utile sempre solidale. Purtroppo, la filosofia insiste moltissimo sull’economia politica, e quasi mai sull’economia estetica. La seconda è quella di tipo solidale. Più precisamente ci serve l’immaginario, dove l’immagine integra l’intelletto, il quale si libera dal suo annullarsi sia per realismo sia per idealismo. Nel “macrocosmo” della politica, se recuperiamo Sartre, cercheremo un costituzionalismo creativamente esistenzialistico. Per intuirlo, forse vale un sillogismo:

1) Anche il vuoto è globale

2) L’immaginazione si dà nel vuoto

3) Porto la globalizzazione nell’immaginazione, e così svuoto la prima (favorendone la solidarietà)

Ci serve l’estetologia prima della politica, pure in economia. In questo modo, si può “ingannare” persino la globalizzazione, immediata da percepire in una metafisica. Ma bisogna sapere che prima del capitale logicamente viene il potere del capitale. Il problema appartiene alla sopravvalutazione della politica, in tutta la storia umana. Abbiamo già udito dei “suggerimenti” affinché il capitale si faccia immaginario. Basta citare il motto < Siate affamati, siate folli > dell’informatico Jobs, che ha rivoluzionato il comunitarismo con le proprie invenzioni. Ma ancora ci manca un costituzionalismo fattosi immaginario, così da “caricarlo” pure sull’economia, “ingannato” eticamente il pregiudizio sul potere. Secondo l’estetologia, vale questo “piano”:

1) Hai un governo perché presupponi il potere della politica

2) Hai un capitale perché presupponi il potere dell’economia

Il termine medio è il potere. Questo va fatto “saltare”, tramite:

1) un costituzionalismo di tipo impolitico (ri-creativo per sua “formatività”)

2) un’economia di tipo immaginativo (solidale al suo “svuotarsi”)

Consideriamo l’esistenzialismo “spicciolo”, se vogliamo distinguere fra il banale artigianato e la “ricercatezza” dell’arte. Sapremo che pure il commerciale può avere una sua estetica, mentre per il non commerciale si richiede una non sua (in quanto più universalizzante) estetica. L’immaginario “svuota” i pregiudizi liberando le “varianti” del senso. Nasce così il “nulla” d’una formatività per ri-combinazioni. La sua universalità non “opprime” più l’Altro, come nell’idealismo. Ogni “variante” di senso letteralmente “fa sgonfiare” la banalità d’un “accumulo” soggettivistico. Il comunitarismo deve in un certo senso “intortare” il nichilismo del capitalismo. Valga questa dialettica:

1) Un conto è che il servo si metta al posto del padrone

2) Un altro conto è che il servo ed il padrone non abbiano alcun posto dove mettersi

Secondo Kant, la libertà umana si dimostra al massimo quando utilizziamo la ragione per risolvere i problemi etici. Oggi vorremmo che le persone vivessero al meglio il loro comunitarismo, se questo le spingesse al “nichilismo” d’una formatività costante. Secondo Orwell:

< La libertà è dire che 2 + 2 = 4. Tutto il resto ne consegue naturalmente >

Ma quanto il punto che frammezza le due frasi si lascerà percepire in una relazione di principale / subordinata? Forse i filosofi del post-strutturalismo avrebbero scritto in altro modo:

< La libertà è dire che 2 + 2 = 4 e tutto il resto ne consegue naturalmente >

La congiunzione “annulla” un po’ la relazione di principale / subordinata. Anzi, ci pare ammissibile il “caricamento” d’una creatività situazionale (esteticamente) dentro la libertà universalizzante (eticamente). Ricordiamo che noi viviamo nel Duemila. E’ un secolo il cui sviluppo mediante la tecnologia tende sempre più all’estetica (anche prima della politica). Ne deriva che aggiorneremo una famosa frase, erroneamente attribuita a Voltaire:

< Forse non condivido la tua idea, ma darò la vita perché tu la possa creare >

Il < darò la vita > preso in se stesso già pare abbastanza creativo. Si tratta di “piazzargli” prima il < forse >. Così si lascia tutta la frase al tipo formativo, giustificandone poi la conclusione. Ci serve, a livello esistenzialistico, un mettere la creatività addirittura prima della libertà. Questo aiuterà ad abbandonare il paradigma politico, in favore del paradigma estetico. L’esempio della congiunzione è molto esauriente, aggiornando l’ontologia di Heidegger. La metafisica millenaria del politicismo “blocca” tutto al potere del 51% per maggioranza contro il 49% per opposizione. Allora non ci resta altro che cambiare la “narrazione” comparativa. Ne eviteremo la padronanza / subordinazione. Si può ricordare la metafora viva di Ricoeur[13]. Per lui, il < come se > permette un “abitare” (prendere posto) nel giro e ri-giro intorno a se stesso. Anche così, il costituzionalismo o comunitarismo “incarta” il proprio potere. Non è più un < Io mi alieno? Tu mi rappresenti! > (politicamente), bensì un < Io mi abito? Tu mi giri e ri-giri intorno… > (esteticamente). Per Bachelard, la dimensione appena inconscia (dall’Es di Freud) deriva da un “pacchetto” d’immaginazione materiale[14]. Questo contiene le reveries estetiche, dalle fantasie ad occhi aperti. Ma la loro virtualità sembrerebbe paradossalmente (ambiguamente) empirica. In specie, bisognerà avanzare una fenomenologia estetica per il sogno del fuoco, del nido, dell’acqua del cassetto, del rotondo, ecc… Principalmente la poesia e la letteratura ci aiuterebbero a ricostruirla. L’immaginazione materiale di Bachelard, uscendo dall’arte, pare “candidabile” a “miniatura” per un’ontologia della de-territorializzazione, quantomeno allo scopo di migliorare la solidarietà economica.

