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Cosa è ScuolaFilosofica?

ScuolaFilosofica (SF)

è un progetto che ha come Ideali:

  • Diffondere la Cultura e la Ragione in ogni forma.
  • Dare spazio a tutti coloro che hanno voglia e facoltà.
  • Fornire risposte per ogni segnalazione ricevuta.
  • Creare un buon portale di filosofia analitica.

Il Nostro ideale è quello di proporre una libera diffusione di materiali scelti e di fornire un punto di contatto tra persone interessate alla discussione delle proprie idee e opinioni, in piena libertà e in linea con la responsabilità che ogni intervento richiede. Il nostro Ideale impone tale responsabilità, ed è sostenuta nella convinzione che Conoscenza e Democrazia debbano passare anche attraverso portali liberi da Istituzioni e da qualunque barriera che non favorisca il libero accesso ai contenuti della Ragione.

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VENERE IN CORNICE – Un pareo musicale per lo smack d’una spada / A musical sarong for the smack of a sword

Italo Zingoni immagina d’ascoltare un 33 giri, governando così la distrazione visiva (sensualmente) verso un pareo al vento. Si cita l’abito che più si doterebbe d’un tacco, ma rispetto alla puntina del giradischi. Questo scatto di Francesca esteticamente è al fashion. Lei s’appoggia con la schiena alla ringhiera d’una terrazza panoramica. Sullo sfondo, c’è la costa urbanizzata sul mare molto calmo. Francesca veste il rosso: dal bikini ad un pareo coi motivi vegetali. Le braccia si piegano, mentre le mani risalgono alle orecchie. Sarà un tentativo d’ascoltare il mare: tramite la “puntina” per l’angolo della ringhiera, che orizzontalmente ha le doghe al “lettino prendisole” per i solchi d’un vinile. Ma quanto il bikini a triangolo riuscirà a veleggiare?

Italo Zingoni imagines that he listens a 33 rpm, so governing the visual distraction (sensually) into a sarong to the wind. There the dress most equipped with a heel is mentioned, but compared to the phonograph needle. This shot with Francesca aesthetically is about fashion. She uses the back to lean against the railing of a panoramic terrace. On the background, there is the urbanized shore on the very calm sea. Francesca wears the red: from the bikini to a sarong with vegetal motifs. The arms are folded, while the hands to climb back into the ears. That will be an attempt to listen the sea: through the “needle” for the corner of the railing, which horizontally has the slats at a “sun lounger” for the grooves in a vinyl. But how much will the bikini be able to sail?

Mysterium Iniquitatis. Il mistero del male

Anonimo, Minotauro nel labirinto, mosaico romano, Conìmbriga, Portogallo. Creative Commons License

IL MISTERO DEL MALE E LA LOGICA

Il mysterium iniquitatis, il mistero del male, locuzione ideata da San Paolo nella seconda lettera ai tessalonicesi (2,7), è forse quello che più atterrisce e affascina gli esseri umani. Esso è stato affrontato dalla filosofia da diverse prospettive. Chi o che cosa è il male? Quali sono la sua origine e la sua natura? Come sconfiggerlo? Sono queste le domande con cui gli esseri umani più si sono tormentati. Per quanto possa apparire insolito, il problema del male si può incontrare anche sul cammino della logica classica, da Aristotele a Frege, benché nessuno abbia tentato di farglisi incontro da questa direzione. In particolare, partendo dal meccanismo profondo che aziona il ragionamento. Il mondo interiore, della mente, sembra corrispondere a quello esterno, della natura e dell’universo. Entrambi sembrano rispondere alle stesse regole di funzionamento. Tale corrispondenza, come vedremo nei successivi paragrafi, consentirebbe di definire il male, di capirne le cause, di presumerne gli effetti sulla vita degli esseri viventi, e di valutare se esista un modo per combatterlo.

Il coraggio di una donna romana: l’exemplum di Arria Maggiore nella letteratura greco-latina [Litterae ex Oblivio]

Pierre Lepautre, Jean-Baptiste Théodon, “Arria et Paetus”, 1968-95, Parigi, Louvre.
Copyright: Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Louvre_arria_et_paetus_mr2029.jpg

Introduzione:

Nell’ambito della letteratura pre-ottocentesca, come noto, è relativamente raro trovare i nomi di autrici giunte alla pubblicazione, soprattutto se il numero è comparato a quello degli autori. Non sarebbe chiaramente un confronto sensato, in quanto le condizioni socio-politiche e culturali hanno influito in maniera significativa su questo esito. A partire dal Medioevo, latino e romanzo, i nomi di autrici vedono un aumento: è da qui che si stagliano figure del calibro di Ildegarda di Bingen, Maria di Francia, santa Chiara d’Assisi (autrice di una corrispondenza con Agnese di Boemia), santa Caterina da Siena, Christine de Pizan, e ancora, seguaci del petrarchismo, Vittoria Colonna e Gaspara Stampa, e con loro la veneziana Veronica Franco.

