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Noam Chomsky – Vita e linguistica

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Consigliamo – Che cosa è la grammatica generativa di Giorgio Graffi


Vita

Chomsky nasce a Filadelfia il sette dicembre del 1928. La famiglia è ebra, di origine russa, emigrata negli Stati Uniti. William, il padre di Noam, fu il curatore di un’edizione critica di scritti di grammatici ebraici medioevali.

Chomsky da presto scopre la sua passione politica e continua a coltivarla attivamente anche dopo la sua iscrizione nel 1945 all’università della Pennsylvania. Le sue convinzioni politiche lo inducono ad andare in Israele per fondare una comunità socialista. Tuttavia all’università fa la conoscenza di Zelig Harris, anch’egli intellettuale ebreo di origine russa. Harris è l’autore di un’opera capitale della linguistica strutturalista americana, nota come “strutturalismo bloomfieldiano”: Structural linguistics e ne affida la correzione delle bozze a Chomsky.

Nel frattempo Chomsky continua gli studi e scrive la sua tesi di laurea sulla descrizione dell’ebraico moderno a partire dall’apparato strutturalista appreso dal maestro Harris. Nel 1951 consegue il titolo di Master e sempre nello stesso anno ottiene la borsa di studio per pagarsi gli studi ad Harvard.

Ad Harvard ha modo di conoscere molti dei più grandi pensatori americani del periodo, in particolare Nelson Goodman, autore di un famoso paradosso[1], il grande logico Quine e Jakobson. Ma sarà molto legato anche ad altri personaggi della vita di Harvard, come Bar-Hillel, Morris-Halle e Lenneberg.

Chomsky si confronta in particolare con quattro tipi di tradizioni culturali: la linguistica strutturalista americana, lo strutturalismo europeo, la logica e la filosofia della scienza, la psicologia comportamentista. Il suo bagaglio di conoscenze filosofiche si fonda sulla tradizione analitica angloamericana ma anche sulla rilettura dei pensatori moderni. Su Cartesio dedicherà un importante lavoro e nelle sue analisi ritornano spesso Kant e Leibniz in particolare. Ai “razionalisti” si richiama per rivendicare la continuità del suo pensiero rispetto alla matrice empirista che ha dominato la filosofia della scienza anglosassone per oltre due secoli. In particolare, si rifà a Locke come teorico del linguaggio empirista a cui non risparmia critiche puntuali.

Nel 1956 completa The logical Structures of linguistic theory tuttavia questa monumentale opera dovrà attendere ben vent’anni prima di una sua pubblicazione. Anche i grandi pensatori hanno avuto problemi nel trovare editori intelligenti e in ciò si dimostra che chi pubblica è generalmente colui che può essere oggetto di marketing, non di interesse.

Chomsky trova lavoro al MIT come insegnante di logica e filosofia a studenti di materie scientifiche. Nel frattempo, pubblica Syntactic structures, gli appunti per le sue lezioni. Il libro fu subito un successo clamoroso.

Dopo aver raggiunto la notorietà sul piano accademico e scientifico, esser stato uno degli apripista per le nuove scienze cognitive, Chomsky non perde la passione politica ed è tutt’oggi più conosciuto come intellettuale politico che come linguista. Tuttavia, ciò non deve diminuire l’importanza delle sue opere scientifiche giacché egli è uno dei pochi casi nella storia in cui un uomo è stato riconosciuto grande intellettuale per ciò che ha dimostrato e non per le simpatie politiche.

Opere

Il lavoro di Chomsky si può suddividere in due grandi generi: l’attività politica e l’attività linguistica. Dell’attività politica ci sono lavori sterminati che vanno da semplici articoli a opere più complesse.

Per quanto riguarda l’attività linguistica, riprendiamo la classificazione fatta dal Graffi. Essa si suddivide in cinque grandi periodi che corrispondono a cinque importanti lavori. Il primo riguarda il decennio che va dai primi anni cinquanta alla metà degli anni sessanta e a cui si fa corrispondere il fondamentale testo Syntactic Structures.

Il secondo periodo corrisponde alla seconda metà degli anni sessanta sino all’inizio degli anni settanta. Questa fase interessa la codifica classica del paradigma chomskiano, perciò viene chiamata “Teoria standard”. L’opera a cui ci si riferisce è Aspects of Theory of Syntax.

Il terzo periodo riguarda l’estensione della “Teoria standard” e si sviluppa tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta. Questa fase è detta, appunto, “Teoria standard estesa”.

Il quarto periodo si sviluppa sulla definizione dei due cardini della grammatica generativa detta “Principi e Parametri”. Essa si evolve tra gli anni ottanta e novanta.

In fine, nel quinto periodo Chomsky riconsidera il linguaggio alla luce dell’idea che esso sia fondamentalmente semplice. Così, lo sforzo va indirizzato al trovare le regole sintattiche più semplici possibili che consentano la formulazione del linguaggio naturale. Per tale ragione, questo ultimo periodo è definito in base all’ispirazione di semplicità: “Programma minimalista”. Esso prosegue tutt’oggi.

E’ inutile in questa sede fare l’elenco di tutte le singole opere di Chomsky, siano esse di politica o di linguistica. Per chi necessitasse di maggiori informazioni, può consultare il sito di Noam: www.chomsky.info. In esso sono riportati moltissimi articoli di Chomsky stesso, per la verità, soprattutto di politica. Ma si trova anche qualcosa di utile per chi volesse comprendere il suo programma di ricerca scientifico. Per questo, si veda utilmente la nostra bibliografia oppure la sezione bibliografica del libro di Graffi.

 

Linguistica filosofica

Grammatica generativa nell’universo filosofico

 

Struttura: “Linguistica filosofica. Grammatica generativa nell’universo filosofico.

Introduzione: cosa ci si deve aspettare da questo lavoro.

Dove si situa la grammatica generativa: grammatica normativa e grammatica descrittiva.

