
Stravinskij è stato spesso accusato di eclettismo dalla critica musicale per la sua inclinazione a riutilizzare e a fare propri in maniera originale i materiali sonori più disparati. Quello che non tutti i suoi detrattori tengono presente è che Stravinskij si considerava un artigiano della musica più che un artista; si riteneva simile all’artigiano medievale «il quale opera, ordina, fabbrica con i materiali a sua disposizione, tutto preso dal fascino del materiale sonoro che può maneggiare a suo piacere, non strumentalmente ma come fine a se stesso.»[1] La musica per Stravinskij nasce come ordine dal caos quando il compositore riesce a organizzare gli elementi sonori in un insieme dotato di significato, infatti, le sonorità elementari e i materiali grezzi non sono ancora musica nel senso proprio del termine, anche quando risultano piacevoli all’orecchio (pensiamo, per esempio, al canto di un uccello o al mormorio dell’acqua che scorre).
«È necessario un uomo, perché quelle promesse di musica siano mantenute: un uomo senza dubbio sensibile a tutte le voci della natura, ma che provi per giunta il bisogno di mettere quelle cose in ordine e sia dotato per questo di una particolarissima capacità. Nelle sue mani, tutto ciò che abbiamo detto non essere ancora musica, diventerà tale. Ne concludo che gli elementi sonori formano musica solo in virtù della loro organizzazione, e questa organizzazione presuppone un’azione cosciente dell’uomo.»[2] L’arte come costruzione, dunque, audace, certo, ma non rivoluzionaria. “Rivoluzione”, infatti, per il compositore russo non ha nulla a che vedere con “originalità”, dato che la rivoluzione è “caos provvisorio”, mentre l’arte è organizzazione; inoltre, quello che è rivoluzionario torna sempre al punto di partenza, poiché, dice Stravinskij citando il famoso scrittore di gialli G.K. Chesterton, «… rivoluzione, nel preciso significato della parola, è il movimento di un corpo mobile il quale percorre una curva chiusa e torna così al punto di partenza…»[3]
L’atto della creazione musicale per Stravinskij è anche un atto speculativo, nel senso che ciò che muove il compositore a dare forma al materiale sonoro è la sua volontà, che dà vita a quella che chiama “ricerca preliminare”. Ma la musica non ha a che fare soltanto con il materiale sonoro, un altro suo elemento imprescindibile è il tempo. La musica, dice ancora Stravinskij, «si colloca nella successione del tempo […] Essa è in conseguenza un’arte cronologica […] suppone prima di tutto una certa organizzazione del tempo, una «cronomia».»[4] Stravinskij parla di “metro” come elemento materiale e di “ritmo” come elemento formale e, mentre il metro è la “pulsazione regolare”, il ritmo è “invenzione”; metro e ritmo stanno tra di loro in un rapporto interdipendente.
E l’esperienza del tempo in musica?
Il cronos musicale è di due tipi: c’è il tempo ontologico, cioè il “tempo reale”, al quale la musica “si lega” o “si stacca”, facendogli da contrappunto e quello psicologico, che si dilata o si restringe in base alle emozioni e alle sensazioni provate dal soggetto nel momento presente in cui ascolta un’esecuzione, un brano. La musica, in quanto arte cronologica, è legata ad entrambi i tipi di tempo: quando si lega al tempo ontologico segue il “principio di somiglianza”, mentre seguendo il tempo psicologico procede per “contrasto”. Secondo il musicologo e filosofo T.W. Adorno, Stravinskij, però, finirebbe proprio per eliminare il senso del divenire dalla musica, attraverso quella giustapposizione di ritmi diversi così consueta nelle sue composizioni. Secondo Adorno, il temps durée inteso nell’accezione bergsoniana diventa temps espace, cioè tempo – spazio, venendosi così a perdere quella che per Adorno è l’essenza stessa della musica: sparisce il tempo misurato soggettivamente e viene, invece, accolto il tempo oggettivo, razionalmente misurabile. Adorno parla di «modo di ascolto regressivo in quanto spaziale.» Quest’ascolto «ritmico – spaziale […] ubbidisce al colpo di tamburo. Esso è fondato sull’articolazione del tempo mediante suddivisione in quantità uguali, che virtualmente abrogano il tempo e lo spazializzano.»[5] Insomma, per Adorno, la musica di Stravinskij è di tipo aritmetico. In effetti, soprattutto nelle composizioni del suo “periodo russo”, Stravinskij giustappone quasi spazialmente ritmi differenti… da qui l’effetto cubista di bidimensionalità che il compositore ottiene. Tuttavia, Stravinskij ritiene che la musica per sua stessa natura non possa che essere un’arte cronologica che ha bisogno della “vigilanza della memoria”. Ribadiamo che è il metro per lui l’elemento materiale che ha valore di misura, mentre il ritmo è l’elemento formale, che offre la possibilità di creare “sorpresa” e “imprevisto”. Appunto, invenzione.