Ben più rari sono invece i nomi di autrici se si guarda alla classicità greco-latina: dopo il magnifico magistero di Saffo, la letteratura a nome di donna è spesso limitata alla corrispondenza.[1] Caso peculiare è quello di Agrippina Minore (n. 15 – m. 59), moglie dell’imperatore Claudio e autrice di un’opera di taglio autobiografico, ad oggi perduta, come testimoniato da Tacito negli Annales, oltre che da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia e da Cassio Dione.[2]            È ben noto invece che le donne fossero tra i soggetti prediletti della poetica d’amore in lingua latina, come dimostrano gli scritti indirizzati a donne amate firmati, tra i vari, da Catullo, Tibullo e Properzio. Ugualmente prolifica è la produzione che può dirsi in voce di donna, vale a dire la narrazione poetica, o più raramente prosastica, di una protagonista femminile ma a firma di autore maschile, e in ciò basti l’esempio assai eloquente delle Heroides di Ovidio.

A Roma antica, quantomeno sul piano idealistico, era tenuta in massima considerazione la virtus, ben nota tra i valori del mos maiorum: la letteratura ha ampiamente celebrato gli uomini virtuosi, gli eroi di guerra come i sapienti, e chiunque avesse virtuosamente contribuito allo splendore dell’Urbe. Ma la virtus non era certamente prerogativa dei soli uomini. Il presente contributo si premura di analizzare l’affascinante figura di Arria Maggiore, e il ruolo di exemplum di virtù a cui è stata elevata nella cultura romana. Si andranno dunque ad analizzare le apparizioni della figura nella storiografia, e più in generale nella letteratura greco-latina, per infine considerare cosa una tale vicenda, ad oggi, ha ancora da raccontare e insegnare.

Robert Schumann: il romantico e il critico

Copyright: Pixabay

Quale musica dopo Beethoven? Partire dalla domanda posta da Schubert al suo amico Spaun nel 1812, è un buon modo per mettere in luce le difficoltà attraversate dai musicisti tedeschi nell’Ottocento, costantemente all’ombra dell’imponente figura artistica di Beethoven, amatissimo dalla più grande nobiltà teutonica del tempo. Come poter sviluppare la propria creatività in un periodo in cui Beethoven era venerato quasi come un profeta?

Schuman sceglie la strada della nostalgia, cosa che, di fatto, lo rende in qualche modo il perfetto rappresentante del Romanticismo impregnato dei toni e dei colori del fantastico. La sua fervente immaginazione trova inizialmente terreno fertile nella forma musicale aforistica: idee musicali immaginifiche e brevissime, che daranno vita a una “… integrazione tra immagini e musica, che non aveva avuto precedenti di tale precisione e suggestione nella musica occidentale e che ebbe conseguenze di grande portata nello sviluppo delle avanguardie ottocentesche …”[1]

VENERE IN CORNICE – La parola in sogno ha il galleggiante sulla scaletta / The word in a dream has a float on a stepladder

Benedetta Di Nunno immagina che ci si arrampichi su una scaletta fatta di sogni argentati. Con più realismo, prima il desiderio avrà lucidato la pelle. Per l’oro della trasfigurazione, bisognerebbe accovacciarsi su una veranda panoramica della galassia, contando le stelle per addormentarsi. Sabrina è stata inquadrata per uno scatto la cui estetica apparterebbe a Cenerentola. Seduta sulla scalinata d’un palazzo, lei porta un abito rosa a “macchie stellari” (dal nero all’argento). In alto, si scorge il piano da raggiungere. Si dà una una “sventagliata” delle mani, per tentare di “calzare la ringhiera giusta”, se la chioma informe della nuvola, oltre il motivo da siepe, non è proteggibile ma parabile (alla morbidezza che cela le vertigini). Lo sguardo di Sabrina ci pare sognante o perfino desiderante.

Benedetta Di Nunno imagines that we climb a stepladder made of silver-plated dreams. With more realism, at the beginning the desire would have polished the skin. For the gold of a transfiguration, we should be crouched on a panoramic veranda of the galaxy, counting the stars to fall asleep. Sabrina was framed for a shot whose aesthetics would belong to Cinderella. Sitting on the staircase of a building, she wears a pink dress with “starspots” (from the black to the silver). Above, we glimpse the floor that we have to reach. There happens a “fanning” of the hands, to try to “put the right railing on”, if a shapeless foliage of the cloud, beyond the motif of the hedge, can not be protected but can be parried (at a softness which conceals the vertigo). The Sabrina’s gaze seems to us dreamy or even desiring.