Anziché lo stare, ci servirebbe lo starei. Ad esempio, la musica è coinvolgente all’orecchio, il quale però non riesce a “piazzarla”. Le potremmo assegnare un valore costituzionale, sul “filtro” della pedagogia? Di certo, “rivisitando” Heidegger, noi abbiamo esasperato il genitivo < del > “prendere una posizione”, grazie alla politica, contro il condizionale < al > “ci giro… intorno” >, grazie all’estetica. Forse i semplici musicisti non possono fare politica; ma possiamo conferire alla musica un valore costituzionale di tipo impolitico. Alla fine, conta sempre lo strutturalismo. Quello del tipo plato-hobbesiano fu “enormemente” sopravvalutato. Oggi, si deve accettare che la storia umana viri verso la secolarizzazione della politica, anziché della religione, come erroneamente “desidera” il razionalismo degli atei e degli agnostici. Forse, lo possiamo intuire già dal famoso episodio che riguarda il peccato originale, per il cristianesimo. C’è una dialettica la cui fenomenologia appare “stranamente” inesplorata, di nuovo sotto il pregiudizio del Potere:

1) Hai la mela di Adamo: egli la prende e questo determina la politica

2) Hai la mela di Adamo: ma < come > egli la prende?

Allora, proviamo a passare dalla religione alla metafisica. Ci sarà un qualcosa di “sottovalutato” per carenza d’attenzione, prima della politica. In Adamo, conta pure il < come > prendere la mela. Ciò determina l’estetica. Essendo più rigorosi nella fenomenologia, l’ordine per importanza cambierà:

1) L’etica

2) L’estetica

3) La politica

E’ verosimile che, nei prossimi secoli, le nazioni del mondo indagheranno quel < come > si prende la mela, dall’episodio biblico. Alla fine, nasceranno le costituzioni estetologiche. Oggi una di queste funzionerebbe bene per l’Europa, divisa al comunitarismo anche solo dalle tante lingue. Ci siamo sempre fermati in filosofia sulla relazione del tipo etica / politica, trascurandone il “filtro” tramite l’estetica. Questa si percepisce in via continuamente ri-creativa, senza potere in quanto solo al potrei. Se abbiamo una relazione, fra l’etica e l’estetica, necessariamente ci porremo il problema di come “filtrarla”. Possiamo capirlo con l’ontologismo estetico, laddove l’unità dell’Essere diviene creativamente formativa, nelle “parvenze” (virtualità) delle proprie ri-combinazioni. L’Albero della Vita del cristianesimo si concederà un approfondimento a varianti di metafisica:

  • C’è la mela (una metafora per la condanna umana a dover prendere una decisione), che fonda l’esistenzialismo
  • C’è il potere di prendere la mela (laddove il singolo uomo < ha > una decisione da prendere), che fonda la politica
  • C’è il come prendere la mela (laddove il singolo uomo “s’incarta”, in quanto < avrebbe > una decisione da prendere), che fonda l’estetica

Evidentemente, solo la dimensione estetologica del < come > sa “salvare” l’uomo. Essa ha una sua creatività, anche prima della libertà. In quanto “incartata” in se stessa, la dimensione del < come > sembra più avvicinabile alla “mela” che (astrattamente) condanna il singolo uomo a decidere. La filosofia occidentale (da Platone in poi) ha commesso il grave errore di “fossilizzarsi” in modo “ossessivo” e “noioso” sulla politica. Conseguentemente, ci serve una fenomenologia che convinca a cambiare il comunitarismo umano. Si può immaginare che la mela in realtà sia < appena > una penna. Così, assegneremo un valore costituzionale a tutta l’impoliticità dell’estetica. Qualcosa che sfugge sempre alla filosofia classicamente hegelo-marxista. Perché immaginare che la “mela” sia < sempre > “da mangiare” (sul filtro del capitalismo)? E se quella invece avesse una “naturalezza” meramente esistenzialistica? Contro la condanna astratta a decidere, noi potremmo almeno condannarci a decidere tramite una vitalità ri-creativa. Conferendo una validità costituzionale all’esistenzialismo, l’economia diventerebbe più solidale. Ne deriva una preferenza per l’impolitico. Forse i filosofi del post-strutturalismo sono i più “attenti”, nel cogliere il “dubbio” per cui la “mela” si sentirà assai “offesa”, continuando a farsi scambiare < da noi > per “qualcosa da mangiare” (< a vantaggio > d’un Potere), mentre < lei in se stessa > gradirebbe farsi apprezzare < appena > come “una penna narrante” (esteticamente).

Anche l’antropologia “svolta” verso l’impolitico. Se portiamo nella cima d’un colle cinque persone che non si conoscono, quelle si spingeranno impulsivamente a creare una comunità. Tornerà astrattamente il primato dell’estetica, nelle “immediate vicinanze” dell’etica. Materialmente, però, le cinque persone inizieranno ad affrontare i problemi di convivenza civile. Immaginiamo che là si presentino “tre marziani”, capaci di parlare in modo allegorico:

  • L’Allegorico Estetologia
  • L’Allegorico Politica
  • L’Allegorico Psicologia

I “tre marziani” si candideranno alle cinque persone, per “sistemarne” la convivenza civile, pure con sincero umanismo:

  • L’Allegorico Psicologia interviene dicendo: < Beh, è inevitabile che nell’uomo governi un impulso a dividere tutto: in destra / sinistra – mio / tuo – cittadini / stranieri – oriente / occidente ecc… >
  • L’Allegorico Estetologia interviene dicendo: < Beh, è probabile che nell’uomo governi un impulso a dividere tutto: in destra / sinistra – mio / tuo – cittadini / stranieri – oriente / occidente ecc…; ma questi non ci limiterebbero più, avendo una visione sempre creativa della convivenza civile >
  • L’Allegorico Politica interviene dicendo: < Allegorico Psicologia ed Allegorico Estetologia: avete ambedue ragione; però mediamo la vostra posizione, se semplicemente… “ci penso io” (facendo nascere il Potere) >

