Il mysterium iniquitatis, il mistero del male, locuzione ideata da San Paolo nella seconda lettera ai tessalonicesi (2,7), è forse quello che più atterrisce e affascina gli esseri umani. Esso è stato affrontato dalla filosofia da diverse prospettive. Chi o che cosa è il male? Quali sono la sua origine e la sua natura? Come sconfiggerlo? Sono queste le domande con cui gli esseri umani più si sono tormentati. Per quanto possa apparire insolito, il problema del male si può incontrare anche sul cammino della logica classica, da Aristotele a Frege, benché nessuno abbia tentato di farglisi incontro da questa direzione. In particolare, partendo dal meccanismo profondo che aziona il ragionamento. Il mondo interiore, della mente, sembra corrispondere a quello esterno, della natura e dell’universo. Entrambi sembrano rispondere alle stesse regole di funzionamento. Tale corrispondenza, come vedremo nei successivi paragrafi, consentirebbe di definire il male, di capirne le cause, di presumerne gli effetti sulla vita degli esseri viventi, e di valutare se esista un modo per combatterlo.
Confucius by Wu Daozi – Louis Le Grand, 29 novembre 2012, https://www.worldhistory.org/image/970/confucius-by-wu-daozi/
Definire il problema: l’analisi filosofico-politica della Cina e l’eurocentrismo filosofico nelle relazioni internazionali.
Nell’analisi filosofico-politologica del mondo contemporaneo, e in particolare nelle riflessioni sulla politica internazionale e sulla diplomazia, persiste in Occidente un profondo bias cognitivo e culturale nei confronti del mondo asiatico. Questo limite si rivela in modo particolarmente evidente nel caso della Cina, destinata secondo molti a diventare la maggiore potenza globale del XXI secolo. La scarsa familiarità con la tradizione filosofico-politica cinese produce fraintendimenti sistematici, sia nell’interpretazione delle dinamiche interne del potere cinese sia nella valutazione delle sue scelte strategiche in ambito internazionale. Quando si tratta di analizzare il contesto politico occidentale, si ricorre con disinvoltura a categorie concettuali appartenenti alla nostra tradizione filosofica – da Hobbes a Locke, da Machiavelli a Jefferson – generando un discorso ridondante e cristallizzato, spesso incapace di produrre reali chiavi di lettura della complessità contemporanea. Al contrario, quando si osserva la Cina, l’assenza di una solida conoscenza della sua cultura filosofico-politica porta a una lettura superficiale ed “esotica” del suo vocabolario filosofico. In questo quadro, l’uso pubblico che Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese fanno di Confucio rappresenta un caso emblematico. Il richiamo alla tradizione confuciana viene spesso interpretato in Occidente come un’operazione estetica o propagandistica, senza coglierne la funzione reale nella costruzione di un modello politico autoritario, ma culturalmente radicato. L’obiettivo di questo studio è duplice: da un lato, analizzare criticamente l’uso politico della tradizione confuciana nella Cina contemporanea, con particolare attenzione ai discorsi ufficiali di Xi Jinping; dall’altro, interrogarsi su come questa ripresa selettiva e ideologizzata della filosofia classica sia inquadrabile all’interno della tensione tra confucianesimo e Legalismo, prendendo come riferimento il pensiero di Han Fei. Il confronto tra Confucio e Han Fei consente di evidenziare come il potere cinese contemporaneo si muova tra due poli: da un lato, l’ideale armonico e gerarchico del primo; dall’altro, il pragmatismo autoritario del secondo.
Nota dell’Autore
Dopo una giornata di lavoro, quando il cielo si tinge di grigio o il tardo pomeriggio cala, spesso l’unica via di fuga è immergersi in una serie di intrattenimento. In queste serate, tra il torpore e la distrazione, ho iniziato a esplorare alcune produzioni che trattano di teorie su antichi cataclismi mai confermati scientificamente e di avvistamenti alieni. Mentre guardavo, nella mia mente si formavano pattern fantasiosi e speculazioni di ogni tipo, fino a quando non mi sono fermato a riflettere: la narrazione sugli alieni, sulle civiltà perdute e sui cataclismi che avrebbero cancellato interi continenti in tempi non troppo remoti, senza lasciare traccia, non è forse simile, per struttura e finalità teorica, a quelle narrazioni che spesso sentiamo da politici ed economisti sullo stato della nostra economia? Queste storie, benché sembrino distanti, hanno in comune una struttura narrativa che spesso va oltre la realtà tangibile. Comprendo e condivido le critiche che si possono sollevare contro questa analogia, ma mi domando: sono davvero così diverse queste due narrazioni? Vorrei approfondire questa riflessione partendo proprio da un episodio di una delle serie che ho guardato, per esplorare più a fondo questa intrigante somiglianza.
