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Metodi di indagine dello sviluppo: il ragionamento morale – pt. 5

Foto di Tumisu da Pixabay

Il merito e l’equità per il bimbo

 Un ulteriore fondamentale aspetto del senso morale umano è l’idea o il principio di equità. Giudicare o decidere con equità significa giudicare o decidere con equilibrio e imparzialità. È soprattutto quando pensiamo alla distribuzione delle risorse che possiamo intuitivamente comprendere il significato di cosa voglia dire agire o decidere in maniera equa o iniqua, creare uguaglianza o disuguaglianza. La tematica dell’equità delle procedure di spartizione della ricchezza è stata pensata probabilmente dal momento in cui i nostri antenati nel Pleistocene si sono posti il problema di come dividere il cibo raccolto o cacciato con il resto del gruppo fino ai nostri giorni, nei quali gli uomini ragionano su come dovrebbe funzionare il sistema di tassazione del lavoro oppure i bambini decidono se, come e con chi condividere i loro giochi.

Questo pensiero, costante della storia dell’uomo, ha probabilmente lasciato in eredità alla nostra mente morale un principio di equità, stabile ed universale, per mezzo del quale ci troviamo tutti d’accordo, almeno intuitivamente, con l’idea generale che le risorse vadano distribuite secondo una procedura equa. Dopodiché, è ovvio, le disuguaglianze di fatto possono essere giustificate ricorrendo ad una serie di argomenti, alcuni dei quali relativi a cosa determini il merito o la prerogativa ad accedere alle risorse. In sostanza, che si debba distribuire le risorse secondo il merito e il diritto di ognuno può essere un’idea condivisa, mentre cosa determini il merito e il diritto o come li si debba intendere è una questione su cui generalmente gli uomini si trovano a sostenere opinioni discordanti.

Prendiamo, ad esempio, la vicenda della conquista dei territori americani da parte dei popoli occidentali. Tutti poterono probabilmente trovarsi d’accordo che la proprietà dei terreni andasse distribuita in modo equo, ovvero che andasse concessa a chi ne ha il diritto. E tuttavia, a quali soggetti spetti il diritto sulla proprietà, invece, è la questione che distinse i favorevoli al saccheggio da parte degli occidentali dai contrari. Durante l’occupazione dei territori americani furono pochi quelli che si opposero al saccheggio. Tra questi, citiamo, ad esempio, il monaco e teologo Francisco de Vitoria (cfr. Carl Schmitt, Terra e mare, pag. 74-75), il quale espresse l’opinione, oggi largamente diffusa, per cui il diritto d’un popolo alla propria terra è indipendente dalla religione o dalla provenienza di esso. Ciò portava, ovviamente, ad una difesa dei diritti degli indiani a conservare la proprietà del loro territorio. Dall’altra parte, invece, l’opinione della maggioranza giudicò ammissibile ed anzi equo saccheggiare il territorio indiano proprio perché gli indiani non erano da considerare alla stregua di soggetti di diritto. Solo un individuo civilizzato, in senso cristiano ed europeo, poteva vantare dei diritti sulla terra. Dunque, escludere gli indiani dalla spartizione fu giudicato perfettamente legittimo ed aderente al rispetto del principio di equità.

Gli psicologi dello sviluppo morale sono interessati a comprendere, innanzitutto, se nella mente degli infanti vi sia già presente un principio di equità che orienti la loro valutazione e le loro aspettative, e in che forma sia presente. Dopodiché, gli psicologi sono interessati a comprendere come questo senso di equità si sviluppa, come la sua evoluzione si intrecci con lo sviluppo delle restanti capacità morali e sociali del bambino, cognitive ed emotive. Infine, un ulteriore domanda di ricerca fondamentale è come lo sviluppo del concetto di equità trovi poi applicazione pratica nel comportamento stesso del bambino. Non solo, dunque, lo psicologo sperimentale è interessato a registrare l’acquisizione del concetto di equità, ma anche è interessato a studiare lo sviluppo delle forme di comportamento coerenti al o motivate dal rispetto del principio di equità.

5.1. Lo sviluppo del concetto di equità nella mente dell’infante

Sostanzialmente esistono due modi per avvicinare la comprensione del senso di equità del bimbo. Il primo modo, adottato dalle ricerche che saranno esposte di seguito, è studiare le aspettative e le preferenze del bambino verso distribuzioni che non lo riguardano in prima persona, ma solo come spettatore. Il secondo modo, adottato da ricerche che vedremo invece più avanti, è studiare la reazione del bambino di fronte a decisioni eque o inique subite in prima persona, oppure registrare il comportamento distributivo del bambino stesso, sempre coinvolto in prima persona. Ad esempio, possiamo dedurre la preferenza per una situazione di equità se il bambino, tra almeno due opzioni possibili, sceglie di condividere le risorse con l’altro invece che tenere tutte le risorse per sé.

Lo studio degli infanti è stato per lo più affrontato nella prima maniera, ovvero registrando la reazione ad azioni distributive che non riguardano direttamente il bambino. Il dato fondamentale è che già durante l’infanzia i bambini, coinvolti come semplici testimoni, si aspettano e preferiscono vedere le risorse distribuite in modo equo piuttosto che iniquo. Più in particolare, i bimbi, nelle loro prime fasi di sviluppo, tendono a preferire e ad aspettarsi che le risorse vengano distribuite in maniera uguale tra le parti. Se l’uguaglianza è più precisamente un concetto matematico, mentre l’equità è un concetto morale, l’uguaglianza può comunque essere utilizzata come indice di equità, nel caso in cui sia motivata da ragioni di natura morale. Posso, ad esempio, decidere di distribuire un numero pari di risorse a due individui poiché ritengo che, in mancanza di altre informazioni, ogni individuo, in quanto uomo, abbia diritto ad essere trattato come gli altri, né meglio né peggio. Favorire l’eguaglianza, in questo senso, è il caso più semplice ed immediato in cui si declina il principio di equità, ovvero sotto l’assunzione che non vi siano differenze di merito rilevanti tra le parti. La prima sensibilità dell’uomo, nell’infanzia, verso i temi dell’equità si mostrerebbe proprio attraverso una preferenza per la distribuzione delle risorse in maniera equivalente tra le parti coinvolte.

Un primo studio che ci permette di comprendere le aspettative degli infanti riguardo l’equità è quello condotto dagli psicologi Sloane, Baillargeon e Premack, pubblicato su Psychological Science qualche anno fa. Lo studio è composto da due esperimenti. Il primo esperimento ha coinvolto bimbi di diciannove mesi, ai quali veniva inizialmente mostrato un adulto nell’atto di dividere due oggetti desiderabili, ovvero dei giocattoli, come ad esempio delle macchinine, equamente tra due personaggi simili tra loro (delle marionette animate rappresentanti delle giraffe, le quali esprimevano verbalmente, con due toni di voce distinti, il loro desiderio di ottenere un giocattolo) oppure non equamente (in questo caso una delle due giraffe riceveva tutti i giocattoli).

