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Analisi della critica di Chomsky al comportamentismo

Noam Chomsky
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Consigliamo – la scheda su Chomsky


L’articolo di Noam Chomsky “A review of B. F. Skinner’s…” (da ora in poi On Skinner’s) rappresenta un intero momento della storia della scienza del comportamento umano: la svolta cognitiva. In quel periodo l’idea dominante, non solo in psicologia, era che il comportamento umano potesse venire spiegato attraverso la conoscenza di dati quantificabili e verificabili, vale a dire nei termini di “stimoli” e “risposte”. Da più parti, attorno alla metà del secolo scorso, arrivarono feroci critiche a questo paradigma a tal punto che si vide necessaria la creazione di una nuova impostazione. Figlie di questa critica sono le attuali scienze cognitive: neuroscienza, neuropsicologica, intelligenza artificiale etc..

Prima di vedere nello specifico le critiche di Chomsky alla psicologia comportamentistica, è meglio presentare l’impostazione di tale psicologia, i suoi fondamenti e ispirazioni per poi comprendere meglio la forza delle critiche.

Il comportamentismo è una psicologia scientifica fondata attorno agli anni dieci del novecento la cui ispirazione era quella di dar conto del comportamento umano senza tener conto degli eventuali processi mentali. La psicologia non è più scienza della psiche ma scienza del comportamento manifesto. Il punto importante non è tanto l’esistenza, o meno, di stati mentali quanto il fatto che questi non hanno alcuna importanza nell’elaborazione di risposte a partire da determinati stimoli ambientali. Per fare un esempio: se volessi sapere come si comporterà mio fratello domani mattina, non devo sapere cosa gli passa per la testa quanto da cosa verrà stimolato e da cosa è stato spinto ad agire in passato.

I presupposti del comportamentismo sono riassumibili in tre punti fondamentali:

1) La psicologia è la scienza del comportamento. La psicologia non è la scienza della mente.

2) Il comportamento può essere spiegato senza riferimenti a eventi mentali o processi psicologici interni al soggetto.

3) Se per la spiegazione di un comportamento sono necessari termini o concetti interni, allora questi termini o concetti devono essere riscritti nel vocabolario comportamentista.

La psicologia, come abbiamo detto, è la scienza del comportamento, vale a dire degli atti esteriori di qualunque essere dotato della capacità di autodeterminare il proprio movimento. Non è certo un caso che gran parte degli esperimenti compiuti da psicologi comportamentisti sia svolta su animali: anche gli animali, infatti, hanno la capacità di autodeterminare il propri muscoli.

I tre punti forniscono l’immagine della psicologia comportamentista e i suoi intenti esplicativi.

Il fine di tale psicologia è chiaro. Il metodo non è di genere introspettivo, giacché è negata la valenza causale degli atti mentali sul comportamento. Così la formulazione di ipotesi di comportamento e la conseguente verifica in laboratorio, in sintesi, il metodo scientifico, diventa il modo di fare ricerca. Se la psicologia freudiana e junghiana si fonda su concetti astratti, non rintracciabili a partire dalla semplice osservazione, così la psicologia comportamentista si fonda sui fenomeni comportamentali degli esseri complessi, umani e animali.

Non solo l’intento comportamentista si esplica mediante un metodo rivoluzionario rispetto ad una psicologia più tradizionale come quella freudiana, vale a dire fondata sul riconoscimento di stati mentali di fronte alla propria coscienza, ma l’intento scientista si manifesta anche attraverso l’uso di un linguaggio tecnico/scientifico che ricalca l’esigenza di accuratezza e non ambiguità dei questo nuovo approccio psicologico.

Il vocabolario tecnico non deve ricalcare i termini comuni, ma devono essere impiegati sintagmi specifici per fenomeni particolari. Inoltre, gli enunciati della psicologia comportamentista devono essere falsificabili e, ancora una volta, rimandare ad un sostrato di eventi riscontrabile nella realtà naturale manifesta. “Stimolo”, “risposta”, “rinforzo” diventano i tre cardini dell’intero sostrato concettuale adottato dal comportamentismo.

