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Filosofia della scienza: alcune questioni centrali


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Prima parte: Il problema della demarcazione

Il problema della demarcazione è un problema noto in filosofia della scienza. I filosofi che l’hanno affrontato si sono chiesti se sia possibile individuare un criterio razionale col quale tracciare un confine tra ciò che è scienza e ciò che non lo è. In particolare, secondo alcune posizioni filosofiche sviluppate nel secolo scorso è particolarmente utile individuare un criterio di demarcazione tra scienza e metafisica, dove con metafisica si indica un’ampia classe di teorie o campi di indagine comprendente religione, metafisica filosofica propriamente intesa e pseudoscienza. La necessità di una tale distinzione nasce nel momento in cui si vuole capire cosa sia la scienza.

Una prima possibilità è individuare nel metodo conoscitivo l’elemento caratterizzante. Tra i tentativi di fornire un’accurata descrizione della scienza spicca quello della scuola empirista. Secondo questa prospettiva, il metodo scientifico è quello induttivo (regolato dal principio di induzione). In tal senso, l’applicazione rigorosa del metodo induttivo alla pratica conoscitiva dovrebbe essere l’elemento caratterizzante dell’attività scientifica, il criterio che demarca la scienza dalla non-scienza.

Molti filosofi e storici della scienza hanno però fatto notare che ciò che di comune accordo chiameremmo scienza non procede servendosi esclusivamente del metodo induttivo. Anzi, la prospettiva induttivista costringerebbe a considerare alcune delle migliori teorie scientifiche, come quelle di Newton, non scientifiche, non essendo state inferite induttivamente. Karl Popper, riconosciuta l’inadeguatezza del metodo induttivo come unico metodo di validazione delle teorie, propone di adottare la logica della falsificazione a fondamento di ogni impresa autenticamente scientifica.

La scienza, secondo Popper, progredisce per mezzo di continue congetture, confutazioni e corroborazioni, regolate della sola deduzione logica. Non si procede dai fatti alla teoria, ma dalla teoria ai fatti. Popper sostiene dunque l’idea che una teoria non è scientifica se non è falsificabile. Certo una teoria per essere scientifica dovrebbe essere anche audace – ovvero avere un buona capacità di predire fatti nuovi. Il problema della demarcazione in Popper è primario: – ormai è chiaro – la ragione per cui Popper rifiuta l’induttivismo come metodo scientifico è che esso non fornisce un criterio di demarcazione appropriato: anche lo psicoanalista usa un – magari rigoroso – metodo induttivo, dovremmo considerare le sue teorie scientifiche? Ma il tentativo di Popper di dare un valido criterio per demarcare scienza da pseudoscienza è problematico ed infine fallimentare. Un’attenta analisi storica mostra che la scienza non procede attraverso congetture e confutazioni secondo una logica falsificazionista: dunque, il criterio proposto da Popper non può pretendere di demarcare alcunché di reale.

A muovere la critica storica – dopo la critica di Duhem – alla visione falsificazionista è Kuhn. Non solo la scienza non procede attraverso falsificazioni, ma non potrebbe nemmeno farlo, pena l’eliminazione prematura di teorie che potrebbero rivelarsi poi essere le nostre migliori teorie: si dovrebbero abbandonare prestissimo tutte le teorie. Dopo la critica Kuhn propone un incerto criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza. Questo consiste nella presenza di una tradizione di soluzione di rompicapo. La proposta è criticata – es. da Feyerabend, Lakatos –, ma le critiche non ne colgono lo spirito. Se compresa correttamente, essa rappresenta la reale soluzione al problema della demarcazione. La tradizione di soluzione di rompicapo identifica l’attività normale dello scienziato: un resoconto descrittivamente adeguato di tale attività è l’unico criterio di demarcazione esaurientemente conforme a ciò che la scienza è, nella sua complessità. Quale criterio migliore d’una puntuale descrizione della reale pratica scientifica – per lo meno della pratica che si è tutti d’accordo di definire scientifica? La proposta è esortazione all’avvio di un programma di ricerca impegnato in una migliore comprensione della struttura comunitaria della scienza. L’incerto criterio deve sviluppare in sicuro e esaustivo resoconto dell’attività scientifica.

