
Quale musica dopo Beethoven? Partire dalla domanda posta da Schubert al suo amico Spaun nel 1812, è un buon modo per mettere in luce le difficoltà attraversate dai musicisti tedeschi nell’Ottocento, costantemente all’ombra dell’imponente figura artistica di Beethoven, amatissimo dalla più grande nobiltà teutonica del tempo. Come poter sviluppare la propria creatività in un periodo in cui Beethoven era venerato quasi come un profeta?
Schuman sceglie la strada della nostalgia, cosa che, di fatto, lo rende in qualche modo il perfetto rappresentante del Romanticismo impregnato dei toni e dei colori del fantastico. La sua fervente immaginazione trova inizialmente terreno fertile nella forma musicale aforistica: idee musicali immaginifiche e brevissime, che daranno vita a una “… integrazione tra immagini e musica, che non aveva avuto precedenti di tale precisione e suggestione nella musica occidentale e che ebbe conseguenze di grande portata nello sviluppo delle avanguardie ottocentesche …”[1]
È così che nascono i «quaderni» musicali di Schumann, che, proprio come il blocco degli schizzi di un pittore, ma anche come il brogliaccio di un poeta o di uno scrittore, “fermano” in musica immagini suggestive di personaggi reali o inventati. Espressivo, poetico ed emotivo, il compositore passa poi a forme sonore più strutturate, ma sempre estremamente originali e ricche di sentimento. L’originalità e la creatività di Schumann non si fermano ai Lieder, di cui diventerà uno dei più importanti autori, ma impregnano anche quella che … chiama la sua fase “eclettica”, durante la quale scrive composizioni afferenti a diverse forme musicali.
Pianista precocemente dotato, la carriera di virtuoso del pianoforte di Schumann s’interrompe bruscamente e drammaticamente a causa di un infortunio a una mano, che gli preclude la possibilità di affermarsi in qualità di concertista, come anelava.
Le idee artistiche e innovative di Schumann trovano una via di sfogo non soltanto nella composizione ma anche nella critica musicale; tra il 1834 e il 1844, infatti, il musicista diventa editor della rivista musicale Neue Zeitschrift für Musik, in cui riesce a convogliare le sue entusiastiche idee sull’avanguardia del periodo, che contrappone enfaticamente alle idee dei conservatori. Nei suoi articoli, Schumann, apprezzerà senza reticenze le composizioni di Berlioz, Chopin e Brahms, cercando sempre di valorizzare i talenti emergenti e l’espressione emotiva in musica. Schumann come critico musicale si manifesta decisamente di parte, tutto sbilanciato a favore delle avanguardie e del nuovo, ma proprio per questo i suoi saggi di critica musicale risultano originali; anche nel suo scritto su Beethoven Ein Denkmal für Beethoven, Schumann, pur tessendo le lodi del grande musicista, esorta ad andare oltre, a utilizzare la conoscenza della sua musica immortale per inventare nuove forme musicali: Beethoven, quindi, come punto di partenza per la modernità musicale, non come oggetto di culto statico; come inizio e non come termine. Schumann, quindi, anticipa una concezione dinamica dell’eredità artistica: il passato come stimolo creativo, non come vincolo che ingabbia e preclude ogni possibilità di rinnovamento ai giovani artisti che si affacciano sulla scena. Schumann contribuisce, dunque, a trasformare la critica musicale da semplice recensione o pura cronaca a riflessione estetica e prezioso strumento culturale di educazione estetica e valorizzazione del talento. La sua visione influenzerà generazioni successive di critici musicali, ponendo le basi per la critica musicale professionale così come la conosciamo ancora oggi.
In seno allo spirito romantico del periodo, Schumann crede fortemente anche nell’idea di un’opera nazionale tedesca, in grado di contrastare efficacemente l’influenza ancora predominante in questo periodo dell’opera italiana e francese; un’opera che deve inscriversi nell’anelito tutto romantico di fondere tradizioni popolari, miti, leggende e storia nazionale in un linguaggio musicale originale e significativo. Schumann si cimenterà un’unica volta nella composizione di un’opera, Genoveva, del 1950, che, però, non riuscirà a rendere giustizia all’idea di opera che il compositore aveva in mente: il libretto, infatti, era mediocre, inoltre Genoveva mostrava “il fondamentale difetto di non avere una musica adatta all’azione teatrale, e di avere un’azione teatrale inadatta alla musica.”[2]
Schumann morì nel 1856, a soli 46 anni, in una clinica psichiatrica in cui era stato ricoverato per i disturbi psichici di cui soffriva e che si erano andati aggravando nel tempo, lasciando in eredità alle generazioni successive, oltre alle sue composizioni, il suo amore per la libertà creativa.
Bibliografia di riferimento
Casini, C., Storia della musica dall’antichità classica al Novecento, Giunti – Bompiani, 2022 (edizione digitale).
Jensen, E.F. Robert Schumann: The Life and Work of a Romantic Composer, Oxford University Press, 2001.
[1] Casini, C., Storia della musica dall’antichità classica al Novecento, Giunti – Bompiani, 2022 (edizione digitale).
[2] Casini, C., op. cit., p. 801.



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