Lo “stimolo” è la causa efficiente di un dato comportamento: vale a dire ciò che determina un certo organismo ad agire in certo modo piuttosto che in un altro.

La “risposta” è il comportamento di un animale seguito allo stimolo.

Il rinforzo è un evento concomitante ad un certo stimolo che aumenta la probabilità di comparsa di una risposta rispetto ad un’altra. Se mangio una caramella (risposta) perché ho fame (stimolo), se proverò piacere (rinforzo) è molto probabile che in futuro rimangi la stessa caramella, vale a dire compia nuovamente lo stesso comportamento rispetto.

Lo “stimolo” è distinto, da Skinner, in due grandi classi: lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato. Lo stimolo incondizionato è quello interno all’animale, cioè quello stimolo che conduce l’essere vivente ad agire in un determinato modo senza essere apparentemente stimolato dall’ambiente. Ad esempio, la fame è uno stimolo incondizionato. Skinner descrive anche la possibilità di aumentare, attraverso la privazione di beni essenziali alla vita, i vari stimoli incondizionati. La manifestazione degli stimoli incondizionati risulta a questo punto evidente dal comportamento a seguito della privazione.

Lo stimolo condizionato si ottiene attraverso un meccanismo associativo, già noto a Pavlov: due eventi indipendenti casualmente sono l’uno lo stimolo incondizionato, l’altro lo stimolo condizionato; l’animale è sottoposto ai due stimoli allo stesso tempo in modo tale che al solo presentarsi di uno dei due stimoli egli si comporti allo stesso modo, cioè la risposta ai due stimoli sia la stessa. Ad esempio, metto un topo in una scatola (Skinner’s box) con una barra la quale è collegata ad un meccanismo che rilascia una luce e del cibo, se il topo urterà per caso la barra e troverà il cibo, vedrà anche la luce. Se ogni qual volta che vede il fascio di luce, mangerà lo stesso cibo allora, una volta abituatosi, tutte le volte che vedrà la luce, gli verrà la salivazione, come se ci fosse il cibo.

L’importanza dello stimolo condizionato sta nel fatto che consente di spiegare risposte altrimenti incomprensibili, cioè non connesse in modo evidente allo stimolo. Infatti, lo stimolo incondizionato consente di spiegare le reazioni immediate del soggetto, ma non quelle che non hanno, apparentemente, uno stimolo evidente. In realtà, uno stimolo presente deve pur esserci, un evento che sia stato più volte ripetuto insieme ad un altro, ma questa associazione consente di spiegare come anche in assenza di una certa causa, segua un certo effetto.

Anche le risposte possono essere classificate secondo due distinti generi: le risposte immediate e le risposte mediate. Le prime si riferiscono a quei comportamenti chiaramente determinati, connessi in modo inequivocabile con gli stimoli. Le seconde indicano una reazione non chiara tra lo stimolo e la risposta. In questo secondo caso, siamo di fronte al comportamento su condizionamento.

La relazione tra stimoli/risposte è definita dai vincoli che David Hume aveva imposto per qualsiasi genere di causa:

(a) un effetto è l’evento immediatamente successivo alla causa in ordine di tempo (principio di contiguità temporale),

(b) un effetto è l’evento spazialmente seguente alla causa (principio di continuità spaziale),

(c) la causa e l’effetto sono di pari intensità.

Il comportamento di un soggetto animale è interamente determinato dall’ambiente. Ciò è evidente dalla definizione di causalità appena offerta: se uno stimolo è ciò che causa un comportamento, allora è evidente che un soggetto non può che essere determinato in tutto dall’ambiente. La teoria psicologica comportamentista esclude un autocondizionamento o un’azione animale che non abbia una sua spiegazione in eventi fisici rintracciabili nell’ambiente in cui è immerso.