2° PARTE – KUHN E I MECCANISMI DELLA SCIENZA

Secondo Kuhn la scienza procede iteratamente attraverso periodi di “scienza normale”, “crisi”, “rivoluzione”, e di nuovo “scienza normale”. Ad ogni nuovo periodo di “scienza normale” i manuali vengono riscritti nel linguaggio proprio del nuovo paradigma. Il manuale ha scopo pedagogico e persuasivo: trasmettere la scienza normale allo studente futuro scienziato solutore di rompicapi. Quindi è funzionale alla crescita di accuratezza della conoscenza scientifica in periodo di scienza normale. È dunque per ragioni funzionali che i manuali riscrivono la storia dopo ogni cambio di paradigma, selezionando e distorcendo parti della ricerca precedente, con l’intenzione di dare al futuro solutore di rompicapi una visione della scienza essenzialmente cumulativa, ove quindi da sempre gli scienziati sono impegnati nella risoluzione di quei particolari problemi rilevanti per il nuovo paradigma: così si proietta lo studente nell’avvincente avventura della risoluzione di rompicapi storicamente rilevanti. Esempio classico di deformazione storica è dato dal modo con cui Newton presenta la sua stessa teoria come continua rispetto al programma di ricerca di Galileo – ovvero quando negli stessi scritti di Newton compare un Galileo ‘improvvisato’ che argomenta sulla caduta dei gravi con concetti paradigmatici propri deiPrincipia!

Kuhn da un resoconto descrittivamente più adeguato, rispetto ai precedenti – accomunati dalla visione antistorica del manuale –, della scienza, guidato da un’attenta analisi storica suggerente una nuova immagine dell’attività scientifica. L’indagine presenta due tipi di punti di forza: l’uno riferito al come (1) l’indagine è stata condotta, l’altro al cosa (2) l’indagine ha appurato. (1) l’indagine è stata condotta con attenzione per i fattori storici, psicologici e sociali, e per la parte normale della scienza; ha rinnovato l’interesse per lo studio storico e sociale della stessa. (2) l’indagine a permesso di: comprendere che lo sviluppo della scienza non è cumulativo; che è presente un elemento arbitrario costitutivo composto di fattori storici e psicologici, il quale – superata la rigida separazione tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione – guida le decisioni della comunità scientifica, e che quindi il cambiamento di paradigma non è rigido processo di scelta razionale; che i paradigmi sono incommensurabili – pel caso della incommensurabilità osservativa: è chiaro come Tolomeo e Copernico guardano lo stesso mondo, però vedono mondi diversi. L’indagine ha anche limiti: essa indaga la scienza quasi solo ad un livello descrittivo – la comunità – molto generale, quindi non dà una descrizione esaustiva di molti aspetti della scienza – es. della scelta tra teorie successive, della conversione -, mescola in modo confuso normativo con descrittivo, è stata fraintesa moltissimo su molti punti – es. sul ruolo della razionalità. Nondimeno l’indagine kuhniana supera la tradizionale prospettiva che tenta di forzare il resoconto descrittivo nei severi vincoli della normatività: si contrappone alla visione normativa di Popper, che vede la scienza procedere in modo rigidamente razionale. Essa abolisce la distinzione popperiana tra contesti: così è l’elemento irrazionale e arbitrario a uscire dal suo confinamento normativo nel contesto della scoperta, e a entrare come elemento costitutivo nella scienza tout court: valori arbitrari hanno guidato la decisione di Einstein di rifiutare il paradigma della meccanica quantistica, valori similmente arbitrari – e diversi tra loro – hanno guidato le decisioni dei vari Galileo, Keplero, Cartesio di accettare la visione eliocentrica, nonostante la teoria di Copernico fosse più problematica di quella di Tolomeo e, quindi, razionalmente da rifiutare. Se per Popper la scienza – cumulativa – è costante rivoluzione spietatamente critica,  per Kuhn è anche e soprattutto attività routinaria, dogmatica, inserita in un contesto storico e sociale.

A Lakatos – come a Popper – interessa conservare la razionalità della scienza; però coerentemente col dato storico: supera, sviluppandola, la rigida visione di Popper, non adatta ad una buona descrizione della realtà scientifica: secondo i precetti di Popper si avrebbe dovuto subito confutare e abbandonare la teoria di Newton, poiché presentava delle anomalie: per fortuna la scienza non procede così, ed il programma di ricerca di Newton ha potuto svilupparsi per molto tempo conservando il suo nucleo infalsificabile – che assomiglia al paradigma di Kuhn –, ovvero le leggi della dinamica, e dirottando gli attacchi sulla cintura protettiva – es. sulla teoria della rifrazione atmosferica del Flamsteed. Lakatos media tra Popper e Kuhn: la scienza è razionale, nonostante le teorie nascano e si sviluppino tra molte anomalie: non ogni falsificazione determina una rivoluzione, piuttosto vi sono lunghi periodi di “scienza normale” ove si verificano continui aggiustamenti interni alla teoria. Come in Kuhn, la metafisica è motore interno della ricerca. Però, è il successo interno razionale alla scienza che spiega il prevalere di un programma di ricerca su un altro, e non l’elemento psicologico e sociale. La demarcazione di Kuhn è inutile, essa distingue comunità, non programmi di ricerca – nuove unità descrittive. Non sappiamo ancora rispondere al perché un paradigma, o programma di ricerca, sia meglio di un altro, perché non possediamo ancora un resoconto descrittivo sufficientemente adeguato di come funzioni il processo di scelta tra paradigmi e programmi di ricerca – al livello di analisi della comunità e dello scienziato. Ottenuto tale resoconto, si sarà in grado di stabilire i criteri di scelta usati, e così di rispondere alla domanda.

