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Intervista a Giovanni Feliciani, autore di Vivere al ritmo della radicalità nella storia

 

Cover_VivereQuando ho ricevuto la copia di Vivere al ritmo della radicalità nella storia del fondatore della casa editrice Bibliosofica, Giovanni Feliciani, mi sono subito incuriosito. Infatti, si tratta di un libro di filosofia non diretto principalmente ad un pubblico di specialisti. L’iperspecializzazione ha colpito da tempo anche la filosofia, la cui unità si sostanzia, ormai, esclusivamente sulla parola “filosofia”. Se ancora fino a filosofi come Russell, Wittgenstein o Heidegger si poteva pensare ad una storia della filosofia unitaria, ormai la dissoluzione della filosofia in infiniti sottoambiti sembra determinare l’estinzione di un pensiero filosofico più generale e non necessariamente connesso con lo specialismo. La potenziale frammentazione della filosofia era un problema già noto in antichità, quando anche Aristotele puntava il dito sul rischio di una dissoluzione della filosofia in qualcosa di essenzialmente diverso e puntiforme.

Quanto, invece, ho trovato leggendo il libro Vivere di Giovanni Feliciani è un tentativo, a suo modo eroico in senso romantico, di mantenere invariato uno sguardo sulla totalità. Inoltre, uno degli sforzi del libro è proprio quello di mantenere un approccio che possa essere indirizzato verso un individuo che voglia “migliorare sé stesso”, attraverso una auto-riflessione sulla liceità di essere liberi da ogni forma coercitiva dovuta, principalmente, ai preconcetti perlopiù indotti da una società sostanzialmente omologata. La chiave di lettura del testo sembra emergere sin dal titolo, cioè Vivere al ritmo della radicalità nella storia, che l’autore ci avvisa essere stata la sua massima guida nella vita e nel pensiero.

Altro fatto che coglie impreparati, se così si può dire, è anche qui la pretesa di un legame sostanzialmente indissolubile tra filosofia e vita pratica, tra pensiero e azione, concepiti (quando privi di pregiudizi) senza una chiara distinzione, almeno nel senso che ogni pensiero realmente libero aumenta la nostra capacità di intervento nel mondo, non più da schiavi ma da uomini liberi. Inutile non pensare a certe pagine di Nietzsche. Per queste ragioni, attraverso questa intervista vorrei cercare di chiarire alcune questioni che mi sono balenate immediatamente alla sola vista e poi alla lettura del libro in questione. Questa intervista vorrebbe essere costruita come un vero e proprio dialogo perché vorrei che le domande fossero concepite come una sorta di introduzione tematica ad un aspetto dell’opera e dell’autore.

1. La prima domanda vorrebbe essere una provocazione: quale è la vera sfida per un libro come questo? Infatti, appena ho visto il libro, che ha una sua consistenza (oltre quattrocento pagine), mi sono chiesto chi oggi ancora crede così tanto nella filosofia pura, priva di relazioni con l’accademia. La bella copertina è disegnata dall’autore stesso, fatto sempre più raro… giacché come tutti gli autori di libri sanno, le copertine sono il principale oggetto di studio dei pubblicisti-grafici, la prima vetrina, anche quando un po’ fuorviante. E allora, ritorniamo alla domanda: quale è la vera sfida per un libro come questo? Essere letto? Essere compreso? O anche soltanto esistere?

Il mio libro, Vivere al ritmo della radicalità nella storia, nasce con l’esigenza di comunicare agli altri, all’umanità, il mio pensiero, il mio esistere nel e per il mondo, nel tentativo, tutto filosofico, di diffondere un messaggio di speranza di fronte all’avanzare, talora tragico, della storia, dandole un senso “totale”. La stessa copertina, di mia ideazione, trasmette una sensazione di assoluto, con gli “occhi che guardano attraverso l’infinito”. La sfida consiste proprio nel desiderare che il libro venga il più possibile letto e compreso, cosa del resto che accomuna tutti i pensatori-filosofi che hanno scritto libri, anche se si tratta di un’opera di quasi cinquecento pagine, anzi il mio apprezzamento va proprio verso quei lettori che si impegnano in una approfondita lettura: ogni serio studio richiede uno sforzo di volontà.


