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Popper e la crescita della conoscenza

DorianKBandy, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Una lettura, critica negli intenti, ma purtroppo ancora frammentaria, del contributo che la razionalità critica ha dato e continua a dare ad una epistemologia della “crescita della conoscenza”

Introduzione

Uno dei punti, a dire il vero rarissimi, che sembrano accordare una buona parte degli epistemologi cimentatisi nell’arduo compito di valutare criticamente il pensiero popperiano, o almeno quei pochi che io ho avuto l’occasione di conoscere, può essere a mio avviso facilmente riconosciuto nel piglio con cui il filosofo viennese viene da questi affrontato. Proprio in questo caso uno strumento eccezionalmente accessibile e semplice, come l’indice, che già  può concederci ,se ben valutato, un ottimo colpo d’occhio sull’indirizzo generale di qualsiasi testo, risulta esserci particolarmente d’aiuto per individuare sin da subito i punti cardine della critica filosofica. Una delle più complete antologie redatte su questo autore[1] inaugura una serie di articoli, rivolti a Sir Karl da una serie scelta di critici, con un saggio dal titolo: “Popper and the Vienna Circle” redatto da Viktor Kraft[2]. È singolare notare che sin da subito si inaugura quello che poi sarà un leitmotiv di molti altri approcci al medesimo problema, i rapporti fra Popper ed il Circolo di Vienna vengono confermati e smentiti al contempo proprio nelle prime righe del saggio:

“Popper never belonged to the Vienna Circle, never took part in its meetings, and yet cannot be thought of as outside it. Already in my 1950 article dealing with the Vienna Circle I found it necessary to refer to him repeatedly. On the other hand, Popper work cannot be genetically understand without reference to the Vienna Circle.[3]

Se noi sin d’ora ci limitassimo a questa breve, quanto autorevole[4], testimonianza ci risulterebbe più che intuitivo associare Popper ai membri ed all’indirizzo filosofico del Wiener Kreis. Di certo volendo sostenere un simile punto di vista non incontreremmo grossi impedimenti lungo la nostra strada, ma tuttavia nel percorrerla saremmo sin da subito costretti a registrare l’esistenza di un folta popolazione di interpretazioni e testimonianze, alcune più autorevoli di altre ovviamente, pronte ad attestare l’esatto contrario. Il saggio da poco citato può in questo caso ben assumere il ruolo di valido esempio. Se infatti si prosegue la lettura del presente articolo sino alla risposta che Popper gli dedica non potremo fare a meno di incontrare la seguente affermazione:

“When later, under the influence of Wittgenstein and Carnap and, I suppose, the Ernst Mach Society, Schlick and Feigl gave up realism and adopted something like “neutral monism ”(Feigl of course, later returned to realism), I was really disappointed.It was this issue, realism, which divided me most strongly from the Vienna Circle; and I do not think that Kraft has stressed this point.[5]

Non sarà complicato notare ora che le citazioni da me scelte non possono essere situate sul medesimo piano critico, difatti potremmo subito sottolineare come la dichiarazione di Kraft tenda a sottolineare un parallelismo soltanto su basi storiografiche, comunque contingenti, mentre invece la risposta dataci da Popper intenda marcare una differenza d’ordine teorico. Proprio questa differenza sostanziale, qui rappresentata in piccolo, esemplifica in modo magistrale i due problemi che è necessario affrontare per stabilire, oppure negare, l’esistenza di una netta demarcazione fra il Neopositivismo Logico del Circolo di Vienna ed il Razionalismo Critico di Karl Popper[6].Veniamo, infatti, messi ora di fronte a due differenti domande:

Le somiglianze, come le differenze, fra il Circolo di Vienna e Popper possono essere ridotte a mere contingenze storiografiche ?

Ed ancora:

Esistono gli elementi per attestare una genuina distanza teorica fra i due approcci alla filosofia della scienza ?

Sebbene la prima di queste domande costituisca un affascinante problema storiografico, percorso più e più volte dalla critica, affrontarlo a dovere mi porterebbe fin troppo lontano. Non mi rimane dunque che  concentrarmi sul secondo dei problemi già messi in evidenza, rivolgendo la mia attenzione verso quei concetti, o quelle indicazioni teoriche, che ci consentano di tracciare la demarcazione tanto agognata e che, auspicabilmente, ci forniscano anche una valida chiave interpretativa rispetto alle differenti posizioni filosofiche assunte sia da Popper che dai suoi antagonisti nel corso degli anni. Nell’intenzione di mantenere quest’indirizzo di studio prenderò dunque spunto da alcune affermazioni di Marcello Pera, contenute nel suo Popper e la Scienza su Palafitte, concentrandomi sulle comunanze, oltre che sulle inevitabili differenze, non più storiografiche ma teoriche esistenti fra Popper ed il Circolo di Vienna. Mi dedicherò poi ad una valutazione, in chiave Popperiana, della Teoria dell’evoluzione di Darwin che mi condurrà, in conclusione, a valutare le eventuali concordanze fra l’analisi che Popper ci restituisce della Teoria sopra indicata, i programmi di ricerca metafisici[7]e l’espistemologia evolutiva suggeritaci dal filosofo viennese. Ovviamente non anticipo sin d’ora le conclusioni, perlomeno nella speranza di mantenere quel minimo di suspense necessaria ad introdurre il prossimo paragrafo.

1. Un debito Neopositivista

Eludere i problemi sollevati dalla ricerca storiografica non ci esime però dall’ammettere, data l’evidenza del caso, una reciproca e proficua influenza fra la produzione filosofica del Circolo di Vienna, composto del resto da influenti intellettuali di varia estrazione accademica, ed i capisaldi dell’epistemologia Popperiana. Ciò risulta anche più ovvio se consideriamo  il fatto che Popper è più giovane di almeno dieci anni rispetto ai membri del Circolo, dunque egli si è trovato a vivere buona parte della propria formazione, non soltanto filosofica, sotto l’influenza delle idee di questi ultimi. Tuttavia questo genere di linea conduttrice non ci permette di rispondere al quesito già posto in apertura, ovvero :

Esistono gli elementi per attestare una genuina distanza teorica fra i due approcci alla filosofia della scienza ?