La grammatica generativa rispetto alle grammatiche storiche.

Il linguaggio come attività biologica.

L’apprendimento del linguaggio: una formulazione moderna del problema di Platone.

Caratteristiche del linguaggio umano.

Linguaggio più esperienza: la lingua naturale.

Un po’ al di sotto della superficie: le strutture del linguaggio.

Le tracce.

Quel poco di semantica…

 

Introduzione: cosa ci si deve aspettare leggendo questo lavoro

L’ambito di ricerca chomskiano è un vasto corpus di opere molto eterogeneo, ispirato da un nucleo di idee poco numerose. Il linguaggio come facoltà innata della mente umana è il suo argomento e il formalismo chomskiano è il metodo di analisi. La sua teoria scientifica del linguaggio implica la conoscenza e verifica empirica delle ipotesi formulate. Per tale ragione, la “Grammatica generativa” è un programma di ricerca semplice e assai astratto nello stesso tempo. La sua semplicità consiste in quel nucleo di problemi che fanno da ispirazione generale del lavoro, la sua grande complessità consiste nell’alto tecnicismo richiesto per comprendere il funzionamento del linguaggio e delle lingue all’interno della teoria.

Questo ci porta al problema di come trattare l’argomento. Il fatto è che in questa sede non è consentito addentrarci nei particolari formali giacché essi richiedono un grado di competenza davvero molto elevato. Se qualcuno osservasse che ciò è vero per qualunque sistema formale, noi potremmo rispondere notando che la logica classica non è così complessa come il formalismo linguistico della grammatica generativa. Chomsky rileva molte volte la sua distanza tecnica tra il linguaggio formale elaborato nei primi anni del novecento da Boole, Frege, Peirce e Russell, giusto per citare gli esempi più noti. Infatti, i linguaggi formali codificano delle regole di “argomentazione” o rendono rigoroso il nostro metodo di deduzione da premesse. Il che non è ciò che accade nel linguaggio naturale.

La nostra abitudine al linguaggio ci rende incapaci di osservare la sua stessa complessità. Questa non è come la logica, la quale ricalca la “semplicità” della coerenza formale. Il linguaggio realizzato nel concreto dalla varie lingue naturali è composto da una serie di regole non necessariamente “logiche” nel senso che esso può produrre ambiguità e può non seguire un principio di “semplicità” inteso al modo dei logici. Quest’idea, d’altra parte, si può trovare in tanti pensatori da Frege a Russell. In particolare Frege sosteneva il l’inadeguatezza del linguaggio naturale per via delle sue infinite ambiguità. Ed in effetti, Chomsky concorda con Frege su questo punto anche perché, per Chomsky, il linguaggio non deve esser pensato come un’attività umana finalizzata. Esso è solo uno strumento a disposizione, ma i suoi “usi” sono successivi all’intenzione. Di per sé, il linguaggio è un puro organo, una parte specializzata di quel complessissimo organo che è il cervello.

Dunque, noi non possiamo spingerci nell’analisi tecnica del linguaggio. Se fosse proprio necessario, ci rifaremo ad esempi davvero semplici, giusto per introdurre la questione e far accendere la curiosità del lettore il quale è invitato ad addentrarsi nella fitta giungla del formalismo chomskiano: un formalismo capace di mostrare i meccanismi nascosti del linguaggio e di alcune strutture elementari della mente.

Vogliamo fugare in anticipo eventuali obiezioni: noi non crediamo possibile raggiungere la piena conoscenza di Chomsky indipendentemente dalla conoscenza delle sue opere maggiori. Lo stesso Chomsky divulgatore tiene conto di questo fatto e nelle sue presentazioni, si limita a riportare qualche esempio particolarmente significativo. E non è un caso che un lavoro di introduzione come “Che cos’è la grammatica generativa” di Graffi si perda assai spesso in un contorto gomitolo di tecnicismo e di superficialità non arrivando a centrare l’obbiettivo di introdurre il lettore all’argomento e arriva, più che tutto, a spiazzarlo riconducendolo a una miriade di conoscenze insufficienti e parziali. Così, ricalcando l’esempio di Chomsky e rivendicando la priorità dell’analisi filosofica, ci concentreremo alla ricostruzione di un’immagine superficiale e, nei limiti del possibile, rigorosa del lavoro di Chomsky. Superficialità e rigore non sono antitetici se con “superficialità” s’intende “al di là di formalismi”. Certo non ci spingeremo nell’analisi del linguaggio attraverso gli strumenti che non abbiamo e dei quali personaggio come Chomsky, Moro e Graffi sono certamente a noi molto superiori[2].

 

Dove si situa la grammatica generativa: grammatica normativa e grammatica descrittiva

Parlare di Chomsky nel suo ambito scientifico è parlare dell’approccio chiamato “Grammatica generativa”. In realtà, gli studi riconducibili a tale visione linguistica sono assai più vasti della pur grande analisi chomskiana.

Per chiarire in cosa consiste la “grammatica generativa” specifichiamo le proprietà di una grammatica qualunque.

Una “grammatica” è l’insieme di regole che vincolano la produzione si frasi munite di senso in una certa lingua. Con grammatica si intende, dunque, la sintassi specifica di una lingua particolare.

I generi delle grammatiche si riducono a due, possono essere normative o descrittive. La grammatica che si insegna alle scuole elementari, ad esempio, è di tipo normativo perché dice esplicitamente come vadano formulate le frasi in “italiano corretto”.

            1) Ti piace travestirti da donna a te.

Questa frase è scorretta sotto un profilo normativo perché contiene la ridondanza “Ti… a te” che hanno la stessa funzione all’interno della frase, vale a dire che l’azione del verbo ricade su di te stesso. Tuttavia la frase non è “agrammatica” nel senso che essa è chiaramente intesa da un parlante italiano, specificando che “parlante italiano” sta per “madre lingua italiano”. Con questo esempio abbiamo mostrato in cosa consista la grammatica “normativa”.