L’Allegorico Estetologia sembra il più incline al “nulla” d’un esistenzialismo comunitario. In cima al colle, le cinque persone sono ancora “vaccinate” contro i “litigi”, in quanto prima di tutto quelle si dovranno conoscere. Piuttosto, i problemi di convivenza civile nasceranno quando qualcuno vorrà “reclamare” qualcosa solo per sé. Ma diventa un passaggio secondario, per l’antropologia fondata sull’esistenzialismo. Possiamo ricorrere ad un esempio, nell’attualità d’un dibattito sul valore dei vaccini:

1) La politica, sui vaccini, decide da sola che…

2) La scienza, sui vaccini, decide da sola che…

3) La politica, sui vaccini, lascia decidere alla scienza che…

4) La scienza, sui vaccini, lascia decidere alla politica che…

Il problema antropologico è nel < decide >, il quale fonda il potere. In quel caso, avremo sempre le contestazioni e le “gelosie” sociali. Invece, ci è più accettabile il < lascia decidere >, dove il potere manca. In quest’ultimo caso, avremo la concordia e “l’apprezzamento” sociale. Di conseguenza si potrà scrivere:

  • La politica, sui vaccini, senza fare politica (o rivendicare un potere), lascia decidere alla scienza che…
  • La scienza, sui vaccini, senza fare politica (o rivendicare un potere), lascia decidere alla politica che…

Ma ciò che salva l’uomo è il < senza >: il senza potere, il senza interesse, il senza maggioranza ecc… Non “litighiamo”; non ci dividiamo innanzi al semplice nulla. Bisognerà cambiare il comunitarismo:

1) Se io tolgo la politica… dalla politica, allora la politica semplicemente sparisce

2) Se io tolgo la politica… dalla scienza, allora la scienza rimane, ma appunto impolitica

Nell’esempio dei vaccini, troveremo la soluzione più utile al rinnovato comunitarismo. Deciderà la scienza che non rivendica per sé un potere. Purtroppo, il millenario errore di sopravvalutazione, in merito alla politica, continua a lasciarci una scia di “problemi su problemi”. Se il 95% dei medici oggi concorda sull’utilità dei vaccini, semplicemente per disinteresse (spontaneità) intellettuale, allora tutto il “carico” del potere “si svuoterà” da solo.

Per Ranciere, l’uomo nasce come a-politico. Prima c’è la comunità, poi la “frizione” instaurata dal Sé esternamente all’Altro. La politica presuppone un < tra >[15]. Quello sarebbe contraddetto dal pregiudizio sul potere. Infatti il governo “si rinchiude” in un palazzo, salvo poi “aprirsi” con la legiferazione per una cittadinanza intera che, presa in se stessa, nacque dal nulla. Si rischierà “il torto” di complicarsi troppo la vita, rispetto al comunitarismo?

Fra i “tre marziani” che ci parlano in lingua allegorica, l’umanità ha sempre “votato” quello per la Politica. Ma è logicamente (e banalmente) solo un pregiudizio. Si contano migliaia di discipline cui la rivendicazione d’un potere non interessa, così da favorire la convivenza civile. Fra quelle, citiamo la psicologia, l’antropologia, la pedagogia, l’estetologia, il volontariato, l’esistenzialismo, la fenomenologia, la sociologia, l’arte ecc… Disgraziatamente, non è mai esistito un costituzionalismo che le “strutturasse” in maniera creativa e ri-creativa.

Per il futuro, faremo meglio a “votare” per l’Allegorico Estetologia. L’alternativa è rimanere fermi (e molto “noiosamente”) alla strutturazione “manichea” del Potere, che nasce grazie a Hobbes, per il quale prettamente vale un < Io mi alieno? Tu mi rappresenti! >[16]. Il costituzionalismo si cambia accettandone la percezione estetica. Questa insegna che mediamente si sviluppano “tre anime”: la liberale, la socialista e la conservatrice. Nella storia politica, a rispettarle di più è stato certamente il costituzionalismo inglese. Ma la democrazia deve diventare impolitica per estetologia, togliendo il pregiudizio del potere. Nemmeno gli inglesi, al di là d’un parlamentarismo collaudatosi in molti secoli, l’hanno ancora fatto. Se il sistema plato-hobbesiano obbliga sempre al < dividi > in astratto per 51% VS 49%, non raggiungeremo mai la concordia sociale. Qualcuno protesterà o “s’ingelosirà” sempre. A lui mancherà “l’ossessivo salto in alto”, dal 49% dei propri voti. Questo sistema definisce la politica. I suoi “disastri” sono noiosamente secolari, autogiustificando la divisione “manichea” al delega – alienazione, destra – sinistra, cristiani – atei, cristiani – musulmani, oriente – occidente, maggioranza – opposizione, conservatori – progressisti ecc…

La soluzione migliore, per il cambio del costituzionalismo, va ricercata nell’estetologia heideggero-deleuziana. Così, la democrazia appena “suggerirà” un < crea > il tuo 51% VS 49% di voti. Nascerà la concordia sociale, senza “cadute di stile” nella demagogia. Nessuno protesterà o “s’ingelosirà”, se il potere mancherà a tutti, ivi compresi quelli al 51% dei voti. Il sistema dell’estetologia appare il più futuribile. Un esempio ci viene dall’attualità, allorché trattiamo il problema dello ius soli. In un sistema politico, rimarremo bloccati ai “litigi” divisivi in astratto per il 51% contro il 49% dei voti. I singoli elettori penseranno sempre che lo ius soli:

  • Sia giusto, per motivi umanitari
  • Non sia giusto, per motivi nazionalistici

Invece, costituzionalizzando un sistema estetologico, avremmo la formatività al < crea > il tuo 51% VS 49% di voti. I singoli elettori penseranno sempre che lo ius soli:

  • Sia giusto, in quanto il fatto di nascere all’ora < X > in un Paese < Y > appartiene al < caso >, sul quale la politica molto semplicemente non esiste, e sino a richiedere la “novità” di rimpiazzarla con… “qualcos’altro”

Verosimilmente, ventiliamo che su tale giudizio convenga quasi l’85% delle persone. L’estetologia, in quanto disinteressata e senza il potere, ci “spinge” immediatamente verso l’umanismo. L’errore sta alla sola politicizzazione d’una comunità. S’obietterà che “l’anima” (in se stessa “onorevole”) dei conservatori più… conservatori perseveri a respingere lo ius soli, nonostante l’estetologia in suo favore. Ma possiamo sempre recuperare l’impolitico. Così, il comunitarismo responsabilizzerebbe i conservatori più… conservatori, in modo creativo. Nel caso d’uno ius soli, il costituzionalismo non negherà un “ligio” controllo sulle organizzazioni umanitarie che finanziano la regolarizzazione degli stranieri. Sfortunatamente, la società civile “paga” ancora l’ultima derivazione d’un manicheismo sul Potere, al post-1945 per la Guerra Fredda. Siamo fin troppo “abituati” a sentirci di < destra > o di < sinistra >. Però, dopo il 1989, cadute le ideologie, già avremmo dovuto favorire l’umanesimo intellettuale, le liste civiche in politica, la serena “accettazione” che per l’esistenzialismo si danno grossomodo tre “anime” (la liberale, la socialista e la conservatrice). Sappiamo bene che si preferì l’insistere con la sopravvalutazione dell’Allegorico Politica. Conseguentemente ci portammo dietro prima il fondamentalismo religioso, poi l’estetizzazione del populismo. E’ qualcosa che sfugge pure al razionalismo degli atei e degli agnostici. Non esiste mai un “problema” con le religioni, bensì con la politica. Basta che consideriamo l’esistenzialismo “spicciolo”:

  • Raduniamo in un colle cinque persone che non si conoscono, senza portarsi nulla di proprio
  • D’impatto, le cinque persone creeranno una comunità

Ora, immaginiamo che innanzi a loro si presentino due “marziani”, capaci di trasformarsi: il primo in una torta, il secondo in una penna. La fenomenologia estetica in tale contesto diventa decisiva. Per una decisione “sconcertante”, la storia della filosofia occidentale ha sempre preferito la torta, a danno della penna. Torniamo alla sopravvalutazione del potere, che fonda anche il capitalismo:

  • La torta (che qualcuno vuole mangiare per sé) è la metafora per la politica
  • La penna (tramite cui qualcuno scrive solo se letto dagli Altri) è la metafora per l’estetica

Questa dialettica appartiene al comunitarismo. Il fatto d’aver preferito la torta (politicamente) alla penna (esteticamente) ci sembra solo un pregiudizio. In tutti i casi, la religione per l’antropologia sul comunitarismo arriva dopo. Se una delle cinque persone sul colle disgraziatamente muore, chi resta in vita inizia a riconoscere meglio (riflettendo) la propria sensibilità per la dialettica fra il Sé e l’Altro. Venne prima la politica, rispetto alla religione. Ciò induce a respingere il laicismo “di bassa lega”. Coerentemente, il fondamentalismo religioso deriva da una politica che “si carica di follia”. Ma fu un pregiudizio “filtrare” il Potere sull’incontro / scontro del comunitarismo. La “penna” per metafora del neo-costituzionalismo estetologico ci attesterebbe una “sensibilità” favorevolmente più disinteressata. Così, “ci si vaccinerebbe” dal capitalismo. Se io prendo una penna, poi la tengo “gelosamente” per me che voglio scrivere, ma solo affinché gli Altri lo leggano. Analizziamo questa dialettica:

  • Io presto qualcosa a te, perché tu poi me lo restituisca
  • Io ho qualcosa che ti presto in maniera diversa, perché tu poi me lo restituisca in maniera nuovamente diversa

Subentra forse un’esperienza di psicologia “spicciola”. Non “litighiamo” fra di noi, assicurando che tutti cambino un po’ di se stessi, o di quello che tengono in potere. Una penna scrive, e così ce la rappresentiamo alla diversità ri-combinativa. Un capitalismo creativamente senza potere “vira” persino inconsapevolmente verso la solidarietà, sino a favorire la convivenza civile. Il “filtro” del diverso fu usato da Platone, per “allacciare” i modelli ideali. Sfortunatamente, la filosofia poi ha insistito nel “ridurre” la convivenza civile (da un comunitarismo) alla propria autogiustificazione in un Potere, e mediante la politica.

La realtà attuale però appare peggiorata. Il populismo attrae, “vendendo” la politica per disciplina suprema, salvo mantenere così il “reazionario” manicheismo del tipo centrodestra / centrosinistra, oppure mondialisti / nazionalisti, oppure laici / religiosi ecc… Ci chiediamo quando finirà tutto questo. Ma è sicuro che nel 2100 / 2200 non vivranno più le persone nate o cresciute durante il paradigma divisivo della Guerra Fredda. Innanzi ai problemi “pesanti” (il sovrappopolamento, le migrazioni clandestine, il surriscaldamento, la polarizzazione delle ricchezze ecc…), inevitabilmente si dovrà contestare la nozione di potere. Finirà il pregiudizio d’aver “aizzato” la politicizzazione, “sacrificando” ad essa l’estetologia, la pedagogia, il volontariato, l’esistenzialismo, la sociologia, la psicologia, la fenomenologia, l’arte, l’antropologia ecc… Allora si vivrà assai meglio, rimpiazzando il potere col potremmo. Pure la creatività è un capitale, ma per l’individuo che < cerca > l’Altro. Il potere lo “scheletrizza” per sé, in pochi “fortunati” al mondo. Il capitale flessibile per creatività alla fine diventa solidale. Si tratta di reinvestire con l’estetologia, se mancherà la “fossilizzazione” d’un potere. Ci serve più esistenzialismo, laddove il flessibile sia positivamente per “disorientamento”. Heidegger citava la percezione dello stoss, innanzi all’opera autenticamente d’arte.