Per ogni domanda esistono per certo due generi di risposte, una positiva ed una negativa, prendere in considerazione, in questo caso, già una delle due posizioni ci aiuterà non poco ad inquadrare il problema ed a individuare quali siano gli aspetti filosofici maggiormente coinvolti. Marcello Pera, ad esempio, conduce, nel suo libro “Popper e la scienza su palafitte”,un intensa analisi della storia del razionalismo popperiano, avvedendosi sin dalle prime pagine del rapporto che il Neopositivismo intrattiene con la filosofia di Sir Karl, affermando:

“Se Reichenbach affida alla Filosofia della Scienza il compito di fornir una “ricostruzione razionale” non dei processi di pensiero nella loro occorrenza di fatto ma del loro “sostituto logico”, Popper allo stesso modo dice che la logica della conoscenza fornisce una “ricostruzione razionale” non dei “processi che entrano in gioco quando si stimola o si da sfogo a una ispirazione”, i quali interessano la psicologia empirica e non la logica”, ma dei “controlli successivi in seguito ai quali si può scoprire che l’ispirazione è una scoperta o diventa noto che è una scoperta.”[8]

L’autore poi, nel tentativo di riportare alcune delle premesse popperiane nell’alveo del Neopositivismo Logico, porterà avanti le seguenti affermazioni:

“Dunque l’impostazione neopositivista e l’impostazione popperiana coincidono perfettamente. Né vale , a segnare una differenza di rilievo su questo punto, rilevare che i neopositivisti erano interessati alla <<struttura della scienza>> e Popper invece alla <<crescita della scienza>>. Ciò è in gran parte vero, ma non toglie niente al fatto che l’analisi della dinamica, oltre che della statica, della conoscenza scientifica sia condotta da parte di Popper all’insegna di quella stessa impostazione logico-linguistica e anti-psicologistica che è tipica del neopositivismo.”[9]

Non vi sarebbe dunque, a detta di Pera, soltanto una comunione di intenti, perlomeno imputabile alle influenze dettate da una comune temperie culturale figlia di un particolare periodo storico; sussisterebbe invece una identità teorico-strutturale fra queste due epistemologie, se non metodologica. Prendendo però nuovamente in considerazione le premesse già delineate in apertura, non posso che sollevare più di un dubbio di fronte alla prospettiva indicatami da Pera.

Possiamo infatti annullare la distanza esistente fra Popper ed il Wiener Kreis assumendo semplicemente una sostanziale vicinanza fra gli approcci metodologici scelti, riconoscendo cosi in Popper ben più di una semplice debito di scuola verso in Neopositivismo Logico ed i suoi maestri ?

Popper ha sempre quindi silenziosamente accettato il logicismo del Circolo di Vienna ponendo di fatto la logica a fondamento del proprio sistema ?

Un’idea simile può certo risultare persuasiva e forse anche piuttosto ovvia, se torniamo alle considerazioni fatte nelle prime righe,  tuttavia è necessario operare qui una solida analisi di quale sia la reale importanza che il padre del falsificazionismo affida all’analisi logico-linguistica ed al valore fondativo che i risultati della presente analisi potrebbero avere. Tralasciando ora gli innumerevoli avvertimenti, d’ordine spesso ben poco filosofico, lasciatici da Popper a riguardo, possiamo operare già da subito una iniziale cesura prendendo come esempio una delle prime tappe del pensiero di Popper. Egli difatti già nella sua tesi di dottorato[10] rifiuta la possibilità a priori d’una riduzione dei processi psicologici nei termini di quelli fisici[11], sostenendo che la possibilità di una simile determinazione porterebbe di fatto a <<valicare i limiti posti dalla ricerca empirica>>[12]. La tesi del 1929 e, soprattutto, ne “I due problemi fondamentali dell’epistemologia” ci saranno però di maggior aiuto . Sarà infatti da qui che Popper inizierà a prendere seriamente in considerazione i nuovi problemi di filosofia della scienza sollevati dai filosofi del Circolo di Vienna e, di conseguenza, l’importanza che la Logica assume in rapporto a queste problematiche. Proprio la seconda delle due opere deve attrarre la nostra attenzione, sarà in essa infatti, nonostante l’intenzione di raggiungere un’impostazione deduttivista e anticonvenzionalista, che Popper adotterà il linguaggio e lo stile dei Neopositivisti. Sebbene questa prova possa essere assunta da alcuni entusiasti come geneticamente decisiva per sancire la definitiva parentela teorica fra i due approcci presi qui in esame, ci basti dire, per rispondere a questi ultimi, che Popper si renderà poi conto dell’effettiva impossibilità di soddisfare i propri intenti filosofici all’interno di una cornice teorica siffatta, data la possibilità di rispondere ai tentativi di falsificazione da lui delineati attraverso la formulazione di correzioni ad-hoc[13]. L’ultimo passo necessario a Sir Karl per slegarsi definitivamente dall’impostazione Neopositivistica sarà quello di ammettere l’esistenza di genuini problemi metodologici [14]all’interno delle teorie filosofiche sulla scienza, gli occorrerà << dunque adottare la regola metodologica in base alla quale anche gli asserti singolari, devono rimanere suscettibili di valutazione critica anche dopo che ne sia stato preliminarmente valutato il valore di verità>>[15]. Una simile impostazione rende inoltre possibile opporre una soluzione, di matrice metodologica anch’essa,m alle problematiche sollevate dalla Tesi di Duhem[16], basterà infatti imporre l’obbligo di non evitare le confutazioni attraverso ipotesi evidentemente costruite alla bisogna. Abbiamo quindi adesso a disposizione una buona quantità di dati utili a trarre le prime conclusioni. Se, dunque, Pera ravvisava nella somiglianza dello stile e degli strumenti logici utilizzati una ragione più che valida per poter inferire una stretta parentela teorica fra il falsificazionismo popperiano ed il neopositivismo del Circolo di Vienna, allora ciò di certo non segue dai casi che sopra riportati. Sebbene infatti, come ho già accennato, I due problemi fondamentali dell’epistemologia possa costituire un valido esempio della prospettiva illustrataci da Pera, troviamo anche in questa pubblicazione valide ragioni per respingerne le implicazioni. Innanzitutto è d’obbligo annoverare le premesse che l’autore si era dato. Ricordo infatti che Popper intendeva comunque rifiutare l’induttivismo optando invece per un più coerente metodo deduttivo[17] e che il filosofo viennese rifiuta sin da subito un’impostazione epistemologica soggettivistica e psicologistica[18], facendo cosi del proprio razionalismo ed antipsicologismo la propria bandiera. Mentre la prima di queste non necessità certo di presentazioni o dilucidazioni ulteriori, si possono azzardare alcune riflessioni interessanti sulla seconda premessa portata in evidenza. Il razionalismo e l’antipsicologismo costituiscono una parte importante anche nell’argomentazione di Pera, queste due ragioni costituiscono di fatto il suo colpo di grazia secondo il quale non dovrebbero essere sollevati ulteriori dubbi sulla possibilità di una sovrapposizione, perlomeno nelle loro fasi germinali, fra i due approcci filosofici presi da lui in esame. Tuttavia dobbiamo notare come queste due soluzioni filosofiche utilizzino certe nozioni che potremmo chiamare d’impostazione, oppure “metafisiche” in senso più ampio, in modi essenzialmente diversi. Il Neopositivismo garantisce, infatti, nella sua impostazione un primato fondativo allo strumento logico ed all’analisi del linguaggio[19], quest’ultima garantisce difatti la possibilità di un principio di demarcazione fra proposizioni dotate di senso e proposizioni prive di senso e la conseguente formulazione del criterio di verificabilità[20], solo in ultima analisi deriviamo quindi le caratteristiche razionali e non psicologiche delle proposizioni scientifiche cosi ottenute. Se invece adesso prendiamo in analisi la prospettiva Popperiana possiamo notare come la situazione sia simmetricamente ribaltata, sebbene qui infatti lo strumento logico e l’analisi logica del linguaggio costituiscano sempre un punto importante per la costruzione di una filosofia della scienza, noteremo subito che questi strumenti saranno non più fondanti dell’intero sistema metodologico ma seguiranno dalla definizione di quest’ultimo che a sua volta viene impostato dalla determinazione delle premesse “metafisiche”, anche chiamate “schemi di riferimento”, che invece il Neopositivismo considerava assicurate dall’uso della logica, dall’analisi del linguaggio e dal proprio principio di demarcazione. Sarà dunque la prescrizione metodologica a ricoprire il ruolo di protagonista, specialmente una volta superata l’impostazione de I due problemi ed abbracciate invece le soluzioni de La Logica della Scoperta Scientifica[21], rivelandosi nell’istanza di controllo costituita non solo dallo strumento logico ma anche da una nota deontologica, un tentativo di falsificazione delle congetture avanzate dallo scienziato deve essere, infatti, innanzitutto un tentativo “onesto”. È inoltre curioso annotare come Popper tacci i Neopositivisti, nello specifico Carnap e Neurath, del genere di psicologismo che Pera esclude. Popper  valuta infatti i protocolli[22] alla stregua di resoconti psicologici reintrodotti surrettiziamente nel linguaggio scientifico. Volendo quindi concludere prendiamo adesso in considerazione l’ultimo aspetto ritenuto inoffensivo da parte di Pera. La filosofia di Popper non potrebbe, secondo questo, predicarsi di originalità ricorrendo alla scusante che essa costituirebbe soprattutto una riflessione sulla “crescita della conoscenza”. Buona parte delle argomentazioni fin qui riportate non fanno menzione di questo particolare e questo non è un caso. Popper non menziona questa problematica ne I due problemi ma inizierà a costruirne le basi a partire dalla Logica della Scoperta Scientifica, attraverso le nozioni di corroborazione e verosimiglianza, sviluppandone poi alcuni aspetti[23] in Verità, razionalità e accrescersi della conoscenza [24]e realizzandone infine la generalizzazione in Verso una Teoria Evoluzionistica della Conoscenza[25]Già l’attenzione che Popper dedica al problema potrebbe suggerirci l’importanza che questo ricopre all’interno del suo sistema. Rimane tuttavia il dubbio se questa componente sia o meno necessaria all’intero paradigma popperiano o costituisca invece una sua componente accessoria. Evitando adesso di ripercorrere i medesimi passi di un già nutrito numero di produzioni filosofiche, opterò per una soluzione trasversale che tenti di illustrare il problema, oltre che la sua soluzione, attraverso l’analisi di una efficace[26] teoria scientifica, ovvero l’evoluzionismo Darwiniano, che fa proprio della crescita, o meglio del mutamento e dell’evoluzione, il proprio cardine concettuale. Le affinità superficiali fra quest’ultima e l’epistemologia Popperiana, soprattutto nella sua ultima generalizzazione[27], rimangono piuttosto ovvie, tuttavia vedremo come uno sguardo più attento sulla questione ci possa suggerire ulteriori spunti di riflessione, oltre che un valido collegamento agli argomenti precedentemente trattati.

