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Giudizio morale: quale ruolo per la ragione?

Le recenti scoperte in neuroscienze e psicologia morale hanno dimostrato che il processo di presa di decisione morale è fortemente determinato da processi inconsci, automatici ed emotivi, dalle cosiddette intuizioni. Il ruolo del ragionamento cosciente sembrerebbe, per tanto, fortemente ridimensionato.

Dopo la critica di J. Haidt al modello razionalista in psicologia morale bisogna tuttavia ammettere che il ruolo del ragionamento cosciente nel processo di presa di decisione morale è stato, da parte della psicologia, scarsamente chiarito.

Se, da una parte, sembra evidente a chiunque che il ragionamento abbia un ruolo nella formazione delle nostre decisioni morali, dall’altra, una recente revisione della letteratura (Paxton & Greene, 2010) mostra che l’evidenza scientifica per concludere con certezza sul ruolo della ragione nelle nostre scelte morali è limitata.

A tale limitazione hanno risposto gli psicologi Paxton, Ungar e Greene, con due esperimenti i cui risultati sono consultabili nella pubblicazione Reflection and Reasoning in Moral Judgment, uscita l’anno scorso su Cognitive Science.

Gli autori hanno indagato il ruolo della riflessione o ponderazione e del ragionamento. La riflessione è la considerazione cosciente e attenta di uno stimolo; il ragionamento è una considerazione più strutturata, in quanto implica un procedimento argomentativo di qualche tipo. La prima è condizione necessaria ma non sufficiente del secondo.

Nel primo esperimento i soggetti, cui era indotta una condotta maggiormente riflessiva, per mezzo di un test di riflessione cognitiva (CRT – in cui i soggetti erano esposti a problemi con soluzioni controintuitive, ovvero con soluzioni intuitive ma scorrette), rispondevano a situazioni morali dilemmatiche in maniera più utilitarista rispetto al controllo. Ovvero la loro risposta era più calcolata e meno intuitiva. Ciò dimostra che la riflessione è in grado di influenzare il giudizio morale.

Nel secondo esperimento i soggetti dovevano valutare moralmente uno scenario di incesto tra adulti consenzienti, situazione nota per la sua alta connotazione emotiva, dunque scarsamente permeabile a valutazioni di ordine razionale. Due le variabili manipolate: il tempo a disposizione per rispondere (poco o molto), l’argomento proposto, dopo la descrizione della situazione, in giustificazione del comportamento incestuoso (controintuivo, forte oppure debole). Il risultato è che solo l’argomento forte è risultato persuasivo, e solo quando il tempo accordato per rispondere era molto. Ciò dimostra che la riflessione ragionata è in grado di influenzare il giudizio morale.

Se la domanda è: possono la riflessione e il ragionamento deliberato cambiare, in determinate circostanze, la visione morale dell’individuo, in particolare la sua attitudine, determinata da intuizioni rapide, inconsce e sovente emotive, la risposta è senz’altro affermativa.

L’uomo comune già era di questa opinione. La psicologia morale, in questo caso, funge da affidabile meccanismo di conferma dell’opinione comune, che, in prospettiva, può aspirare a divenire conoscenza. La nostra fascinazione per questo tipo di scienza non viene certo meno a causa della apparente banalità dei suoi risultati, semmai ne viene rinforzata in virtù dell’alto valore che attribuiamo alla conquista prudente, minuziosa e rigorosa della verità.

In conclusione gli autori suggeriscono che i loro risultati danno maggiore forza alla richiesta normativa di agire ascoltando la “testa” oltreché il “cuore”. Tuttavia il discorso che su ciò si aprirebbe è troppo lungo, complesso e, semmai, controverso, per essere anche solo iniziato in questa sede, ma, in generale, in sede scientifica.

Reference:

  1. Haidt, J. (2001). The emotional dog and its rational tail: A social intuitionist approach to moral judgment. Psychological Review. 108(4); pp. 814–834.
  2. Paxton, J. & Greene, J. (2010). Moral reasoning: Hints and allegations. Topics in Cognitive Science. 2(3); pp. 511–527.
  3. Paxton, J., Ungar, L., Greene, J. (2012). Reflection and Reasoning in Moral Judgment. Cognitive Science. 36; pp. 163–177.

