
Nel 1911 Schönberg entra in contatto con il pittore espressionista Wassili Kandinsky che, dopo aver ascoltato alcune composizioni del musicista viennese a Monaco, era rimasto così entusiasticamente colpito dalla sua musica, innovativa e dissacrante, da inviargli una lettera di ammirazione, in cui sottolineava anche quante affinità ci fossero tra il suo modo di fare musica e lo stile pittorico di Kandinsky stesso. Nacque, dunque, tra i due innovativi artisti un’amicizia che ebbe lunga durata e che stimolò più di una proficua collaborazione, la più importante delle quali è forse quella legata al volume Der blaue reiter, curato da Kandinsky stesso e dal collega pittore F. Marc, vero e proprio manifesto teorico dell’espressionismo nelle arti figurative. A questo volume Schönberg contribuisce, sollecitato dai due curatori, con due autoritratti (in quegli anni Schönberg si diletta, infatti, anche di pittura, e dipinge quadri piuttosto originali), con il facsimile della sua composizione Hergewächse op. 20, ma soprattutto con un breve scritto di teoria musicale, che si rivela da subito molto importante: Il rapporto con il testo.
È proprio in quel sintetico scritto che emerge la posizione di Schönberg sul rapporto musica/parole, nonché la sua concezione di quello che dovrebbe essere il significato della musica stessa. Schönberg appare immediatamente come un deciso sostenitore dell’astrattismo espressionista: per lui la musica non ha affatto la funzione di suscitare e di evocare immagini, come ritengono i più. Nella musica, infatti, non si trova un contenuto manifestamente riconoscibile, perché il suo linguaggio è e deve restare qualcosa d’incomprensibile ma d’intuibile. “La musica è meravigliosa” afferma Schönberg “proprio perché può dire tutto in modo che chi sa ascoltare capisca tutto, pur mantenendo i propri segreti…”[1]
Schönberg, dunque, ritiene che la musica sia puramente espressione: l’artista esprime se stesso attraverso la sua arte, esprime quella che è la sua interiorità smaterializzata, spirituale. L’imperativo dell’artista è per Schönberg, in accordo con Kandinsky, l’ispirazione, la necessità impellente e irrinunciabile di esprimersi. Per il compositore viennese, un’opera d’arte autentica è qualcosa di omogeneo: è la sua struttura a essere perfettamente omogenea, il che equivale a dire che ogni minima parte di un’opera artistica svela la sua più intima essenza altrettanto bene dell’intero.
“Tagliamoci in una parte qualsiasi del corpo”, dice Schönberg, “e ne uscirà sempre la stessa cosa: sangue. Quando si ascolta un verso di una poesia, una battuta di una composizione, si è in grado di capire tutta la poesia, tutta la composizione.” [2]
Ciò forse è maggiormente comprensibile se si tiene conto del fatto che per Schönberg una composizione è conclusa quando l’autore ha raggiunto lo scopo che si è prefissato, il quale è costituito dal soddisfacimento del senso formale e dalla chiarezza del “pensiero” espresso dalla musica.
Per quanto riguarda il rapporto musica/testo, Schönberg ritiene che la concordanza esterna tra una composizione musicale e il testo che l’accompagna sia qualcosa di convenzionale e non necessario: la musica non è al servizio dei versi, non deve evocare le immagini che il poeta ha descritto nella sua opera. La concordanza che Schönberg ricerca nelle sue composizioni teatrali, nei suoi lieder, è interna, non un superficiale accordo tra svolgimento poetico e intensità del suono o tipo di ritmo, ma una corrispondenza su un piano più elevato, a cui si può giungere anche tramite divergenze tra la parola e la musica. Quello che Schönberg ricerca è una corrispondenza espressiva: musica e parole esprimono la stessa essenza anche se lo fanno con mezzi diversi. A questo proposito, nel già citato Il rapporto con il testo, il compositore porta l’esempio dei suoi Lieder composti su testi del poeta Stefan George, confessando di aver scritto quei brani come inebriato dal suono iniziale delle poesie, ma di non averle lette fino in fondo se non al termine del proprio processo compositivo, per scoprire, infine, che musica e versi esprimevano comunque la stessa cosa.
