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La nozione di autorità

Alexandre Kojeve, in un manoscritto datato 16 maggio 1942 ma pubblicato solo all’inizio del nuovo millennio, sviluppa una riflessione sul concetto di autorità che merita senz’altro la nostra attenzione.

Kojeve fu un pensatore particolare. Nato a Mosca nel 1902, visse in Francia dove si occupò per lo più di approfondire il pensiero filosofico di Hegel. In vita pubblicò solo due opere (tra cui un’Introduzione alla lettura di Hegel), ma scrisse moltissimo. Gli appunti sulla ‘nozione di autorità’ sono tra le opere nel cassetto che furono pubblicate solamente dopo la morte del filosofo.

Ho trovato le sue note illuminanti per molti aspetti, in particolare ne ho apprezzato la non comune profondità analitica. Voglio per tanto darne qui una breve sintesi. Molte delle riflessioni che si trovano nel libretto di Kojeve (che è possibile trovare pubblicato per i tipi di Adelphi, 2011) meriterebbero senz’altro un approfondimento sia filosofico sia da parte della psicologia sperimentale (come avrò modo di chiarire più avanti).

 

Breve biografia del filosofo

La biografia di Kojeve è ricca di avvenimenti e non è riducibile alla storia o all’evoluzione del suo pensiero. Dopo aver lasciato la Russia ed essersi formato con degli studi universitari in Germania, approda in Francia, a Parigi, dove sostituisce l’amico filosofo Koyre alla cattedra all’École Pratique des Hautes Études e tiene le lezioni sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel che lo renderanno un punto di riferimento per molti intellettuali francesi a lui coevi.

Durante la guerra svolgerà un ruolo nella Resistenza all’occupazione tedesca (è in questa fase della sua vita che, da Marsiglia dove si era rifugiato, redige il manoscritto sulla nozione di autorità). Dopo la guerra, invece, abbandonerà la strada della ricerca in filosofia (secondo la vulgata, continuò però a scrivere la domenica, da cui l’appellativo ‘filosofo della domenica’ datogli da Queneau), e sarà inquadrato nello Stato come alto funzionario con il compito di definire le tattiche più utili nelle negoziazioni economiche internazionali.

 

L’analisi fenomenologica di Kojeve

Vediamo ora la riflessione che Kojeve sviluppa sulla nozione di autorità. Nel libro, questa si suddivide in tre analisi: un’analisi fenomenologica, un’analisi metafisica e un’analisi ontologica. Poiché le ultime due sono quelle che meno hanno destato il mio interesse (di psicologo sperimentale) e quelle che meno sono state sviluppate da Kojeve, riducendosi a poche pagine, dunque a vere e proprie bozze, non saranno qui trattate. D’altra parte, il carattere originale della riflessione di Kojeve lo si individua soprattutto nella distinzione tra le diverse forme di autorità, dedotte esclusivamente dall’analisi fenomenologica.

Per analisi fenomenologica dell’autorità, Kojeve intende un’analisi che parta dall’elenco di tutti i fenomeni che istintivamente chiameremmo ‘autorità’ e giunga all’individuazione degli elementi semplici (ovvero non riconducibili a altri elementi) al fine di capire se questi sono tutti ben spiegati dalle teorie o descrizioni esistenti.

 

Definizione generale di autorità

Tuttavia, per passare in rassegna ogni fenomeno rilevante è necessario possedere una definizione iniziale che, anche se non precisa, ci permetta di circoscrivere la nostra ricerca, ovvero una definizione generale, certamente rivedibile, che includa molti fenomeni che saranno poi eventualmente esclusi.

Secondo questa definizione generale, “l’autorità è la possibilità che un agente [libero e cosciente] ha di agire sugli altri [dunque è un fenomeno sociale], senza che questi altri reagiscano nei suoi confronti, pur essendo in grado di farlo [dunque c’è da parte del subordinato la rinuncia cosciente e volontaria alla reazione].”

In una seconda versione: “agendo con autorità, l’agente può cambiare il dato umano esterno senza subire il contraccolpo, cioè senza cambiare egli stesso in funzione della sua azione.” E in una terza formulazione: “l’autorità è la possibilità di agire senza fare compromessi.”