2. L’evoluzione naturale delle specie, l’evoluzione metafisica delle idee.

La teoria dell’evoluzione delle specie postulata da Darwin nel 1858 con la pubblicazione, il primo di luglio, dell’Origine delle specie[28], ha costituito un radicale rovesciamento prospettico capace di portare conseguenze profonde anche in ambiti non del tutto vincolati alla storia naturale ed alla biologia. La ragione d’una simile reazione è contenuta nel principio stesso da cui si origina l’intera intuizione Darwiniana, la possibilità di un sistema adattivo ed evolutosi nel tempo. L’influenza del Darwinismo si è fatta sentire anche in ambito epistemologico, ma prima di sviluppare le riflessioni del precedente paragrafo ci sarà utile riepilogare alcuni tratti fondamentali di questo indirizzo teorico. Telmo Pievani in La teoria dell’evoluzione ci dice:

“Possiamo notare che l’explanandum della teoria dell’evoluzione si compone di due insiemi di fenomeni ben definiti: la diversità delle forme di vita e l’insieme dei tratti adattivi presenti negli organismi.”[29] 

Continuando possiamo aggiungere come queste diversità non si accumulino soltanto attraverso una reiterazione di schemi di comportamento[30], ma evolvano a partire da una situazione omologica attraverso un fenomeno si selezione dei singoli tratti in rapporto all’habitat in cui l’organismo si trova a vivere. In più l’evoluzionismo concede due piani di adattamento ed evoluzione differenti, separando il processo di sviluppo che coinvolge il singolo individuo ed il proprio singolo intervallo vitale (ontogenesi), rispetto alla trasformazione delle specie lungo migliaia di generazioni (filogenesi) e dunque lungo migliaia di variazioni avvenute nei singoli processi ontogenetici. Sebbene una simile prospettiva risulti ad occhi contemporanei come accettabile senza troppi patemi, una simile impostazione teorica nasconde più di una difficoltà. Non è un caso se, infatti, Popper nonostante avesse mostrato di apprezzare l’impostazione teorica dell’evoluzionismo, palesando il proprio interessamento in più occasioni, come in questo breve estratto:

“La mia Logik der Forschung conteneva una teoria della crescita della conoscenza per tentativi ed eliminazione degli errori vale a dire mediante la selezione darwiniana piuttosto che per opera dell’istruzione lamarckiana. Questo fatto (al quale accennai in quel libro) accrebbe, naturalmente, il mio interesse per la teoria dell’evoluzione.”[31]