2. Immediatamente dopo la formulazione della prima domanda, mi sono accorto che una seconda era sostanzialmente spontanea. La filosofia in Italia, e non solo, è sempre più appannaggio di poche persone, il cui controllo su di essa è quasi totale. Queste persone fanno tutte parte dell’Università. Sono, è vero, sempre meno perché i posti di lavoro sono sempre più risicati, le borse tagliate, ma sono anche quei pochi che hanno le risorse materiali per potersi occupare di un simile lavoro di ricerca. E allora mi sono chiesto: ma è possibile una filosofia fuori dall’Università? Che rapporto c’è con l’Università e, in definitiva, si può o si deve ripensare alla filosofia come qualcosa di libero da istituzioni oppure la filosofia deve vivere di professionisti?

La filosofia vive, almeno negli ultimi secoli, degli sforzi comuni sia di coloro che lavorano nel mondo accademico ed universitario, sia dei liberi ricercatori e pensatori che, anche a costo di sacrificare la propria vita e le proprie risorse economiche, continuano a credere che valga comunque la pena offrire un proprio contributo alla “scienza”. Non è strettamente necessario essere “pagati” per diventare dei filosofi.


3. Veniamo ora ad una domanda sul titolo. Sin dall’antichità si ragiona sul fatto che la vita pratica e la vita contemplativa sono due momenti essenzialmente diversi, a tal punto che vivere e pensare sembrano due momenti posti su due piani paralleli e antitetici. Invece, sin dal titolo, sembra che lei si sia posto su un piano differente: vivere al ritmo della radicalità nella storia implica anche pensare al ritmo della radicalità nella storia?

Vivere e pensare sono indissolubilmente legati, non possono esistere separatamente: si agisce in base a ciò che si pensa, purché ci si senta interiormente e praticamente liberi; il contrario significherebbe comportarsi da automi teleguidati da regole, leggi, dogmi. Tale coerenza implica quindi necessariamente una esigenza di indipendenza.


4. Chiunque si raffronti con “Vivere” sembra venire invaso da una peculiare urgenza, come se il senso di necessità presente nelle pagine si trasmetta invincibile anche al lettore. Inoltre, tutto il libro testimonia la sua necessità di vivere-scrivere questo lavoro. La domanda, allora, è: l’urgenza della scrittura si è declinata come una chiamata, come un dovere ineluttabile o piuttosto come una scelta, libera ma inderogabile?

Per me scrivere significa vivere, e viceversa. Come tutte le attività che nascono da una grande passione, queste sfociano naturalmente, come un fiume verso il mare, nella realizzazione concreta del proprio desiderio. C’è sì urgenza nella scrittura, ma mitigata dal senso di voler offrire un lavoro fatto bene. Nel mio caso questo ha significato raccogliere le esperienze di studio di una vita.


5. Leggendo il libro ci si rende conto che uno dei concetti più ricorrenti è la “libertà”, intesa come necessità di autosviluppo, di diventare ciò che si è e, quindi, di diventare ciò che si è nonostante tutte le inevitabili faccende della vita umana. In questo senso, dunque, lei pensa che sia ancora possibile essere liberi, ma si tratta di una libertà condizionata oppure di una libertà assoluta? Si può davvero smettere di essere condizionati soltanto decidendo di non esserlo più? Molta della storia della filosofia sembra dirci il contrario…

La “libertà” è una conquista, sia degli individui, che dei popoli, che delle civiltà. Questo ci insegna la storia. Il cammino, il “senso”, è proprio quello di raggiungere, per tutti, sempre più libertà. Vivere al ritmo della radicalità significa appunto cogliere i segni innovativi nel Tempo, per giungere a punti storici di non ritorno, nel senso di liberarsi via via di tutti i falsi condizionamenti, da buttare nella spazzatura della storia.


6. “Vivere” è un libro che vive e nasce in un contesto storico piuttosto preciso, cioè la società italiana dei XX-XXI secoli. La necessità di libertà e di urgenza di riflettere al ritmo della radicalità nella storia può essere dettata dalla peculiare configurazione italiana. Ma è poi così? Quanto lei sente di essere legato, rispetto all’elaborazione del suo pensiero, al suo essere italiano e quanto della sua italianità si conserva nell’opera? E, un’altra domanda correlata: il suo pensiero è pienamente cogliibile anche per un lettore non italiano?