I termini “stimolo incondizionato”, “stimolo condizionato”, “risposta immediata”, “risposta mediata”, “rinforzo”, “evento di rinforzo” sono tutti descrivibili mediante tre proprietà generali: 1) frequenza, 2) intensità, 3) durata. Questi tre parametri sono quantificabili e rispondono all’esigenza della psicologia comportamentista di definire in termini oggettivi il comportamento. La frequenza è il tempo di ricorrenza di un certo stimolo, il numero di apparizioni sull’unità di tempo di una certa causa efficiente sul corpo del soggetto. L’intensità è la forza dello stimolo sul soggetto, anch’essa è una quantità definibile, a seconda del genere di stimolo (scarica elettrica, quantità di cibo, quantità di luce, di acqua etc. ). La durata è la quantità di mantenimento di uno stimolo, cioè quanto esso continui ad intervenire sul soggetto dopo la sua cessazione in termini fattuali. La durata può essere quantificata a partire dall’osservazione della risposta.

A partire da questi soli parametri noi dobbiamo poter descrivere per intero tutti i comportamenti animali e umani senza ricorrere in alcun modo a termini che facciano riferimento agli stati interni del soggetto, siano essi relativi alle intenzioni piuttosto che alla memoria o a qualsivoglia stato mentale.

Abbiamo enunciato il fine, il metodo e la terminologia del comportamentismo. Bisogna a questo punto osservare che questo genere di psicologia, come ogni teoria scientifica, non si pone come obbiettivo la sola descrizione, per così dire, statica del comportamento, ma azzarda anche delle previsioni. In questo senso, l’assunto fondamentale della previsione sull’azione è la seguente:

  • Il comportamento presente di un soggetto è interamente inferibile dalla storia dei suoi stimoli, condizionati e incondizionati.

Vale a dire che se noi conoscessimo gli stimoli presenti e passati di un determinato animale o essere umano, noi potremmo sapere come egli si muoverà.

Tutto questo vale per ogni comportamento, dunque anche per quelli verbali. Skinner propone una teoria degli atti verbali che fa a meno di una spiegazione delle attività interne al soggetto per concludere che, in ultima analisi, il paradigma di tale psicologia è sufficiente a dar conto di ogni formulazione linguistica.

Evidenze di tali comportamenti, per Skinner, sono le risposte dei parlanti, condizionati dall’ambiente a dire una cosa piuttosto che un’altra. Oppure l’apprendimento linguistico da parte dei bambini che sono prima sollecitati a stimoli ai quali associano altri eventi condizionanti tali che, a seguito di ripetizioni e rinforzi, dicano una certa parola. Ad esempio, un bambino ha fame (stimolo incondizionato) e vede la mamma (stimolo condizionato), egli incomincia a balbettare “ma… ma…” e la madre sentendo la parola “mamma” la ripete (stimolo condizionato) e fa giocare il bambino (rinforzo). In questo modo il bambino è incentivato a ripetere la parola “mamma” in futuro, anche quando non avrà fame perché ad essa associa comunque una qualche effetto positivo (il gioco, le moine etc.). Il procedimento inverso varrà da deterrente: un ragazzino entra in un aula e non dice “buon giorno” (non c’è alcuno stimolo che lo induca a farlo). L’educazione, dunque, deve procedere in modo tale che il bambino senta il bisogno di dire “buon giorno”, cioè associare certi comportamenti a partire da determinate situazioni ambientali. Così la maestra lo rimprovera selvaggiamente dicendogli “avresti dovuto dire –buon giorno-!” (stimolo di privazione di rinforzo). Il bambino sentirà una sensazione sgradevole. In questo modo, nel futuro ad una situazione analoga sentirà un determinato stimolo condizionato tale che egli dirà la parola “buon giorno”. Qualcuno potrebbe osservare che non c’è alcuna necessità che il bambino, anche in una situazione identica, ripeta la parola “buon giorno” anche dopo stimolazione. In realtà, ciò è tenuto conto da Skinner perché il comportamento verbale non è determinato da stimoli incondizionati ma solo da stimoli condizionati, cioè è più probabile che il comportamento si verifichi, ma non è necessario.

Chiarito il paradigma psicologico comportamentista e la sua applicazione alla spiegazione degli atti verbali, passiamo alla critica di Chomsky.