Sia poi costretto ad emettere un giudizio analitico decisamente contro intuitivo. Il suo principio di falsificabilità quale principio di demarcazione consente di ammettere <<come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza>>[32], nel senso in cui è controllabile dall’esperienza soltanto un sistema falsificabile da asserzioni singolari. Il risultato che possiamo ottenere contrapponendo questo principio metodologico è lo stesso che ha ottenuto Popper, ovvero che la teoria evoluzionistica, specialmente nelle sue formulazioni iniziali, risulta empiricamente inconfutabile. Ciò è dovuto a due fattori: innanzitutto l’importanza che l’intervallo temporale ricopre all’interno della teoria, cosi ampio da impedirci di fatto di costruire un’insieme di asserti base che ci consenta di falsificarne i risultati[33] ed infine rimane da rendere conto dell’impossibilità di poter prevedere i processi evolutivi ed i cambiamenti operati da essi sia a livello ontogenetico che, a maggior ragione a livello filogenetico[34]. L’analisi dunque di un teoria che, facendo riferimento a spiegazioni che hanno reminescenze d’ordine statistico costruite in ordini di tempo quantificati in milioni di anni, porta quindi a risultati controversi. Secondo i risultati ottenuti dall’analisi Popperiana sarebbe infatti possibile rifiutare l’interno principio di demarcazione secondo la falsificabilità, bollandolo come inefficace; evidenziare la possibile falsità della teoria di Darwin; oppure procedere lungo la linea da esso tracciata accettando i suoi risultati e considerando quindi, come del resto fa Popper, l’evoluzionismo Darwiniano non più solo una mera congettura pseudo-scientifica, ma uno “schema di riferimento” che costituisca terreno fertile per la nascita di congetture scientifiche basate sui termini da esso dettati[35]. Il filosofo austriaco, optando per questa soluzione, ci indica qui un nome con cui indicare questi nuovi soggetti teorici. Egli li battezza “programmi di ricerca metafisici”[36], inserendoli di conseguenza nel novero delle teorie metafisiche non controllabili e influenti per i risultati scientifici[37]. Questi ultimi possono essere superficialmente definiti come sistemi <<solitamente articolati alla luce di alcuni principi generali (o metafisici) e di idee che indicano la natura delle ipotesi specifiche che dovrebbero essere escogitate per interpretare fatti esistenti e per essere sottoposte a controllo sulla base di ulteriori osservazioni o esperimenti>>[38], ma Popper non pare fornirci mai una sua definizione stringente, regalandoci però con la sua solita eloquenza più di un suggestivo passaggio e soprattutto un monito:

“Per quanto importanti siano stati per la scienza, questi programmi metafisici non devono essere confusi come le teorie controllabili che lo scienziato usa in maniera diversa. Da questi programmi egli deriva il suo scopo – ciò che egli considererebbe una spiegazione soddisfacente, una reale scoperta di ciò che è <<nascosto nel profondo>>. Sebbene siano empiricamente inconfutabili, questi programmi di ricerca metafisici sono aperti alla discussione; possono cambiati alla luce delle speranza che ispirano o delle delusioni cui possono venire ritenuti responsabili.”[39]

Dobbiamo però stare attenti a non cadere nel pregiudizio opposto. I PRM non sono totalmente schiavi dell’arbitrarietà di chi li ha formulati e debbono rispondere ad una costruzione logica, una “logica situazionale”, seppure non rigorosa, che consenta loro di costruire di fatto quel criterio qualitativo di “influenza” sulla scienza che Popper poc’anzi ha sottolineato. Questa cosiddetta “logica situazionale” opera senza implicazioni necessarie e solo attraverso la registrazione di regolarità nelle occorrenze di situazioni ben precise ed in parte già definite dallo schema di riferimento.  Il passo dunque dalla formulazione di questi principi all’applicazione di questi alla teoria evoluzionistica, ora riconosciuta come PRM, è breve ed infatti il filosofo viennese non ci nega una nuova definizione di essa alla luce della sua logica situazionale:

“Sia dato un mondo, uno schema di riferimento di costanza limitata, in cui ci siano entità di variabilità limitata. In tal caso, alcune entità prodotte dalla variazione (quelle che si “adattano” alle condizioni dello schema di riferimento) possono “sopravvivere”, mentre altre (quelle che entrano in conflitto con le condizioni) possono venire eliminate. Si aggiunga la supposizione dell’esistenza di uno speciale schema di riferimento – un complesso di condizioni abbastanza rare ed altamente individuali – in cui sia possibile la vita […] In tal caso si avrà una situazione in cui l’idea del tentativo e dell’eliminazione degli errori, ovvero del Darwinismo, diventa non solo applicabile, ma quasi logicamente necessaria.”[40]

Volendo riassumere i passaggi precedenti è possibile vedere come dall’affermazione di inconfutabilità di un riconosciuto sistema di congetture scientifiche si è giunti, attraverso il riconoscimento dei PRM e delle logica situazionale, a costruire uno schema di riferimento, comunque inconfutabile, capace però di influire positivamente sullo sviluppo delle congetture scientifiche. Se rivolgiamo ora la nostra attenzione proprio all’ultima definizione citata, possiamo notare come semplicemente cambiando i termini in gioco nell’ultima definizione, oltre che eliminando gli elementi più specifici dell’evoluzione delle specie, sia possibile descrivere uno insieme di regole, corrispondenti ad uno schema di riferimento, capaci di costruire un sistema capace di postulare la possibilità di un approccio evoluzionistico all’epistemologia, dove le teorie scientifiche sopravvivano o si estinguano a seconda del fallimento o meno dei tentativi di falsificazione originatisi dal confronto con lo schema di riferimento e con altre teorie scientifiche. Sebbene infatti l’esperienza passata abbia dimostrato l’impossibilità di confezionare una norma rigorosa che riesca a descrivere l’andamento delle teorie scientifiche, ciò non toglie che la medesima compito non possa intraprenderlo un PRM accuratamente formulato attraverso e secondo una logica situazionale che, seppur non confutabile da asserti empirici, possa concedere spazio per lo sviluppo ed il controllo di congetture più rigorose su di esso basate. Del resto lo stesso Popper afferma:

Se dovesse essere accettabile la mia concezione della teoria Darwiniana, potremmo spiegare la strana rassomiglianza tra la mia teoria della crescita della conoscenza e il Darwinismo: entrambe sarebbero dei casi di logica situazionale.[41]