Come abbiamo visto, però, la frase “Ti piace travestirti da donna a te” non è incomprensibile vale a dire che essa non è agrammatica. Con agrammatica vogliamo intendere incomprensibile nel senso più forte del termine.

            2) Ce ne sono molte le lettere sul tavolo.

La frase “Ce ne sono molte lettere sul tavolo” è ininterpretabile perché il pronome “Ce ne” esclude la presenza del nome “lettere”.

Una grammatica è descrittiva se spiega le intuizioni dei parlanti di una lingua in modo esplicito. In altre parole, i parlanti dell’italiano non sono cosci, se non i pochi che s’interessano allo studio sintattico del linguaggio, che di un numero limitato di regole attraverso cui parlano. L’obbiettivo della grammatica generativa è proprio quello di fornire un adeguato corpus di regole per comprendere i modi attraverso cui i parlanti arrivano a esprimere enunciati.

L’obbiettivo della grammatica descrittiva e quello della grammatica normativa sono essenzialmente diversi e non si escludono tra loro, salvo il fatto che la grammatica descrittiva è la base sintattica che rende possibile ogni ulteriore normatività.

La grammatica generativa si colloca chiaramente tra le grammatiche descrittive giacché essa è una teoria che spiega in modo esplicito le intuizioni dei parlanti di una lingua. In questo senso, si pone il problema del metodo. Chomsky, giusto per indicare il padre di questo approccio, ritiene, a ragione, che ci sia la necessità di non limitarsi ad un’enunciazione puramente empirica dei principi sottesi alle intuizioni dei parlanti, ma che occorra una formulazione più rigorosa capace, cioè, di mostrare l’intima struttura delle espressioni linguistiche e, contemporaneamente, sia tale formulazione esente dalle ambiguità del linguaggio stesso.

Coerentemente con questa assunzione, Chomsky ha reso molto rigoroso il suo approccio giacché ha consentito a più studiosi di concentrarsi su problemi indipendentemente dalle loro possibili credenze sul linguaggio e, intendendosi sul metodo, non potevano che raggiungere dei risultati formalmente simili tali che si potesse immediatamente vedere in cosa consista il corretto e lo scorretto.

In fine, tale approccio consente la verifica empirica rigorosa delle sue ipotesi non dimostrate: vale a dire che ciascuna formulazione di una regola può essere verificata in modo rigoroso. Se propongo una norma, posso subito formulare degli esempi e dei controesempi che invalidino la mia ipotesi o la sostengano. Il tecnicismo renderà possibile la coerenza su di un piano formale.

Dunque, la grammatica generativa è una grammatica descrittiva che consente di spiegare in modo esplicito le intuizioni dei parlanti. Essa dispone di un rigoroso apparato tecnico, imprescindibile sia per formulare ipotesi, sia per verificarle. L’approccio generativista consente una visione scientifica del linguaggio giacché consente di proporre ipotesi falsificabili. In una sola parola: Chomsky ha fondato una scienza del linguaggio.

 

La grammatica generativa rispetto alle grammatiche storiche

Uno dei problemi sul “come” studiare il linguaggio è senza dubbio quello di chiarire quale sia l’insieme di enunciati da analizzare. Per esempio, nel caso dell’italiano, ci si può chiedere se basti considerare l’insieme degli enunciati di un libro di grammatica oppure bisogna considerare la totalità delle espressioni linguistiche.

Per questo paragrafo ricalcheremo l’analisi che fa Searl nell’articolo citato in bibliografia. Egli prende in considerazione esclusivamente la differenza tra grammatica generativa e grammatica strutturalista. Lo strutturalismo partiva dal presupposto che gli enunciati di una lingua fossero, di fatto, di numero finito. In questo senso, per descrivere l’italiano bisogna considerare l’intero insieme degli enunciati pronunciati. L’analisi deve partire dai livelli più semplici per finire a quelli complessi.

Il livello più semplice è quello dei fonemi, singole parti delle parole. “A”, “e”, “i” etc., sono esempi. Una definizione di fonema: unità di base dei suoni articolabili da una determinata lingua. I singoli fonemi non sono espressioni dotate di significato autonomo, ma sono le particelle elementari della lingua. Un fatto interessante: lingue diverse possono avere fonemi diversi o non averne. Ad esempio, l’arabo non possiede il fonema “e” mentre l’italiano non ha il suono “th…” dell’inglese, ottenuto mettendo la lingua tra i denti. I fonemi di una lingua non sono più idonei di altri per il loro scopo e sono tutti definiti funzionalmente allo stesso modo.

Il livello successivo riguarda i morfemi, fonemi combinati tra loro per formare unità semantiche minime. Esempi di morfemi sono “dis”, “adattato”, “giorn-“ etc.

Oltre il livello del morfema è il sintagma vero e proprio, come “disadattato”. Il sintagma è una combinazione di più morfemi ed è una parola dotata di significato compiuto. Esistono vari tipi di sintagmi: “Il panino” è un sintagma nominale perché la testa è un nome proprio, altri esempi di sintgami nominali sono “Il caffè nero”, “L’acqua trasparente”, “La mano di Gianni”. Ci sono poi i sintagmi verbali. Essi possono essere composti da singoli verbi, ché sono già ottenuti mediante la combinazione di più morfemi, oppure da più verbi: “Corre”, “Mangia”, “E’ stato lì”, “Ha mangiato”.

In fine, la combinazione di sintagmi porta alla composizioni delle frasi: “Il Cane Ha mangiato”. In questo caso il sintagma verbale (SV) “Ha mangiato” si somma al sintagma nominale (SN) Il cane.