La teoria C. si fonda su quattro livelli distinti:

  1. Fenomeni empirici,
  2. Metodologia,
  3. Terminologia,
  4. Capacità predittiva,

I fenomeni empirici presi in considerazione dal C. sono descritti in termini di stimoli, risposte e rinforzi. Abbiamo detto che Skinner, e il C. in generale, sostiene la dipendenza della risposta del soggetto da un qualche evento nell’ambiente. Chomsky osserva che non è chiaro cosa si debba intendere per “comportamento”, sia nei termini dello stimolo che nei termini della risposta. In primo luogo, bisogna riuscire a distinguere l’evento stimolante dal resto dell’ambiente, per così dire, neutro. Ma questo non è spiegato dalla teoria. In particolare non è affatto chiaro come distinguere lo “stimolo condizionato” rispetto al resto degli eventi. Con una definizione così vaga di “ambiente” e “stimolo” diventa assai difficile distinguere tra “stimoli” ed “eventi neutri”. Questa prima obiezione potremmo chiamarla “Prima Obiezione all’oggetto di studio” perché è volta a mostrare la vaghezza di ciò che è assunto come “base” dell’osservazione.

La “Seconda Obiezione all’oggetto di studio” verte su un altro punto, conseguente al precedente: se non siamo in grado di distinguere tra stimoli ed eventi “neutri” allora non siamo neanche in grado di costruire esperimenti di laboratorio che abbiano una qualche credibilità sotto il profilo scientifico. Se non sono in grado di distinguere uno stimolo reale da un altro qualsiasi fatto, allora qualunque osservazione sarà inutile.

La “Terza Obiezione all’oggetto di studio” è l’estensione dei primi due punti: se non so distinguere tra stimoli e ambiente, se non sono in grado di costruire situazioni in cui il soggetto è vincolato da variabili stabilite allora non posso neanche formulare ipotesi sul comportamento, vale a dire che diventa impossibile ogni previsione. Questa obiezione rimane inscritta sull’oggetto di studio perché prende in considerazione esclusivamente ciò che accade, il fenomeno da osservare e non ancora il livello terminologico.

Le tre obiezioni si fondano su punto in comune: la teoria comportamentista non definisce il “semplice” esso è, piuttosto, un dato da dimostrare. Ma questo è inconcepibile per una scienza giacché essa deve prevedere i suoi elementi di base già nelle sue premesse. Il fondamento del C. sta nella previsione di comportamenti da parte di soggetti umani o animali. Ma se non si definisce cosa siano questi comportamenti, come sono caratterizzati, cioè non si dice cosa sia l’elemento non ulteriormente scomponibile della teoria, allora si ricade in un doppio regresso all’infinito: (1) l’oggetto di studio diventa indefinitamente scomponibile, (2) di conseguenza, l’ordine degli eventi coinvolti si moltiplica indefinitamente.

Chomsky prosegue nella critica metodologica. La metodologia comportamentista si fondava sulla formulazione di ipotesi sul comportamento e sulla loro verifica. Osservazioni e verifiche consentivano la formulazione di modelli che estendevano le spiegazioni valide per gli esperimenti a tutti i casi simili. Chomsky rileva due punti:

  1. Non è definita alcuna procedura per definire i vincoli a cui è sottoposto il comportamento,
  2. Non è possibile generalizzare alcuna conclusione perché i modelli di riferimento non sono definiti in modo chiaro.

Le due obiezioni sono l’una la conseguenza dell’altra e si fondano sul fatto che gli psicologi C. non abbiano enunciato una serie di regole capaci di descrivere le variabili che definiscono i vincoli di un determinato comportamento. Senza la descrizione della procedura ogni induzione e ogni generalizzazione diventa estremamente soggettiva giacché l’intero discorso ricade interamente sull’opinione di chi esperisce i dati. Dopo la pretesa di scientificità, il C. ricade da solo nel soggettivismo che aveva lasciato alle psicologie interniste.