Gli sperimentatori hanno misurato il tempo impiegato dal bimbo nell’osservare i due tipi di distribuzione. Un tempo di osservazione più lungo è stato interpretato come indice della presenza di una violazione delle aspettative del bambino. Sicché, la misura dipendente era il tempo che il bambino impiegava a fissare l’evento proposto, e la misura indipendente era l’evento distributivo, che poteva essere equo o iniquo. Il risultato è che i bambini hanno mostrato di non aspettarsi la distribuzione diseguale dei giochi, guardando più a lungo l’evento relativo, ovvero quando una delle due giraffe riceveva entrambi i giochi. In questo senso, l’aspettativa di base dei bambini a quest’età (19 mesi) sembra essere che le azioni distributive delle persone si adeguino al rispetto di una semplice forma di equità: ognuno deve ricevere lo stesso.

Per escludere la possibilità che il risultato appena riportato fosse interpretabile altrimenti, come una semplice aspettativa verso la simmetria piuttosto che l’asimmetria della distribuzione, oppure come una semplice aspettativa riguardo al fatto che individui simili ricevano un numero simile di risorse, gli sperimentatori hanno studiato la risposta dei bimbi a due ulteriori condizioni di controllo.

Nella prima condizione le marionette non venivano animate, ovvero erano private delle loro proprietà sociali. Se i bimbi, nell’esperimento precedente, avessero preferito la simmetria all’asimmetria, anche in questa condizione avrebbero dovuto prestare più attenzione alla distribuzione simmetrica, cosa che però non hanno fatto, permettendo così agli sperimentatori di falsificare l’ipotesi di spiegazione alternativa. Nella seconda condizione le risorse non venivano distribuite dall’adulto. Piuttosto, le risorse, precedentemente assegnate, erano già nascoste sotto a due scatoline. L’adulto, in questa condizione, si limitava a rimuovere le scatoline, rivelando una distribuzione della quale non era causalmente responsabile, almeno non in maniera chiara. Anche qui, se i bimbi si fossero aspettati che personaggi simili ricevano un numero simile di risorse, allora avrebbero dovuto mostrarsi sorpresi davanti alla distribuzione asimmetrica, cosa che però non è accaduta. Gli sperimentatori, per tanto, hanno falsificato anche questa seconda ipotesi esplicativa alternativa, e, di conseguenza, confermato l’originaria ipotesi esplicativa per cui i bimbi si aspettano che le azioni delle persone siano conformi al rispetto di una prima e semplice applicazione del principio di equità.

In un ulteriore esperimento, è stata studiata la risposta di bambini di 21 mesi di vita. Gli sperimentatori hanno scelto di coinvolgere bimbi più grandi di qualche mese per semplici ragioni pragmatiche, legate al disegno sperimentale, il quale richiedeva l’uso di abilità di comprensione linguistica lievemente più sviluppate rispetto a quelle presenti a 19 mesi. L’obiettivo dello studio era verificare se a quest’età i bimbi, oltreché aspettarsi una distribuzione eguale piuttosto che diseguale, si aspettano una distribuzione diseguale nel caso in cui possa essere giustificata da considerazioni relative al merito relativo degli individui coinvolti. In linea con il giudizio maturo, infatti, come è del tutto naturale considerare equa una distribuzione eguale delle risorse tra gli individui coinvolti in mancanza di informazioni rilevanti a giustificare una disparità del diritto alle risorse, è del tutto naturale considerare equa una distribuzione ineguale delle risorse se in relazione opportuna, ad esempio, allo sforzo relativo operato da ogni individuo per guadagnare quelle risorse. Chi lavora di più ha diritto ad uno stipendio più alto rispetto a chi, facendo lo stesso tipo di attività, lavora di meno. Non solo sembrerebbe equo pagare uno stipendio diverso ai due lavoratori, ma sembrerebbe iniquo pagare uno stesso stipendio a fronte di due sforzi differenti.

Questa volta ai bambini venivano mostrati tre adulti. Un primo adulto comunicava agli altri due adulti che se avessero ordinato dei giocattoli sparsi in mezzo al tavolo nella scatolina che ognuno dei due adulti aveva di fronte a sé, avrebbero, loro, ricevuto degli adesivi premio. In un caso, entrambi gli adulti lavoravano per ordinare i giocattoli. Nell’altro caso, solamente uno dei due adulti lavorava. Inoltre, in una condizione il terzo adulto era testimone dello sforzo lavorativo relativo di ognuno, mentre in un’altra condizione (di controllo) non era testimone e, al momento della decisione su come distribuire gli adesivi, non poteva dedurre l’impegno relativo degli adulti guardando all’interno delle loro scatole.

I bambini hanno mostrato di aspettarsi che il terzo adulto decidesse di ricompensare i due adulti in relazione al loro merito lavorativo. Infatti, nella condizione sperimentale, ma non in quella di controllo (dove il terzo adulto non era testimone del lavoro degli altri due adulti e, dunque, non poteva prendere in considerazione il loro merito nel distribuire gli adesivi), i bambini hanno osservato più a lungo, rivelando così una risposta di sorpresa dovuta probabilmente ad una violazione delle loro aspettative, il caso in cui il lavoratore e il fannullone venivano ricompensati con un numero uguale di adesivi.

Questi due risultati supportano empiricamente la tesi per cui già durante l’infanzia il bambino possiede il concetto di equità. In altri termini, già durante il secondo anno di vita il bimbo si aspetta che gli altri agiscano coerentemente al principio di equità, che distribuiscano le risorse in modo eguale, in assenza di informazioni rilevanti a distinguere le persone riguardo al merito, e, invece, distribuiscano maggiori risorse a chi ha maggiori meriti e, così, meno risorse a chi ha meriti minori.

Come abbiamo già visto in precedenza, nello studio della psicologia dell’infante, oltre alle aspettative, è possibile misurare le preferenze. La psicologa Alessandra Geraci e il professor Luca Surian, qualche anno fa, nei nostri laboratori al Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Rovereto, hanno condotto un esperimento sulle aspettative e sulle preferenze di bimbi ad un’età media di sedici mesi verso distribuzioni eguali o diseguali. Lo studio è stato pubblicato nel 2011 sulla rivista Developmental Science ed è piuttosto citato, se non altro per il fatto che è il primo studio il quale, misurando le aspettative e le preferenze del bambino, ha riportato evidenza empirica che gli infanti già a sedici mesi di vita, dunque ad un’età piuttosto precoce, si aspettano da parte degli altri un comportamento coerente con il rispetto del principio di equità (nella sua più semplice declinazione egualitaria, ovvero distribuzione di un numero uguale di risorse alle parti coinvolte). Inoltre, i bambini, già a quest’età, valutano il comportamento distributivo equo positivamente o migliore rispetto al comportamento distributivo iniquo. Si tratta di supportare empiricamente la tesi che nella mente umana agisca un principio tacito di natura innata in grado di guidare le intuizioni dell’uomo sull’equità degli eventi distributivi.