Tuttavia le analogie fra l’epistemologia Popperiana e la Teoria dell’Evoluzione non si fermano qui, il confronto infatti con l’articolo di Donald Campbell, contenuto all’interno dell’antologie The Philosophy of Karl Popper,ci offre un ulteriore prospettiva sulla questione ponendo l’accento su numerosi elementi a favore di un parallelismo fra evoluzionismo biologico ed epistemologico. Innanzitutto possiamo sottolineare come Campbell nel suo saggio di riferisca ad sistema di “blind-variation-and-selective-retention” che, in sintesi, si può affermare muova da una posizione, in accordo con le soluzioni di Popper, riguardanti un mondo reale e sconosciuto dagli enti che ricercando in esso. La conoscenza non può far altro che avanzare attraverso tentativi “ciechi” e non casuali ma situazionali; ciechi nella misura in cui sono le nostre conoscenze passate, oltre che le nostre disposizioni metafisiche, ad indirizzare in parte la nostra ricerca operata tramite una percezione indiretta del mondo; e situazionali grazie al novero di condizioni rese possibili dallo schema di riferimento. L’esempio portato da Campbell a sostegno di quest’idea è l’analisi dei fenomeni che hanno condotto alla comparsa degli organi ciliati negli organismi unicellulari. Queste forme di vita, ai loro albori, hanno dovuto obbligatoriamente operare una ricerca spaziale del loro ambienti operata in modo indiretto[42]e cieco[43], trovandosi quindi nella necessità di sviluppare un organo di senso capace di soddisfare sia il bisogno di spostarsi che quello di raccogliere informazioni. Un punto di partenza che prendesse in seria considerazione questo genere di risultati potrebbe avvalorare quindi la critica Popperiana nei confronti dell’apprendimento induttivo[44]. Ciò a causa del fatto che questi premetterebbero la possibilità, anzi la necessità, di una ricerca scientifica operata su basi assolutamente non determinate a priori permettendo di muovere gli sforzi della scienza, oltre che della ragione critica in genere, verso congetture che, vantando sia un basso tasso di probabilità[45] che un elevato grado di sopravvivenza a controlli sempre più severi[46], riuscirebbero a creare un tangibile progresso e quindi una crescita della conoscenza. Sempre in questa direzione possiamo registrare l’ulteriore spunto che Campbell ci offre in relazione allo sviluppo degli organi di senso. L’occhio, ad esempio, in questo caso si inserisce nella ricetta evolutiva come conseguenza di un principio di minimo che richiede all’organismo di contenere al minimo possibile il proprio dispendio di energie in rapporto all’esecuzione di qualsiasi compito, esplorazione ed apprendimento inclusi. L’occhio permette quindi all’organismo di ottimizzare il proprio apprendimento riducendo al contempo le energie spese data che a parità di spazio di ricerca l’occhio si rivela molto più efficace delle ciglia batteriche[47]. Un criterio che, con una breve digressione, potremo ben avvicinare ai criteri di semplicità ed eleganza tanto sbandierato in sede di valutazione di una nuova ipotesi scientifica. Tuttavia ciò che, in questo, ci interessa di tali riferimenti all’evoluzione degli organi sensoriali non sono solo le somiglianze che esse hanno con la particolare epistemologia oggetto di discussione in nquesto articolo, ma i riferimenti che Campbell spesso fa a alla “realtà” ed all’oggettività” delle informazioni che gli organismi riescono a ad accumulare tramite l’esperienza. Questi termini metafisici ricorrono spesso nel testo e ci fanno notare come il legame fra le ipotesi scientifiche ed uno schema di riferimento sia più che mai forte, soprattutto nel momento in cui si debbono interpretare i dati della scienza nell’intenzione di voler costruire una critica della conoscenza. Porre inoltre l’attenzione su questi elementi ci fa notare come, pur inserendosi all’interno del medesimo contesto pre-scientifico di questi schemi di riferimento e, ovviamente, anche dei PRM, termini come realismo o  indeterminismo assumono uno status ed un ruolo ben differenti rispetto a quello dei già citati PRM. Possiamo ora facilmente notare come i PRM possano inseriti all’interno di un contesto metafisico attivo che soggiace allo sviluppo delle teorie scientifiche e che ne indirizza il corso. Un contesto capace, attraverso l’assunzione di principi inconfutabili ,ma scientificamente prolifici, di realizzare quell’universo di propensioni che Popper aveva già filosoficamente riconosciuto attraverso la sua particolare teoria propensionale della probabilità e poi ulteriormente generalizzato applicando l’intuizione fondante di quest’ultima ad una teoria della conoscenza[48]. Se dunque noi ora torniamo alla definizione in termini di logica situazionale che Popper ci ha dato[49] diventa chiaro come le propensioni vi si inseriscano completandola. Una disposizione dei singoli organismi partecipanti all’esplorazione ed alla conoscenza del mondo può, in certa misura ovviamente, ricondursi benissimo ad una formulazione preliminare dell’interpretazione propensionale della probabilità, eludendo però l’intera parte relativa al calcolo[50]. Come in precedenza avevamo condotto un parallelo fra l’evoluzionismo a la Popper e la sua epistemologia anche in questo caso non faremo eccezione. L’analogia con il mondo dell’evoluzionismo conduce allo schema di riferimento ed a una logica situazionale[51], gli agenti possono essere identificati dalle teorie sottoposte al controllo dello schema di riferimento e dai tentativi di falsificazione generativa quest’ultimo come da altre teorie, infine possiamo adesso aggiungere le propensioni identificabili grossolanamente con il grado di corroborabilità di una congettura, o probabilità di una ipotesi[52]. I PRM avranno quindi adesso una collocazione all’interno dello schema di riferimento che consenta loro di essere attivamente influenti sullo sviluppo delle teorie scientifiche. Non costituiscono quindi solo un insieme di requisiti metafisici ma collaborano allo sviluppo delle congetture attraverso tentativi di falsificazione e costruiscono quell’insieme di propensioni e disposizioni capace di indirizzare questo sviluppo in una direzione che implichi una crescita di contenuto delle congetture e dunque una crescita della conoscenza. Compreso ciò possiamo ora vedere come la progressiva individuazione e trattazione delle analogie con l’evoluzionismo dell’ epistemologia Popperiana ci hanno gradualmente illustrato come la prospettiva di una crescita della conoscenza non sia in realtà un espediente metafisico accessorio di quest’ultima e come, anzi, costituisca una componente fondamentale di quel PRM che è di fatto l’intero sistema filosofico dell’epistemologo viennese. Ciò detto non di resta che tirare da queste conclusioni le debite somme aggiungendo in chiusura alcune riflessioni.