L’analisi strutturalista, a differenza della grammatica generatva, procede nell’analisi categoriale delle varie proposizioni, casuali, dichiarative etc., fino ad arrivare ad una catalogazione esaustiva e ad una enumerazione delle varie tipologie di frasi. Il suo scopo consiste nella classificazione delle possibili espressioni della lingua attraverso la definizione di un metodo rigoroso.

La semantica strutturalista considera i significati dei termini, e poi delle frasi, in termini di strutture di comportamento definibili nei termini di stimoli e risposte. Ciò ci riconduce ad una considerazione causalista del linguaggio. Non solo. Questo approccio considera il linguaggio come un sistema non isolabile né dal contesto fisico-causale, per quanto riguarda il significato dei termini, né dall’elaborazione socioculturale, per quel che attiene alla sintassi o all’evoluzione di una lingua. In questo senso, il linguaggio sarebbe la risultante di un insieme di forze la cui autonomia consiste nella nostra possibilità di esaminarlo in termini relativamente distinti da quelli delle altre scienze. L’indipendenza linguistica è solo nell’ordine delle spiegazioni, ma, nel concreto, esso è determinato sia nella sua articolazione che nella sua evoluzione. In questo senso, lo strutturalismo è una teoria determinista del linguaggio, non inteso come facoltà innata della mente ma come capacità comunicativa arbitraria.

Se il linguaggio è determinato in tutto dalla storia fisica e sociale di un gruppo di persone, va da sé che ciascuna lingua è indipendente dalle altre e se ci può essere una qualche correlazione tra diverse comunità linguistiche, essa è solo casuale, comunque di superficie.

La grammatica generativa si fonda su una posizione nettamente differente.

(1) considera il linguaggio come una facoltà a priori della mente umana.

(2) A seguito del fatto che il linguaggio è una facoltà comune all’intero genere umano, esso è costituito da una grammatica comune; cioè ogni lingua concreta, per quanto diversa, condivide alcuni principi di fondo con tutte le altre lingue naturali.

(3) L’apprendimento del linguaggio non può risolversi esclusivamente nei termini di una spiegazione causale di tipo “stimolo”, “risposta” e “rinforzo”.

(4) Il parlante di ciascuna lingua ha una ricchezza di espressioni notevolmente maggiore di quella che può aver appreso semplicemente ascoltando gli altri. Ogni parlante è capace di una creatività linguistica intrinseca non ben spiegabile nei termini delle grammatiche non generative.

(5) Il linguaggio umano è ricorsivo, vale a dire che esso può ripetere a piacere alcune operazioni e, per tale ragione, non esiste un numero finito di espressioni di una lingua ma solo infinite. L’infinità del linguaggio implica che non si possa studiare una singola lingua a partire da un “corpus” predeterminato di espressioni giacché esse sono per definizione infinite.

(6) In fine, bisogna tener conto che non esistono le “lingue” come vengono comunemente intese, semmai esistono i singoli parlanti i quali apprendono a parlare un dialetto molto simile a quello di altre persone. Il concetto di “comunità linguistica” è puramente istituzionale, allo stesso modo dei confini degli stati o la definizione di nazionalità di appartenenza, concetti validi solo nella misura in cui servono a semplificarci la vita ma non a spiegarla.

Il linguaggio come attività biologica

Il linguaggio è una facoltà della mente umana. La mente umana, come attività funzionale, può essere spiegata indipendentemente da ciò che l’implementa, come possiamo parlare di “algoritmi” per un programma senza dover parlare di circuiti elettrici.

L’uomo è capace di parlare in modo significativamente diverso dagli altri animali. In realtà, solo l’uomo può parlare. Questo perché, secondo Chomsky, solo l’uomo ha la facoltà del linguaggio. Con “facoltà del linguaggio” si intende qualcosa di biologicamente dato e che funziona all’interno del cervello in modo, almeno parzialmente, autonomo dal resto dell’attività cerebrale. Tale assunto, in realtà, è molto controverso ma ultimamente sono fatti degli studi di neuropsicologica abbastanza validi che confermerebbero tale ipotesi. Alcuni esperimenti convincenti sono stati realizzati da Andrea Moro e il suo gruppo di ricerca.

In realtà, quest’ipotesi non è autoevidente. Infatti essa è stata l’oggetto di una critica costante da parte dei detrattori dell’impostazione chomskiana. Tuttavia, è un fatto che molti animali hanno, in una certa misura, la capacità di articolari suoni vicini a quelli dell’uomo, come i merli o i pappagalli. Altri animali hanno la facoltà di comprendere parti limitatissime del linguaggio, come le scimmie[3]. Nessun animale è in grado di parlare. A discapito di tutte quelle agiografie di santi capaci di parlare con gli animali, come san Francesco e san Antonio.

Portiamo qualche altra prova: innanzi tutto gli animali non hanno capacità ricorsiva, vale a dire che non sono in grado di reiterare una regola a piacere sia in modo consapevole che in modo inconsapevole. Gli animali non sono in grado di costruire frasi negative, o qualcosa di equivalente ad esso. Aggiungo che gli animali non sono capaci di concepire ordini contraddittori come “mangia” e “non-mangia” cioè non sono in grado di concepire strutture linguistiche incoerenti. Gli animali rispondono a degli ordini, certo, ma nel limite di azioni determinate da stimoli, risposte e ripetizione dell’azione. In realtà, bisogna avere una certa fantasia per concepire animali parlanti. Tuttavia, la Storia fornisce interessanti casi su tale argomento. Ad esempio, si dice che Alessandro magno avesse un pappagallo che fosse in grado di parlare. Attorno al millecinquecento si dice che fosse stato trovato un uccello in grado di discorrere come un uomo in tre lingue diverse. Sempre per riprendere le agiografie, ci sono stati molti santi creduti capaci di parlare con le bestie. Lasciamo al lettore la valutazione di queste curiosità.

Il linguaggio non sarebbe altro che una facoltà propria dell’uomo, non condivisa da nessun’altra categoria animale, implementata nel cervello e non finalizzata a nulla. Andiamo per ordine.