Lo studio di Geraci e Surian è importante, per noi, anche sul piano metodologico. Con esso incontriamo una ulteriore tecnica di indagine e misurazione delle aspettative formate dalla mente dell’infante. Infatti, non solo sono state studiate le preferenze del bimbo registrando il suo movimento di raggiungimento, ma sono state studiate le sue aspettative usando due misure differenti, una più diffusa che già abbiamo visto e una meno diffusa che ora vediamo. Da una parte abbiamo il tempo di fissazione dell’evento test, dall’altra possiamo registrare i movimenti oculari del bimbo per comprendere la sua anticipazione del verificarsi di un certo evento.

I bimbi venivano inizialmente abituati a due scenette in cui un attore (rappresentato dal disegno schematico di un orso, ad esempio) distribuiva in modo eguale tra due altri personaggi (poniamo una mucca e una scimmia) delle risorse, un disco colorato per ognuno, e un altro attore (un leone) operava invece una distribuzione ineguale, dando tutti e due i dischi colorati ad un solo animale. Un animale spettatore (una gallina) osservava entrambe le situazioni senza interagire con l’azione distributiva. I bambini, una volta abituati alla presentazione di questi primi filmati, nella fase di test osservavano l’animale spettatore, ovvero la gallina, infilarsi in un passaggio coperto che non lasciava intravedere il movimento. Questo passaggio ad un certo punto si biforcava lasciando la possibilità alla gallina di raggiungere o l’orso, ad un’estremità, oppure il leone, all’altra. In sostanza, la gallina poteva avvicinarsi al personaggio equo oppure a quello iniquo.

Gli sperimentatori hanno quindi registrato il tempo di fissazione del momento finale della scenetta, in cui il personaggio spettatore raggiungeva il personaggio equo o, diversamente, quello iniquo, e hanno registrato i movimenti e la direzione dello sguardo del bambino. Usando l’accorgimento di nascondere il passaggio del personaggio spettatore è possibile, registrando i movimenti oculari del bambino, dedurre le aspettative e le predizioni del bambino riguardo al comportamento del personaggio spettatore. Se lo sperimentatore registra che il bambino guarda verso il personaggio equo prima che il personaggio spettatore esca dal passaggio, allora è possibile concludere che il bambino aveva anticipato o predetto il comportamento di avvicinamento del personaggio spettatore verso il personaggio equo piuttosto che iniquo. Infine, ai bambini venivano presentate su un vassoio le riproduzioni in cartone delle figure eque o inique, del leone o dell’orso, e gli veniva chiesto di scegliere la preferita. Il movimento di raggiungimento del bambino verso una figura è stato interpretato come espressione di una preferenza del bimbo verso quella figura, a sua volta motivata da ragioni coerenti con il rispetto, seppur implicito ed automatico, verso chi si comporta in modo equo.

I risultati sono i seguenti. Innanzitutto, i bambini non hanno anticipato per mezzo dei movimenti oculari lo spostamento del personaggio spettatore verso uno dei due personaggi distributori. Questo è stato dedotto dall’osservazione che i bambini, a seguito dell’entrata del personaggio spettatore nella galleria, non hanno guardato in maniera consistente in una direzione piuttosto che in un’altra. In altre parole, i bimbi non hanno anticipato la direzione dell’uscita del personaggio. Tuttavia, e sorprendentemente, essi sono rimasti colpiti nel vedere il personaggio spettatore avvicinarsi al personaggio che aveva distribuito in maniera equa. I bambini hanno guardato più a lungo l’evento di avvicinamento verso il personaggio equo rispetto all’evento di avvicinamento verso il personaggio iniquo.

Ora, esistono due modi per interpretare questo ultimo e peculiare dato. La scelta tra le due interpretazioni, entrambe potenzialmente legittime, deve essere compiuta tenendo conto delle misurazioni compiute con altre metodologie, ad esempio, in questo caso, tenendo conto della misurazione del movimento di raggiungimento del bambino verso una delle due sagome di cartone ritraenti gli animali distributori, l’orso e il leone.

Una prima interpretazione dello sguardo di fissazione è che, come abbiamo visto più volte, una sua maggiore durata sia dovuta alla sorpresa del bimbo, il quale non si aspettava di vedere ciò che, invece, ha visto. Una seconda interpretazione è che una maggiore durata dello sguardo di fissazione sia da mettere in relazione all’espressione di una preferenza del bimbo verso l’evento osservato. Guardo più a lungo poiché ciò che vedo mi piace. Geraci e Surian hanno preferito interpretare in quest’ultimo senso i tempi di fissazione dello sguardo dei bimbi. Perciò hanno concluso che i bambini a sedici mesi di vita mostrano innanzitutto la capacità di distinguere tra distributori equi e iniqui, e, poi, una preferenza verso i comportamenti coerenti con una valutazione di approvazione morale dell’equità o con una valutazione di disapprovazione morale dell’iniquità. La scelta di quest’ultima interpretazione è supportata dal fatto che i bambini preferiscono raggiungere manualmente la sagoma di cartone raffigurante il personaggio equo, ed evitare, così, la sagoma raffigurante il personaggio iniquo.

In definitiva, dunque, questo studio permette di concludere che, accanto ad una propensione innata a distinguere tra eventi di aiuto e di impedimento rispetto ad un obiettivo, tra personaggi in questo senso altruisti o buoni e personaggi cattivi (vedi le ricerche di Hamlin et al.), esiste anche una propensione innata a valutare le distribuzioni eque (nella loro forma più semplice, ovvero come distribuzioni di un ugual numero di risorse tra diversi individui) come generalmente approvate da parte delle persone, e le distribuzioni inique come generalmente disapprovate. Già a sedici mesi i bimbi mostrano di aver sviluppato almeno un primo elementare senso di equità, con il quale valutare e predire il comportamento degli altri. Questo senso di equità non è appreso culturalmente, ma è di natura innata.

Senza uscire dallo studio delle aspettative e delle preferenze del bimbo verso distribuzioni che non lo riguardano in prima persona, ovvero che non lo coinvolgono come ricevente e, dunque, come interessato in maniera eventualmente egoistica nella situazione, è possibile usare un’ulteriore metodologia la quale coinvolge il bambino in maniera più attiva rispetto a quanto facciamo le metodologie che abbiamo visto.