Memory, Meanings and Language – How We Think About Things

Memory – Copyrights Owned by the Author

How does language connect to the world? A simple, ancient question that should hunt every serious scholar in any field. For example, what do we mean when we say, ‘The army fought bravely against Nazi Germany’ or ‘All crows are black’? How can we connect an ‘army’ to ‘braveness’ and its ‘fighting’ ‘against Nazi Germany’? What do we actually mean by ‘all crows’? No matter how one wants to tackle the problem, this is quite an astonishing open-ended hurdle that every new generation of thinkers must recalibrate or reframe.[1]

Plato started the quest because of his idealist conceptualization of knowledge, which was understood only as perfect in terms of access to the ideas which, in turn, must refer to the world somehow. However, how to connect his ideas to a specific ‘table’ is not an easy endeavor and Aristotle tried to reverse the process: we describe ‘tables’ given the knowledge we get from every specific table. But then, how can we have a general notion of tables? From where this ‘generality’ comes from and how can it be justified? Ultimately, these answers can be partially given reformulating the problem in terms of meaning. The meaning of the sentence ‘the table is black’ depends on the meanings of its constituent components. What does meaning mean? We need to clarify what the meanings of words (in theory, all of them, including prepositions, indexicals, and prepositions).

Interestingly, so-called idealist philosophers such as Renè Descartes and Baruch Spinoza reinterpreted the idealist vision in subjective terms. Plato assumed that ideas are external non-causal entities existing outside the phenomenon and the mind. They stay there eternally unmoving mysteriously able to give us a real glimpse of a stable world. Firstly, Descartes reinterpreted this concept within the subject itself: ideas are stable construction of the cognitive subject whose access is granted by direct introspection whose strength is supplemented by reason. However, the grasp of concepts can be independent from reason, which has the primary goal to make arguments based on those ideas and concepts. Of course, Descartes had the same problem Plato had; that is, how to connect ideas to the world. In his case, he had to make a brilliant and convoluted argument based on the alignment between ideas and the world granted by God and by the general architecture of cognition.[2] Spinoza, partially endorsing and criticizing Descartes, extended those lines of arguments: not only ideas can be explicitly grasped directly through a special direct introspection (intuition) but reason is the sole means to grant justification in elaborating new ideas.[3]

Schizofrenia morale – Inconciliabilità tra Motivazioni e Giustificazioni

[Originariamente pubblicato in data 14 aprile 2024]

Megagreenleopard, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Il campo delle teorie morali è variegato e causa disaccordi circa i piani della motivazione e della giustificazione dell’atto morale. Uno dei discriminanti per rientrare nel campo della moralità è certamente l’avere un’attitudine altruista, in quanto parlare di etica risulta strettamente connesso alla presenza dell’altro, andando oltre “io” e “te” (Singer, 1979). Il riconoscimento dell’altro pone l’agente morale nella condizione di essere un osservatore ideale, con capacità di astrazione dal contesto che gli attribuisce uno sguardo dall’esterno.

Gaetano Donizetti, Giuseppe Mazzini e il suono del Risorgimento: la musica come arte progressiva

Copyright: Pixabay (senza royalties)

Il palco è a noi trionfo, e l’ascendiam ridenti: ma il sangue dei valenti perduto non sarà. Verran seguaci a noi i martiri e gli eroi: e s’anche avverso ed empio il fato a lor sarà, lasciamo ancor l’esempio com’a morir si va[1]

Il Risorgimento in Italia è un’epoca febbrile, segnata da fermenti politici, moti insurrezionali e crisi di identità personali e sociali, ma è anche un periodo di ricerca di nuove forme di libertà, di ideali e del risveglio, soprattutto tra gli intellettuali e gli artisti, di una coscienza nazionale. Anche la musica, come arte capace di veicolare ed esprimere tutta la gamma delle emozioni dell’animo umano, può farsi specchio dell’inquietudine collettiva e partecipare del vivace fermento che caratterizza questo periodo. Ma se sarà Giuseppe Verdi a realizzare in Italia la “nuova funzione sociale dell’arte come proiezione di ideali morali, civili e patriottici”[2] (impossibile non andare con il pensiero a quel famoso “Viva Verdi” che è suggestivo acrostico di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”) è comunque in questa cornice inquieta e incerta che si inserisce anche la figura di Gaetano Donizetti (1797–1848), compositore bergamasco tra i più fecondi del melodramma romantico italiano, per il quale la musica non è più, come per la precedente generazione di musicisti, semplice ornamento dell’esistenza. La vita di Donizetti, infatti, attraversa i fremiti di un’Italia frammentata, politicamente ancora dominata da potenze straniere, culturalmente viva ma scissa, lacerata tra l’anelito al nuovo e l’attaccamento alla tradizione; e, in qualche modo, la riflette. La generazione di Donizetti attraversa, quindi, come ben scrive Rostagno (2011), un periodo di grande disorientamento “che corrisponde agli anni delle cospirazioni fallite, dei tentativi insurrezionali, delle aspirazioni represse”[3]. Donizetti, pur non essendo un militante politico, riesce comunque a dar voce, nelle sue opere, seppur spesso inconsapevolmente, a un immaginario in cui eroismo, sacrificio e alienazione si fondono in un linguaggio musicale capace di parlare all’animo di un pubblico che anche nel melodramma va cercando ormai qualcosa di più di un raffinato intrattenimento. È la musica, adesso, che deve disancorarsi dall’estetica kantiana legata al bello come contemplazione, per divenire un’arte educativa e progressiva.[4] Non più “artificio dilettoso” ma “conforto”, “raggio di fiducia e di poesia”[5] per le “anime giovani”.[6]

