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William James – La concezione della coscienza

Di Notman Studios (photographer) – [1]MS Am 1092 (1185), Series II, 23, Houghton Library, Harvard University, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16250941

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Il discorso che riassumo (e commento) è stato tenuto da James a Roma in occasione del V Congresso Internazionale di Psicologia del 1905, ed è un testo centrale per capire la filosofia pragmatista e quella di James (pensatore dalle idee chiare ma non sempre chiaramente espresse). Il testo dà un’analisi perfettamente pragmatista d’uno dei postulati ancor’oggi centrali della psicologia, m’anche della filosofia.

Filosofia e scienza (psicologia) considerano la coscienza come avente un’essenza propria, distinta da quella delle cose materiali, le quali sono da essa rappresentate e conosciute. I fatti di coscienza sono in questo modo opposti ai fatti materiali.

Il dualismo tra l’apparire all’esperienza (fatto di coscienza) e l’esistere in sé (fatto materiale), tra soggetto e oggetto, tra Idea e Cosa, è largamente condiviso, ma a torto secondo James. La filosofia condivide questo dualismo fondamentale proprio come lo condivide la scienza[1], la quale, pur assumendo un monismo di facciata, di fatto afferma che l’unica realtà si presenta poi sotto due aspetti tra loro irriducibili (materia e coscienza).

La psicologia assume acriticamente la validità del dualismo (ancora oggi, nelle neuroscienze ad esempio, si ragiona praticamente in termini di dualismo tra fatti psichici e processi cerebrali); è compito della filosofia soffermarsi a vagliare la validità e i problemi del dualismo di materia e pensiero, ovvero dell’assunzione dell’eterogeneità assoluta delle due essenze.

Vediamo alcune difficoltà del dualismo:

a) se prendiamo il caso della percezione esterna, ci rendiamo conto che la realtà sensibile, da cui dipende il nostro agire, è identica, nel momento in cui è esperita, alla sensazione che ne abbiamo. Ovvero, la mia sensazione del muro è il muro stesso in quanto mi è presente. Dov’è allora l’eterogeneità?

‘’la vita pubblica delle cose, questa attualità presente per la quale ci vengono innanzi, da cui derivano tutte le nostre costruzioni teoriche, e alla quale debbono tutte tornare e ricongiungersi sotto pena di ondeggiare nell’aria e nell’ideale; questa attualità, dico è omogenea, e non solo omogenea, ma numericamente una, con una certa parte della nostra vita interiore.’’ (James, Saggi pragmatisti; corsivo mio)

b) la stessa omogeneità essenziale appare nel caso della percezione interna. Prendiamo la memoria: l’immagine ricordata, quando ricordata, mi è presente con la stessa realtà d’un fatto materiale. Se penso al mio cappello assente, non si dà differenza tra cappello pensato e reale, infatti io m’occupo d’un vero cappello assente, ovvero ne tengo conto praticamente come d’una realtà.

“ … per quanto ci sia un dualismo pratico, poiché le immagini si distinguono dagli oggetti, ne tengono il posto, e ci conducono ad essi non è il caso di attribuire loro una differenza di natura essenziale. Pensiero e attualità son fatti d’una sola e stessa stoffa, che è la stoffa dell’esperienza in generale.” (James, Saggi pragmatisti; corsivo mio)

Ma vi sono anche altre ragioni di dubbio. Ne riporto una. Alcuni attributi delle cose non sembrano essere chiaramente né oggettivi né soggettivi, ad esempio le qualità estetiche o morali (come la bellezza). In questi casi appare l’omogeneità essenziale di materia e pensiero. La divisione tra soggettivo e oggettivo ci appare per quel che è: il frutto d’una speculazione (avanzata) dovuta a bisogni pratici.

La discussione stessa sulla composizione della psiche, ch’oppone i sostenitori della sostanza spirituale della psiche irriducibile alla materia e i sostenitori della sostanza materia e meccanica della psiche, mostra chiaramente ch’è difficile o impossibile sapere se certi fenomeni sono di materia fisica o psichica. Noi sospettiamo che la classificazione delle cose in ‘aventi un’essenza materiale’ e ‘aventi un’essenza fisica’ è dovuta ai bisogni della pratica piuttosto che a qualche facoltà che gli uomini posseggono di percepire queste due essenze fondamentali.

