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Invecchiamento e pensiero morale

Il nostro modo di giudicare la moralità di azioni e individui subisce delle trasformazioni quando invecchiamo? Se sì, quali, e perché le subisce? Ad affrontare queste domande è un’indagine sperimentale condotta da me, Janet Geipel (Università di Chicago), Constantinos Hadjichristidis e Luca Surian (Università di Trento), recentemente pubblicata sulla rivista Experimental Psychology.

Lo studio riporta che, rispetto agli adulti più giovani, gli anziani, nel giudicare la scorrettezza di alcune azioni connotate moralmente, danno maggiore peso alle conseguenze dannose dell’azione e minore peso alle intenzioni, buone o cattive, possedute da chi agisce. L’analisi morale dell’anziano è così focalizzata su quello che di fatto avviene, e non su quello che era nelle intenzioni di chi agiva.

Nella psicologia del pensiero, lo studio dei processi cognitivi sottesi al giudizio morale nell’anziano è relativamente poco frequentato. Ci sono invece molti studi sullo sviluppo del giudizio morale durante l’infanzia e la fanciullezza. Un aspetto indagato in questi studi è la capacità dei bambini di prendere in considerazione, nelle loro valutazioni, gli stati mentali di chi agisce (credenze, desideri, intenzioni etc.).

Secondo questa letteratura, un passaggio fondamentale nello sviluppo del pensiero morale avverrebbe tra i quattro e i cinque anni. Mentre il bimbo piccolo focalizza la sua attenzione per lo più sulle conseguenze dell’azione, dal quinto compleanno in poi si prenderebbe in esame soprattutto la qualità delle intenzioni di chi agisce. Cosicché, dovendo giudicare un caso in cui un individuo, senza averne avuto l’intenzione, provoca un danno a un secondo individuo (caso di danno accidentale), il bambino piccolo sarà portato a condannare moralmente l’atto, mentre il bambino più grande tenderà a scusarlo poiché non intenzionale (Cushman et al., 2013; Margoni & Surian, 2017).

Secondo una recente ipotesi, il cambiamento del giudizio morale in età prescolare sarebbe dovuto al miglioramento o sviluppo di alcune abilità psicologiche quali le funzioni esecutive e la teoria della mente (cfr. Margoni & Surian, 2016). Per funzioni esecutive si intende l’insieme dei processi cognitivi con cui possiamo controllare il nostro pensiero o comportamento, mentre per teoria della mente si intende la capacità di interpretare il comportamento altrui in termini mentalistici, ovvero come causato da o in relazione a stati mentali quali credenze, desideri, intenzioni.

Per formulare verbalmente un giudizio morale (es. dire allo sperimentatore che l’azione x è moralmente scorretta), sembrerebbe necessario avere: a) buone capacità di teoria della mente, ovvero saper interpretare in termini mentalistici le azioni altrui; b) buone funzioni esecutive, ad esempio nel giudicare un caso di danno accidentale, bisogna essere in grado di inibire la risposta prepotente basata su fatti visibili e concreti come le conseguenze e selezionare la risposta basata sulle intenzioni. Poiché nel bimbo piccolo lo sviluppo di queste abilità non è completato, non sorprende riscontrare un giudizio morale espresso in maniera verbale che ancora non riflette un esame delle intenzioni.

Molte evidenze dimostrano che funzioni esecutive e teoria della mente declinano in vecchiaia (es. Henry et el., 2013; Reuter-Lorenz & Sylvester, 2005). L’ipotesi di partenza dello studio pubblicato su Experimental Psychology era dunque che il decadimento di queste abilità generali rispetto all’ambito della morale avesse un effetto sul giudizio morale dell’anziano; in particolare, ci aspettavamo che il decadimento portasse l’individuo a spostare l’attenzione dalle intenzioni alle conseguenze.

Per mettere alla prova dei fatti questa ipotesi, abbiamo chiesto a un gruppo di giovani adulti (21-39 anni) e a un gruppo di anziani (63-90 anni) di giudicare quanto fossero scorretti moralmente e punibili dei tentativi non riusciti di danneggiare o aiutare qualcuno (intenzione presente, conseguenza assente) e delle azioni che accidentalmente danneggiavano o aiutavano qualcuno (intenzione assente, conseguenza presente). Inoltre, con una serie di test abbiamo misurato le differenze individuali in termini di funzioni esecutive e teoria della mente.

Complessivamente, il gruppo degli anziani, nel giudicare i casi di danno, ha pesato maggiormente le conseguenze rispetto alle intenzioni. Per l’anziano, dunque, chi provoca anche solo accidentalmente un danno è condannabile moralmente, mentre chi mostra l’intenzione di danneggiare ma poi non ci riesce non è condannabile con la stessa severità con cui verrebbe condannato da un giovane adulto.

Questa tendenza a focalizzare l’attenzione più sulle conseguenze e meno sulle intenzioni è poi risultata strettamente legata all’abilità di teoria della mente. Le differenze individuali nella capacità di teoria della mente tra i partecipanti anziani sono infatti risultate predittive del giudizio morale basato sull’esame delle intenzioni. Maggiore è l’abilità di teoria della mente, maggiore è la probabilità che l’individuo anziano pesi le intenzioni nel suo giudizio morale proprio come farebbe un individuo più giovane.

Questo è uno dei primi studi sull’argomento (vedi anche Moran et al., 2012), e chi scrive auspica che nel prossimo futuro ne seguano altri. Sarà interessante capire, ad esempio, come l’anziano valuta quei casi dove il danno accidentale è stato provocato da un comportamento negligente. Condannerà severamente il danno accidentale indipendentemente dal livello di negligenza? Oppure prenderà in considerazione questa informazione spesso cruciale? In generale, sarà interessante indagare a quali aspetti del pensiero e del comportamento morale si estende la ‘rigidità’ o ‘focalizzazione sul concreto’ che abbiamo riscontrato nell’anziano, e, soprattutto, sarà utile capire quali componenti della psicologia dell’invecchiamento contribuiscono a spiegarla.

 

Lo studio:

Margoni, F., Geipel, J., Hadjichristidis, C., & Surian, L. (2018). Moral judgment in old age: Evidence for an intent-to-outcome shift. Experimental Psychology, 65, 105-114.

Bibliografia minima:

Cushman, F., Sheketoff, R., Wharton, S., & Carey, S. (2013). The development of intent-based moral judgment. Cognition, 127, 6-21.

Henry, J. D., Phillips, L. H., Ruffman, T., & Bailey, P. E. (2013). A meta-analytic review of age differences in theory of mind. Psychology and Aging, 28, 826–839.

Margoni, F., & Surian, L. (2016). Explaining the U-shaped development of intent-based moral judgments. Frontiers in Psychology, 7, 219.

Margoni, F., & Surian, L. (2017). Children’s intention-based moral judgments of helping agents. Cognitive Development, 41, 46-64.

Moran, J. M., Jolly, E., & Mitchell, J. P. (2012). Social-cognitive deficits in normal aging. The Journal of Neuroscience, 32, 5553–5561.

Reuter-Lorenz, P. A., & Sylvester, C. Y. (2005). The cognitive neuroscience of aging and working memory. In R. Cabeza, L. Nyberg, & D. Park (Eds.), The cognitive neuroscience of aging (pp. 186–217). New York, NY: Oxford University Press.

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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