
“I soli paradisi autentici sono i paradisi che abbiamo perduto”
Dissertare sulla natura del tempo e del suo scorrere ha senso nella società in cui viviamo, votata all’accelerazione e alla velocità più sfrenata, in cui più mostri di essere rapido – anche se impreciso o approssimativo – e più appari competente e in controllo?
Eppure, una riflessione sul concetto di tempo si rivela utile oggigiorno proprio perché in grado di stimolare il pensiero su altre questioni salienti: la nostra capacità di vivere il momento presente, di godere dell’attimo fuggevole; l’effettiva abilità di lasciarsi andare al flow dell’esperienza; il nostro rapporto con il passato e con i nostri ricordi – che sono il fondamento della nostra identità -; il nostro continuo immaginare un futuro che è formato di aspettative e molto altro ancora. Non possiamo esimerci da un confronto con il concetto di tempo, poiché il tempo, “è il cuore della vita […] Non è sufficiente che [lo] comprendiamo in modo appropriato dobbiamo imparare a viverlo; ogni altra cosa ruota su di esso.”[2] Ma il tempo, questo apriori della sensibilità, per dirla con Kant, così ineffabile e inafferrabile, può essere “immaginato” e pensato secondo diversi poli e assumendo differenti prospettive: omogeneità/eterogeneità; atomismo/flusso; reversibilità/irreversibilità (Kern, 1995), tutti punti di vista capaci di mettere in luce qualcosa di diverso rispetto al fenomeno stesso. Forse dovremmo parlare di “tempi” piuttosto che di “tempo” al singolare.
Se consideriamo il polo oggettività/soggettività ci rendiamo subito conto che il tempo non è soltanto quello “ufficiale” segnato dagli orologi, quello “pubblico” e “razionale” della puntualità, delle lancette che scandiscono con assoluta precisione i secondi che scorrono uguali per tutti; esiste, infatti, anche un tempo “privato”, “personale”, diverso per ciascuno di noi, ora terribilmente lento e ora rapidissimo, ora in linea con il tempo “ufficiale”, ora come sospeso in un limbo tutto suo, ora quasi immobile nella sofferenza e un attimo dopo espanso nella gioia… il tempo dei ricordi, dei sogni, delle esperienze fortemente connotate dalla nostra emotività, delle aspettative, della speranza e dell’infanzia.
Alla fine del 1800, la borghesia in ascesa è la classe sociale più orientata al futuro e l’unica in grado di traghettare verso un nuovo benessere Paesi e popolazioni, poiché la vecchia aristocrazia, immobilizzata dalle tradizioni, non è più capace di produrre ricchezza e progresso. La borghesia, dunque, impone, oltre al culto dell’operosità, della scienza e del progresso anche una concezione del tempo “razionale” e oggettiva. Il tempo dell’orologio è necessario perché affidabile, ed è ciò attraverso il quale è possibile condurre i propri affari e circoscrivere le ore lavorative. È un tempo prezioso. Nel 1916 nascerà, infine, anche l’ora legale, che permetterà di sfruttare maggiormente le ore di luce in maniera produttiva e diviene il simbolo di una società orientata a produrre sempre più e sempre più efficacemente, che aumenta a ritmo serrato la produzione di orologi da taschino e inneggia alla puntualità. Sembrerebbe che la borghesia, di fatto, desiderasse negare l’esistenza di un tempo soggettivo e intimo, quindi, portatore di un ritmo disomogeneo, spezzato e influenzato da stati d’animo ed emozioni, ma in realtà non è proprio così: questo tempo soggettivo viene confinato alla vita domestica, alla “casa”, in cui gli affanni degli affari non devono entrare. A casa ci si può finalmente dedicare a quell’otium tanto caro agli intellettuali dell’antica Roma, che era soprattutto un esercizio spirituale e che adesso diventa anelito alla cultura. La nascente borghesia ha sete di cultura, infatti, e, dunque, di conoscenza, possibilmente scientifica.
È nel regno domestico che, finalmente, il pater familias e i suoi familiari possono dedicarsi alle arti, agli interessi privati, alle amicizie, alla cultura e al divertimento. La borghesia è una classe operosa non soltanto nel lavoro, ma anche nel tempo libero; pertanto, le arti, come lo sport, diventano oggetto di interesse, approfondimento e aggiornamento: nascono, così, le riviste specializzate, i café in cui si conversa e si discute un po’ di tutto. La borghesia, insomma, prende molto sul serio anche i propri hobbies.