È ciò che hanno fatto, inizialmente, le psicologhe sperimentali Kristina Olson e Elizabeth Spelke, con uno studio poi pubblicato su Cognition nel 2008. Le sperimentatrici hanno trovato che i bambini di tre anni, proprio come gli adulti, nell’aiutare un attore a distribuire delle risorse prendono in considerazione tre importanti e diverse proprietà dei soggetti coinvolti nella situazione. La prima proprietà è il grado di relazione che unisce chi riceve a chi dona. I bambini, come gli adulti, pensano che le persone siano maggiormente motivate a condividere con i loro cari piuttosto che con degli sconosciuti. La seconda proprietà del ricevente è l’aver donato in passato delle risorse all’attuale donatore. Anche i bambini apprezzerebbero l’importanza della reciprocità diretta nel determinare le dinamiche di condivisione tra le persone. La terza proprietà del ricevente è l’aver donato in passato, anche se non direttamente al donatore. La reciprocità indiretta sarebbe un ulteriore aspetto della situazione utilizzato dai bambini per comprendere le dinamiche di scambio delle risorse.

I bambini, tuttavia, in età prescolare prendono in considerazione le proprietà elencate solamente quando il numero delle risorse da distribuire non permette una distribuzione eguale tra i vari individui coinvolti. Ciò significa che i bambini non prendono in considerazione le tre proprietà elencate quando il numero delle risorse permette invece una distribuzione secondo la semplice regola per cui a tutti deve essere data la stessa quantità di risorse. A tre anni di vita, dunque, i bambini non hanno ancora sviluppato una comprensione morale e sociale matura, e sono ancora vincolati nella comprensione delle dinamiche cooperative a una norma rigida che dice più o meno “quando è possibile, è giusto distribuire le risorse in maniera uguale tra le parti coinvolte”.

Quanto alla procedura sperimentale utilizzata nello studio della Olson e della Spelke, ai bambini veniva chiesto di aiutare un pupazzetto di stoffa a distribuire delle risorse (ad esempio, degli adesivi) fra diversi tipi di personaggi: essenzialmente, amici o fratelli del pupazzetto protagonista e distributore, i quali venivano affiancati a pupazzetti estranei; pupazzetti che in precedenza avevano a loro volta dato delle risorse al pupazzetto protagonista, affiancati a pupazzetti che in precedenza avevano dato delle risorse però ad altri pupazzetti e non direttamente al protagonista; infine, questi ultimi affiancati a pupazzetti estranei i quali non avevano dato risorse ad alcun pupazzetto.

Le risorse da distribuire potevano essere pari, permettendo così al bambino di dare un numero uguale di risorse ad ogni personaggio della coppia, oppure dispari, nel qual caso il bambino era obbligato a creare delle disparità e scegliere chi il personaggio protagonista avrebbe preferito. Il risultato è sorprendente. Quando le risorse erano dispari, i bambini hanno scelto di guidare il personaggio protagonista in una distribuzione che favorisse l’amico o il fratello all’estraneo, il reciprocatore diretto a quello indiretto, e il reciprocatore indiretto al non reciprocatore. Scegliendo in questo modo, i bambini hanno mostrato l’uso di un ragionamento perfettamente maturo nella comprensione di situazioni connotate moralmente.

Tuttavia, quando le risorse erano pari, i bambini hanno guidato il personaggio protagonista sulla base di un solo criterio di scelta, quello di distribuire le risorse in maniera uguale senza trarre distinzioni tra le varie proprietà che individuavano differentemente i personaggi coinvolti. Per tanto, ad esempio, fratelli ed estranei hanno ricevuto la stessa quantità di adesivi. Questa scelta di guida lascia intendere che i bambini, a quest’età, non abbiano ancora sviluppato un ragionamento morale simile a quello degli adulti, ma che siano ancora fortemente attratti, nella comprensione della realtà morale, dalla forma più elementare del principio di equità, ovvero che sia appropriato distribuire le risorse in maniera equivalente tra le parti.

Nella ricerca appena considerata, i bambini erano obbligati a distribuire tutte le risorse a disposizione del protagonista. Quando le risorse erano pari, i bambini hanno preferito non creare disparità, mentre quando erano dispari, hanno dovuto necessariamente creare disparità. In uno studio successivo, Kristina Olson e Alex Shaw si sono chiesti se i bambini, oltreché essere attratti verso l’eguaglianza della distribuzione delle risorse, fossero anche contrari alla disuguaglianza, e lo hanno compreso sostanzialmente con un’intelligente modifica alla procedura sperimentale, ovvero dando la possibilità ai bambini di non distribuire tutte le risorse quando dispari.

Per studiare una forma genuina di avversione all’iniquità, gli sperimentatori hanno innanzitutto pensato di coinvolgere i bambini come terze parti, non direttamente coinvolti come soggetti alla distribuzione. Questo accorgimento, comune all’esperimento visto in precedenza, permette di eliminare le componenti relative alla comparazione sociale. Ad esempio, il bambino potrebbe mostrarsi contrario a scelte distributive inique che lo riguardano non tanto perché contrario all’iniquità ma perché invidioso rispetto alla posizione della persona che ha ricevuto più risorse di lui.

Ma la variazione rispetto all’esperimento precedente è che, questa volta, al bambino è stata data la possibilità di gettare via una risorsa piuttosto che distribuirla. In questo modo gli si è permesso di mostrare la sua avversione all’iniquità, indipendentemente dalle considerazioni relative alla massimizzazione del benessere sociale. Se, infatti, il bambino valutasse la massimizzazione del benessere sociale (ovvero la distribuzione di tutte le risorse disponibili) più importante del rispetto del principio di equità, come guida motivazionale del comportamento tipico delle persone, allora dovrebbe distribuire tutte le risorse e creare disuguaglianza proprio in ragione del fatto che è meglio distribuire tutte le risorse.

Gli sperimentatori (Shaw & Olson, 2012) hanno studiato, tramite questa procedura, bambini fra i tre e i cinque anni e bambini fra i sei e gli otto anni. Ai bambini veniva raccontato che due adulti avevano completato ognuno uno stesso compito, e che ad ognuno era stata consegnata una gomma colorata. Il bambino era poi invitato a decidere se e a chi consegnare la terza gomma colorata rimasta. Nel caso in cui il bambino avesse deciso di non distribuire la gomma lo sperimentatore l’avrebbe gettata.

Mentre i bimbi più piccoli non hanno mostrato preferenze chiare, i bambini più grandi, dai sei agli otto anni, hanno chiaramente preferito l’opzione di non distribuire la gomma, preferendo non creare disuguaglianze ingiustificate alla massimizzazione del benessere sociale. Questi stessi bambini hanno, invece, preferito distribuire la risorsa in avanzo a chi aveva lavorato di più, nella condizione in cui appunto i due personaggi venivano distinti in base alla quantità di lavoro eseguito o al merito. Questo ultimo risultato permette di concludere che i bambini, dai sei agli otto anni, sono abbastanza maturi da non essere semplicemente contrari all’ineguaglianza (ovvero alla distribuzione diseguale delle risorse, indipendentemente dalle proprietà dei personaggi coinvolti), e che, piuttosto, dimostrano di essere contrari, più in generale, all’iniquità (proprio perché giustificano la disuguaglianza se creata a partire da considerazioni relative al merito).