VENERE IN CORNICE – La scalinata del ciano lunare verso il timpano d’Atlantide / The staircase of the lunar cyan into a kettledrum of Atlantis

Per Odysseus Elytis, liricamente si possono salire le scale dell’estate infinita, quando il mare è alto come la montagna, dal clima che permette di visitare entrambi, ed il dress code imporrà un mantello ciano, facendosi ricevere dal Re d’Atlantide. Antonella ha posato in piedi. Lei è sulla scalinata esterna d’un palazzo storico. Il vestito metallizzerebbe un cielo epidermico per il sole marmoreo. I capelli pagaierebbero coi raggi, subentrando l’acqua oltre l’aria. Il tono del ciano si percepisce pitturando il cielo. Dalla volta si passerà alla rullata. Ma quanto l’ingresso nel palazzo storico chiederà un dress code? Certamente Antonella posa in modo “regale”, oltre il mero grandangolo (complice la scalinata). C’è l’ondeggiamento dell’abito, sulla scollatura.

According to Odysseus Elytis, lyrically we can climb the stairs of an infinite summer, when the sea is tall like a mountain, from the climate that allows to visit both of those, and the dress code will impose a cyan cloak, being received by the King of Atlantis. Antonella posed standing. She is on the outdoor staircase of a historical building. The dress would metallize an epidermal sky for a marmoreal sun. The hair would paddle with the rays, if the water takes over from air. The tone of the cyan is perceived painting the sky. From the vault, we will pass to the rolling. But how much will the entrance to the historical building request a dress code? Surely Antonella poses in “royal” way, beyond the mere wide-angle lens (with the complicity of the staircase). There is the oscillation of the dress, on the neckline.

(courtesy to Vincenzo Tarabuso)

L’oratore siriano Gerio: un profilo sulla base delle fonti (Sant’Agostino, Confessiones IV, xiv, 21) – [Litterae ex oblivio]

Botticelli, Sant’Agostino degli Uffizi. Painting, 15th century; copyright: https://timelessmoon.getarchive.net/amp/media/botticelli-santagostino-degli-uffizi-b582fc

Introduzione:

Le Confessioni di Agostino (Tagaste, 354 – Ippona, 430) si propongono, secondo le parole dell’autore stesso nelle sue Retractationes, di lodare Dio per tutte le azioni compiute, ambo quelle buone e quelle cattive, e di elevare a Dio la mente e il cuore dell’uomo («Confessionum mearum libri tredecim et de malis et de bonis meis deum laudant iustum et bonum, atque in eum excitant humanum intellectum et affectum»; Retr. II, 6). Antonio Cacciari, nella sua Introduzione (2007: VI), sulla medesima scorta, individua i due cardini principali dell’opera agostiniana: laudant e excitant, le Confessioni di Agostino sono una lode e un protrettico a Dio.

Nella complessa biografia del Santo, comprendente la stesura di oltre un centinaio di opere, omelie e lettere, è fondamentale individuare alcuni momenti, al fine del presente lavoro: completati gli studi a Cartagine nel 370, decisivo spartiacque nel pensiero di Agostino fu la lettura dell’Hortensius di Cicerone, un’esortazione alla filosofia conservato in maniera frammentaria, e per la cui conoscenza le informazioni contenute nelle Confessioni (III, iv, 7-8) sono state fondamentali. Nel 374 fu grammaticus a Tagaste, e nel 375 iniziò la sua carriera alla cattedra di retorica a Cartagine, ove rimase per otto anni. Nel 383, a seguito della delusione maturata progressivamente dalla carriera esercitata, si reca a Roma, prima di assurgere, nel 384, alla cattedra di retorica di Milano grazie al prefetto Simmaco. È sul periodo che conduce al 383, ossia al primo distacco dal nord-Africa, che si concentra il presente lavoro.