L’opinione di James è che la coscienza, come intesa ordinariamente, è soltanto una chimera, ovvero non esiste. Ma proviamo a valutare brevemente e pensare la posizione opposta a quella espressa, ovvero la posizione per cui la coscienza non è concepita come soprapposta all’esistenza del contenuto delle cose, e per cui il dualismo fondamentale è superato.

James trova l’origine del sorgere del dualismo in un’esigenza pratica, ovvero l’esigenza di spiegare la bilateralità delle parti dell’esperienza: da una parte le cose sembrano avere qualità proprie, dall’altra riferirsi ad altre parti, e da alcune di queste venire conosciute. La funzione della cosa di riferirsi alla coscienza viene eretta a fatto ontologico e messa nella cosa, sicché, si pensa, è possibile cogliere per sottrazione e introspettivamente la coscienza pura scevra dalla materia.

Questo di James è puro ragionare pragmatista; ovvero, il pragmatismo è anche spiegazione genealogica del sorgere delle opposizioni astratte (ontologiche o metafisiche) da un bisogno pratico/teorico. Compresa la spiegazione si comprende anche l’illusione o la pura strumentalità del nostro apparato teorico-tecnico-conoscitivo, e s’arriva ad una concezione maggiormente consapevole dell’esperienza.

Ma torniamo al punto. James suppone che la realtà prima non sia né materiale né psichica, ma di natura neutra. La chiama (al plurale) esperienze pure. Queste entrano in diversi rapporti tra loro; le esperienze e i loro stessi rapporti sono tutti parti essenziali nella trama delle esperienze. La coscienza coglie sia le esperienze che i loro rapporti, per cui risultano gruppi di esperienze di volta in volta notati e distinti, dove una singola esperienza (data la fitta trama di relazioni che instaura) può far parte di diversi gruppi. Avendo certi vicini un’esperienza sarebbe classificata come fisica, avendone altri un fatto di coscienza. Uno stesso muro può essere inteso come cosa fisica o come cosa riferita alla coscienza, ma nel momento in cui non facciamo della fisica speculativa, ovvero finché restiamo nel senso comune, il muro sentito è il muro fisico. La stoffa dell’esperienza è dunque unica, ma può figurare, a seconda del contesto, come fatto fisico o di coscienza.

Per James questa teoria è più vera rispetto al dualismo ontologico perché non va incontro alle sue difficoltà e riesce a spiegare meglio l’esperienza del senso comune.

Coscienza e materia dunque non sono due cose dall’essenza diversa, ma sono entrambe semplicemente esperienza. Il gruppo d’esperienze che chiamiamo il mondo fisico e quello che chiamiamo il mondo psichico sono una nostra creazione concettuale, derivata essenzialmente da certe caratteristiche proprie dei rapporti che le cose intrattengono tra loro. È dunque perché ad un fenomeno se ne aggiunge un altro che esso diviene cosciente, non perché si dà uno sdoppiamento di essenza interno alla cosa. Non esiste nulla che, al di fuori dell’esperienza, conosce le cose, ma piuttosto alcune cose ne conoscono altre (e la conoscenza stessa è esperienza). Se la coscienza, come generalmente intesa, non esiste, ciò che esiste (come coscienza) è il fatto che certe parti dell’esperienza possono essere conosciute. Da questo fatto nasce l’illusione del dualismo tra materia e coscienza, tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente intesi come appartenenti a due regni ontologici differenti, quando invece entrambi non sono che esperienze e, in quanto tali, possono essere perfettamente definiti e individuati, di modo che la categorizzazione ontologica (con  il suo carico di trascendentalismo) appare finalmente pesante e superflua (questo è il vecchio andante del pragmatismo). Soggetto e oggetto, conosciuto e conoscente sono distinzioni d’ordine funzionale o pratico, e solo una perversione del pensiero le trasforma in distinzioni d’ordine ontologico. Tutte le cose (e tra queste, i pensieri) sono d’una stessa stoffa, chiamata da James esperienza.

 


[1] Qui James parla della psicologia d’inizio secolo scorso.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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