5.2. Il senso di equità dei bambini coinvolti in prima persona dalla distribuzione delle risorse

Finora abbiamo descritto quegli studi, per lo più e non a caso condotti sugli infanti, che hanno indagato lo sviluppo dei concetti di equità e giustizia coinvolgendo i bambini come parti non interessate direttamente dalla distribuzione delle risorse. In breve, abbiamo considerato diversi studi i quali convergono nel sostenere la conclusione che l’infante possiede un naturale senso di equità che informa la sua comprensione delle situazioni sociali presentategli dallo sperimentatore. Per tanto, egli si aspetta una divisione eguale delle risorse tra individui, e una divisione equa tra individui distinguibili per merito o diritto.

Rimane da considerare secondo quale logica morale si comporti il bambino quando invece è direttamente interessato dalla distribuzione delle risorse. Possiamo domandarci se e a quale età il bambino si mostri imparziale, preferendo ricevere risorse pari agli altri o secondo il merito relativo, superando l’impulso egoistico a possedere più risorse per sé. In altri termini, la domanda è se quello stesso senso di equità che l’infante usa per interpretare le situazioni sociali e morali mostrategli, agisca poi anche sulle decisioni distributive prese dal bambino quando egli è parte interessata dalla distribuzione.

Per studiare il senso di equità e l’altruismo degli adulti vengono spesso impiegati i cosiddetti giochi economici. Questi giochi prevedono una situazione sperimentale molto controllata. Lo sperimentatore sacrifica consapevolmente la validità ecologica tipica di altri studi soprattutto nel settore della psicologia sociale a favore di una maggiore controllabilità delle variabili intervenienti e di una maggiore semplicità procedurale. La caratteristica forse più interessante di questi giochi è che vi sono generalmente due strategie adottabili dai giocatori e facilmente e univocamente interpretabili dagli sperimentatori. Una è egoistica e l’altra altruistica. Sicché, attraverso l’uso di questi giochi, chi studia l’altruismo delle persone può facilmente trarre delle conclusioni solide a partire da dati chiari, anche se, ovviamente, nel tentativo di aumentare la chiarezza della situazione, sacrifica forse una comprensione più fine del fenomeno indagato.

Uno dei giochi più semplici e conosciuti è il gioco del dittatore (Dictator Game). Il partecipante assume il ruolo del dittatore. Lo sperimentatore gli assegna una certa somma di denaro, solitamente nell’ordine di una decina di euro, dopodiché lo invita a prendere una decisione su come e se spartire i soldi ricevuti con un altro partecipante, il quale nel gioco assume un ruolo del tutto passivo non potendo che accettare la decisione presa dal dittatore. Secondo i modelli della cosiddetta economia classica, la scelta razionale che ogni uomo dovrebbe essere portato a fare sarebbe quella di tenere tutti i soldi ricevuti per sé. Contrariamente a questa possibile predizione, gli adulti generalmente mostrano un certo grado di altruismo donando parte dei soldi ricevuti all’altro partecipante. Ciò significa che le persone sono generalmente predisposte ad atti di altruismo gratuito, anche nel caso in cui debbano sostenere per questo un costo personale.

L’idea di alcuni psicologi dello sviluppo è stata quella di adattare questo tipo di contesto sperimentale allo studio del senso di equità del bambino. Uno dei primi psicologi a farlo è stato Ernst Fehr. In un influente studio poi pubblicato su Nature nel 2008, Fehr e colleghi hanno indagato lo sviluppo del senso di equità dai tre agli otto anni, introducendo un nuovo gioco, una nuova procedura, simile concettualmente al gioco del dittatore, utile a rilevare proprio la conformità del comportamento del bimbo rispetto al principio di equità o, meglio, in questo caso, rispetto al principio di eguaglianza. In particolare, l’obiettivo degli sperimentatori era chiarire l’evoluzione dell’avversione alla disuguaglianza della distribuzione tra sé e gli altri, nelle sue due differenti forme: l’avversione alla disuguaglianza svantaggiosa, quando il soggetto coinvolto riceve meno degli altri; e l’avversione alla disuguaglianza vantaggiosa, quando il soggetto coinvolto riceve più risorse rispetto agli altri.

Ogni bambino coinvolto giocava a tre tipi differenti di gioco, una volta sola ad ognuno e con un compagno di giochi differente ogni volta. In ognuno dei giochi al bambino veniva chiesto di scegliere tra due differenti distribuzioni. Le risorse disponibili venivano distribuite tra il bambino coinvolto come dittatore e un altro bambino a lui sconosciuto, rappresentato in una foto visibile all’estremità del tavolo opposta a quella in cui sedeva il bambino giocatore. Le due opzioni distributive erano visualizzabili dal bambino sul tavolo, una alla sua destra e una alla sua sinistra. Ad esempio, se l’opzione distributiva prendeva valore (1;1), allora due caramelle venivano posizionate su di un foglio di carta, una verso il bambino giocatore e l’altra verso la foto raffigurante il secondo bambino coinvolto. Se, invece, l’opzione distributiva prendeva valore (2;0), allora due caramelle venivano posizionate dalla parte del bambino giocatore e nessuna dalla parte opposta del foglio. In ogni gioco il bambino doveva scegliere tra due opzioni distributive differenti. Ai bambini veniva inoltre detto di scegliere in libertà, poiché né i genitori o i maestri, né il bambino ritratto in foto, avrebbero poi potuto associare la loro identità alla scelta effettuata.

In un primo gioco, molto simile come logica al gioco del dittatore, al bambino era chiesto di scegliere tra l’opzione distributiva (1;1) e l’opzione (2;0); dividere equamente le risorse oppure tenerle tutte per sé. Questo gioco, in sostanza, misurava la presenza o l’assenza di una forma molto forte di avversione all’ineguaglianza, poiché scegliere l’opzione dove entrambi i giocatori ricevono un numero eguale di risorse richiedeva al giocatore dittatore il sacrificio di una risorsa altrimenti destinatagli. I bambini più piccoli, tra i tre e i sei anni, per lo più hanno scelto l’opzione di destinare tutte le risorse a loro stessi e, dunque, di non lasciare nulla agli altri. I bambini più piccoli si sono dimostrati, in questo senso, mossi dall’egoismo o dalla volontà di avere più degli altri. I bambini più grandi, invece, a sette e otto anni, si sono mostrati più generosi, scegliendo nella metà dei casi l’opzione della distribuzione uguale.