3° PARTE – LA QUESTIONE SEMANTICA

Se vogliamo riflettere a proposito del realismo scientifico, dobbiamo porre alcune questioni – oltre quelle metafisiche ed epistemologiche – di carattere semantico. Esse sono rilevanti perché, all’interno del dibattito fra realisti e antirealisti, diverse teorie sul significato portano a diversi esiti in merito alla giustificazione della credenza nelle entità e teorie scientifiche. In sostanza si tratta di discutere di come e se i termini delle teorie scientifiche riferiscono oggetti del mondo – se gli enunciati delle teorie scientifiche sono assertivi –, se, quindi, le teorie vadano interpretate letteralmente – in particolare riguardo all’esistenza delle entità inosservabili –, se la verità delle asserzioni di una teoria consista nel loro corrispondere ai fatti del mondo.

Il realista scientifico interpreta letteralmente le teorie scientifiche, e crede che la verità delle teorie sia determinata dal loro adeguarsi alla realtà. L’antirealista semantico – l’empirista riduttivo – non crede affatto che gli enunciati della scienza siano assertivi, anche se vorrebbe che lo fossero, e allora non interpreta letteralmente le teorie della scienza. Per rispondere alla questione semantica, e allora anche per giustificare nello specifico la credenza nell’esistenza o nella non esistenza delle entità non osservabili, è stata proposta prima, da parte dei neopositivisti, la teoria del significato verificazionista, poi – anche a seguito dei problemi posti dall’incommensurabilità semantica –, da parte di Putnam, la teoria causale del significato.

La prima è teoria a favore dell’antirealismo semantico, la seconda a favore di un realismo forte. La teoria verificazionista afferma – recuperando la distinzione kantiana tra asserti analitici e sintetici – che un asserto è significante solo quando è o analitico o verificabile tramite esperienza. Dunque un enunciato è scientifico quando è verificabile e, quindi, dotato di significato. Questo è il criterio per demarcare ciò che ha significato da ciò che non ne ha. Inoltre: il vero significato di un asserto è quello che mostriamo indicando quali esperienze sono necessarie per verificarlo. Dunque, per i neopositivisti non è problematico stabilire la veridicità dell’asserto che riferisce all’esperienza immediata, però lo è stabilire la veridicità dell’asserto che riferisce all’esperienza mediata, ovvero all’osservazione per inferenza di entità inosservabili. Gli enunciati a proposito delle entità non osservabili non sono assertivi. In particolare, Frege ci dice che il riferimento è determinato tramite descrizioni, per cui conoscere il significato di un termine significa, in qualche modo, possedere la conoscenza di almeno una minima descrizione identificatoria dell’oggetto indicato.

La teoria verificazionista però non porta lontano, e infatti è stata abbandonata dalla maggior parte dei neopositivisti – anche se poi è stata recuperata da Dummett negli anni ’70 proprio all’interno del dibattito sul realismo scientifico. In contrapposizione e più recentemente Putnam propone la teoria causale del riferimento. Essa difende un realismo scientifico forte: ovvero, le entità teoriche riferiscono in modo genuino. E risponde alla tesi Feyerabend – Kuhn per cui il riferimento del termine teorico è determinato dalla teoria, per cui il cambiamento della teoria è cambiamento di riferimento. Per Putnam il riferimento di un termine non cambia col mutare della teoria, poiché il significato di un termine è dato dal suo costante riferirsi alla causa responsabile dell’introduzione del termine stesso, quale essa sia, per cui il riferimento non è dato da una descrizione determinata dal parlante. Il significato di un termine non dipende dallo stereotipo (elenco di caratteristiche che identificano l’oggetto a cui il termine riferisce), altresì viene fissato in relazione a quel genere naturale di cose in riferimento a cui il termine è prima di tutto introdotto. Per cui la teoria sull’elettrone ad es. può cambiare, ma “elettrone” si riferisce sempre alla reale causa del fenomeno che ha portato all’uso del termine. Quindi le entità inosservabili riferiscono in modo genuino, ed il cambiamento teorico non ne minaccia né riferimento univoco né esistenza. La teoria però è sospetta e non riesce nell’intento di difendere il realismo scientifico – es. dall’argomento della meta-induzione pessimistica: dovremmo forse dire che tutte le volte che qualcosa porta all’introduzione di un termine, questo automaticamente riferisce alle reali cause di quel qualcosa, quali esse siano? Dovremmo dire che uno scienziato parla di qualcosa, e però pensa di riferirsi a qualcos’altro?