Il linguaggio è una facoltà propria dell’uomo: è mostrato da tutti i fatti precedentemente riportati. Tale capacità è implementata nel cervello, vale a dire che il supporto materiale addetto alla sfera cognitiva preveda tale attività. Con ciò si sostiene che tale capacità sia un organo al pari delle mani. In questo senso, il linguaggio non sarebbe altro che una particolare parte del corpo, connessa le altre, ereditata geneticamente dalla nascita. Così un uomo qualunque è capace di parlare indipendentemente dal fatto che egli ascolti una determinata lingua piuttosto che un’altra. Tale punto verrà sviluppato successivamente.

Una conseguenza diretta di ciò consiste nel fatto che un bambino può imparare qualunque lingua naturale, senza alcuna restrizione. Un figlio di genitori africani, parlanti swaili, può parimenti imparare l’Italiano e lo swaili senza alcuna differenza e senza alcuna difficoltà, a patto che nei primi cinque anni di vita sia esposto ad entrambe le lingue.

In fine un punto molto controverso: il linguaggio, come facoltà organica, non sarebbe finalizzato. In parole povere, noi non parliamo per comunicare. Con “per” intendiamo che non parliamo perché comunichiamo ma comunichiamo perché parliamo. Facciamo un esempio per chiarire il punto: afferriamo oggetti perché abbiamo le mani, ma non abbiamo le mani per afferrare oggetti. La selezione naturale non avviene in vista della finalità, così i singoli organi non sono altro che il risultato di una selezione tra animali di stessa categoria di cui alcuni hanno sviluppato casualmente alcune mutazioni favorevoli, altri no. La parola caso non è opposta a necessità, ma a finalità. La selezione naturale è cieca, vale a dire che non è determinata in base al fatto che ci siano dei cambiamenti in meglio, semplicemente, se essi ci sono, è un fatto puramente statistico.

Tutto ciò deve valere anche per le singole facoltà cognitive. Il linguaggio non si è determinato perché gli uomini cercavano di parlare senza riuscirvi, ma, viceversa, gli uomini hanno iniziato a parlare perché hanno acquisito al capacità di farlo. Per corroborare questa tesi assai impegnativa, Chomsky sostiene che il linguaggio ha una pluralità d’usi, esattamente come le mani. Inoltre, la comunicazione è assai difficile, ricca di ambiguità e ognuno, in fondo, non fa altro che parlare il suo proprio specifico dialetto di una determinata lingua che solo incidentalmente e in modo del tutto parziale riesce a “comunicare” qualcosa.

In realtà, la faccenda del linguaggio come organo deve tener fermo il principio darwiniano di non-finalità della selezione di caratteristiche fisiche. Se si accettasse che l’organo del linguaggio sia stato il risultato di una “causalità finale” si ricadrebbe nell’idea lamarchiana, vale a dire che l’organo si sviluppa attraverso il fine e non casualmente: le mani sarebbero state generate per il fatto che i nostri antenati continuamente provavano ad afferrare oggetti. Questa concezione ci pare un po’ troppo improntata da finalismo per essere realmente credibile.

Tuttavia, è assai difficile non concepire il linguaggio come un’attività finalizza alla comunicazione. I sostenitori della parola come “comunicazione” difendono la tesi secondo cui il linguaggio non consista in alcuna facoltà mentale, al limite sia il prodotto dell’interazione di molte attività cognitive, non situabile in una sola area del cervello. E, in ultima analisi, la lingua è una questione di “uso” o una questione di apprendimento attraverso stimoli e risposte. Il primo paradigma che, in realtà, è assai interessante e fecondo è stato elaborato compiutamente da Quine e, in una certa misura, da Wittgenstein. Mentre il secondo paradigma è quello della scuola psicologica comportamentista, duramente criticato da Chomsky[4].

 

L’apprendimento del linguaggio: una formulazione moderna del problema di Platone

Secondo i comportamentisti il linguaggio veniva appreso attraverso una serie di “stimoli” e “risposte”[5], vale a dire da una rete causale che determinasse il bambino a dire una cosa piuttosto che un’altra. Questo programma si rifà all’idea che ogni comportamento umano possa essere spiegato in termini casuali.

Chomsky contesta questa teoria sollevando alcuni punti importanti, tra cui v’è la rielaborazione del vecchio problema di Platone. Nel Menone Platone mostra come uno schiavo digiuno di geometria, attraverso pochi stimoli, riesca da solo a spiegare il teorema di Pitagora. Platone ipotizzerà che l’uomo abbia un’anima capace di “ricordare” tutte le conoscenze che aveva appreso quando l’anima era parte del mondo delle idee. Riportato questo discorso in termini moderni, la capacità della mente umana è tale che anche senza ricevere un insegnamento esplicito, è in grado di procedere autonomamente nella soluzione di problemi.

Applicando l’idea alla facoltà di parola, il bambino è in grado di apprendere il linguaggio in modo accurato, rapido e tale da avere un’ampia capacità espressiva indipendentemente dagli stimoli esterni. La facoltà del linguaggio richiede pochi stimoli, pochi ma necessari, per la sua piena attivazione. In realtà, il bambino non impara a parlare se non sente nessuno parlare, né è in grado di apprendere la lingua se non c’è nessuno che lo corregge. Questo però può essere spiegato attraverso una metafora riportata da Chomsky stesso: la facoltà del linguaggio è come il motore di un automobile, senza benzina non parte ma se parte è in virtù della sua struttura e non della benzina. Fuori di metafora, il bambino necessita di poche informazioni per iniziare a parlare, ma senza quelle non potrebbe nemmeno incominciare.