Ecco cosa dice, invece, riguardo ad alcuni Lieder di Schubert:
«Un paio d’anni fa provai un profondo senso di vergogna nello scoprire, a proposito di certi Lieder di Schubert (a me peraltro ben noti), di non avere la più pallida idea della poesia che ne è indiscutibilmente all’origine. Quando poi ebbi letto le poesie, constatai che non ne avevo tratto niente che potesse servirmi per la comprensione dei Lieder, non essendo stato minimamente indotto dai versi a modificare la mia idea e la mia comprensione del componimento musicale. Mi accorsi al contrario che, pur senza conoscere i versi, avevo raggiunto il contenuto, in modo persino più profondo che se fossi rimasto aderente alla superficie, e cioè al significato letterale delle parole.»[3]
Il concetto di corrispondenza espressiva vale anche per il dramma Die glückliche Hand, in cui testo, musica, scenografie, luci e movimenti concorrono tutti a esprimere l’interiorità dell’artista, ma ognuno lo fa secondo i propri mezzi e in reciproca autonomia. Anche in questo caso, la musica non è evocazione figurativa, non cerca di rendere più efficace o più comprensibile il soggetto: lo esprime, invece, totalmente con i suoi mezzi, proprio come lo esprimono i versi. Musica e parole, allora, trovano, nella concezione di Schönberg, un accordo più elevato proprio in virtù del fatto che agiscono autonomamente ma esprimendo la stessa essenza. Schönberg interpreta in maniera personale la teoria wagneriana dell’“opera d’arte totale”, che nel suo caso viene a significare la creazione di uno spazio a più dimensioni in cui tutti gli elementi che ne fanno parte trovano il loro equilibrio.[4]
“[…] Luoghi e cose recitano anch’essi” dice Schönberg nelle note che riguardano la messa in scena del dramma “e perciò bisogna poterli distinguere chiaramente, al pari delle altezze dei suoni […]. L’effetto generale non deve suggerire simboli, significati o pensieri, ma soltanto un gioco fantasmagorico di colori e di forme […]; dunque questo spettacolo deve risuonare solo per l’occhio e, in ogni spettatore, dovrebbero nascere pensieri e sensazioni simili a quelli che si hanno ascoltando la musica…”[5] Tutta l’arte ha, quindi, per Schönberg la capacità di esprimere, ma non suggerisce né evoca immagini, pensieri o significati. L’arte è espressione astratta.
Questo articolo è tratto da Savelli, L. Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica, Wondermark, 2019.
Bibliografia di riferimento:
Kandinsky, W., Der Blaue Reiter, München, R. Piper & Co., 1965 (trad. it: Il cavaliere azzurro, Milano, SE, 1988).
Kandinsky, W. & Marc, F., Über das Geistige in der Kunst, Insbesondere in der Malerei (trad. it: Lo spirituale nell’arte, Milano, SE, 1989).
Lisciani-Petrini, E., Il suono incrinato, Torino, Einaudi, 2001.
Manzoni, G., Arnold Schönberg, l’uomo, l’opera, i testi musicati, Milano, BMG RICORDI MUSIC PUBLISCHING, 1997.
Savelli, L. Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica, Wondermark, 2019.
Schönberg, A., Il rapporto con il testo in Kandinsky, W. & Marc, F., Der Blaue Reiter, München, R. Piper & Co., 1965 (trad. it: Il cavaliere azzurro, Milano, SE, 1988).
[1] A. Schönberg come cit. in Manzoni, G., Arnold Schönberg, l’uomo, l’opera, i testi musicati, Milano, BMG RICORDI MUSIC PUBLISCHING, 1997.
[2] A. Schönberg in Il rapporto con il testo in Kandinsky, W. & Marc, F., Der Blaue Reiter, München, R. Piper & Co., 1965 (trad. it: Il cavaliere azzurro, Milano, SE, 1988).
[3] A. Schönberg in Il rapporto con il testo in Kandinssky, W. & Franz, M., op. cit. p. 63.
[4] Per una maggior trattazione delle composizioni musicali di Schönberg si rimanda il lettore interessato allo studio del libro di G. Manzoni, Arnold Schönberg, l’uomo, l’opera, i testi musicati, Milano, BMG RICORDI MUSIC PUBLISCHING, 1997.
[5] A. Schönberg come cit. in Lisciani-Petrini, E., Il suono incrinato, Torino, Einaudi, 2001, p. 121.
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