Se, per far rispettare un ordine, devo usare la forza, intavolare una discussione o scendere a compromessi, significa che non ho autorità, poiché modifico me stesso nel processo. La reazione o opposizione rimane dunque solamente una possibilità. Nel momento in cui si realizza distrugge l’autorità.

Nel fenomeno autorità, la forza è escusa. Ogni autorità è necessariamente riconosciuta poiché se non lo fosse cesserebbe di esistere. L’azione autoritaria è così, per definizione, legale o legittima. Negare legittimità all’autorità significa non riconoscerla, dunque distruggerla.

Naturalmente, nei casi concreti è possibile negare che vi sia autorità laddove altri sostengono invece che vi sia, ma non è possibile opporsi o non riconoscere l’autorità, o meglio è possibile al prezzo della distruzione del fenomeno stesso.

La definizione di autorità può essere così accostata a quella del ‘divino’, ovvero tutto ciò che può agire su di noi senza la possibilità che vi sia una reazione nei suoi confronti. Forse non è un caso che, per molto tempo, si è pensato che la massima autorità fosse Dio e che l’autorità umana fosse sacra o divina.

E qui si può osservare, per inciso, che lo studio della concezione di Dio può ritornare utile allo studio della concezione dell’autorità, dal momento che spesso la persona, almeno quella credente, proietta inconsciamente su Dio le sue intuizioni riguardo all’autorità.

Tuttavia, i due fenomeni sono nettamente distinguibili: reagire a Dio, infatti, è impossibile, mentre reagire all’autorità è teoricamente possibile. Distinguendo i due fenomeni si intuisce anche che avere l’autorità implica il rischio di perderla. Per tanto, l’autorità deve avere una causa, una ragione o una giusticazione per esistere. Altrimenti, sarebbe persa ad ogni momento. Arriviamo dunque alla domanda chiave: perché l’uomo, pur libero e cosciente, subisce un’azione senza reagire?

 

Quattro tipi di autorità

Per capire il fenomeno dell’obbedienza, dobbiamo capire l’autorità. Che cos’è l’autorità? A questa domanda, secondo Kojeve, è possibile dare diverse risposte, dedotte dal lungo processo di analisi fenomenologica che, tuttavia, Kojeve non conduce (sic.) ma di cui, nondimeno, fornisce i risultati. Esisterebbero quattro tipi di autorità:

  • L’autorità del Signore
  • L’autorità del Capo
  • L’autorità del Giudice
  • L’autorità del Padre

L’autorità del Signore sul servo ha diverse varianti tra cui quella del nobile sul plebeo, del militare sul civile, dell’uomo sulla donna, del vincitore sul vinto (se quest’ultimo riconoscere il vincitore come tale).

Così l’autorità del Capo (o duce o leader) sulla banda ha le sue varianti, tra cui l’autorità del superiore (boss), del maestro, del dotto, del tecnico, dell’indovino, del profeta.

Nelle varianti dell’autorità del Giudice si possono invece elencare l’autorità dell’arbitro, del controllore, del censore, del confessore e, soprattutto, quella dell’uomo giusto ed equo.

Infine, tra le varianti dell’autorità del Padre (o, in generale, del genitore sul figlio) troviamo l’autorità che può derivare dall’avere un’età maggiore, quella della vecchiaia, quella della tradizione, e quella del morto (per cui le volontà testamentarie sono generalmente rispettate).

Questi sono i tipi puri che esauriscono il fenomeno dell’autorità. Ovvero, ogni caso di autorità che possiamo immaginare può essere ricondotto a questi quattro casi o a una combinazione di questi. Se così non fosse, naturalmente bisognerebbe aggiungere un ulteriore tipo puro. Tutte le altre manifestazioni del potere che assomigliano all’autorità sono molto spesso semplice manifestazione della forza.

 

Le quattro teorie sull’autorità

Nella storia del pensiero occidentale, sono state avanzate quattro teorie principali dell’autorità. Ognuna è stata formulata nell’idea di catturare il fenomeno dell’autorità nella sua completezza, mentre, come si vede, ognuna non si riferisce se non a un tipo particolare di autorità. Eccole:

  • La teoria di Hegel
  • La teoria di Aristotele
  • La teoria di Platone
  • La teoria degli scolastici

Nella teoria di Hegel, l’autorità (del signore sul servo) nasce nella lotta mortale per il riconoscimento. Le due parti si affrontano per essere riconosciute nella loro stessa dignità umana, ma il futuro signore affronta la lotta rischiando la vita, mentre il servo vi rinunzia o si ritira per paura, dunque preferisce sottomettersi che rischiare la vita. Il potere deriva dunque al signore dal fatto che ha rischiato la vita.

