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Amaro calice … sul disgusto e la morale

Hume, nel XVIII secolo, fu una delle maggiori sensibilità filosofiche ad avvertire l’importanza dello studio della natura umana per la comprensione della morale. Opponendosi fermamente all’apparenza per cui la ragione, nella forma della conoscenza della legge morale, determinerebbe l’azione, il filosofo scozzese affermò che la natura umana è fondamentalmente mossa da stimoli di piacere e dolore.

Da qui l’affermazione che è il sentimento, e non la ragione, a motivare la volontà. La ragione ci può offrire la conoscenza del vero e del falso ma non un orientamento nella valutazione morale. È il gusto a fornirci il sentimento del bello e del brutto, della virtù e del vizio. La ragione conosce, il gusto approva o disapprova. E la morale è una questione di approvazione o disapprovazione.

La ragione si applica solamente a tautologie e stati di fatto, e la morale non consiste né in tautologie né in stati di fatto. Virtù e vizio morale sono qualità secondarie dell’azione, perciò non è possibile attribuire valore di verità al giudizio morale. Di fatto, secondo Hume, l’uomo non giudica della singola azione presa in modo astratto, ma approva o disapprova solamente le qualità del carattere o le motivazioni che portano all’azione. Guida al comportamento morale sarebbe poi il sentimento simpatetico per cui proviamo piacere o dolore di fronte a certe motivazioni e caratteri. Ecco perché la morale è questione di sentimento.

Celebre è la conclusione del filosofo sul rapporto tra emozione e ragione: « … non parliamo né con rigore né filosoficamente quando parliamo di una lotta tra la passione e la ragione. La ragione è, e deve essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse.» (Trattato sulla natura umana, p. 346) Ma come fanno le passioni, ci si può chiedere, a guidare le azioni in modo che definiremmo moralmente corretto? Hume risponde ricorrendo all’abitudine. È l’abitudine a formare un certo carattere dotato di certe inclinazioni, il quale guida poi l’azione. Dopodiché l’uomo è stimolato dalle varie passioni.

Lo stesso giudizio morale non è niente più che l’esplicitazione linguistica di uno stato sentimentale: « … quando dichiarate viziosa [o, altrimenti, virtuosa] un’azione o un carattere, non intendete dire nient’altro che, data la costituzione della vostra natura, voi provate un senso o un sentimento di biasimo [o lode] nel contemplarli. Il vizio e la virtù possono perciò essere paragonati ai suoni, ai colori, al caldo e al freddo che, secondo la filosofia moderna, non sono qualità degli oggetti, ma percezioni della mente […] Niente può essere più reale o interessarci di più che i nostri sentimenti di piacere e dolore, e se questi sentimenti sono favorevoli alla virtù e sfavorevoli al vizio, non occorre certo nient’altro per regolare la nostra condotta e il nostro comportamento.» (Trattato sulla natura umana, p. 496)

Così, per Hume, i giudizi morali sarebbero simili, per natura e formazione, ai giudizi di gusto. Secondo alcuni ricercatori, psicologi e neuroscienziati morali, in accordo con la filosofia di Hume, l’emozione sarebbe il fondamento della presa di decisione morale. Un’azione sarebbe disapprovata moralmente in relazione all’emozione che suscita.

Le ricerche condotte negli ultimi quindici anni hanno portato diversa evidenza empirica a sostegno dell’influenza dell’emozione, dello stato fisiologico, corporeo, sensorio, del contesto e dell’umore sul giudizio morale. Ad esempio lo stare in una stanza pulita è stato dimostrato essere una condizione significativamente influenzante il comportamento altruistico. Oppure, il disgusto provocato da un odore sgradevole è stato dimostrato causare un inasprimento dei giudizi di disapprovazione morale, o, in un altro esperimento, un tasso maggiore di questi. La stessa dinamica si verifica quando il soggetto è posto in una stanza sporca.

Uno studio del 2011 apparso su Psychological Science, titolato “A Bad Taste in The Mouth: Gustatory Disgust Influences Moral Judgment”, conferma il profondo legame tra disgusto fisico e disgusto morale, trovando che bere una bevanda amara (dunque, percepire un gusto sgradevole) influenza significativamente il giudizio morale. Nel senso atteso per cui il disgusto fisico susciterebbe un sentimento di disgusto morale. Lo studio conferma l’influenza dell’informazione corporea e sensoria sul ragionamento morale, e trova che il giudizio è affetto anche dalla percezione di un sapore, in particolare, bisogna sottolineare, se si tratta di un sapore disgustoso.

References:

  1. Eskine, K., Kacinik, N., Prinz, J. (2011) A Bad Taste in The Mouth: Gustatory Disgust Influences Moral Judgment. Psychological Science; 22(3): pp. 295-299.
  2. Hume D. Treatise of Human Nature, John Noon-Thomas Longman, London, 1739-1740; trad. it. Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, Vol. I, Laterza, Roma-Bari 2010.

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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