Ranciere immagina che la democrazia “interrompa” la polizia[17]. Allora si potrà “disorientare” un ordine, ma con la “sola apparenza” d’una sensibilità. Se le persone hanno un ruolo, pure a partire dal loro vissuto, quello si renderà “fluttuante” in comunità. Ne deriva che la democrazia dovrebbe mettere “in conflitto” principalmente se stessa. Più astrattamente, “si fluttuerebbe” fra l’ordine del potere e l’egualitarismo della giustizia. La democrazia presuppone cittadini “attori” di discussione, in spazi di “visibilità” contingente. E’ la politica di vivere il potere “umile” dell’apparenza. Possiamo immaginare la classica situazione dell’assemblea autogestita. Tutti appariranno per dire la loro (e dapprincipio vivendo esteticamente una “sensibilità” democratica). Questi “scarti” per “modestia” di conflittualità non devono farsi “fagocitare” dal potere[18]. Ad esempio, il populismo si limita “ad appiattire” la sensibilità per la democrazia, all’immediato < Ma ci penso io, per voi! > dell’unico leader in ascesa. La logica del consenso “fagocita” persino la sensibilità di chi appare “in scena” per rivoluzionare. Mediante un semplice sondaggio, il demagogo illuderebbe i suoi elettori d’essere i veri artefici della politica nazionale. Servirà dunque un recupero dell’apparenza formativa. L’arte è assai comunitaria, in quanto “disinteressata” pure nelle “controversie” coi canoni tradizionali.

Per Sartwell, la politica ha sempre una sua estetica. Perfino l’ideologia suscita da un lato il tifo, e dall’altro lato la ripugnanza[19]. Più astrattamente, la politica dovrà “sublimare” il rappresentarsi un mondo, tramite il potere, il quale ordina “da solo” un ambiente. Per Sartwell, è anche il “forgiare” le decisioni umane, partendo dal vissuto sensibile. Bisognerà riordinare il senso comune… Già Kant aveva intuito che la percezione estetica facilitava un “impeto” d’immaginazione, per conoscere meglio l’essenza teoretica[20]. Qualcosa che la politica sfrutterà? Il potere sempre s’autogiustifica nel suo “impeto” verso il comunitarismo, dove le persone non si conoscono interamente fra di loro. Almeno nelle democrazie, la politica instilla una coscienza civica. Forse, bisogna capire perché la filosofia tende a sottovalutare l’estetica. Ad esempio, obiettivamente un critico sa mantenersi “in ballo” fra le due venature dell’arte e della politica. Ma il potere fa “pendere” la seconda, a danno della prima. E’ un errore pregiudiziale, che Sartwell vuole correggere. Il potere immediatamente amerà il pragmatismo? Persino il Rasoio di Occam, che postula nei problemi la preferenza della soluzione più semplice, ha un background estetico[21]. Per accorgersene, basta metaforizzarlo tramite la linea “tutta dritta”.

Oggigiorno, ad attrarre l’elettorato è anche la “facile promessa” dell’autonomismo. Ma neppure questo vieta la millenaria “fagocitosi” del potere. Ad esempio, si prova a spostare un problema politico da Roma (la capitale d’Italia) a Venezia (il capoluogo del Veneto). Questo “scadrà” in un paradosso. Infatti si sposta il problema, e basta (senza risolverlo). Un costituzionalismo impolitico per estetologia sarebbe molto attento alla singola persona, avente lei attitudini, desideri, meriti, convinzioni ecc… da amalgamare con gli Altri. Questo sul serio impedisce il paradosso di bloccarsi in migliaia di sovranismi od autonomismi, i quali “litigheranno” sempre fra di loro. E’ il minimo comun denominatore del plato-hobbesismo a funzionare male in politica. Esteticamente, possiamo contestare il “chiudersi” nell’autonomismo. Questo nel Duemila ci pare sconfitto, anche solo da un commento a mezzo social-network (quando si collegano contemporaneamente gli utenti da tutto il mondo). Ci serve un costituzionalismo diverso, in accordo ad un comunitarismo più predisposto per gli “sconfinamenti”.

Una deriva dell’autonomismo che s’avvicina al singolo uomo è quella del federalismo. Qualcosa che pare ragionevole ed utile esteticamente. Il singolo cittadino desidera “vedere” dove lo Stato gli reinveste le tasse. Ma questo andrà reso creativo < per > lui, non in autonomia < da Roma, se a Venezia >. Attraverso il federalismo, più facilmente l’individuo controllerebbe da solo l’efficienza dell’erario. Così, egli accetterebbe persino la tassazione alta! Di contro, l’autonomismo inutilmente rimane “fermo” al piano d’una divisione politica (fra chi detiene il potere e chi no). Questo mistifica una vera de-territorializzazione. Soprattutto in Europa, servirebbe un “costituzionalismo unitario”, in grado di rispondere direttamente ai “bisogni” dei singoli cittadini. Qualcosa che amministrasse in via impolitica, e da principi continuamente creativi (mai a “fossilizzarsi” in un potere), nella loro libertà di “de-territorializzarsi” per gli Altri. L’autonomismo sbaglia, secondo l’estetologia, pure in quanto è fin troppo facile dividersi, o comunque distanziarsi. Questo non sembra creativo, anzi un po’ da “furbi” e forse “kitsch” nella sua banalità. Anche il populismo mistifica il potere, attraverso il pragmatismo.