Il signore domina in un certo senso l’animale che è in lui, ovvero la paura della morte, per ottenere un riconocimento sociale, ovvero qualcosa di specificatamente umano. Diversamente, il servo si arrende liberamente e consciamente alla paura della morte e così subordina l’umano all’animale.

Per Aristotele, il capo è legittimato a esercitare l’autorità sul gregge in virtù del suo sapere, poiché è capace di prevedere, di vedere più lontano, mentre il gregge registra solo i bisogni immediati e da questi si fa guidare. È l’autorità dell’intelligenza e della ragione sulla bestialità, che svolge una funzione di guida e conduzione.

Per Platone, invece, l’autorità si fonda sulla giustizia e sull’equità. Ogni altra manifestazione del potere si fonda sulla forza e, dunque, non è vera autorità, giusta o legittima. Gli altri tre tipi di autorità (del signore, del capo, del padre) non sono fondati sulla giustizia e sono per tanto indipendenti da essa. Esiste tuttavia la possibilità, almeno teorica, di un’autorità fondata solo sulla giustizia, che può entrare in conflitto con le altre forme di autorità e distruggerle.

Infine, per gli scolastici l’autorità proviene da Dio ed è successivamente trasferita all’uomo. Il trasferimento è di tipo ereditario, proprio come l’autorità del padre passa al figlio quando quello muore o questo a sua volta diventa padre. Nel concetto di autorità divina sono implicati i tipi del capo e del giudice ma non quello del signore, dal momento che in Dio è assente la possibilità di rischiare la vita. Il tipo del signore è sostituito dal padre, soprattutto nel momento in cui si concepisce Dio come creatore del mondo e dell’uomo.

Si intuisce perché quella del padre è un’autorità (secondo la definizione generale offerta in partenza) quando si osserva che l’effetto (l’uomo) non può rinnegare la sua causa produttrice (Dio). L’effetto non può reagire alla causa. In più, la causa trasmette la sua essenza o potenza all’effetto e così si giustifica il principio ereditario della trasmissione del potere. L’autorità del padre, spogliandosi naturalmente del suo carattere teologico, è definibile per tanto dalla rinuncia cosciente e volontaria alla reazione da parte dell’effetto contro l’azione della causa.

Poiché le teorie considerate sono tutte parziali e allo stesso tempo esclusive (ovvero intendono dar conto del fenomeno dell’autorità nel suo complesso), sono anche false.

 

Casi concreti di autorità

Spesso, nei casi concreti, i quattro tipi puri si combinano tra loro. Tuttavia, le combinazioni possono essere distinte a seconda del tipo predominante: soprattutto capo, soprattutto giudice, soprattutto capo e giudice etc. Per fare un esempio, può darsi che un’autorità misto di giudice e capo, con predominanza giudice, venga rispettata come capo quanto come giudice oppure che venga rispettata come capo solamente in virtù del fatto che è un buon giudice.

Combinando tra loro i quattro tipi si otterebbe un gran numero di possibilità fenomenologicamente diverse. In tutto 64 possibilità, risultanti dalla somma dei tipi puri, delle combinazioni a due, delle combinazioni a tre e di quelle a quattro tipi.

Utile, nell’analisi dei casi concreti, la distinzione tra autorità totale, che possiede tutti i quattro tipi puri, e selettiva. Infatti, l’esame dei tipi posseduti permette di capire a quali ambiti si estende l’autorità in esame.

Nei casi specifici, spesso l’autorità è di fatto totale, poiché una volta riconosciuta all’individuo un certo tipo di autorità si tende ad attriburgli anche gli altri tipi. E nel momento in cui si constata che all’individuo a cui si è riconosciuto un tipo di autorità manca un altro tipo (es. un capo ingiusto), spesso si è portati ad annullare il riconoscimento iniziale.

Esistono tuttavia casi autentici di autorità selettive, dove l’assenza di un tipo non elimina (anche se spesso indebolisce) l’autorità di un altro tipo. Per capire i casi reali, è dunque bene insistere sulla gradualità della presenza o assenza dell’autorità.