Ci sono altri due argomenti a favore dell’impostazione chomskiana e ci paiono i più forti. (1) Il bambino apprende l’uso di regole di cui difficilmente sarà cosciente anche da adulto. La maggior parte degli esseri umani non arriverà a scoprire la teoria del legamento dei pronomi eppure sarà perfettamente in grado di costruire frasi sensate proprio usando quella regola. Il punto è che le espressioni linguistiche che pronunciamo abitualmente non sono il risultato di una computazione mentale cosciente e, di conseguenza, rimangono al di sotto della soglia dell’introspezione.

(2) Il secondo argomento riguarda l’agrammaticità. Sebbene nessuno apprenda le regole del linguaggio in modo esplicito, ad esempio che in italiano la regola per formare le frasi è “nome-verbo-nome”, piuttosto che per fare i plurali dobbiamo considerare il genere di un nome quindi modificare solo una parte del morfema ma non l’altro. Quest’ultimo caso è significativo: il plurale di “giorno” è “giorni” vale a dire che noi “sappiamo” che esiste una parte della parola da non modificare mai senza perdere il senso “giorn-“ e una che va modificata “o/i” per formare il singolare o plurale. Noi non modifichiamo “Gior-“ arrivando a formare una parola come “Giorli”. In questo senso, noi riconosciamo i “morfemi” e i loro limiti oltre i quali non si hanno più morfemi ma solo combinazioni incomplete di fonemi.

Così come appena sentiamo la frase “Giangi corri verde” subito notiamo che essa non ha alcun senso sintattico. Tale frase è impossibile che sia stata udita in precedenza, vista la sua peculiarità, ma subito riconosciamo la sua agramatticità. Aggiungo che errori di questo genere, agrammaticità di questo tipo sono rare anche da parte di chi apprende una lingua ex novo in età adulta.

L’innatismo chomskiano è molto diverso da quello di Cartesio perché quest’ultimo riteneva il linguaggio inspiegabile nei termini meccanici, come tutte le altre cose. In realtà, come sottolinea J. Searl a ragione, Cartesio parla di “innatismo” per i concetti, non per i suoni: l’articolazione dei suoni è puramente di origine causale, ma non lo è la conoscenza che vi sta al di sotto. Ma ciò che maggiormente li differenzia è il fatto che Chomsky non possa postulare, con le sue sole premesse, l’idea di una rex cogitans indipendente dalla materia perché la facoltà del linguaggio è, sì, innata, ma implementata a livello fisico. L’innatismo di Chomsky non è di tipo antifisicalista, al contrario, egli è pienamente all’interno di una visione scientifica biologista che non considera “il mentale” in modo indipendente dal “fisico”.

 

Caratteristiche del linguaggio umano

Tutte le lingue naturali fanno capo ad un’unica facoltà implementata nel cervello ed ereditata geneticamente. Il funzionamento di tale facoltà non è direttamente accessibile all’introspezione, come gran parte dell’attività sub-simbolica della mente umana. Per riuscire a rendere manifesto il funzionamento di tale facoltà umana, abbiamo bisogno di un formalismo adeguato che mostri ciò che accade durante l’elaborazione sintattica delle frasi.

Tutti i linguaggi umani hanno alcune proprietà salienti particolarmente rilevanti, non presenti in alcun “linguaggio animale”. Qualunque lingua naturale è discreta, ricorsiva, dipendente dalla struttura, risponde a principi di località.

Con discretezza si intende la proprietà del linguaggio di essere composto di un numero di unità finito e chiuso. L’insieme dei fonemi, le unità fondamentali del suono di una lingua, è un insieme discreto giacché gli elementi sono di numero finito e non se ne possono aggiungere di altre, senza ricadere immediatamente al di fuori della lingua stessa.

La ricorsività è la capacità di reiterare indefinitamente una regola, vale a dire che il linguaggio umano consente di costruire frasi di un numero potenzialmente infinito di parole. In realtà, come gli stessi generativisti hanno mostrato, esistono dei limiti importanti nella lunghezza delle frasi giacché, quando si supera una certa soglia, le proposizioni non sono più comprensibili. E’ il caso delle proposizioni relative ché diventano incomprensibili dopo il secondo grado di subordinazione. Però, il fatto che l’uomo possa costruire un numero potenzialmente infinito di frasi da un numero estremamente limitato di elementi di base, è una caratteristica distintiva e fondamentale di ogni lingua umana.

Le frasi dei linguaggi naturali non seguono per posposizione di elementi, cioè la costruzione ben formata di una frase tiene conto di legami sintattici anche tra parole lontane. I legami tra le varie componenti di una frase si stratificano su più livelli definiti per gerarchie. “Gli scacchi, che sono molto belli, sono un gioco”. Il sintagma nominale “Gli scacchi” è lontano rispetto al verbo a cui si lega, tuttavia, la frase risulta ben formata. Che il linguaggio umano sia vincolato ad una struttura non puramente sequenziale è un dato di fatto ed è sorprendente. Questo punto è stato spesso portato da Chomsky per mostrare i limiti delle lingue nel loro uso comunicativo: la dipendenza da una struttura non è presente nei linguaggi informatici che sono, da questo punto di vista, molto più semplici e molto più efficienti sotto un profilo comunicativo. Altro dato indicativo è che nessuna lingua umana costruisce le frasi in modo indipendente dalla struttura.

La località è l’impossibilità di spostamento di alcune parole dal loro dominio. Senza addentrarci in questioni formali, si può semplicemente osservare che alcuni pronomi non possono essere spostati senza rendere una frase agrammatica. Anche questa proprietà è stata portata da Chomsky a supporto dell’idea che il linguaggio si può considerare semplice a patto dal non considerarlo come un puro mezzo di comunicazione.

Linguaggio più esperienza: la lingua naturale

Il linguaggio è la facoltà comune a tutti gli esseri umani di formulare espressioni codificate da una sintassi e manifestate attraverso suoni (o in altri modi)[6]. Il linguaggio si concretizza nelle varie lingue naturali.

