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Precognizione e telepatia: Intervista a Patrizio Tressoldi

Patrizio Tressoldi è ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Oltre all’interesse rivolto agli interventi riabilitativi per i disturbi dell’apprendimento, Tressoldi ricerca in ambiti della psicologia ritenuti particolarmente controversi o parascientifici. Tra questi la precognizione, le funzioni mentali non-locali e la telepatia. Un’ulteriore interesse di Tressoldi è la possibilità di estendere ed applicare alcuni principi propri della fisica quantistica allo studio della psicologia cognitiva. Lasciando per un momento da parte lo scetticismo, riconosciamo l’enorme fascino che possiede, ad esempio, un tema come quello della telepatia. Se ognuno avrà un’opinione in merito alla possibilità di comunicare per via telepatica, dobbiamo ringraziare il dott. Tressoldi per i suoi tentativi di rendere scientifica la discussione su questo ed altri temi dalla natura controversa.

Iniziamo proprio dalla telepatia. Le domande sono due. Chi ricerca su un fenomeno come questo deve credere all’esistenza del fenomeno prima di poter iniziare a dimostrarlo? A che punto si trova la comunità scientifica nella dimostrazione dell’esistenza della telepatia, e in che modo Lei sta contribuendo?

Nella ricerca scientifica generalmente si procede per ipotesi e curiosità. E’ naturale quindi che chi non è interessato a determinati fenomeni, non si interessi per nulla a conoscerli e tantomeno a studiare le informazioni messe a disposizione da chi invece ne è interessato. Questo vale per fenomeni meno controversi, ad esempio il fattore umano nel riscaldamento globale della Terra, e ancor più per quelli, diciamo, più controversi in un certo contesto culturale come il nostro, come ad esempio la possibilità di connettere informazioni mentali a distanza con i nostri pari. Premettendo che chi cerca certezze è opportuno si rivolga ad altre fonti di conoscenza, i dati che provengono dalla ricerca scientifica relativi alla telepatia (un termine che io non uso quasi più, preferendo ‘percezione nonlocale’), sono disponibili all’esame di chi ha un serio interesse a valutarli direttamente e non si accontenta solo delle opinioni degli scettici di professione o di chi esprime giudizi senza conoscere lo stato dell’arte. Per agevolare le persone nella ricerca di queste fonti, ho creato una pagina dedicata nel mio sito personale. In questa pagina sono disponibili tutte le meta-analisi più recenti relative alla percezione e alla interazione mentale nonlocale, più una selezione di contributi teorici. Per rispondere in modo sintetico alla domanda a che punto si trova la comunità scientifica nella dimostrazione dell’esistenza della telepatia, le evidenze più recenti riferite alla percezione nonlocale consapevole in condizioni di ganzfeld, indicano l’esistenza di un effetto piccolo, ma piuttosto robusto, che tradotto in termini non tecnici, corrisponde ad un aumento di circa il 6-7% di risposte corrette rispetto al caso.

Lei sostiene che esiste una lunga tradizione di ricerca in psicologia che si occupa di stabilire se la mente umana possa processare delle informazioni che non provengono dagli organi sensoriali, ovvero informazioni non locali. Può spiegare meglio cosa si intende per ‘processamento dell’informazione non locale’, perché la ricerca su questi aspetti è rilevante e quali sono stati i suoi contributi?

In parole semplici, nonlocale si contrappone a locale riferito alle informazioni già acquisite o acquisibili tramite metodi convenzionali, sostanzialmente attraverso la mediazione degli organi di senso. L’idea che la mente umana possa estendere le sue capacità di percezione e interazione nello spazio e nel tempo ha radici filosofiche antiche e moderne, basti pensare al monismo neutrale, al panpsichismo e al dual-aspect monism, per citarne solo alcuni. Se queste teorie filosofiche possono sottostare ad una verifica secondo i metodi condivisi dalla ricerca scientifica, si può verificare se sono corrette o meno.

Insieme ad un gruppo di ricercatori dell’Evanlab, ha condotto uno studio che ha dell’incredibile. Inducendo un’esperienza extracorporea tramite ipnosi a cinque individui, ha trovato che questi, dopo l’esperienza, identificano con un’accuratezza vicina al 50% alcune immagini che durante l’esperienza erano state nascoste a distanza. La prima domanda è come vada interpretata questa percentuale. La seconda è come è stato recepito da parte della comunità scientifica questo studio. La terza è cosa dimostra veramente.