Il neo-costituzionalismo estetologico avalla certamente una riforma del parlamentarismo. Conterà rinunciare al pregiudizio d’una vittoria, ad esempio col 40% dei voti, come mediamente avviene in Italia. Il neo-costituzionalismo estetologico preferirà che “si pareggi” creativamente. Sappiamo che molti astensionisti in Italia accusano il bipolarismo di permettere unicamente “vittorie di Pirro”, con le maggioranze di governo in “cronico” rischio di cadere per “ricatti” od “inciuci” vari. In chiave più positiva, tale “malessere” dell’elettorato ci dimostrerebbe che si comincia a “desiderare” un nuovo comunitarismo, anche oltre la sua politicizzazione. Secondo l’estetologia, a grandi linee noi percepiamo “tre toni d’animo”, in ordine neutralmente alfabetico:

  • Il conservatore
  • Il liberale
  • Il socialista

A questo siamo abbastanza abituati pure in Italia, nonostante il bipolarismo dei partiti tradizionali, od il tripolarismo dai movimenti anti-casta. Ovviamente, su alcuni temi in politica le convergenze possono diventare trasversali. In aggiunta, avremmo “tre tasti costituzionali”, sebbene in ordine volutamente non alfabetico:

  • La theoria
  • La praxis
  • La poiesis

A “pelle”, in politica ci riconosciamo in un geometrismo stranamente “sbilanciato”. Nessuno ha mai “pensato” a costituzionalizzare la poiesis, mentre per le altre combinazioni vale che:

  • In un rapporto democratico, ossia del tipo < 3-2 >, i “tre toni” al conservatore / liberale / socialista prevalgono sui “due tasti” al theoria / praxis
  • In un rapporto non democratico (sino all’ideologia), ossia del tipo < 2-3 >, i “due tasti” al theoria / praxis prevalgono sui “tre toni” al conservatore / liberale / socialista

La poiesis, volutamente classificata fuori dall’ordine alfabetico, è dunque chiamata a riequilibrare al meglio il potere democratico. La “scaletta” costituzionale otterrà il “pareggio impolitico” del < 3-3 >. Certo esistono i valori internazionali, da rispettare universalmente, come quelli che ineriscono alla dichiarazione dei diritti umani. La poiesis in politica si candiderà a ricombinare creativamente una Costituzione. Questa infatti può apparirci:

  • liberale, socialista e conservatrice
  • Anche liberale, anche socialista ed anche conservatrice

La sottolineatura fenomenologica è molto importante. Nel secondo caso, avente gli < anche >, ciascun problema da discutere in parlamento dovrebbe ricevere tre proposte (una liberale, una socialista ed una conservatrice) da amalgamare od “armonizzare” assieme. Conseguentemente, si farebbe cadere il millenario pregiudizio d’una maggioranza. Le tre direzioni del conservatore / liberale / socialista avrebbero una sola esecuzione, costantemente alla sua ri-combinazione. In via ontologica, “s’attaccherebbe” la metafisica del Potere. All’esistenzialismo, noi siamo “condannati” a decidere. Ma nessuno teoricamente obbliga a farlo attraverso il 51% dei voti in maggioranza, se basterebbe un 33% di liberalismo + un 33% di socialismo + un 33% di conservatorismo. La media al comunitarismo per un “terno d’anime” cambierebbe il successivo costituzionalismo, e togliendovi l’esasperazione d’un potere. Esiste la democrazia politica, ma esiste anche la democrazia estetica. Ad esempio, si potrebbero sostituire:

  • La maggioranza con l’armonizzazione
  • Il potere con la creatività
  • Il governo con la scoperta
  • La legislazione con l’evento

Platone, al di là del suo moralismo, avrebbe dovuto sviluppare la mania fra le Idee a creatività < sul > diverso, anziché una repubblica fra le Idee a governo < del > diverso. Da 3000 anni, la civiltà “si butta via” alla politicizzazione d’un comunitarismo. Citando Heidegger, abbiamo “promosso” il genitivo dell’Essere (< potere >) sacrificando ad esso il condizionale sull’Essere (< potremmo >). Si deve recuperare un pensiero forte, mediante l’estet-ontologia. In questo, la Verità ci richiede una creatività continua sul vissuto. Nel caso specifico d’una “polemica” in parlamento:

  • Un conto è incartare (come fa Socrate rispetto ai suoi “allievi”, oppure alla metafora bianca del Sole che “abbaglia”, da Derrida[22])
  • Un altro conto è incartare creativamente, perché allora la “costrizione” a prendere una decisione avrà perduto il potere dell’autogiustificazione (e comunque senza la “debolezza” del relativismo)

In parlamento, immaginiamo che valga la “miniatura” costituzionale per… una logica del senso all’esistenzialismo dell’Essere. Concretamente, là serve una divisione dei seggi che rispetti il “terno d’anime” (alle coalizioni dei socialisti, dei conservatori e dei liberali). Citando Deleuze, vi potremo adattare una legislazione “incartata” all’evento, verso una logica del senso per l’esecutivo[23]. Va completamente rinnovata la percezione dei partiti. Per il neo-costituzionalismo estetologico, serve una citazione da Kant:

  • Centrodestra (destra) e centrosinistra (sinistra) sono “estesi” in un sistema, giacché non aggiungono nulla al 51% d’una loro maggioranza, mentre avviene la politica analitica a priori
  • Né di centro, né di destra, né di sinistra sono “pesanti” in un antisistema, giacché aggiungono qualcosa al 51% d’una loro maggioranza, mentre avviene la politica sintetica a posteriori
  • I liberali centreggiano (“biancheggiano”), i socialisti sinistreggiano (“rosseggiano”), i conservatori destreggiano (“nereggiano”) in una de-territorializzazione, giacché allargano virtualmente il 33% d’una loro minoranza, mentre avviene l’estetica politica a formatività

Negli ultimi anni, in Italia abbiamo conosciuto la seconda soluzione, grazie “all’esplosione” dei movimenti anti-casta. Si può prevedere che in futuro, conclusosi il paradigma della Guerra Fredda, arriveremo all’estetica politica per formatività. Deleuze per la logica del senso cita il vezzeggiativo. Esso favorisce la nostra percezione dell’evento, in cui qualcosa si presta alla sua conoscibilità. Per il pragmatismo della politica, accettare una sensibilità (liberale, socialista o conservatrice) farebbe “maturare” la coscienza civica. Attualmente, uno dei problemi peggiori riguarda il pericolo per il surriscaldamento del pianeta. Ma non è mai esistito, nella storia umana, un costituzionalismo che si basi sul clima. Se prima accettassimo di rispettare il “terno d’anime” in politica (la conservatrice, la socialista e la liberale), allora accresceremmo una sensibilità verso l’ecologismo. Per dimostrarlo ricorriamo alla fenomenologia. La politica “si blocca” sui poteri. Tuttavia il clima ha le variazioni, e quelle necessitano del formativo, del creativo, dell’estetologico. Conseguentemente, ci servirebbe un costituzionalismo che si ri-combinasse, ad “instillare” una sensibilità per l’ecologismo. A questo arriviamo se i ministri non detengono un Potere, bensì letteralmente scoprono un Potremmo.

Ma come possiamo materialmente de-territorializzare un parlamento? Gli “animi” dei liberali, dei socialisti e dei conservatori secondo la fenomenologia strettamente non si governano, in quanto si amalgamano. Per quelli, valgono le “sfumature” al condizionale. Ma il pregiudizio sul potere (al 51% d’una maggioranza) finisce per “fossilizzare” ogni sensibilità, alla sua contraddizione. In Italia non assistiamo quasi mai alla conclusione “regolare” d’una legislatura. Il centrodestra va in crisi per le “incomprensioni” fra l’ala liberale e l’ala conservatrice; il centrosinistra va in crisi per le “incomprensioni” fra l’ala liberale e l’ala socialista. Certamente la politica tende a secolarizzarsi. In futuro, col costituzionalismo estetologico, la società civile avrà una tesi “forte” di creatività come antitesi dal “debole” immaginario. Di nuovo, si tratta di “caricare” sul simulacro attuale un “sano” ontologismo, ed in accordo col progresso tecnologico.

Ma è meglio la maggioranza che governa, o la minoranza che crea? La seconda ha un vantaggio: l’accettare serenamente che all’incirca le idee di ciascuno rappresentano solo il 33% del suo Paese. Secondo la fenomenologia, il sistema plato-hobbesiano della politica spinge a:

1) Attaccare (qualcuno o qualcosa)

2) Difendere (qualcuno o qualcosa)

Ci vuole un sistema estetico, sin qui mai costituzionalizzato, il quale diversamente spinge a:

1) Creare (qualcuno o qualcosa)

2) Ri-creare (qualcuno o qualcosa)

La “svolta” nella politica mondiale avverrà quando impareremo che non serve sconfiggere il nostro avversario, siccome ci basta incartarlo (mediante le ri-combinazioni de-territorializzanti). Possiamo fare un esempio “calzante”, citando un altro problema oggi dibattuto: quello dei migranti. Certo ci serve partire dal comunitarismo impolitico per estetologia:

  • Alle elezioni, i singoli partiti dovrebbero presentarsi internamente divisi in un 33% di liberali, un 33% di socialisti ed un 33% di conservatori (in maniera tale da “allenare” alla prima armonizzazione, sui loro programmi)
  • Il parlamento assegnerebbe un 33% di seggi ai liberali, un 33% di seggi ai socialisti ed un 33% di seggi ai conservatori (in maniera tale da cancellare “un’ossessione” di raggiungere l’agognata maggioranza)
  • La Costituzione imporrebbe una legislazione il più creativa e ri-creativa possibile (mentre dalla dialettica parlamentare “emergerebbero”, necessariamente, i politici migliori)
  • Innanzi ai “vari problemi” da affrontare, si manterrebbe sempre la divisione al 33% dei seggi (a favorire un’equipe, senza snaturare la propria “anima”)

Ad esempio, in merito all’immigrazione:

  • La proposta socialista potrebbe concentrarsi sugli aspetti relativi al lavoro (per evitare la disoccupazione delle persone)
  • La proposta conservatrice potrebbe concentrarsi sugli aspetti relativi al controllo (per evitare lo spreco del denaro pubblico)
  • La proposta liberale potrebbe concentrarsi sugli aspetti relativi all’educazione (per evitare la ghettizzazione delle città)

Dunque, si riesce ad “incartare” favorevolmente il proprio avversario. A vincere è unicamente la Costituzione, con la legislazione ri-creativa, e per il bene del Paese. La singola proposta potrà avere una propria “fermezza”, quantunque in amalgama col ri-combinativo generale. In luogo d’una maggioranza sempre “ballerina” (a causa dei “ricatti”, fra i pochi parlamentari decisivi per i voti approvanti), si costituzionalizza l’armonizzazione di tre “anime”: la liberale, la conservatrice e la socialista. Un chiudersi nella “sensibilità” personale diviene alla lunga superabile, sotto la dialettica parlamentare:

1) Una proposta liberale può apparire in se stessa più o meno rigida

2) Una proposta conservatrice può apparire in se stessa più o meno rigida

3) Una proposta socialista può apparire in se stessa più o meno rigida

Ma questi sono già tre modi (i quali “girano intorno” < tra > di loro). Amalgamandoli, la loro rigidezza si renderà più “sopportabile”, in quanto spostatasi verso una creatività ri-combinativa (o dell’impolitico). Nel liberalismo, nel conservatorismo e nel liberalismo le differenze inconciliabili cadono se evitiamo di “scheletrizzarle” al potere. Di nuovo lo capiamo dall’esistenzialismo, perché è diverso dire:

  • Io e lui non andiamo d’accordo politicamente
  • Io e lui non andiamo d’accordo politicamente, innanzi ad una “partita di scacchi”

Nel secondo caso, l’autogiustificazione d’un potere naturalmente non esiste. Nel costituzionalismo vanno “caricate” le discipline all’impolitico: la psicologia, l’antropologia, la pedagogia, l’estetologia, il volontariato, l’esistenzialismo, la fenomenologia, la sociologia, l’arte ecc… Al circolo scacchistico possiamo trovare una presidenza. Ma quella è “più sopportabile” dai vari soci, in quanto lontana dal governare, non avendo nulla su cui “irrigidirsi”. La grande utilità del costituzionalismo per de-territorializzazioni si dà impedendo spontaneamente il populismo, la demagogia, l’estremismo od il fondamentalismo. Mancando “l’ossessione” per la maggioranza da superare, non ci si presenta più alle elezioni “sparando” la prima “ideuzza” che passa in testa… Purtroppo la sinistra marxista predilige da sempre il materialismo storico (che si conclude nella politica), e mai la territorialità ontologica (che si re-invia nell’estetica). E’ il background hegeliano che va finalmente respinto:

  • Da un lato, abbiamo una dialettica del tipo Tesi – antitesi – sintesi, tramite cui la libertà intellettuale s’auto-giustifica in un Potere materialistico
  • Dall’altro lato, abbiamo una dialettica del tipo Terra – estetica – Mondo, tramite cui la creatività sensibile giustifica l’alterità in un Potremmo ermeneutico

La seconda è positivamente all’approfondimento heideggero-deleuziano. Caricando l’ontologismo d’una creatività, comunque arriveremo a solidarizzare. E’ il “piano” corretto per migliorare anche il capitalismo. Si metterà la creatività (da un potere formativo) prima della libertà (da un potere fossilizzante), e comunque s’arriverà a “solidarizzare” con gli Altri.


Bibliografia consultata:

  • BACHELARD, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999
  • DELEUZE, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1997
  • DELEUZE, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2017
  • DELEUZE, Mille piani, Castelvecchi, Roma 2006
  • DERRIDA, Margini, Einaudi, Torino 1997
  • DUSO, Il potere, Carocci, Roma 1999
  • FOUCAULT, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 2011
  • HEIDEGGER, Concetti fondamentali della metafisica: mondo, finitezza, solitudine, Il Melangolo, Genova 1999
  • HEIDEGGER, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1997
  • HEIDEGGER, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1997
  • RANCIERE, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007
  • RANCIERE, La partizione del sensibile: estetica e politica, DeriveApprodi, Roma 2016
  • RICOEUR, La metafora viva, Jaca Book, Milano 2001
  • SARTWELL, Political aesthetics, Cornell University Press, Ithaca 2010

[1] M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 31

[2] G. DELEUZE, Mille piani, Castelvecchi, Roma 2006, p. 488

[3] M. HEIDEGGER, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1997, p. 35

[4] M. FOUCAULT, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 2011, p. 249

[5] M. HEIDEGGER, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1997, p. 36

[6] J. RANCIERE, La partizione del sensibile: estetica e politica, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 14

[7] J. RANCIERE, La partizione del sensibile: estetica e politica, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 29

[8] G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1997, p. 323

[9] G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1997, p. 99

[10] G. DELEUZE, Mille piani, Castelvecchi, Roma 2006, p. 39

[11] M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali della metafisica: mondo, finitezza, solitudine, Il Melangolo, Genova 1999, p. 222

[12] M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 67

[13] P. RICOEUR, La metafora viva, Jaca Book, Milano 2001, p. 377

[14] G. BACHELARD, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999, p. 13

[15] J. RANCIERE, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007, p. 10

[16] G. DUSO, Il potere, Carocci, Roma 1999, p. 19

[17] J. RANCIERE, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007, p. 37

[18] J. RANCIERE, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007, p. 115

[19] C. SARTWELL, Political aesthetics, Cornell University Press, Ithaca 2010, p. 2

[20] C. SARTWELL, Political aesthetics, Cornell University Press, Ithaca 2010, p. 50

[21] C. SARTWELL, Political aesthetics, Cornell University Press, Ithaca 2010, p. 58

[22] J. DERRIDA, Margini, Einaudi, Torino 1997, p. 314

[23] G. DELEUZE, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2017, p. 13


Paolo Meneghetti

Paolo Meneghetti, critico d’estetica contemporanea, nasce nel 1979 a Bassano del Grappa (VI), città dove vive da sempre. Laureato in filosofia all’Università di Padova (nel 2004), egli ha scritto una tesi sull’ estetica contemporanea, in specie allacciando l’ ermeneutica di Vattimo alla fenomenologia francese (da Bachelard, Bataille, Deleuze, Derrida). Oggi Paolo Meneghetti scrive recensioni per artisti, registi, modelle, fotografi e scrittori, curando eventi (mostre o conferenze) per loro, presso musei pubblici, fondazioni culturali, galleristi privati ecc... Egli in aggiunta lavora come docente di Storia e Filosofia, presso i licei del vicentino.

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