3. Conclusioni e spunti per ulteriori riflessioni

Una chiosa sintetica non sarebbe certo ora particolarmente ardua. Se avevamo infatti intaccato la possibilità d’una comunione fra le prospettive epistemologiche Neopositiviste e quelle Popperiane nel primo paragrafo, possiamo ora sventare del tutto un tentativo simile  escludendo persino la possibilità che i costrutti metafisici, i PRM, di queste due teorie filosofiche possano essere lontanamente compatibili. L’evoluzionismo ci ha permesso di evidenziare tutte quelle note metafisiche che pervadono l’opera del filosofo viennese, mettendo inoltre a fuoco il ruolo attivo che queste svolgono all’interno della sua soluzione epistemologica. I PRM possono essere quindi individuati come strumenti metafisici validi e l’epistemologia Popperiana può, in certa misura, essere assimilato ad un programma di ricerca compostosi di congetture e volto allo sviluppo ed alla crescita della conoscenza, scientifica e non solo scientifica. Emendare da essa la prospettiva di una crescita della conoscenza non ci lascerebbe che con un pugno di assiomi e considerazioni tecniche. Certo potremmo criticare i PRM ravvisando in essi una pericoloso tendenza all’autosostentamento ed a divenire circolari. Dobbiamo infatti considerare problematicamente il fatto che essi siano costruiti con l’intenzione di promuovere una crescita della conoscenza e con la consapevolezza della loro inconfutabilità. Tuttavia Popper a questo ovviava attraverso principi metodologici che spesso sembravano più assumere la forma di una deontologia scientifica. I PRM non sono però rimasti soltanto esclusiva di Popper e la soluzione che ci propone il filosofo polacco Imre Lakatosc potrebbe fornirci una soluzione anche a quest’ultimo problema. Questi ci propone, infatti, dei Programmi di ricerca non più metafisici, ma scientifici[53]. I PRS di Lakatosc pur basandosi sempre su di una impostazione tesa alla crescita della conoscenza, anzi esaltandone in valore volendo fare  spesso e volentieri riferimento a segni più oggettivi di progresso[54], introducono un nuovo livello di definizione del problema attraverso il riferimento a regole euristiche (positive e negative) che costruirebbero, sostanzialmente l’attuale contenuto del PRS. I sistemi cosi costruiti quindi non sono più delle semplici costruzioni altamente speculative e non controllabili, ma divengono dei costrutti di stringenti norme metodologiche atte ad assicurare il progresso della conoscenza scientifica. Se quindi in Popper abbiamo dei PRM che costituiscono di fatto una metafisica catalizzatrice delle congetture scientifiche ma totalmente esterna ad esse, con Lakatosc adesso ci troviamo  a fronteggiare un nucleo teorico composto di asserti infalsificabili per decreto metodologico e circondato da una cintura protettiva di congetture verso cui potrà essere rivolto il modus tollens. Le differenze fra il sistema Popperiano e quello del polacco Lakatosc sono profonde, tanto da far si che il primo non possa più riconciliarsi col secondo[55]. L’impossibilità da parte di Lakatosc di poter rendere conto di uno schema di riferimento fallibile[56] a sua volta lo rende del tutto estraneo da quella prospettiva di evoluzionismo epistemologico tanto agognata dal filosofo viennese, rendendo forse meglio l’effettivo andamento dello sviluppo delle congetture scientifiche ma trasformando anche la decisione metodologica in un veto che rischia di attestarsi su posizioni al contempo troppo rigide e troppo permissive[57]. I PRM potrebbero dunque essere ancora un valido compromesso, sebbene, come abbiamo visto nel testo, rimangano forse ancora troppo vaghi, specialmente in riferimento a quei modi in cui questi dovrebbero influire sulla scienza, per costituire un effettivo valore aggiunto. Un primo aiuto nel tentativo di definire meglio i PRM può giungerci dalla distinzione che Popper stesso opera fra mondo 1, mondo 2 e mondo 3. Per maggiore chiarezza riprenderò esattamente le sue stesse parole:

“Se il mondo delle cose – o degli oggetti fisici – lo chiamiamo primo mondo, e il mondo delle esperienze soggettive (come i processi di pensiero) lo chiamiamo secondo mondo, il mondo delle proposizioni in sé possiamo chiamarlo terzo mondo.”[58]

Localizzare ora il mondo in cui potrebbero essere inseriti i P.R.M. può non essere cosa facile, seguendo però le argomentazioni Popperiane si possiamo ritrovare una ulteriore specificazione.

“I processi di pensiero di un uomo non possono né contraddire quelli di un altro uomo né i propri processi di pensiero in qualche altro momento; ma i contenuti dei suoi pensieri – ossia le proposizioni in sé – possono ovviamente contraddire i contenuti dei pensieri di un altro uomo.”  [59]

Caratteristica fondamentale dunque di una proposizione in sé e, più in genere, di membro del mondo 3 è quella di possedere una carica d’informazione tale da rendergli possibile negare un altro asserto. L’importanza, oltre a tutto, dell’informazione all’interno di enunciati metafisici è stata messa in risalto nel Poscritto, dove l’autore afferma :

“Benché un asserto (non tautologico) il cui contenuto logico è troppo piccolo non possa avere alcun contenuto empirico e sia perciò necessariamente metafisico, non vale il contrario : un asserto può essere metafisico (il che significa che il suo  contenuto logico controllabile  è zero) anche se può avere un alto contenuto logico.”[60]

Alla luce di questo si potrebbe dunque iniziare a supporre che i P.R.M., oltre che essere indicazioni metafisiche alla scienza, possano essere capaci di contraddire altri asserti di varia natura proprio in virtù del loro contenuto logico ed essere, a questo punto, passibili essi stessi di una contraddizione, non da parte di teorie scientifiche controllate ma da altri P.R.M. maggiormente corroborati [61]. Questa soluzione verrebbe  inoltre confermata, con la solita eloquenza, da Popper in Congetture e Confutazioni affermando :

Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o filosofica, è tale nella misura in cui cerca di risolvere determinati problemi. Una teoria è comprensibile e ragionevole solo in rapporto a una situazione problematica, e può essere discussa razionalmente solo discutendo tale rapporto. Se ora consideriamo una teoria come soluzione proposta per una insieme di problemi, essa si presta subito ad una discussione critica – anche se è non-empirica e inconfutabile. Possiamo infatti porre domande del tipo: risolve essa il problema ? Lo risolve meglio di altre teorie ? Si è forse limitata a spostarlo ? La soluzione è semplice ? È feconda ? Contraddice forse altre teorie filosofiche necessarie alla soluzione di altri problemi ? Interrogativi di questo tipo mostrano che è sicuramente possibile una discussione critica, anche per delle teorie inconfutabili.[62]

Mi permetto quindi il lusso di ritenere le parole dell’autore conclusive a riguardo. Gli spunti aggiunti al novero di quella che in origine era una conclusione ben più stringata costituiscono soltanto un accenno di quanto alla riflessione non ho potuto aggiungere. Lascio ora per nota finale nuovamente la parola all’autore protagonista di questo breve articolo, senza dubbio una penna ben più abile di quanto lo sia io.

Come accade coi nostri figli, cosi anche con le nostre teorie, e in ultima analisi con ogni opera che produciamo: I nostri prodotti diventano in ampia misura indipendenti dei loro artefici. Dai nostri figli, o dalle nostre teorie, possiamo guadagnare di più, quanto a conoscenza, di quanto ne abbiamo mai dato loro ed è cosi che possiamo sollevarci dalla palude della nostra ignoranza[63].


 BIBLIOGRAFIA 

  • Vincenzo Fano, Comprendere la Scienza, un’introduzione all’epistemologia delle scienze naturali, Liguori editore, Napoli 2005.
  • Karl R.Popper, La ricerca non ha fine (Autobiografia intellettuale), Armando editore, Roma 2002.
  • Karl R.Popper, Poscritto alla Logica della Scoperta Scientifica (Il realismo e lo scopo della Scienza),Il Saggiatore editore, Milano 1994.
  • Karl R.Popper, Logica della Scoperta Scientifica, Torino 1970;
  • Karl R.Popper, Congetture e Confutazioni, Il Mulino editore, Bologna 1972;
  • Karl R.Popper, Verso una teoria evoluzionistica della conoscenza, Armando editore, Roma 1994;
  • Marcello Pera, Popper e la Scienza su palafitte, Laterza editore, Bari 1981;
  • Paul A.Schilpp, The Philosophy of Karl Popper (Donald T.Campbell “Evolutionary Epistemology”, Karl R.Popper “Campbell on the Evolutionary Theory of Knowledge”), The Library of Living Philosophers, 1974;
  • Bibliotheca, Filosofia della Scienza (Charles R. Darwin “Tra esperienza e immaginazione: la teoria dell’evoluzione”, Imre Lakatos “La metodologia dei programmi di ricerca scientifici”), Raffaello Cortina editore, Milano 2002;
  • Telmo Pievani, Creazione senza Dio, Giulio Einaudi editore, Torino 2006;
  • Telmo Pieavani, La teoria dell’evoluzione, Il Mulino editore, Bologna 2006;
  • Mauro Dorato, Cosa c’entra l’anima con gli atomi, Laterza Editore, Bari 2007;
  • Dispense, “Lezioni di Filosofia della Scienza”, fornite dal Professor Claudio Pizzi e disponibili presso il portale “ProfBlog” raggiungibile tramite il sito internet della Facoltà di Lettere dell’Università di Siena;
  • Stefano Gattei, Introduzione a Popper, Laterza editore, Bari 2008;
  • Donald Gillies e Giulio Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, Laterza editore, Bari 2006.