Le lingue naturali conservano le caratteristiche di fondo del linguaggio umano, tuttavia esse si distinguono per particolari assai rilevanti. La grammatica generativa tiene conto di queste distinzioni e tiene separati i due piani: il livello invariante e il livello proprio a ciascuna lingua.

Il livello invariante riguarda l’insieme dei principi comuni a tutte le lingue naturali. Essendo una sintassi, è chiama grammatica universale. Non esiste linguaggio naturale che non abbia le caratteristiche contenute nella grammatica universale. Ciò desta di continuo stupore negli estimatori dell’impianto chomskiano e rammarico per i suoi detrattori. Infatti, Chomsky ha enunciato una serie di principi comuni a tutte le lingue, tuttavia, in molti sono alla ricerca di popoli che usano una lingua che smentisca tale ipotesi. In effetti, considerando ciò sotto l’aspetto propriamente scientifico, se la teoria fosse smentita da fatti, allora sarebbe da ritrattare. Chomsky ha sempre insistito su questo punto ma, per ora, i fatti danno ragione a lui, più che ai detrattori[7].

Il livello invariante è l’insieme delle caratteristiche proprie di una lingua che, però, la rendono diversa dalle altre. Ad esempio, l’italiano, come lo spagnolo, può sott’intendere il verbo mentre l’inglese no. Tuttavia non c’è nessuna lingua che costruisca frasi senza soggetto, sia esso espresso o no. Questo punto mostra piuttosto bene in cosa consistano i “principi” invarianti dai “parametri” variabili.

Come si vede, il livello dei parametri non è al di là dell’esperienza, come invece l’insieme delle regole della grammatica universale. Dunque, sarebbe un’idea parziale quella di considerare la lingua come un che di indipendente dall’esperienza. Tuttavia, in questo non c’è molta chiarezza e né è esplicito il perché di tanta distinzione tra parlanti di più lingue. Forse, ciò può essere spiegato dalla teoria chomskiana, ma andrebbe fatta molta più chiarezza sull’argomento mentre negli scritti in bibliografia non c’è altro che una serie piuttosto grossolana di metafore.

L’equazione della lingua sarebbe all’incirca questa: principi invarianti – esperienza – parametri – lingua. Le lingue naturali non sarebbero altro che una specifica combinazione di parametri sui principi della grammatica universale.

Un po’ al di sotto della superficie: le strutture del linguaggio

Per spiegare le relazioni tra espressioni linguistiche concretamente osservabili, è necessario ipotizzare forme astratte soggiacenti. Se si considerasse il linguaggio esclusivamente dalla formulazione fonetica, probabilmente si ricadrebbe nell’idea che ci si debba limitare ad una classificazione e catalogazione delle possibili espressioni linguistiche. Ma per Chomsky ciò è inadeguato a spiegare le intuizioni dei parlanti di una determinata lingua naturale.

La lingua si struttura su più livelli. Ciascun livello codifica particolari proprietà linguistiche. La struttura profonda è il livello sintattico in cui non sono ancora presenti i singoli morfemi. Non bisogna pensare che vi sia qualcosa di più importante nella “struttura profonda” rispetto alle altre, sebbene abbia un nome che possa fuorviare. Con essa si intende la costituzione puramente formale di una frase di una lingua naturale, cioè la formazione dei costituenti e la definizione della loro relazione. In questo senso con “forma” non intendiamo la “forma logica” di un’espressione del tipo “a implica b” ma qualcosa del tipo “nome-verbo-nome” o anche più complessa come “articolo-nome-verbo-specificatore-nome” come nella frase “il libro sta sul tavolo”.

La struttura superficiale è l’espressione compiuta di una frase rispetto al livello puramente formale, nel senso che essa esibisce tutte le caratteristiche di una frase di senso compiuto. Tale livello si compone di una forma fonetica e forma semantica. La forma fonetica è l’espressione sonora della frase, alla cui base stanno i fonemi. La forma semantica è il valore che la frase assume in base al significato.

Chomsky, da linguista, non si dilunga sul ruolo della semantica della sua teoria, per ciò  la definizione di “forma semantica” è da considerare in modo molto intuitivo. In effetti, come Searl denuncia nel suo articolo, è sotto questo profilo che la grammatica di Chomsky rimane piuttosto problematica.

Attraverso questo schema si può capire da un punto di vista visivo come possa essere la struttura del linguaggio e come esso proceda nella formulazione di proposizioni.

In effetti, l’analisi formale di Chomsky è spesso mostrata attraverso grafi, cioè delle strutture che mettano in risalto la relazione “topologica” delle varie componenti della frase.

Le tracce

Una delle obiezioni di Chomsky prendeva in considerazione il problema dei nessi di parole a distanza all’interno di una sola frase. L’idea di Chomsky è questa: nei casi in cui vi sia una “relazione a distanza” deve esserci stato un movimento di costituenti all’interno della frase stessa, di questo movimento ci deve essere qualche traccia.

Egli propone di considerare l’esistenza di categorie vuote che si danno ogni qual volta c’è un fenomeno di movimento all’interno dei costituenti della frase. Gli elementi della categoria vuota sono chiamate, per l’appunto, tracce e sono indicate con il simbolo “t”.

La traccia non è articolata foneticamente né ha un significato. Tuttavia, Chomsky dimostra che la nostra mente computa le tracce a livello sintattico. Egli paragona la scoperta della traccia con quella dello 0, per portata e per importanza. Comunque stiano le cose, c’è da dire che in questo esempio si capisce come nella teoria linguistica chomskiana sia la sintassi e l’elaborazione formale, nei termini visti, ad essere il fulcro nodale del linguaggio.

 

Quel poco di semantica…

La semantica è codificata da strutture mentali interne e si riferisce a stati mentali, in questo senso, la semantica non è fondata sulla nozione di riferimento, cioè sulla connessione tra proposizione e fatto, comunque ciò possa essere inteso.