Mi sento cittadino del mondo. Il fatto di essere nato in Italia è puramente casuale. Una filosofia veramente autentica non ha “patria”, bensì va diffusa sull’intero pianeta, globalmente, senza distinzione di confini geografici, e soprattutto deve essere valida per ogni tempo. Se il mio libro Vivere è apparso adesso vuol dire che, evidentemente, era maturo il tempo perché apparisse una tale opera.


7. Rimaniamo ancora focalizzati sui contenuti. Se la parola libertà sembra essere così centrale, così come lo è stata per molta della storia della filosofia, c’è però un’altra parola che vorrei focalizzare: la ragione. Oggi sappiamo che la nostra società è un magma, un continuum di idee variegate, ispirate alle più diverse, fragili o forti, tradizioni. Una delle parole che hanno dominato l’Occidente è la ragione, sia declinata in modo positivo che in senso più critico. Lei come considera la ragione all’interno del suo pensiero?

La ragione è la facoltà che ogni individuo possiede di discernere qualsiasi cosa lo circondi, nel bene e nel male. Non esiste una ragione assoluta, perché altrimenti dovremmo ammettere principi assoluti, bensì dobbiamo considerare la possibilità che possano esistere infinite ragioni, tante quante sono le teste pensanti nell’intero universo. L’unico criterio valido per far coesistere più ragioni è quello di rendere “armoniosa” la vita, cioè desiderare che il tutto si integri nell’uno, e viceversa.


8. Vorrei, ora, passare alla scelta stilistica. Quando un autore inizia a scrivere, una delle domande che si pone inevitabilmente è come desidera comporre il testo. Nessun autore scrive o può scrivere in un solo modo, anche quando, poi, finisca per vincolare sé stesso ad un solo stile di scrittura. “Vivere” è un testo scritto, mi verrebbe da dire, come un monumentale flusso di auto-coscienza, quasi di Joyciana memoria. È questa interpretazione corretta? Lei ha dovuto pensare alla tipologia di scrittura da utilizzare o essa è stata piuttosto il frutto di una scelta inconscia, naturale?

Io sono uno spirito inquieto. Da sempre la mia scrittura riflette la mia coscienza. Tutto ciò che penso si è riversato e strutturato in un gesto: lo scrivere. Per questo giro sempre con una penna e un taccuino. Ovviamente tutti gli appunti vengono poi organizzati per preparare un libro, soprattutto quando si richiede una concatenazione logica. Qualsiasi testo, anche una poesia, ha bisogno di un ordine, altrimenti è semplice flusso di coscienza, e ciò non è sufficiente per renderlo pubblicabile.


9. Chiuderei con una domanda un po’ personale ma solo apparentemente. Nel libro compare più volte la parola “solitudine”, come sappiamo uno dei topos di molta letteratura. È mia convinzione che oggi viviamo nel mondo dei surrogati, in cui ogni valore umano viene simulato da qualcosa di inautentico, come uno schermo, un software informatico piuttosto che marchingegni sempre più sofisticati ma sempre più vacui. La solitudine, dunque, non può essere simulata perché essa alberga dentro l’animo umano. E allora la domanda è: cosa significa per lei la solitudine e vivere, dunque, al ritmo della radicalità nella storia nel XXI secolo?

Giovanni_FelicianiOgni scrittore è solo di fronte alla sua pagina nel momento in cui deve “creare”. Ma in realtà questa solitudine è solo apparente, perché si anima di tutti gli incontri che si sono avuti nel corso della propria esistenza, siano essi personali, siano quelli avuti attraverso la lettura di libri di autori a noi congeniali e affini. Nessuno scrittore vive e muore invano: le sue opere tramandano il suo pensiero verso gli altri. Vivere al ritmo della radicalità nella storia, per me, significa immettersi nel flusso perenne dei cambiamenti, dando, possibilmente, un proprio contributo affinché tali trasformazioni ci facciano sentire meno soli e quindi protagonisti della storia che avanza.


Giovanni FelicianiCover_Vivere

Vivere Al ritmo della radicalità della storia

Bibliosofica

Pagine: 482

Euro: 20,00.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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