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Andrea.zeppi@alice.it

 


[1] Paul Arthur Schilpp, “The Philosophy of Karl Popper, The Library of Living Philosophers”.

[2] Viktor Kraft (1880,1975) membro del Circolo di Vienna, partecipa anche alle riunioni di quello che viene detto il “Circolo di Gomperz”.

[3] Schilpp P.A., The Philosophy of Karl Popper, The Library of Living Philosophers, p.185

[4] Popper ricorda più volte Kraft nella sua autobiografia intellettuale [ K.R. Popper, La ricerca non ha fine, ArmandoEditore] descrivendo il rapporto di amicizia intellettuale che i due intrattengono.

[5] Ibidem,  p. 974

[6] Non a caso Kraft afferma che la formazione di Popper e del suo pensiero non può essere ben compresa senza alcun riferimento al Circolo di Vienna.

[7] Sia nella versione di Popper che nella formulazione ulteriore fornitaci da Lakatos.

[8] M. Pera, Popper e la scienza su palafitte, p.10

[9] Ibidem.

[10] Dal titolo, Zur Methondenfrage der Denk-Psychologie [La questione del metodo della psicologia del pensiero].

[11] Opponendosi cosi al logicismo sostenuto da Schlick e Köhler.

[12] Gattei S., Introduzione a Popper, p.23

[13] Pur ottenendo però i primi risultati in direzione di quello che diverrà poi il suo falsificazionismo e preparando il terreno per quella che Gattei chiama la “svolta metodologica” e per la scoperta della teoria della verità di Tarski. Quest’ultima gli consentirà infatti di poter finalmente considerare vera, all’interno del proprio sistema, un asserzione non ancora dimostrata, rendendogli possibile dunque costruire un’epistemologia basata sull’assunzione di asserti verisimili e falsificabili.

[14] Processo che si sublimerà infine nelle nuove posizioni assunte da Popper ne La Logica della Scoperta Scientifica.

[15] Gattei S., p.48

[16] “Un esperimento di fisica non può mai condannare un’ipotesi isolata, ma soltanto un insieme teorico”. (La Teoria Fisica, p. 207) […] Il fisico non può mai sottoporre al controllo dell’esperienza un’ipotesi isolata, ma soltanto tutto un insieme di ipotesi. Quando l’esperienza è in disaccordo con le sue previsioni, essa gli insegna che almeno una delle ipotesi costituenti l’insieme è inaccettabile e deve essere modificata, ma non gli indica quale dovrà essere cambiata (p. 211)”.

[17] Che, attraverso l’uso del modus tollens, dimostra come avendo un’asserzione singolare derivante da un’asserzione universale, se l’asserzione singolare viene dimostrata falsa, allora ne segue che anche l’asserto universale da cui questa deriva è falsa. Ciò avviene soltanto per un tentativo di falsificazione, mentre è impossibile stabilire la verità del medesimo asserto universale, dunque Popper ne conclude che è impossibile stabilire la verità di questi ultimi attraverso asserti singolari e che, dunque, non esiste alcuna argomentazione induttiva valida.

[18] Vedi soluzione di Popper al Trilemma di Fries.

[19] Secondo l’impostazione suggerita da Wittgenstein  nel suo Tractatus Logicus-Philosophicus e attraverso l’ulteriore formulazione di Carnap  in  Il superamento della Metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio.

[20] Carnap (1932) <<Il senso di una proposizione sta nel metodo della sua verificazione. Una proposizione vuol dire solo ciò che in essa è verificabile. Pertanto, una proposizione, ammesso che voglia dire qualcosa, può significare soltanto dei fatti empirici.>>.

[21] Come ci suggerisce Gattei nella sua Introduzione a Popper (p.50) sarà qui infatti che Popper smetterà di considerare i problemi dell’induzione e della demarcazione come << relativi al modo in cui le asserzioni vengono dimostrate vere o confutate>> ed inizierà invece a considerarli <<problemi metodologici relativi a come trattare le teorie scientifiche>>.

[22] Registrazioni immediate di esperienze che non necessitano di una giustificazione e che servono da fondamento ad altri enunciati della scienza.

[23] Soprattutto relativamente al criterio di progresso, al contenuto di una teoria ed all’utilità della conoscenza pre-scientifica o metafisica.

[24] Contenuto in Congetture e confutazioni (1969).

[25] Titolo originale: A Word of Propensities (1990).

[26] Quanto tuttora controversa, perlomeno in ambito parascientifico, se prendiamo in considerazione il dibattito, e la relativa vicenda, giudiziaria che ha coinvolto evoluzionisti e creazionisti negli Stati Uniti.

[27] Vedi nota 25.

[28] Segnalo inoltre la vicenda curiosa che ha coinvolto Wallace, contemporaneo di Darwin, ideatore anch’egli d’una teoria della selezione naturale, ma penalizzato senza dubbio dalla sfortuna dato che gli appunti del suo lungo lavoro andarono persi nell’incendio che coinvolse la nave su cui questi erano stipati min attesa si raggiungere la Gran Bretagna. Egli scrisse comunque il saggio On the law which has regulated the introduction of new species, in cui espone il proprio evoluzionismo.

[29] Pievani T., La teoria dell’evoluzione, p.15

[30] Vedi Teoria di Lamarck.

[31] Popper K., La ricerca non ha fine, p.184

[32] Popper K., Logica della Scoperta Scientifica, p.22

[33] Se pensiamo che la principale critica rivolta dai creazionisti ai biologi evoluzioni si basa sulla mancata spiegazione del “salto ontologico” esistente fra la scimmia e la specie homo, possiamo farci un’idea di quale sia l’entità del problema. Ad una simile critica possono infatti replicare che evidenze empiriche del genere non sono state ancora scoperte, oppure che il “fantomatico” salto ontologico sia cosi diluito nei processi evolutivi da non renderlo effettivamente visibile. Entrambe le posizioni divengono quindi sostenibili ed infalsificabili, mancando il mezzo di contrasto necessario ad operare una cesura.