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

6 Comments

  1. Giangiuseppe PiliGiangiuseppe Pili 15 Agosto, 2013

    Il problema principale è come giustificare la formazione di una regola morale per l’azione che dovuta esclusivamente a ragioni di ordine emotivo. Se l’emotività ci IMPONE delle azioni, come fa a dirci “ogni qual volta che capita y opera una valutazione morale tale che y(x)=buono e agisci z se buono, w se cattivo”. Come fa l’emozione, “il cuore”, a dirci “ogni uomo buono aiuta il prossimo”? Questo non può farlo se non almeno mediante la ragione perché necessita di regole, sia semantiche che morali per dare una simile caratterizzazione. Sicché il nocciolo duro della ragione è il fatto di poter formulare regole di valutazione e prescrizione morali che ci dicano chiaramente cosa fare, anche quando l’impulso è contrario.

    • Francesco MargoniFrancesco Margoni 15 Agosto, 2013

      direi che sono d’accordo … il ruolo della ragione è insostituibile nel compito che indichi esserle proprio (anche se farei a meno di avere regole sul tipo kantiano ”ogni uomo buono aiuta il prossimo”, che non mi sembrano rendere giustizia alla complessità del reale). Il punto però è che, nel dare un modello del giudizio morale, andrebbe innanzitutto riconosciuto questo semplice fatto: che l’uomo non agisce secondo una logica morale precisa e consapevole, che è mosso da un’infinita serie di cause, che lo stesso linguaggio morale è caotico, dio solo sa quanto ambiguo e vago … et cetera – se la ragione, e solo essa, può svolgere il compito di giustificare la formazione di una regola (ma, potrei dire, di inventare una regola …), di darci alcune prescrizioni morali condivise (se possiamo condividere qualcosa è grazie alla ”testa” e non al ”cuore”, su questo siamo d’accordo), bisogna riconoscere che questo compito essa lo svolge a posteriori rispetto alla formulazione del giudizio stesso. Con ciò, da una parte, non si esclude che vi possa e, di fatto, vi sia, la possibilità che quest’operazione a posteriori determini il contenuto delle successive valutazioni o dei successivi comportamenti, propri e altrui, ma, dall’altra, non si è ancora detto nulla sulla forma, cosciente o inconscia, di tale determinazione …

      • Giangiuseppe PiliGiangiuseppe Pili 16 Agosto, 2013

        Ma il fatto che gli uomini seguano le proprie inclinazioni spesso e per lo più non ci sorprende. Anzi, l’etica normativa di qualunque sua forma (kantiana, priceana, e, parzialmente, weberiana e humeana) nasce proprio dall’esigenza di trovare delle norme che dicano cosa fare proprio perché si riconosce come dato di fatto che gli uomini agiscano secondo impulsi egoistici normalmente non positivi, non conciliabili con un senso morale sia intuitivo sia razionale. In secondo luogo, non sono convinto che le regole della ragione morale debbano considerarsi successive, secondo un ordine logico. Può darsi anche che da un punto di vista psicologico si determinino solo successivamente. Però l’ordine psicologico non è l’unico da tenere a mente. Infatti, si può tranquillamente sostenere che le leggi morali siano antecedenti ad ogni loro determinazione psicologica. Una legge morale potrebbe valere indipendentemente dal fatto che ogni soggetto la disattenda. In fine, il mio personale disagio di fronte a queste analisi psicologiche, nasce dal fatto che hanno aggiunto molto poco (magari a seguito di grandi mole di studi) a quello che sapevamo già: sia Aristotele, che Hume che Kant sapevano benissimo che gli uomini sono raramente buoni proprio perché seguono spesso degli impulsi non positivi per il resto dell’umanità. Poi loro divergevano sulle soluzioni morali, ma su quel dato di fatto no. Dato di fatto che suona proprio come un’ovvietà.