È proprio in seno a questa classe in ascesa che la musica, arte del “tempo” per eccellenza, diventa la regina dell’intrattenimento domestico: in una società che non conosce radio e tv, il teatro e le mostre restano gli unici “svaghi” possibili, ma hanno un costo sia in termini economici che temporali, pertanto, dilettarsi dipingendo e suonando diventa un must borghese, soprattutto per le donne. Chi se lo può permettere manda i figli – prima del matrimonio e dell’accasamento definitivo – in giro per l’Europa, in Egitto e in Palestina per ammirare i monumenti degli antichi e farne riproduzioni ad acquerello, ma non tutti hanno una tale disponibilità economica, così l’ambiente domestico rimane il luogo d’elezione in cui dilettarsi di arte.
Prima ancora che si vedano riconosciuti i titoli accademici e il diritto di esercitare una professione di prestigio, le donne diventano abili musiciste e pittrici dilettanti: le ragazze appartenenti all’alta borghesia, infatti, hanno più tempo dei loro padri, fratelli o mariti da dedicare ai passatempi culturali e cominciano a riempire album di schizzi o a collezionare spartiti e partiture.
Il salotto della casa borghese diventa una stanza da ricevimento, per accogliere le persone in visita e il pianoforte diventa lo strumento d’elezione che in una rispettabile abitazione non può mancare e intorno al quale, la sera, si riuniscono familiari e amici per intrattenersi, cantando e danzando insieme fino alle ore del mattino. Musica leggera, d’intrattenimento, ma che, in attesa del grammofono che verrà inventato nel 1887, va saputa “leggere” ed eseguire (sulla tastiera e con la voce) da pentagramma e che necessita, quindi, di una competenza tecnica molto superiore a quella richiesta oggi al semplice fruitore di musica, il quale ascolta “passivamente” brani e canzoni riprodotti.
Nelle famiglie borghesi colte, dunque, si conosce abbastanza l’arte musicale da poter apprezzare una melodia anche come linguaggio specifico. Si sanno leggere “a prima vista” le note, intonandole, e, dunque, se ne può apprezzare pienamente anche l’eleganza visiva, grafica. Gli spartiti vengono pertanto acquistati con trepidazione non appena vengono pubblicati, per stare al passo con i tempi e offrire ai propri ospiti e amici un intrattenimento di qualità, sebbene domestico. Il tempo “letto” attraverso uno spartito è lento, soggettivo e privato, in grado di far assaporare le emozioni della musica in maniera consapevole.
È un tempo ricco di emozioni, che nessun disco e nessuna radio saranno mai capaci di sostituire per davvero. È un tempo-esperienza, personalissimo e indimenticabile, che accomuna gli appassionati, i quali, intonando e suonando ciò che leggono “a prima vista”, danno vita a un’esecuzione musicale unica e tanto più preziosa quanto più emotivamente partecipata.
La letteratura, come spesso accade, ci viene in aiuto per comprendere con maggior vividezza questo legame tra musica scritta e tempo privato che abbiamo cercato di descrivere qui; agli interessati, quindi, suggerisco una lettura attenta dei seguenti testi narrativi:
Gertrude di Hermann Hesse (Oscar Mondadori, 2024)
Le Quattro Ragazze Wieselberger di Fausta Cialente (Baldini & Castoldi, 2018).
Riferimenti bibliografici:
Brilli, A., Il viaggio in oriente, Bologna: Il Mulino, 2012.
Kern, S. Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Bologna: Il Mulino, 1995.
Janik, A. & Toulmin, S. La Grande Vienna, Milano: Garzanti, 1984.
Proust, M., Il tempo ritrovato, Rusconi, 2024.
Savelli, L. Nel giardino di Armida, Wondermark, 2021.
Testi, F. La Parigi Musicale del primo Novecento, Torino: EDT, 2003.
[1] Proust, M., Il tempo ritrovato, Rusconi, 2024.
[2] Kern, S. Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Bologna: Il Mulino, 1995, p. 61.



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