Economics was time ago dubbed as the ‘sad science,’ because of its intrinsic predictive limitations, in spite of its colossal mathematical foundation. In this regard, economic libraries seem to disprove Galileo’s abused saying that ‘the book of nature is written in mathematical language.’ It might be so only because we, humans, so decided.[1] Alas, portions of this book do not seem to respond very well to mathematics.[2]Marxists and neo-Keynesians differently embraced the need to change economics in a ‘happy’ science, finally able, as all the rest of the successful sciences, to predict future facts and events through mathematical calculations over axioms and logical derivations. They tried the endeavor differently.
1971. Forze sudvietnamite avanzano nella fase iniziale dell’operazione Lam Son 719. (foto Texas Tech University Collezione Pike va002287)
Operazione Lam Son 719
1971. Vietnamizzazione all’esordio: un costoso passo falso
Tratto dall’articolo pubblicato sul mensile Storia & Battaglie n.248, ottobre 2023, Luca Poggiali editore, Vicchio (Firenze)
Prologo:
L’operazione Lam Son 719, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una puntata offensiva sudvietnamita in Laos, per tagliare le linee di rifornimento nordvietnamite dirette al Sud lungo la Pista di Ho Chi Minh, riveste una particolare importanza nello svolgimento della guerra del Vietnam, per diversi motivi. Anzitutto è stata la prima importante operazione offensiva terrestre avviata nella seconda fase della guerra del Vietnam, a ritiro americano già in fase avanzata e coinvolgimento cambogiano in fase altrettanto avanzata. Poi perché sarebbe stato il primo vero test sul campo del cosiddetto processo di “vietnamizzazione” del conflitto, cioè con l’esercito sudvietnamita a farsi carico delle operazioni di combattimento, lasciando progressivamente agli americani solo l’appoggio aereo (anch’esso comunque in diminuzione), il supporto logistico e una presenza di consiglieri sempre più limitati al ruolo di ufficiali di collegamento con l’aviazione tattica americana, per guidarne da terra gli interventi a favore dei sudvietnamiti. Il risultato non fu proprio quello atteso, come vedremo.
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3985584q
Se pareba boves – Una prospettiva moderna dell’Indovinello Veronese
Chiunque abbia il piacere di approcciarsi alla filologia romanza ed italiana, andando dunque ad analizzare, per diletto o per maggior intento, le prime testimonianze scritte del volgare italiano, andrà sicuramente ad imbattersi nel celebre indovinello veronese. Il documento, scoperto da Luigi Schiapparelli nel 1924 in circostanze che sarà nostra premura approfondire, ha una datazione incerta, da collocarsi nella prima metà del IX secolo. È stato ampiamente considerato come il primo vero documento in lingua volgare italiana, una dicitura a dir poco coraggiosa se si considera l’assetto delle letterature romanze generali, il cui avvio consapevole, e che si discosti dall’uso formulario e burocratico per abbracciare l’intento puramente letterario, non vede significativi sviluppi prima del secolo XI. Il presente lavoro, che si colloca su un livello di ricerca puramente teorico ed esplicativo, tramite anche l’impiego di un codice linguistico di livello pressoché accademico, si premura di portare a compimento una puntuale analisi linguistica del documento, con l’adozione di una prospettiva diacronica e orientata sull’intero panorama romanzo, per ricostruirne la storia, le implicazioni e le influenze, e determinare se sia effettivamente un documento volgare a tutti gli effetti o meno. L’interesse da me riversato sul presente argomento di studio si basa principalmente sul carattere ampio di dibattitto attorno al presente frammento, volendo dunque chiarire la realtà filologica di questo documento in forza degli studi sin ora presentati sul campo filologico.
