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Morale, gli insegnamenti dell’Induismo

Uno stimolante articolo apparso recentemente sull’Indian Journal of Psychiatry col titolo “Morality and moral devolopment: Traditional Hindu concepts”, ci fornisce l’occasione di richiamare l’attenzione sui punti centrali della visione indù tradizionale. Gli autori definiscono la morale come un costrutto che permette la differenziazione tra le intenzioni, le decisioni e le azioni buone (o giuste) e cattive (o sbagliate).

La moralità di ognuno è funzione, da una parte, della genetica e della biologia; dall’altra, dell’ambito sociale, culturale e religioso in cui essa si sviluppa. Pertanto, relativamente allo studio scientifico della morale, se è importante comprendere le basi biologiche e genetiche, nonché psicologiche nel senso più ampio, è altrettanto importante comprendere le variabili culturali e religiose che necessariamente intervengono nella formazione delle intuizioni morali di un individuo.

Per comprendere il sostrato della tradizione, presupposto della società e del pensiero indiano, dobbiamo rivolgerci innanzitutto ai testi vedici. All’interno dell’arcipelago di testi vedici ampiamente intesi abbiamo senz’altro i Veda, i quattro testi più antichi (Rg-veda, Yajur-veda, Sama-veda, Atharva-veda) all’interno dei quali possiamo trovare i primi concetti dell’induismo, e i Vedanta, posteriori a questi, tra cui particolarmente rilevanti sono le Upanisad, la Bhagavad gita e i Brahmana.

Da questi testi è possibile dedurre alcuni punti chiave che hanno contribuito e, in qualche misura (a nostro avviso, tutta da stabilire), continuano a contribuire, allo sviluppo della persona e della sua morale, nei contesti in cui questi testi rappresentano i testi della tradizione. Gli autori sottolineano giustamente anche l’importanza, per la trasmissione del pensiero e della morale indù, della letteratura per bambini, di cui ne è esempio paradigmatico la Panchatantra.

Uno dei concetti fondamentali, e certamente il più rilevante al discorso sulla morale, è quello di Dharma, sovrapponibile allo stesso concetto di morale. Per introdurre ad esso prendiamo le mosse dalla narrazione della Bhagavad gita. Nel poema è narrata la storia di Arjuna (uno dei fratelli Pandava) che, guidato e consigliato dalla divinità Krishna, deve combattere e sconfiggere la fazione composta dai cugini Kaurava, i quali erano colpevoli di aver esiliato con l’inganno i Pandava. Sul campo di battaglia, prima dell’inizio di questa, Arjuna chiede consiglio al dio su quale sia la cosa giusta da fare: è veramente giustificato uccidere i propri cugini moralmente biasimevoli per salvare il regno?

Krishna aiuta il comandante a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, fornisce a lui e a noi un insegnamento morale. Egli ci insegna ad agire in modo disinteressato rispetto ai risultati dell’azione o ai nostri gusti personali, ovvero ad agire tenendo presente solamente la correttezza dell’azione – tutto ciò è molto kantiano! Arjuna deve combattere e uccidere i rivali non perché prova rancore verso di essi o perché spera di ottenere delle ricompense dalla loro morte, ma unicamente perché l’azione prescritta è quella giusta, ovvero, è quella logicamente coerente con il suo Dharma.

L’insegnamento vedico ci dice che esistono quattro tipi di Purushartha (obbiettivi o scopi dell’esistenza, dunque anche dell’azione umana). La corretta realizzazione della vita dell’individuo, come di quella della società, dipende dalla realizzazione di questi obbiettivi, secondi i rapporti di equilibrio prescritti. I quattro tipi di Purushartha sono Dharma, Artha, Kama e Moksha. Dharma è definito, dall’Oxford Dictionary of World Religions, come l’ordine e l’organizzazione temporale delle cose che rende possibile l’esistenza della vita e dell’universo, e dunque i comportamenti appropriati che mantengono e rispettano quest’ordine. Artha è la ricerca della sicurezza (che è sociale e materiale, dunque riconoscimento sociale, potere e denaro), mentre Kama è la ricerca del piacere (inteso per lo più come un fatto di natura sensuale).