È certamente impossibile imbattersi in un’autorità assoluta, le cui azioni non provocano mai nessuna reazione. Esistono invece autorità relative, le quali, secondo il principio di gradualità, possono poi anche essere ordinate per grandezza relativa (numero di atti che non provocano reazione diviso il numero di atti totale).

 

Genesi dell’autorità

Come si genera l’autorità? La genesi può essere spontanea o condizionata. Nel primo caso dipende unicamente dalle azioni dell’individuo (diverse a seconda del tipo puro di autorità) ed è dunque conferita in relazione alle qualità e alle competenze dell’individuo. Nel secondo caso, invece, dipende da atti altrui, generalmente da un atto di trasmissione (es. da un individuo a un altro).

Fatta eccezione per il padre, le azioni che generano in maniera spontanea l’autorità richiedono che l’individuo possegga un certo talento speciale. La genesi condizionata, invece, può dipendere da una decisione collettiva (nell’ipotesi del contratto sociale), da un’elezione dove il candidato vincitore è tirato a sorte o da una designazione che non dipende dalle qualità personali dell’individuo.

Per la genesi condizionata, dunque, sarebbe più appropriato parlare di trasmissione dell’autorità, dal momento che è necessario presupporre l’esistenza di un’altra autorità, oltre quella in formazione. Ad esempio, nel contratto sociale l’autorità o il potere del gruppo si trasmette all’eletto.

Rispetto al processo di genesi spontanea, è utile distinguere tra le cause che determinano l’autorità e la manifestazione dell’autorità. Ad esempio, non è l’elezione (manifestazione) a determinare l’autorità, ma, poniamo, la proposta di un progetto da parte del capo. È il progetto e la capacità dell’individuo di guidare il gruppo a renderlo autorevole, dunque eleggibile. L’elezione non genera l’autorità, semplicemente la conferma. Così si può dire per ogni atto di obbedienza (ovvero rinuncia alla reazione da parte del subordinato), che non genera l’autorità ma semplicemente ne manifesta la presenza.

Propriamente, dunque, la genesi dell’autorità è solo quella spontanea, mentre la genesi condizionata è in realtà trasmissione del potere. Anche l’elezione è un caso di trasmissione: l’autorità della maggioranza (o minoranza) è trasmessa all’eletto. E dall’elezione non si crea un’autorità sui generis, ovvero un’autorità che pertiene alla maggioranza solo in quanto maggioranza, diversa dai tipi puri considerati.

Infatti, se il criterio è esclusivamente quello della maggioranza (o della minoranza), si avrà una situazione dove una parte del gruppo si appella alla forza (del soprannumero, nel caso della maggioranza) e non all’autorità. La rinuncia della minoranza nei confronti della maggioranza è dunque volontaria solo in apparenza. In realtà, è dovuta alla previsione che in caso di scontro essa avrebbe la peggio. In questo caso, dunque, la nozione di autorità non si applica certamente.

 

Trasmissione dell’autorità

Come avviene la tramissione dell’autorità? In tre modi possibili: per eredità, per elezione, o per nomina. La trasmissione per eredità è basata sull’idea che gli atti, le virtù e le qualità che giustificano l’autorità siano trasmissibili (di padre in figlio). L’autorità del padre, ovvero l’autorità della tradizione, è naturalmente quella la cui ereditarietà sembra più giustificabile. Diversamente, è da attribuirsi a opinioni errate e oggi ampiamente superate sui processi di ereditarità biologica, la possibilità di trasmettere per eredità l’autorità del capo, quella del giudice o quella del signore.

Elezione e nomina invece si distinguono per il fatto che l’autorità si trasmette per nomina quando l’individuo è designato da un’autorità dello stesso tipo, mentre si trasmette per elezione quando il candidato è designato da chi o non ha autorità (maggioranza) o ne ha una di diverso tipo.

Nella nomina, dunque, l’autorità deriva all’individuo dall’autorità di chi lo investe. Diversamente, l’elezione non fa che rivelare un’autorità preesistente nell’individuo, dal momento che, per quanto detto, questa non può essere derivata. Qui, un suggerimento utile è di organizzare il regolamento elettorale al fine di favorire la scelta di autorità generate spontaneamente.