Per Chomsky il linguaggio naturale non funziona come i sistemi semantici di Frege, Russell, Wittgenstein o Quine. Né, tanto meno, nei termini del comportamentismo. A Frege critica la nozione di riferimento nel senso che noi non intendiamo significativa una frase solo se essa ha o meno un oggetto, o un fatto (per dirla con Wittgenstein) a cui corrisponde. Semplicemente, noi pensiamo in modo diverso quando parliamo di significato nei linguaggi naturali. Di Frege critica anche l’idea dell’esistenza dei sensi o di qualunque realtà immateriale a cui dovrebbe o potrebbe corrispondere qualcosa nel mondo naturale.

Di Wittgenstein disapprova l’idea di apprendimento linguistico attraverso la parafrasi di una parola in altre. Ciò accade di rado e molto difficilmente giunge a centrare l’obbiettivo. Ciò è vero nel caso in cui si debba spiegare il significato di una parola ad un parlante di lingua diversa dalla nostra.

A Quine e a Wittgenstein critica la concezione secondo cui il linguaggio possa essere appreso come allo stesso modo d’ un oggetto fisico. E, in ogni caso, non si può intendere il significato di una parola nei termini dell’uso.

In definitiva, Chomsky sostiene l’idea che la conoscenza umana sia il risultato di una serie di connessioni mentali tra concetti tali che esse possano essere espresse nella lingua. Una lingua esprime una proposizione munita di senso solo se connette delle idee. L’universo concettuale umano consente di pensare alla semantica in questi termini, senza negarne in alcun modo la ricchezza.

C’è da dire che Chomsky si limita ad osservare piuttosto in superficie l’idea che i significati delle proposizioni non si possano considerare come le considerava Frege o Russell. Egli dà per scontato la plausibilità di una teoria internista del significato, non soltanto della conoscenza, ma non arriva in alcun modo a dare una trattazione chiara dell’argomento.

Riferimenti

Da: Linguaggio e Natura.

Definizione di “reale”.

[L]a prima tesi consiste in una forma di monismo metodologico: i fenomeni mentali (eventi, entità ecc.) possono essere studiati in modo naturalistico, come i fenomeni chimici, ottici o di altro tipo. Costruiamo teorie esplicative come meglio possiamo, considerando reale tutto ciò che viene postulato dalle migliori teorie che possiamo approntare (perché non vi è nessun’altra nozione rilevante di “reale”), cercando l’unificazione con i risultati dello studio di altri aspetti del mondo – un unico mondo – e che riconosciamo tuttavia potrebbe seguire differenti vie.

p. 280.

Le proprietà semantiche.

[L]e proprietà semantiche delle espressioni linguistiche focalizzano l’attenzione su aspetti selezionati del mondo (così come questi vengono restituiti dai vari sistemi cognitivi), e forniscono prospettive da cui concepirli, poiché usiamo il linguaggio per esprimere o chiarire i nostri pensieri, indurre altri (…) a fare altrettanto, avanzando richieste e in altri modi ordinari.

p. 281.

Da Putnam (1967).

Cabablanca, for example, learned to play chess by simply watching adults play. This is comparable to… achievement in learning language without speaking. Non-geniuses normally do require practice both or speak correctly and to play chess. Yet probably anyone could learn to speak or play chess without practice if muffled, in the first case or not allowed to play. In the second case, with sufficiently (…) observation.

Chomsky (1954).

However, he does not found these conflicts to be very important, since the proposed factors indicative of strength are “fully understood by everyone” for example “if we are shown a prized work of art and exclaim “beautiful!”, the speed and energy of the response will not be lost on the owner”. It does not appear totally obvious that in this case the way to impress the owner is to shriek beautiful in a loud, high pitched voice, repeatedly. And with to relay (high response strength). It may be equally effective to look at the picture silently (long relay) and then to murmur definition, (very own response strength).

Chomsky (1954).

My purpose in discussing the concepts one by one was to show that in each case, if we take his terms in their literal meaning, the description covers almost no aspect of verbal behaviour, the description offers no improvement over various traditional formulation.

Chomsky (1954).

…elimination of the independent contribution of the speaker and learner (…) can be achievement only at the cost eliminating significance from the descriptive system, which them operates a level so cross and crude that no answer are suggested to the most elementary question.

Searl J., (1974).

…it is possible to conceal the limitation of the approach, because syntax can be studied as a formal system independently of its use, just as we could study the currently and credit system of an economy as an abstract formal system independently of the fact that the people use money to buy things with or we could study the rules of baseball as a formal system independently of the fact that baseball is a game people play.

Bibliografia

Alison Abbott, Opening Up Brain Surgery, Mcmillan Publisher.

Casalegno, Filosofia del linguaggio, Carocci, Roma, 2005.

Chomsky N., Linguaggio e problemi della conoscenza, Il mulino, Bologna, 1998.

Chomsky N., Conoscenza e libertà, Il Saggiatore, 2004.

Chomsky N. et al., The faculty of language: What is it, Who has it, and How did it evolve?

Chomsky N., A review on Skinner’s Verbal Behaviour, 1954 www.chomsky.info.

Chomsky N., Three models for the description of language. www.chomsky.info.

Cristofaro S., Gli universali linguistici.

Fusaro D., Chomsky,  www.filosofico.net.

Filosofia del linguaggio, a cura di P. Casalegno et al., Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003.

Graffi G., Che cos’è la grammatica generativa, Carocci, Roma, 2008.

Moro A., Aspetti della predicazione in linguistica cognitiva: le frasi copulari e la teoria dei costituenti. 1993.

Moro A., I confini di Babele, Longanesi, Milano.

Putnam H., The “innates hypothesis” and explanatory models in linguistic. Da www.chomsky.info.

Searl J., Chomsky’s revolution in linguistics. www.chomsky.info.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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