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Mese: Settembre 2025

Gaetano Donizetti, Giuseppe Mazzini e il suono del Risorgimento: la musica come arte progressiva

Copyright: Pixabay (senza royalties)

Il palco è a noi trionfo, e l’ascendiam ridenti: ma il sangue dei valenti perduto non sarà. Verran seguaci a noi i martiri e gli eroi: e s’anche avverso ed empio il fato a lor sarà, lasciamo ancor l’esempio com’a morir si va[1]

Il Risorgimento in Italia è un’epoca febbrile, segnata da fermenti politici, moti insurrezionali e crisi di identità personali e sociali, ma è anche un periodo di ricerca di nuove forme di libertà, di ideali e del risveglio, soprattutto tra gli intellettuali e gli artisti, di una coscienza nazionale. Anche la musica, come arte capace di veicolare ed esprimere tutta la gamma delle emozioni dell’animo umano, può farsi specchio dell’inquietudine collettiva e partecipare del vivace fermento che caratterizza questo periodo. Ma se sarà Giuseppe Verdi a realizzare in Italia la “nuova funzione sociale dell’arte come proiezione di ideali morali, civili e patriottici”[2] (impossibile non andare con il pensiero a quel famoso “Viva Verdi” che è suggestivo acrostico di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”) è comunque in questa cornice inquieta e incerta che si inserisce anche la figura di Gaetano Donizetti (1797–1848), compositore bergamasco tra i più fecondi del melodramma romantico italiano, per il quale la musica non è più, come per la precedente generazione di musicisti, semplice ornamento dell’esistenza. La vita di Donizetti, infatti, attraversa i fremiti di un’Italia frammentata, politicamente ancora dominata da potenze straniere, culturalmente viva ma scissa, lacerata tra l’anelito al nuovo e l’attaccamento alla tradizione; e, in qualche modo, la riflette. La generazione di Donizetti attraversa, quindi, come ben scrive Rostagno (2011), un periodo di grande disorientamento “che corrisponde agli anni delle cospirazioni fallite, dei tentativi insurrezionali, delle aspirazioni represse”[3]. Donizetti, pur non essendo un militante politico, riesce comunque a dar voce, nelle sue opere, seppur spesso inconsapevolmente, a un immaginario in cui eroismo, sacrificio e alienazione si fondono in un linguaggio musicale capace di parlare all’animo di un pubblico che anche nel melodramma va cercando ormai qualcosa di più di un raffinato intrattenimento. È la musica, adesso, che deve disancorarsi dall’estetica kantiana legata al bello come contemplazione, per divenire un’arte educativa e progressiva.[4] Non più “artificio dilettoso” ma “conforto”, “raggio di fiducia e di poesia”[5] per le “anime giovani”.[6]

VENERE IN CORNICE – La scalinata del ciano lunare verso il timpano d’Atlantide / The staircase of the lunar cyan into a kettledrum of Atlantis

Per Odysseus Elytis, liricamente si possono salire le scale dell’estate infinita, quando il mare è alto come la montagna, dal clima che permette di visitare entrambi, ed il dress code imporrà un mantello ciano, facendosi ricevere dal Re d’Atlantide. Antonella ha posato in piedi. Lei è sulla scalinata esterna d’un palazzo storico. Il vestito metallizzerebbe un cielo epidermico per il sole marmoreo. I capelli pagaierebbero coi raggi, subentrando l’acqua oltre l’aria. Il tono del ciano si percepisce pitturando il cielo. Dalla volta si passerà alla rullata. Ma quanto l’ingresso nel palazzo storico chiederà un dress code? Certamente Antonella posa in modo “regale”, oltre il mero grandangolo (complice la scalinata). C’è l’ondeggiamento dell’abito, sulla scollatura.

According to Odysseus Elytis, lyrically we can climb the stairs of an infinite summer, when the sea is tall like a mountain, from the climate that allows to visit both of those, and the dress code will impose a cyan cloak, being received by the King of Atlantis. Antonella posed standing. She is on the outdoor staircase of a historical building. The dress would metallize an epidermal sky for a marmoreal sun. The hair would paddle with the rays, if the water takes over from air. The tone of the cyan is perceived painting the sky. From the vault, we will pass to the rolling. But how much will the entrance to the historical building request a dress code? Surely Antonella poses in “royal” way, beyond the mere wide-angle lens (with the complicity of the staircase). There is the oscillation of the dress, on the neckline.

(courtesy to Vincenzo Tarabuso)

L’oratore siriano Gerio: un profilo sulla base delle fonti (Sant’Agostino, Confessiones IV, xiv, 21) – [Litterae ex oblivio]

Botticelli, Sant’Agostino degli Uffizi. Painting, 15th century; copyright: https://timelessmoon.getarchive.net/amp/media/botticelli-santagostino-degli-uffizi-b582fc

Introduzione:

Le Confessioni di Agostino (Tagaste, 354 – Ippona, 430) si propongono, secondo le parole dell’autore stesso nelle sue Retractationes, di lodare Dio per tutte le azioni compiute, ambo quelle buone e quelle cattive, e di elevare a Dio la mente e il cuore dell’uomo («Confessionum mearum libri tredecim et de malis et de bonis meis deum laudant iustum et bonum, atque in eum excitant humanum intellectum et affectum»; Retr. II, 6). Antonio Cacciari, nella sua Introduzione (2007: VI), sulla medesima scorta, individua i due cardini principali dell’opera agostiniana: laudant e excitant, le Confessioni di Agostino sono una lode e un protrettico a Dio.

Nella complessa biografia del Santo, comprendente la stesura di oltre un centinaio di opere, omelie e lettere, è fondamentale individuare alcuni momenti, al fine del presente lavoro: completati gli studi a Cartagine nel 370, decisivo spartiacque nel pensiero di Agostino fu la lettura dell’Hortensius di Cicerone, un’esortazione alla filosofia conservato in maniera frammentaria, e per la cui conoscenza le informazioni contenute nelle Confessioni (III, iv, 7-8) sono state fondamentali. Nel 374 fu grammaticus a Tagaste, e nel 375 iniziò la sua carriera alla cattedra di retorica a Cartagine, ove rimase per otto anni. Nel 383, a seguito della delusione maturata progressivamente dalla carriera esercitata, si reca a Roma, prima di assurgere, nel 384, alla cattedra di retorica di Milano grazie al prefetto Simmaco. È sul periodo che conduce al 383, ossia al primo distacco dal nord-Africa, che si concentra il presente lavoro.