 

Alcune deduzioni

Dopo un abbozzo di analisi metafisica e ontologica, che qui non riportiamo, il manoscritto di Kojeve prosegue con l’esame di alcune deduzioni o applicazioni della teoria dell’autorità. Queste possono essere di ordine politico (poiché lo Stato presuppone l’autorità, è possibile dedurre la teoria dello Stato da quella dell’autorità), di ordine morale (dalla teoria dell’autorità è possibile dedurre una morale politica), e di ordine psicologico (comprendere l’autorità e la psicologia del subordinato significa avere capacità di controllo sui cittadini).

Particolarmente interessanti e suggestive le due paginette dedicate alle applicazioni morali. Vi si sostiene che, poiché esistono quattro tipi di autorità, esisteranno anche quattro tipi puri di morale dell’autorità, ovvero quattro complessi distinti di regole da rispettare o comportamenti da eseguire per acquisire e mantenere l’autorità.

Secondo Kojeve, non ci sofferma abbastanza nello studio della morale dell’autorità poiché la morale borghese (e cristiana), caratteristica delle democrazie occidentali, tende a rimuovere ogni differenza tra chi esercita il potere e chi lo subisce, pur riconoscendolo. È diffusa la tendenza a considerare per lo più la morale del giudice, e a valutare con i parametri di questa ogni altro tipo di autorità. Non si capisce che c’è una morale specifica per ogni ambito e che, in generale, ha poco senso giudicare un’autorità di un certo tipo solamente a partire da una visione morale che appartiene a un’autorità di un altro tipo.

 

Domande per lo psicologo sperimentale

In chiusura, mi domando se uno studio sperimentale del fenomeno dell’autorità non possa beneficiare dell’analisi filosofica di Kojeve. Un primo punto mi sembra fondamentale. Se vogliamo capire l’obbedienza (perché il bambino ma anche l’adulto obbedisce, ovvero piega la propria volontà a quella altrui?) è necessario partire dallo studio del rapporto tra autorità e subordinato.

Nell’esaminare come le persone si comportano all’interno di questo rapporto e che tipo di comprensione riportano di tale rapporto, mi pare si possa senz’altro, e con beneficio, assecondare l’idea di Kojeve per cui non vi è un solo tipo di autorità, ma diversi tipi di autorità, a seconda del contesto.

Posto che la tassonomia proposta da Kojeve abbia una sua realtà psicologica, adottando un’ottica di sviluppo, lo psicologo sperimentale potrebbe chiedersi a quale età emerga la compresione dei diversi tipi di autorità. È capace il bambino piccolo di riconoscere legittimità, in contesti specifici, a tutti i diversi tipi di autorità, oppure solo ad alcuni? Quali autorità riconosce il bambino e come si sviluppa una comprensione completa dei fenomeni legati all’autorità e all’obbedienza?

Nella concezione intuitiva delle persone, che relazione gerarchica è possibile trovare tra i diversi tipi di autorità? Ce n’è una che prevale rispetto alle altre? Giudichiamo tutto con il filtro della giustizia e dell’equità, oppure possiamo autenticamente riconoscere legittimità ad autorità immorali o al di là del bene e del male? Come cambiano i nostri giudizi a seconda del contesto e del tipo di autorità che stiamo valutando?

Ci si potrebbe inoltre chiedere se le aspettative possedute dalle persone su come si svolgerà di fatto un certo rapporto tra autorità e subordinato corrispondono alle idee normative possedute dalle persone rispetto a come dovrebbe svolgersi un tale rapporto.

Infine (ma potremmo andare avanti ancora per molto!), per la psicologia comune, l’autorità di un certo tipo che viene riconosciuta a un individuo (poniamo giudice o capo) si estende anche alle situazioni che rientrano solitamente nel dominio degli altri tipi di autorità? Quali tipi di autorità tengono a validare l’individuo anche sotto il profilo degli altri tipi di autorità? Ad esempio, se vengo rispettato come capo vengo rispettato anche come giudice? E se vengo rispettato come giudice vengo rispettato anche come capo?

Affronteremo in altre sedi la possibile rilevanza dell’analisi di Kojeve per gli attuali modelli cognitivi della comprensione delle relazioni sociali, per ora basti sottolineare l’importanza di considerare con maggiore profondità le possibili differenze tra vari tipi di autorità allo scopo di sviluppare una migliore comprensione dei fattori psicologici che sostanziano la relazione tra l’autorità e chi all’autorità obbedisce.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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