Le “Obiezioni alla terminologia” si fondano su due strategie opposte.

a) Il discorso di Skinner è accettabile solo se rimane sul vago. Ma la vaghezza non è accettabile nel discorso scientifico.

b) La vaghezza degli enunciati di Skinner lo fa ricadere nell’uso dissimulato di concetti e termini di genere internista.

La prima obiezione mostra con chiarezza che ciò che avveniva a livello fenomenologico (l’impossibilità di definire l’elemento comportamentista) e a livello metodologico (l’impossibilità di discriminare variabili del comportamento attraverso una procedura) accade anche a livello terminologico: i termini fondamentali del C. sono al più ambigui giacché non si capisce cosa denotino.

La seconda obiezione è anche più pungente della prima: essa afferma che Skinner è stato vago e che, a causa della sua vaghezza, è rientrato nel campo della “mente” dal quale aveva preso le distanze arrivando, per ciò, a contraddirsi. Così questa seconda obiezione scardina la posizione di Skinner sul piano del “significato” della teoria che su quello della coerenza. Il C. ricade definitivamente nel senso comune, dopo che aveva assunto nel programma un chiaro e distinto di stanziamento.

Riportiamo un esempio dello stesso Chomsky: la parola “rinforzo” viene usato nello stesso modo che “intenzione” e per tutti i verbi che richiedono l’intenzionalità. Ad esempio “x rinforza y” è uguale a “x desidera y”, “x vuole y”, “x necessita di y” e così via.

Obiezioni al livello della predittività sono sia quella metodologica che quella all’oggetto di studio: nel primo caso, non si può né ipotizzare il comportamento futuro né verificare e, per le stesse ragioni, è indebita ogni generalizzazione; nel secondo caso non possiamo arrivare a distinguere le varie componenti della risposta, vale a dire quelle che ancora sono dovute allo stimolo e quali no.

Infine Chomsky prende in considerazione le tesi di Skinner sul comportamento verbale. Essa si fonda sull’osservazione generale: esiste un’asimmetria tra stimolo/risposta nel caso di comportamenti verbali.

  1. Ad uno stesso stimolo possono seguire almeno due risposte verbali diverse.
  2. Ad un stimolo può seguire una risposta ben più complessa dello stimolo stesso.
  3. La storia degli stimoli di un parlante non arriva a giustificare la ricchezza delle risposte verbali.

Il primo punto è abbastanza evidente: di fronte ad un quadro posso dire “Ah, che bello!” urlando; oppure “Ah, che bello…” sussurrando. Quale è il punto: “durata”, “intensità” e “frequenza” cambiano nonostante sia stimolato dallo stesso oggetto (è plausibilissimo che dica cose diverse di fronte alla stessa situazione). Potremmo chiamare questa obiezione: “asimmetria della qualità”.

Il secondo punto è l’asimmetria della “quantità”: posso dire una frase lunghissima per un piccolo stimolo ed in questo caso è violato il “terzo postulato sulla causalità” che recita la somiglianza tra causa ed effetto per dirla con Hume, (natura, per dirla con Spinoza).

Il terzo punto sostiene l’implausibilità dell’apprendimento linguistico a partire dai soli stimoli. Ad esempio, un bambino di una famiglia di contadini, di cui almeno uno dei due genitori è analfabeta, ciononostante può imparare a parlare bene la propria lingua se adeguatamente stimolato. Di fronte a questo fatto semplice, bisogna ammettere che l’apprendimento del linguaggio per vie puramente associative, anche comprendendo stimoli condizionati, diventa assai discutibile se non implausibile.

Per concludere con le parole di Chomsky: “…l’eliminazione del contributo indipendente del parlante o di colui che impara [a parlare] (…) può esser fatta solo al costo di eliminare tutto ciò che v’è di significativo dal sistema di descrizione, che opererà ad un livello così rozzo e privo di dettagli da non consentire di rispondere ad alcuna domanda per quanto elementare essa sia”[1].

 


[1] N. Chomsky, A Review on B. F. Skinner’s Verbal Behavior, sezione 11.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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