Per indagare la presenza nei bambini più piccoli di almeno una forma debole di avversione alla disuguaglianza, in altre parole di una forma elementare di prosocialità, gli sperimentatori hanno creato un secondo gioco, dove scegliere l’opzione distributiva eguale non implicava un costo per il bambino. In questo secondo gioco il bambino poteva dunque scegliere tra l’opzione distributiva (1;1) e l’opzione (1;0). Scegliendo (1;1) il bambino mostrava di preferire l’eguaglianza e di evitare una situazione di diseguaglianza vantaggiosa, scegliendo (1;0) il bambino mostrava di non preferire l’eguaglianza ed anzi di preferire la diseguaglianza vantaggiosa. Se la maggior parte dei bimbi più grandi ha preferito condividere le risorse, solamente un bambino su due, prima dei sei anni, ha deciso di destinare una risorsa al bambino sconosciuto, anche se farlo, come abbiamo visto, non gli sarebbe costato alcun sacrificio materiale. Scegliere di condividere le risorse una volta su due, in questo caso, ha significato scegliere in modo casuale, ovvero non essere motivati in modo consistente dalla considerazione dei bisogni altri.

Un terzo gioco, infine, misurava il grado di avversione all’ineguaglianza svantaggiosa. Il bambino poteva scegliere l’opzione (1;1), ovvero di distribuire in maniera eguale le risorse, e l’opzione (1;2), ovvero massimizzare la distribuzione delle risorse creando però una disuguaglianza a suo svantaggio, invece che a suo vantaggio come nell’esperimento precedente. Un bambino perfettamente egoista, non interessato ai bisogni altrui, avrebbe dovuto scegliere casualmente tra le due opzioni, mentre un bambino motivato da ragioni di tipo egualitario avrebbe dovuto scegliere l’opzione che non creasse disparità tra i due giocatori. Se i bambini più piccoli hanno scelto casualmente, i bambini più grandi invece hanno preferito optare per la soluzione egualitaria (1;1).

Presi assieme questi risultati suggeriscono che il decorso evolutivo, dai tre agli otto anni, vada nella direzione dell’acquisizione dell’avversione alla diseguaglianza. Se i bambini più piccoli, a tre e quattro anni, scelgono e si comportano in maniera egoistica, senza considerare in modo consistente i bisogni degli altri, i bambini più grandi, a sette e otto anni, preferiscono comportarsi coerentemente con il rispetto del principio che sia giusto evitare di creare ineguaglianze, soprattutto quando svantaggiose ma anche quando vantaggiose per sé stessi.

A distinguere più chiaramente lo sviluppo dell’avversione all’iniquità svantaggiosa rispetto allo sviluppo dell’avversione all’iniquità vantaggiosa per l’individuo decisore, sono stati gli psicologi Blake e McAuliffe, con uno studio pubblicato su Cognition nel 2011. Gli autori sono partiti dalla considerazione che gli adulti generalmente mostrano la tendenza a sostenere un costo per favorire l’equità o evitare l’iniquità, sia nel caso più complesso in cui ricevano meno risorse o benefici rispetto agli altri (e allora si parlerà di avversione all’iniquità svantaggiosa) sia nel caso più semplice in cui ricevano più risorse degli altri (e allora si parlerà di avversione all’iniquità vantaggiosa). Se gli adulti mostrano questa tendenza, lo psicologo dello sviluppo si chiede come e quando emerga questo tipo di risposta comportamentale nel bambino.

Per l’occasione di studio gli sperimentatori hanno inventato un nuovo gioco, nel quale i bambini dovevano sacrificare delle risorse, a loro altrimenti destinate oppure ad altri destinate, al fine di prevenire le due forme di iniquità. Nell’esperimento precedente la scelta obbligata tra le due opzioni distributive (1;1) e (2;0) è stata interpretata come una misura dell’avversione all’iniquità da parte del bambino. Tuttavia, è possibile pensare che il bimbo propenso a scegliere l’opzione egualitaria (1;1) sia semplicemente motivato dall’idea che sia giusto che ogni partecipante al gioco riceva qualcosa. Se le cose stanno in questo modo, una misura più sicura dell’avversione all’iniquità sarebbe proporre al bambino di scegliere tra l’opzione (1;1) e l’opzione (2;1). Così facendo si avrebbe una misura diretta e maggiormente sicura dell’avversione all’iniquità vantaggiosa per il bambino che deve scegliere, poiché in entrambe le distribuzioni il compagno di gioco comunque riceve qualcosa.

Nel contesto sperimentale creato da Blake e McAuliffe, il bambino sedeva ad un’estremità del tavolo di fronte ad un altro bambino, questa volta reale e non semplicemente rappresentato in fotografia. Dopodiché, un adulto provvedeva a distribuire su due vassoi, ognuno posto di fronte ad ogni bambino, un certo numero di caramelle. Il bambino coinvolto nel ruolo di dittatore poteva poi scegliere se accettare o rifiutare la distribuzione scelta dall’adulto per entrambi i bambini. Per accettare il bambino doveva azionare una leva la quale faceva inclinare i vassoi in modo tale che le caramelle finissero all’interno del recipiente che ogni bambino teneva di fronte a sé. Per rifiutare, invece, il bambino doveva azionare una leva di colore diverso che faceva inclinare i vassoi nel senso opposto, verso l’interno del tavolo, in modo tale che le caramelle finissero questa volta all’interno di un recipiente posto al centro del tavolo. In questo caso, nessun bambino avrebbe ricevuto le caramelle distribuite dall’adulto.

Gli sperimentatori hanno registrato le risposte di bimbi dai quattro agli otto anni ad offerte eque (1;1), inique ma chiaramente vantaggiose per il bambino decisore (4;1), oppure inique e chiaramente svantaggiose per il bambino decisore (1;4). La misura dipendente era dunque la risposta del bambino, di accettazione o rifiuto dell’opzione distributiva, mentre la misura indipendente era l’equità o l’iniquità dell’offerta, e il tipo di iniquità dell’offerta dal punto di vista del bambino decisore, vantaggiosa o svantaggiosa.

Ora, il risultato della sperimentazione è che se i bambini dai quattro ai sette anni hanno rifiutato in modo consistente le offerte inique svantaggiose (1;4) ma accettato di buon grado quelle vantaggiose (4;1), solamente i bambini di otto anni hanno rifiutato entrambe le offerte inique, dunque sia quelle svantaggiose sia quelle vantaggiose. Da questi dati possiamo concludere che, inizialmente, i bambini sviluppano una più semplice avversione all’iniquità quando questa vada a loro svantaggio, e preferiscono non ottenere nulla o quasi alla possibilità che gli altri ottengano più risorse rispetto a loro. Solamente verso gli otto anni il bambino incomincia ad apprezzare il principio di equità in modo maturo, rappresentandosi come individuo tra individui con il medesimo diritto ad accedere alle risorse. Similmente agli adulti, dunque, i bambini, a quest’età, sono pronti a sacrificare anche un buon numero di risorse per realizzare nella pratica il principio di equità.