L’insegnamento vuole che Dharma stia alla base di Artha e Kama, per un individuo e una società migliori. Moksha è l’ultimo obbiettivo, che supera gli altri non negandoli ma perfezionandoli. Moksha, in sostanza, prescrive di non essere in alcun modo vincolati da un desiderio perdurante per il raggiungimento dell’obbiettivo, quale che sia. Moksha è anche legato, nell’individuo, alla consapevolezza di essere Brahman, la fonte e il principio del cosmo, dio e il cosmo stesso. La cosa non è sinonimo di empietà perché, nella visione vedica, dio è causa intelligente e materiale, dunque non separato dal mondo ma presente ovunque in esso, sicché la consapevolezza di essere Brahman è la consapevolezza di essere in sintonia con le leggi che governano tutte le cose, di non essere un elemento di disturbo ma un meccanismo perfettamente oleato della macchina che è al contempo una e molte, io ed universo.

Le leggi del Dharma governano e sostengono non solamente l’essere umano, ma tutto ciò che esiste, con la differenza che se nel caso delle cose le leggi si applicano in modo deterministico, nel caso dell’uomo si applicano secondo coscienza, nella supposizione implicita che la coscienza sia di per sé indeterminata a priori. Ed è l’impropria applicazione delle leggi alla sfera dell’uomo, da parte di alcuni uomini, a determinare il disordine, che si declina nel conflitto e nell’odio reciproco. Pertanto la prescrizione dell’equilibrio nel raggiungimento degli obbiettivi è rilevante non solo per il benessere individuale ma anche per quello della società, ovvero di tutti. Compito dell’uomo non è controllare il risultato delle proprie azioni ma agire (in modo disinteressato) secondo coscienza, assecondando il proprio Dharma. Il risultato, quale che sia, è Prasada, un dono di dio.

Quanto detto potrebbe portare ad ipotizzare che – se veramente e ancora vi è, nell’uomo dell’India odierna, cresciuto nel contesto determinato nelle sue caratteristiche principali anche dalla tradizione (vedica), ma anche da molto altro, un’influenza di questi insegnamenti sul suo comportamento e ragionamento morale – la psiche indiana sia maggiormente propensa, di fronte dilemmi morali come quelli proposti da Greene nei suoi studi neuroetici (dove ai soggetti viene chiesto di scegliere tra uccidere una persona per salvarne molte e non agire lasciandone morire altrettante), a scegliere opzioni di tipo utilitarista, proprio perché determinato nella sua scelta dall’osservazione della corretta via d’azione a prescindere dai suoi risvolti, i quali non sono tanto in potere dell’uomo quanto delle leggi che governano il tutto.

Ma forse la questione non è così semplice. Piuttosto va riconosciuto, con una nota di pessimismo, che sembra alquanto complicato distillare la variabile della tradizione, possibilmente proprio quella che condiziona lo sviluppo morale dell’individuo. Quello che rimane è il richiamo normativo, fatto dagli stessi autori dell’articolo, a non smarrire l’insegnamento della tradizione, ovvero a non dedicarsi esclusivamente alla ricerca di Artha e Kama senza la guida di Dharma e la prospettiva di Moksha. Questo per il bene del singolo e dei molti.

Francesco Margoni

Reference:

  1. Srivastava C, Dhingra V, Bhardwaj A, Srivastava A. Morality and moral development: Traditional Hindu concepts. Indian J Psychiatry. 2013; 55: 283-7. Available from:http://www.indianjpsychiatry.org/text.asp?2013/55/6/283/105552
  2. Bhagavad Gita. Capitolo 3, Testo 19. http://www.bhagavad-gita.org/Gita/verse-03-19.html
  3. Margoni, F. (2012) Capitolo 1. Essenziale introduzione ai Veda. Scuolafilosoficahttp://www.scuolafilosofica.com/1806/1-essenziale-introduzione-ai-veda

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Articolo originale pubblicato su BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Testata registrata al Tribunale Milano N. 538 del 18/9/2008. Direttore Responsabile: Marco Mozzoni.


Francesco Margoni

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.

2 Comments

  1. Jacopo Jacopo 29 Maggio, 2013

    Questo blog è decisamente all’avanguardia.. sono anche io un blogger e devo dire che le nostre menti viaggiano all’unisono, molte tematiche che desidero approfondire per scrivere degli articoli le trovo qui. Complimenti 🙂

    • Francesco Margoni Francesco Margoni 30 Maggio, 2013

      Grazie Jacopo, troppo gentile.

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