Questo filone di ricerca è ancora più radicale rispetto a quanto discusso finora in quanto cerca di esplorare se è possibile dissociare la mente dal corpo in modo controllato, anche se attraverso induzioni ipnotiche. In questo studio, i cui risultati sono stati descritti in due diversi lavori (reperibili qui e qui), sono stati indagati sia l’aspetto fenomenologico che l’acquisizione di informazioni a distanza per cercare di capire quali siano le caratteristiche della nostra mente quando si compiono queste operazioni di conoscenza.

Per precognizione si intende quel fenomeno per cui una risposta di natura cognitiva od emotiva di un individuo può venire influenzata da alcune condizioni le quali non si verificano che successivamente alla risposta e alla sua misurazione da parte dello psicologo sperimentale. Se questo fenomeno fosse reale, la nostra idea di relazione causa-effetto dovrebbe essere rivista radicalmente. Stiamo parlando della possibilità che il futuro causi il presente o il passato. Quali evidenze ci sono a favore della precognizione?

Attualmente le sintesi più recenti sono descritte nella meta-analisi di Mossbridge, Tressoldi & Utts (2012) per quanto riguarda gli effetti psicofisiologici e nella meta-analisi di Bem, Tressoldi, Rabeyron & Duggan (2014), per quanto riguarda gli effetti comportamentali. In entrambe le meta-analisi, c’è evidenza (più forte per quanto riguarda gli effetti psicofisiologici) di una correlazione tra eventi, teoricamente casuali, separati nel tempo. Questa correlazione dà l’impressione di predire eventi futuri o di un effetto di retrocausalità che implicherebbe una inversione del rapporto tra presente e futuro. Se il termine retrocausality è oramai un topic nella fisica in particolare quella quantistica, in psicologia è ancora un tabù. Comunque, anche ipotizzare una correlazione di eventi (teoricamente non correlati) separati temporalmente, senza implicazioni di retrocausalità, rimane un bel problema teorico. Nel mio sito indicato sopra, ci sono alcuni contributi teorici specifici per questo problema. Recentemente, assieme ad alcuni colleghi, tra cui Andrei Khrennikov, uno dei migliori esperti in matematica e statistica applicata alla fisica quantistica, abbiamo cercato di verificare se sia possibile dimostrare l’esistenza di una forma di entanglement temporale tra eventi comportamentali, simile, ma ovviamente non identico a quello studiato usando variabili fisiche. Il lavoro, non ancora definitivo, è disponibile qui.

Lei collabora con lo psicologo Daryl Bem, il cui articolo del 2011 sulla precognizione ha suscitato aspre critiche da parte della comunità scientifica in merito a presunte pratiche scorrette di analisi dei dati. Ci può esporre la sua posizione sui risultati di Bem? Secondo Lei, cosa dimostrano e non dimostrano veramente?

L’enorme scalpore sollevato da questo articolo è sostanzialmente dovuto all’oggetto dello studio, cosa che non sarebbe successa se, invece di precognizione, si fosse indagata la memoria o il linguaggio. Tutte le polemiche attorno a come sono stati analizzati i dati sono sorte come reazione al fatto che utilizzando le procedure statistiche più comuni, il risultato complessivo di nove esperimenti pare sostenere che è possibile anticipare dal punto di vista comportamentale eventi teoricamente non prevedibili, anche se di poco rispetto al caso. Questo fatto si è poi inserito nel più ampio dibattito sulla “crisi di fiducia” nella scienza e nei dati forniti dalla ricerca psicologica in particolare, che comprende anche il grosso problema della crisi di replicabilità, delle pratiche di analisi statistiche e della trasparenza nell’accesso ai dati e ai materiali usati nelle diverse ricerche. Nella già citata meta-analisi di Bem e coll. è possibile farsi un’idea dello stato delle evidenze rispetto a questo filone di ricerca.

Ha anche contribuito alla discussione metodologica sull’importanza di superare le pratiche di accettazione e rifiuto dell’ipotesi nulla in psicologia. Uno dei nomi più conosciuti è senz’altro Geoff Cumming. Lui ed altri sembrano spingere, con il benestare passivo dell’intera comunità degli psicologi sperimentali, verso forme diverse di condurre la ricerca e di testare le ipotesi. Può dirci quali, secondo Lei, sono gli elementi metodologici che andrebbero rivisti con maggiore decisione?