Gli studi finora considerati possono convincere che i bimbi più piccoli, in età prescolare, mostrano una forte avversione all’iniquità svantaggiosa, anche se, non ancora, una particolare avversione all’iniquità vantaggiosa. Prima dei sei anni di vita il comportamento dei bambini sembra essere profondamente vincolato rispetto ai desideri egoistici, e la considerazione della nozione di equità, pur sviluppata come concetto, e dunque ben presente nella mente del bambino, non sembra invece motivare le azioni del bambino in senso prosociale.

Da un punto di vista metodologico è possibile notare come la maggior parte degli studi sui bambini coinvolti in prima persona dall’azione distributiva, e comunque gli studi visti finora, hanno dedotto l’avversione all’iniquità e l’assenza o la presenza di una consistente considerazione del principio di equità dal comportamento distributivo del bambino stesso o da misure esplicite come una risposta verbale del bambino. È noto, tuttavia, che dalle risposte verbali del bambino possiamo trarre resoconti relativi alla sua psicologia che rischiano di sottostimare le sue proprie conoscenze. Questo è vero, naturalmente, soprattutto in riferimento alle risposte dei bimbi più piccoli, i quali ancora non hanno completamente maturato le loro abilità linguistiche.

Un’integrazione metodologica intelligente sarebbe studiare, accanto al comportamento di scelta del bambino e alla sua risposta verbale, anche la sua reazione emotiva. Da quest’ultima, ad esempio, nel nostro contesto, possiamo ricavare degli indizi utili rispetto all’interesse del bimbo per le questioni legate all’equità. Verosimilmente, l’analisi della risposta emotiva sarà in grado di individuare l’interesse del bimbo prima di quanto possa fare l’analisi della risposta verbale. Infatti, la reazione emotiva si dà spesso in maniera immediato, ed è sicuramente registrabile persino nei bambini che non hanno appreso il linguaggio, o che lo stanno ancora apprendendo. Per questo, analizzare l’emozione del bimbo, accanto alle altre sue risposte, comportamentali e verbali, è una risorsa metodologica conveniente poiché particolarmente sensibile e funzionale alla registrazione di un interesse del bimbo che altrimenti potrebbe non essere registrato o comunque essere sottostimato.

Uno studio che ha indagato, oltre alla risposta comportamentale e verbale del bambino, anche la risposta emotiva alla distribuzione ineguale delle risorse è quello della psicologa LoBue e colleghi, pubblicato sulla rivista Social Development nel 2009. Gli autori hanno studiato la risposta emotiva a distribuzioni ineguali, vantaggiose o svantaggiose per il bambino, ipotizzando che questa particolare risposta potesse rivelare, con maggiore anticipo rispetto alla risposta verbale, una preoccupazione morale intorno al tema dell’equità da parte del bimbo.

Allo studio hanno partecipato bambini dai tre ai cinque anni. I bambini venivano coinvolti in coppia in una situazione creata sperimentalmente nella quale, dopo aver contribuito al riordino di alcuni giochi, venivano ricompensati in modo iniquo da parte di un adulto. A fronte di uno sforzo lavorativo all’incirca pari, se un bambino riceveva quattro adesivi, l’altro bambino ne riceveva solamente due. Per rendere saliente l’iniquità, l’adulto incaricato di ricompensare i bimbi contava gli adesivi durante la distribuzione: “un adesivo per Maria, un adesivo per Sara, due adesivi per Maria, due adesivi per Sara, tre adesivi per Maria, quattro adesivi per Maria”. Dopo una pausa di qualche secondo, in cui al bambino veniva dato il tempo di rappresentare chiaramente la situazione, e mostrare, eventualmente, le prime risposte spontanee, lo sperimentatore poneva alcune domande ai bimbi, per stimolare ulteriormente la loro reazione alla distribuzione.

Lo sperimentatore chiedeva ai bambini se fosse tutto ‘ok’, indicando gli adesivi, e, poi, eventualmente, perché non fosse ‘ok’. Nel caso in cui i bimbi non fossero ancora reattivi, lo sperimentatore provava a stimolarli chiedendo loro di indicare il numero di adesivi ricevuti e chiedendo loro di confrontare le distribuzioni, nonché di giudicare, nuovamente, se la situazione risultante fosse ‘ok’, oppure se la distribuzione fosse ‘equa’. Dopodiché, una volta registrata la reazione del bimbo, conclusa la fase test della sperimentazione, l’adulto distribuiva due restanti adesivi al bimbo che ne aveva ricevuti meno.

Due adulti, i quali erano all’insaputa delle ipotesi sperimentali e dell’età dei bimbi, hanno codificato tre tipi diversi di comportamento del bambino, a partire dalle registrazioni video della situazione appena descritta. Il primo comportamento valutato era la reazione emotiva. I codificatori osservavano il video ritraente la reazione emotiva dei bimbi alla distribuzione, senza però essere a conoscenza della quantità di adesivi ricevuta da ogni bimbo, che nel video infatti veniva oscurata. Questo accorgimento aumenta la probabilità che il codificatore non venga tradito dalle proprie aspettative implicite sulla reazione prototipica ad una distribuzione iniqua svantaggiosa. I due adulti hanno valutato la reazione emotiva del bimbo con una scala a cinque valori, dove 1 equivaleva a ‘chiaramente infelice’ e 5 ‘chiaramente felice’, passando per 3 ‘nessuna emozione’. Ovviamente, non si tratta di una misura del tutto precisa od oggettiva, come, ad esempio, potrebbe esserlo la misurazione della risposta fisiologica. In ogni caso, essa dà allo sperimentatore un primo indizio sullo stato emotivo reale del bimbo di fronte ad una distribuzione percepita eventualmente come iniqua.

Il secondo comportamento valutato era lo sguardo di fissazione. Come è evidente, in questo caso non si tratta del tempo di fissazione dello sguardo all’interno del paradigma metodologico dell’abituazione/disabituazione, usato per lo più nello studio della psicologia dell’infante. Piuttosto, i codificatori dovevano contare il numero di volte in cui il bambino guardava ai propri adesivi, agli adesivi altrui, all’altro bambino oppure allo sperimentatore, durante e dopo la distribuzione. Lo sguardo diretto verso le risorse altrui o, comunque, non diretto verso le proprie risorse, è stato interpretato in questo contesto come una misura dell’insoddisfazione del bambino e, dunque, come una misura indiretta del suo scontento relativo ad una situazione di ineguaglianza.