[34] Un esempio in proposito può essere ritrovato a pagina 189 de La ricerca non ha fine. “Poniamo, infatti, che si trovi la vita su marte, una vita consistente in tre specie di batteri con un corredo genetico esattamente simile a quello di tre specie terrestri. È cosi confutato il Darwinismo ? Niente affatto. Diremo che queste tre forme erano le sole forme tra le tante mutazioni che erano sufficientemente ben adatte per sopravvivere”.

[35] L’eventuale novero dell’evoluzionismo fra le teorie metafisiche non costituisce, come vedremo, un problema all’interno del sistema Popperiano. In esso vengono infatti considerate come significanti anche “certe” teorie metafisiche aventi un ruolo euristico nel guidare la formulazione di nuove ipotesi scientifiche. Ciò le distingue dagli “enunciati puramente esistenziali” (Vedi Logica della Scoperta Scientifica, pp. 54-57), idee metafisiche prive di qualsiasi valore scientifico come <<Esiste un gatto nero>>.

[36] D’ora in poi PRM.

[37] Celebre è l’esempio dell’atomismo. Ipotesi pseudo-scientifica, fatta risalire a Leucippo e Democrito, la cui intuizione ha poi portato alle teorie di Maxwell e Dalton.

[38] D.Gillies e G.Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, p.229

[39] K.Popper, Poscrtitto alla Logica della scoperta scientifica vol.1,p. 208

[40] K.Popper, La ricerca non ha fine, p.186

[41] Ibidem, p.187

[42] Ovvero attraverso organi di senso che riescono a condurre una prima analisi del dato. Una simile interpretazione è in aperto contrasto con le tesi sulla conoscenza e l’evoluzione avanzate da Spencer.

[43] Ulteriori riflessioni possono sorgere se si prendono in considerazioni le osservazioni fatte da Campbell il diverso grado di influenza che il tempo e lo spazio hanno sull’organismo e sulle modifiche imposte dall’adattamento. Ciò può in parte aiutarci a comprendere l’asimmetria esistente nell’apprendimento fra i casi di problem-solving, come proporre e falsificare una congettura, e la passiva accumulazione di esperienza ed informazione nel tempo attraverso la reiterazione di determinate azioni.

[44] Vedi Il paradosso dell’apprendimento induttivo, Poscritto alla logica della scoperta scientifica,p.325

[45] Quindi un alto grado di falsificabilità.

[46] Quindi un alto grado di corroborazione.

[47] Curiosamente l’analisi dello sviluppo oculare è uno degli argomenti spesso utilizzati dai fautori del creazionismo per segnalare una delle numerose, oltre che ipotetiche, anomalie che affliggono l’odierna teoria dell’evo-devo.

[48] Un’ulteriore ragione per operare un simile accostamento risiede nelle precisazione, più volte fatte dal filosofo viennese, riguardo le propensità ed il loro status. Queste non sono da lui considerate infatti meri costrutti analitici o euristici, egli le considera come grandezze fisiche relative ad una situazione, come dei campi di propensità.

[49] Vedi nota 41.

[50] Ciò nonostante il fatto che la possibilità di prevedere statisticamente i passaggi evolutivi sia da sempre i sogno proibito di molti biologi evoluzionisti. Purtroppo la teoria dell’evoluzione delle specie non consente nessuna previsione attendibile basata sul calcolo della probabilità. L’impossibilità di poter riprodurre la situazione determinante, oltre all’innumerevole numero di variabili e all’intervallo di tempo troppo ampio o ristretto in cui registrare le frequenze relative, porterebbero scaturirebbero in probabilità estremamente basse per la realizzazione degli eventi singoli portando sostanzialmente ad una equiprobabilità fra le varie soluzioni.

[51] Come ben si sa una critica può essere condotta sia dallo stesso piano della soluzione criticata, sia da a partire da un’altra posizione teorica antagonista. Tuttavia Popper lascia spesso intendere che sebbene le disquisizioni sui principi inconfutabili possano si essere insolubili, dovremmo comunque far si che i tentativi di falsificazione delle congetture scientifiche siano basate su di un principio metodologico, oltre che morale, inteso ad evitare la possibilità che il procedimento di falsificazione e sostituzione o correzione divenga ridondante e circolare.

[52] K.Popper, Verso una teoria evoluzionistica della conoscenza, p.29

[53] D’ora in poi PRS. Costruiti a partire da un nuovo genere di falsificazionismo che Lakatosc chiama “sofisticato” e che, assumendo anche in parte il relativismo di Kuhn, assume come fondamentale la tenacia delle teorie scientifiche, ovvero la loro tendenza a non essere abbandonate dagli scienziati anche di fronte ad una falsificazione da parte di fatti empirici.

[54] Ciò deriva dalla seguente definizione di falsificazionismo sofisticato : “una teoria scientifica t è falsificata, se e solo se è stata proposta un’altra teoria T con le seguenti caratteristiche: (1) T’ ha un contenuto empirico addizionale rispetto a T: cioè essa predice fatti nuovi, ossia fatti improbabili alla luce di T o addirittura vietati da quest’ultima; (2) T spiega il precedente successo di T, cioè tutto il contenuto non confutato di T è incluso (entro i limiti dell’errore osservativo) nel contenuto di T; e (3) parte del contenuto addizionale di T’ è corroborato.” (Falsification and the Methodology of Scientific Research Programmes, p.42).

[55] Una frase di una lettera inviata da Popper a Lakatosc è rimasta celebre : “grazie per confondere ciò che io ho cercato cosi attentamente di spiegare”.

[56] Lakatosc pare assumere alcuni dei principi della teoria Kuhniana sulle rivoluzioni scientifiche. Il nucleo teorico non si evolverebbe tramite falsificazioni e controlli, ma verrebbe sostituito per decreto della comunità scientifica.

[57] Ricorrere ad un nucleo teorico infalsificabile non impone difatti che questo debba però essere composto da asserti significanti. Il pericolo dunque di un nucleo teorico ridotto all’osso per poter cosi godere di una cintura teorica più malleabile rimane, nonostante il veto metodologico imposto.

[58]K.Popper, La ricerca non ha fine, p.199

[59] Ibidem

[60] K.Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, p.219

[61] Del resto questo contribuirebbe anche a poter distinguere i PRM e gli enunciati significanti della metafisica dagli enunciati insignificanti o puramente analitici.

[62] K.Popper, Congetture e Confutazioni, p.341

[63]K.Popper, La ricerca non ha fine, p.215


Andrea Zeppi

Andrea nasce a Siena nel 1985. E’ un appassionato sostenitore della filosofia analitica e ha curato un’elaborata tesi di filosofia della mente, tematica a lui cara e di cui è un esperto con la quale nel 2010 si è laureato all’università degli studi di Siena. Attualmente è dottorando in filosofia della mente.

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