Anche se le critiche alle procedure statistiche maggiormente utilizzate nella ricerca psicologica, in particolare al cosiddetto Null Hypothesis Significant Testing, ha origini antiche, il grosso dibattito internazionale attorno alla “crisi di fiducia” nella scienza, accennato prima, sta decisamente forzando autori e revisori degli articoli di ricerca ad adottare tecniche di analisi statistica dei dati più centrate sulla stima della precisione dei parametri quantitativi (es. medie, percentuali, ecc.), che sulla decisione dicotomica, c’è o non c’è una differenza statisticamente significativa rispetto a zero. Accanto a questa riforma, c’è sempre più enfasi sull’importanza della replicazione dei risultati, meglio se condotta da gruppi di ricerca indipendenti, sulla sintesi meta-analitica dei risultati e soprattutto sulla trasparenza assoluta dei dati e dei materiali.

Occupandosi di parapsicologia incontrerà delle diffidenze da parte della comunità scientifica con cui dialoga professionalmente. Quali sono le maggiori difficoltà che incontra? E come intende la parapsicologia?

Come già accennato, le maggiori resistenze sono di tipo ideologico e non scientifico. Purtroppo chi si occupa attivamente di ricerca scientifica non è immune a questo, contraddicendo la natura stessa di questa, che dovrebbe essere libera da pregiudizi sul cosa si studia e concentrarsi invece sui suoi metodi. Le ovvie conseguenze sono vere e proprie forme di boicottaggio dell’accesso alla divulgazione di informazioni ritenute “scomode” o non conformi alle idee maggiormente condivise, ad esempio sulle potenzialità e la natura della mente umana. Un recente esempio è il veto imposto ad uno dei nostri lavori sulle esperienze fuori dal corpo da parte del chief editor di una rivista, dopo che il lavoro era stato accettato da un editor e da due revisori. Curiosamente ho scoperto che sono rimaste tracce qui. L’impedimento o il rallentamento nella divulgazione di queste informazioni determina una mancanza di fondi da dedicare a questi filoni di ricerca. Per tanto, molti sono disincentivati a continuare nello studio, e chi se ne interessa lo fa magari mettendo a rischio la propria reputazione scientifica.

Brainfactor ha recentemente pubblicato un articolo sulla cognizione quantistica. Come valuta l’applicazione di principi tratti dalla teoria fisica quantistica alla studio della psicologia cognitiva? Si tratta, a suo parere, di un cambio di paradigma, come alcuni sostengono?

Se ci riferiamo ai contributi di Busemeyer, Bruza, Wang, Pothos e altri, la considero una proposta innovativa di analisi dei dati empirici riferiti ad alcuni fenomeni psicologici, es. presa di decisioni, formazione dei concetti, ecc., che può rendere più precisi alcuni modelli interpretativi di queste funzioni mentali. A parte il formalismo statistico mutuato dalla fisica quantistica, sono interessanti alcune interpretazioni su come alcuni processi mentali possano manifestare caratteristiche di complementarità e sovrapposizione di tipo quantum-like, come abbiamo cercato di fare anche noi nello studio relativo all’entanglement temporale citato e nell’articolo dove abbiamo rianalizzato le evidenze della percezione nonlocale in condizioni di ganzfeld secondo il protocollo di Remote State Preparation usato in fisica quantistica. Per quanto riguarda il mio settore di ricerca, questi contributi oramai considerati mainstream, favoriscono l’interesse verso il confronto e l’interdisciplinarietà tra psicologia e fisica in particolare quella quantistica.

Nel ringraziarla per l’intervista, desideriamo chiudere domandandole quali sono le direzioni future della sua ricerca sulle quali investe maggiormente le sue speranze?

A parte continuare ad indagare sempre meglio le caratteristiche della percezione della interazione mentale a distanza dal punto di vista sia teorico che di base, ad esempio abbiamo appena concluso uno studio che cerca di evidenziare i correlati fisici della interazione mentale a distanza, stiamo cercando di dimostrare la possibilità di sfruttare queste caratteristiche dal punto di vista applicativo, che a nostro avviso è un altro modo per ridurre i pregiudizi su questi filoni di ricerca. Attualmente stiamo investendo le nostre energie su applicazioni tecnologiche, ad esempio su applicazioni portatili che possono aiutarci nelle decisioni rispetto ad eventi apparentemente imprevedibili sfruttando i segnali psicofisiologici anticipatori. Un articolo che presenta i primi dati di un tale dispositivo è disponibile qui. Un altro filone applicativo che cerca di sfruttare le potenzialità della interazione mentale a distanza è presentato in un video demo (vedi: https://www.youtube.com/watch?v=-W6SZ1fKFeY).

Intervista condotta da Francesco Margoni a Patrizio Tressoldi per Brainfactor.

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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