        • Francesco MargoniFrancesco Margoni 16 Agosto, 2013

          certamente. Tuttavia la scienza non ha il compito di interessare … ma di confermare o falsificare delle ipotesi, su qualunque fenomeno, anche il più banale e scontato. La verità, o l’approssimazione alla verità, non ha nulla a che vedere con la bellezza o la stranezza. Su questo sarai d’accordo. Che la terra giri intorno al sole oggi è scontato ma non lo è sempre stato … non per questo oggi si smette di fare ricerca in campo astronomico, potrebbe pure essere che, infine, si giunga alla conclusione che è il sole a girare attorno alla terra … i razionalisti del sei-settecento avrebbero avuto difficoltà ad accettare come ovvietà i risultati della psicologia morale … solo all’inizio del secolo scorso Piaget e poi Kohlberg pensavano che lo sviluppo morale fosse uno sviluppo cognitivo – e non è stato ovvio il cambiamento di paradigma, dalla ragione all’emozione, dal conscio all’inconscio, semplificando un po’ … infine, non si tratta di stabilire se gli uomini siano buoni o meno, questo non è certamente un compito scientifico (o interessante!), ma di stabilire sulla base di quali determinazioni essi prendano una decisione morale … non mi pare che nessuno, ancora, nella storia della filosofia abbia saputo dare una risposta a questa domanda … si tratta di raccogliere molti dati, alcuni ovvi altri meno ovvi, e cercare di costruire un modello che sia sperimentalmente corroborato – tutto qua.

  2. Giangiuseppe PiliGiangiuseppe Pili 16 Agosto, 2013

    Su questo siamo pienamente d’accordo, niente da dire sul ruolo della scienza e su quanto debba fare. In questo caso la psicologia. Quello che osservavo erano due fatti: il primo è che sono tutti concordi nello stabilire che gli uomini per lo più, (i numeri appunto li cerca la scienza), agiscano secondo impulsi, alcune volte egoistici altre volte no. Una buona domanda è chiedersi se a questo livello siamo già a livello “morale”. Il secondo è che il fattore della “legge” è il punto nodale. La domanda filosoficamente (e non solo) è come sia possibile che un uomo sia capace di vincere i suoi impulsi e possa formulare una legge pratica. Questo lo fa solo l’uomo. Ad esempio, nelle guerre jugoslave ci sono stati degli episodi raccapriccianti che sono stati compiuti perché gli uomini hanno vinto la naturale repulsione verso certi atti (stupri, per esempio) e li abbiano fatti “per comando”. Cioè perché avevano seguito una regola. Il secondo problema della regola è che non tutte le regole sono “equamente morali”. Questi sono interrogativi propriamente morali. Chiarimento terminologico: “interessante” sta per “importante da chiarire”. Siamo d’accordo che la scienza non deve “divertire”. Ma se non risponde a interrogativi “interessanti” per nessuno… non ha senso! Sapere che è il sole che gira intorno alla terra è interessante!! Come sapere perché gli uomini possono vincere gli impulsi (egoistici e altruistici) perché seguono una regola superiore e che tale regola non necessariamente sia la migliore possibile! E il predicato “essere migliore” ha un ruolo decisamente importante, anche se scientificamente controverso.

    • Francesco MargoniFrancesco Margoni 19 Agosto, 2013

      Caro Giangi,
      avrò modo di riflettere sulla tua affermazione ”Ma se [la scienza] non risponde a interrogativi interessanti per nessuno … non ha senso!” – ora come ora non sono molto convinto dell’implicito (=non ha senso ma dovrebbe averlo ..), dal momento che penso che la scienza non abbia bisogno di avere un qualche senso. forse, però, qui sto solo proiettando il mio desiderio di un’attività umana finalmente senza senso finale o anche solo intermedio, provvisorio, parziale, un’attività che ragiona sul metodo della sua crescita senza considerarne la direzione … sembrerebbe che, per la scienza, tutto è interessante e nulla è interessante, e sembrerebbe bellissimo …

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