Oltre alla risposta emotiva e alla direzione dello sguardo è stata codificata la risposta verbale dei bimbi. In questo caso è stato analizzato il discorso del bimbo per capire se facesse riferimento esplicito o implicito all’equità, al desiderio di avere altri adesivi, ad una generica situazione di disparità, oppure a questioni del tutto irrilevanti rispetto al tema dell’equità e della disuguaglianza.

Come ipotizzato dagli sperimentatori, se la risposta emotiva dei bimbi avvantaggiati dall’iniquità è stata, in media, neutrale o positiva, la risposta emotiva dei bimbi che ricevevano meno adesivi è stata, in media, una risposta chiaramente infelice. Coerentemente a questa dinamica emotiva, i bimbi che ricevevano meno adesivi si mostravano anche più insoddisfatti, guardando maggiormente verso il compagno rispetto ai bimbi che invece venivano avvantaggiati con una distribuzione di quattro adesivi. Questi due risultati indicano che i bambini, già a tre anni, mostrano una forte avversione all’ineguaglianza quando questa sia svantaggiosa, ma non quando sia vantaggiosa. Analizzando le risposte verbali, invece, gli sperimentatori hanno compreso che i bimbi in età prescolare raramente menzionano esplicitamente l’equità nel ragionare attorno a distribuzioni inique. Inoltre, i bimbi più piccoli sono stati maggiormente propensi a giudicare accettabile la situazione svantaggiosa rispetto ai bimbi più grandi, e meno propensi a ragionare sulla differenza tra le due distribuzioni.

Dallo studio di LoBue e colleghi è possibile dedurre che, nonostante i bambini non incomincino a ragionare in termini morali espliciti e consapevoli di equità ed eguaglianza (che, ricordiamo, è da intendere, in questo contesto, come la forma computazionalmente più semplice di equità) prima dei sei anni, i bambini in età prescolare abbiano già sviluppato una precisa e relativamente precoce risposta emotiva avversiva alla distribuzione iniqua svantaggiosa. In questo senso, l’evoluta capacità di argomentare le proprie lamentele rispetto ad un torto subito sarebbe anche il tentativo compiuto di spiegarsi a partire dalle proprie reazioni emotive negative, provate naturalmente di fronte all’iniquità (almeno svantaggiosa) ed evolute fino dai primi anni di vita del bimbo.

Dagli studi finora passati in rassegna abbiamo appreso che i bambini, fin da piccolini, se oppongono resistenza a subire l’iniquità (inizialmente con una semplice risposta emotiva di dispiacere), non oppongono particolare resistenza quando si tratta di ricevere più risorse degli altri. Possiamo pensare di spiegare questo dato con due ipotesi alternative. Secondo una prima ipotesi esplicativa i bambini più piccoli potrebbero non essere interessati al fatto che gli altri ricevano meno rispetto a loro, ma essere semplicemente interessati al fatto di ricevere di più. Una diversa ipotesi esplicativa, invece, potrebbe fare leva sulla preferenza dei bambini per la situazione in cui sono gli altri a ricevere meno risorse.

Gli psicologi Sheskin, Bloom e Wynn hanno studiato le risposte di bambini dai cinque ai dieci anni al fine di individuare quale tra le due fosse l’ipotesi esplicativa migliore. Il punto dello studio era, quindi, indagare se i bambini più piccoli preferissero o meno la situazione in cui l’altro riceve meno risorse, in altre parole se preferissero scegliere un’opzione distributiva iniqua ma vantaggiosa per loro rispetto a scegliere un’opzione distributiva equa, dove scegliere l’opzione iniqua implicasse un costo personale per il decisore rispetto alla scelta dell’opzione equa.

Questa volta i bambini dovevano scegliere tra due possibili distribuzioni di oggetti token (ogni oggetto token corrispondeva ad un giocattolo che poi il bambino avrebbe ricevuto, una volta concluso l’esperimento). Al bambino veniva posta dall’adulto una scatola di legno quadrata con quattro spazi di uguale estensione. I due spazi a sinistra della scatola corrispondevano ad un’opzione distributiva, mentre quelli a destra corrispondevano ad una seconda opzione distributiva. Gli spazi più vicini al bambino contenevano i token a lui destinati, gli spazi più lontani rispetto al bambino contenevano invece i token destinati, dalle due opzioni distributive, ad un bambino sconosciuto non presente nella stanza.

In una prima condizione di controllo, che serviva allo scopo di verificare la comprensione delle dinamiche di funzionamento del gioco, ai bambini è stato chiesto di scegliere tra un’opzione equa (1;1) e un’opzione equa ma più vantaggiosa (2;2). Chiaramente, la maggior parte dei bimbi ha scelto l’opzione più vantaggiosa, e ha dimostrato di comprendere correttamente la logica di funzionamento del gioco. In una seconda condizione, invece, ai bimbi è stata data la possibilità di scegliere tra una distribuzione iniqua e svantaggiosa (2;3), ma comunque più vantaggiosa rispetto alla scelta della seconda opzione, caratterizzata dall’equità della distribuzione (1;1). In questo caso, la maggior parte dei bambini, a tutte le età, hanno scelto l’opzione equa, essendo avversi alla possibilità di ricevere meno relativamente all’altro bambino. Il risultato conferma quando già abbiamo riportato, ovvero che i bambini sono pronti a pagare un costo per non trovarsi in svantaggio rispetto agli altri. I bambini sono pronti a sacrificare un giocattolo per prevenire la situazione in cui un altro bambino riceva un giocattolo più di loro.

Il risultato nuovo gli psicologi lo hanno trovato chiedendo ai bambini di scegliere tra la distribuzione (2;2) equa ma più ricca rispetto all’altra opzione disponibile (1;0), quest’ultima iniqua ma per loro vantaggiosa. In questo caso, i bimbi più piccoli, di cinque e sei anni, ma non quelli più grandi, dai sette ai dieci anni, hanno preferito sacrificare un token e scegliere l’opzione iniqua (1;0), mostrando una chiara preferenza per la posizione di vantaggio rispetto al prossimo. I bambini più piccoli dunque sono pronti a sacrificare dei giochi al piacere di ricevere comunque più giochi rispetto agli altri. La logica del desiderio, in questo senso, soprattutto nei bambini più piccoli, ma ogni tanto anche negli adulti, non è mai assoluta, ma è sempre relativa alle risorse e ai beni posseduti dagli altri.

Non solo, dunque, i bambini più piccoli preferiscono non essere svantaggiati rispetto al prossimo, ma, in più, preferiscono essere avvantaggiati. Questo significa che lo sviluppo di un senso di equità maturo deve superare un momento evolutivo iniziale in cui il bambino è profondamente vincolato nel suo comportamento rispetto alla comparazione sociale, in particolare in relazione all’idea che sia preferibile che gli altri abbiano comunque, sia giusto o ingiusto, meno risorse di lui.

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Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

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