4° PARTE – LA META-INDUZIONE PESSIMISTICA

L’argomento della meta-induzione pessimistica [PMA], proposto da Laudan, è uno degli argomenti più cogenti contro il realismo scientifico. La PMA sostiene l’antirealismo “ateo”, per il quale le entità inosservabili postulate dalle nostre migliori teorie scientifiche [d’ora in poi entità] non esistono. Essa prende le mosse da un’analisi storica della scienza e include nelle premesse osservazioni di carattere storico. Inoltre, essa è una meta-induzione perché le sue premesse riguardano la scienza stessa.

La PMA vuole essere una risposta critica all’argomento dei miracoli [NMA], argomento cogente in favore del realismo. L’NMA assume come vera la premessa che conclude che le entità principali esistono, dal fatto che teoria ha successo predittivo e strumentale. Laudan risponde così: la storia della scienza mostra che vi sono buone ragioni di carattere induttivo per credere che le nostre attuali migliori teorie, nonostante il loro successo empirico, siano false: ovvero che le entità non esistano affatto. Infatti, vi sono molti casi nella storia della scienza – e Laudan da una lunga lista – di teorie che in passato ebbero successo empirico, e che poi vennero sostituite da altre, le quali postularono entità teoriche incompatibili con le prime. Ora, se noi giudichiamo vere le attuali teorie, e consideriamo le entità postulate dalle teorie passate – es. il calorico – come inesistenti, dobbiamo concludere che le teorie passate fossero false. Abbiamo così una serie di teorie false, le quali nondimeno ebbero successo empirico e che in sostanza non erano diverse dalle attuali migliori teorie. Allora dobbiamo concludere induttivamente che anche le attuali teorie siano false, e che le entità non esistano affatto: prima o poi nuove teorie ne dimostreranno la falsità. Questa è la PMA.

Evidente com’essa concluda contro il realismo scientifico: non solo questo non è la migliore spiegazione del successo della scienza, ma vi sono addirittura buone ragioni per pensare che il realismo sia un’inadeguata spiegazione del successo scientifico. I realisti rispondono in vari modi all’argomento di Laudan: negano la premessa dell’argomento che sostiene che le teorie passate non sono in sostanza diverse dalle attuali: certo, poi devono chiarire quali sono i criteri per giudicare quando una teoria è degna di essere giustificata dal realismo, ovvero quando possiamo dire di essa che è vera. Sono stati proposti criteri come maturità e capacità di predire fatti nuovi. Comunque sia, rimane il fatto che almeno qualcuna delle teorie passate proposte da Laudan possa essere chiaramente classificata come teoria matura e capace di predire fatti nuovi. Il realista deve dar conto di queste teorie che hanno successo pur essendo false, però non può farlo dicendo che hanno successo perché sono vere, perché esse chiaramente non lo sono. E la spiegazione del successo empirico non può essere selettiva: non si può spiegare il successo di una vecchia teoria diversamente da come si spiega quello di una attuale; dunque, dal momento che qualunque spiegazione si trovi pel successo delle teorie passate non sarà in termini di verità, il realista non può spiegare il successo delle attuali teorie col fatto che esse sono vere.

Certo i realisti possono insistere: primo, il fatto che le vecchie teorie siano false, non implica che le entità da esse postulate – es. calorico – non avessero un riferimento, tutt’altro, il termine usato per parlare dell’entità si è sempre riferito alla reale causa dei fenomeni che hanno portato lo scienziato ad usare quel termine. Secondo, il successo della teoria può essere spiegato anche senza argomentare che le entità tutte postulate da essa esistono, basta argomentare che le solo le entità essenziali al successo esistono. Questi tentativi, per la loro problematicità, non diminuiscono la cogenza della PMA.

La PMA, nonostante proposta con lo scopo precipuo d’argomentare contro il realismo, mette in discussione anche l’empirismo costruttivo.

La PMA argomenta in favore di una presa di posizione “atea” nei confronti dell’esistenza delle entità: esse non esistono. Di conseguenza, una posizione agnostica come quella di Van Fraassen, la quale invece ci dice di sospendere il giudizio a proposito dell’esistenza delle entità, è condotta per mano davanti alla storia e messa di fronte al fatto che vi sono ragioni positive forti per credere nella non esistenza delle entità. Per Van Fraassen non c’è bisogno di credere che le buone teorie sono anche vere, che le entità sono anche reali: quindi non c’è neppure alcun bisogno di credere che le buone teorie siano false, che le entità non esistano. Tuttavia Laudan argomenta – fornendo il bisogno – proprio a favore della non esistenza delle entità, e della falsità delle teorie. Alla luce delle ragioni fornite da Laudan per l’ateismo, un agnosticismo verso le entità non è più giustificato.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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