I’m honored, delighted, and humbled by all the knowledge shared in this interview. Like many of us, I first James Bruce in his writing, from RAND reports to book chapters and papers. When I contacted him, I wanted to share my gratefulness for his seminal work on the epistemology of intelligence, because of my long-lasting interest in that almost esoteric (but crucial, I believe) topic. We had a deep conversation on intelligence analysis, the intelligence profession, and the conceptual understanding of intelligence from that moment on. As in all the best and deep conversations, there is a margin for different opinions, boosting further insights and deep thoughts. There will be so much reflection to be awed for all of our readers who will read the interview. Dr. Bruce has an outstanding position for covering so many topics at such a detailed level to be difficult to be matched, impossible to surpass. Although I try to be as grateful as I can be to all who enriched my knowledge, I can only publicly reinforce my deep appreciation for James Bruce’s interview, knowledge, experience, and all the thoughts he put into his conversations. His work and thought should definitely be an example, an inspiration for younger scholars and, more broadly, all who think human knowledge is crucial for the progress of civilization and meaning. In this very respect, James Bruce is absolutely a deep thinker. These words must be understood in the best way, as all our readers will immediately discover reading this interview. We covered crucial topics from intelligence analysis, its future as well as the epistemology of intelligence. It is then with my distinct pleasure to publish the interview on Scuola Filosofica – for those who don’t know it yet; it is one of the leading cultural blogs in Italy. In the name of Scuola Filosofica Team, our readers, and myself, Giangiuseppe Pili, James: thank you!
1# Hi James Bruce, let’s start from the basics. How would you like to present yourself to our national and international readers?
Hello, Gian, and thank you for the opportunity to discuss analysis! To start with a caveat: These interview responses are my own personal views, and they do not reflect the positions of the Central Intelligence Agency, the US government, or the RAND Corporation.
I am a retired intelligence analyst with 24 years’ experience at CIA. While there, I worked on a variety of substantive issues and also some methodological ones. With Ph.D. in hand and 10 years’ teaching experience in academe when I entered the Agency, I still had much to learn on my path to becoming a professional analyst.
My early career focus was on the Soviet Union, and I published a very controversial (then classified) paper in 1983 on civil unrest in the USSR. It described and successfully forecast growing political instability in the Soviet system due to a breakdown in the social contract between the governing Communist Party (CPSU) and the population that was growing increasingly restive with the regime’s authoritarianism and unfulfilled promises. That quantitative study of demonstrations, strikes, riots, and political violence revealed a tip-of-the-iceberg change afoot in the Soviet political culture across its 11 time zones that the KGB couldn’t curtail by force alone. The collapse of the Soviet Union on Christmas Day in 1991 was seen by some as a US intelligence failure. While that fateful day wasn’t specifically predicted, a few analysts had reported the early signs of imminent system failure and, by 1990, CIA had its demise pretty well in hand. Gorbachev’s rule was becoming increasingly precarious. Today Putin may be riding a similar tiger.
Di recente, parlando con il Master Chief di ScuolaFilosofica.it, Giangiuseppe Pili, è emerso che nel sito scarseggiano recensioni di libri scritti da russi. Indagando su questa curiosità, la conversazione si è defilata facilmente sulle idee personali circa la caratura delle varie letterature continentali, e da ambe le parti, ogni tanto, son partite scorribande di convinzioni individuali volte ad arrembare la solida nave delle convinzioni dell’altro.
Dopo anni di lettura forte, capita di passare in rassegna i numerosi libri che mi hanno intrattenuto e che oggi mostrano la loro costa, uno di fianco all’altro, sui ripiani della libreria di casa. Non c’è nessun dubbio sul fatto che la mia preferenza per la lettura di romanzi superi senza difficoltà quella relativa a libri di ogni altro genere.
Un retaggio degli sciagurati studi tecnici della mia formazione scolastica è certamente la statistica.
In realtà, il tentativo di avvicinarmi al vero, attraverso numeri e percentuali, non può essere considerato del tutto in discordanza con un’attività riflessiva estremamente fervida. Anzi, proprio la vivacità della mente è la naturale conseguenza di tutta la formazione umanistica e filantropica che è successa a quella scolastica.
Esiste un campo nel quale la matematica, la scienza dei numeri, si prefigge dall’inizio alla fine l’obiettivo di risalire la verità. Qua non c’è sorte che interferisce nella ricerca e nel risultato, il calcolo domina su ogni altra componente. Se poi alla scienza si affianca la fantasia, allora si ha a che fare con una materia eccelsa, difficilmente declassificabile. Parlo degli scacchi, attività che non poteva non entrare nella mia vita.
– Un’equazione non significa niente per me a meno che non esprima un pensiero di Dio –