Stravinskij è un antiromantico, secondo Fubini le sue composizioni musicali hanno un “aspetto architettonico e costruttivistico”. Sicuramente Stravinskij non credeva nella “espressività” della musica, nel sentimentalismo o nell’intuizionismo; egli riafferma “ingenuamente il concetto dell’ “art pour l’art”, come dice Luigi Rognoni nel suo saggio introduttivo alla traduzione italiana di Filosofia della Musica Moderna di Adorno. Ciò sta a significare che la musica è per lui essenzialmente antiespressiva, “uguale a se stessa”: essa esprime se stessa e basta, insomma. Da qui, l’etichetta di “formalista” associata al compositore. Stravinskij risponde alla crisi del linguaggio musicale, imperante dai primi del Novecento, non con la totale dissoluzione del tradizionale sistema tonale come faranno Schönberg e i suoi collaboratori a Vienna, ma restituendo alla musica «il suo carattere vincolante […] mediante la riassunzione oggettiva di procedimenti stilistici.»[6] Egli dà, quindi, come artista la sua personale risposta al problema del rinnovamento del linguaggio musicale che s’inscrive nella più generale crisi di tutti i linguaggi artistici che colpisce il periodo post-romantico.[7] Stravinskij è molto interessato a recuperare i materiali sonori popolari o antichi che fanno parte della tradizione russa, per farne una sua sintesi personale e moderna; perciò, per lui il rinnovamento è possibile proprio attraverso questo “ritorno alle origini” che, ribadiamolo ancora una volta, è però rielaborazione assolutamente originale. Questo è il suo modo di riempire le «forme ormai divenute vuote […] di rinnovare gli stessi mezzi espressivi, ormai giunti ad un estremo limite di «entropia», divenuti storicamente saturi e quindi impraticabili…»[8]
Resta bellissima, anche se il musicologo l’aveva formulata in senso critico, la definizione di Adorno di “tecnica di assaggi permanenti”, riferita alla capacità di Stravinskij di non sviluppare mai pienamente un tema, ma di utilizzarne molti diversi nella stessa composizione, così come fa con i ritmi. La modernità e l’originalità del compositore russo stanno proprio nella sua abilità a rimanere «in un diretto contatto con la materia prima della musica” e a saper “giocare”, appunto, con i temi, con il ritmo, con i timbri e i registri dei vari strumenti; nel riuscire a spiazzare e sorprendere continuamente l’ascoltatore, senza che possa immaginarsi cosa sta per accadere.
Concludiamo questo paragrafo con un’ultima citazione di Stravinskij che ci sembra sintetizzare egregiamente il tema della novità nell’arte: «Un rinnovamento è fecondo solo quando va di pari passo con la tradizione.»[9]
Il presente articolo è tratto da:
Savelli, L., (2021), Nel giardino di Armida. La rivoluzione dei Balletti Russi nella Parigi della Belle Époque, Wondermark, reperibile su Amazon.
Riferimenti bibliografici:
Adorno, T.W. (2002). Filosofia della musica moderna. Torino: Einaudi.
Fubini, E. (1995). Estetica della Musica. Bologna: Il Mulino.
Savelli, L. (2019). Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica. Wondermark, reperibile su Amazon.
Savelli, L., (2021), Nel giardino di Armida. La rivoluzione dei Balletti Russi nella Parigi della Belle Époque, Wondermark, reperibile su Amazon.
Stravinskij, I. (1942). Poetica della Musica. Edizioni Curci
[1] Fubini, E. (1995). Estetica della Musica. Bologna: Il Mulino, p. 111.
[2] Stravinskij, I. (1942). Poetica della Musica. Edizioni Curci. p. 21 – 22.
[3] Ivi, p. 12.
[4] Ivi, p. 26.
[5] Adorno, T.W. (2002). Filosofia della musica moderna. Torino: Einaudi p. 188.
[6] Luigi Rognoni in T. Adorno, Filosofia della musica moderna, op. cit. p. XLIV.
[7] Per una più ampia trattazione del tema della crisi dei linguaggi dell’arte cfr. il mio libro Consonanze, dissonanze … e i 12 cavalieri della musica, 2019, Wondermark, reperibile su Amazon.
[8] Luigi Rognoni in T. Adorno, Filosofia della musica moderna, op. cit. p. XXXVII.
[9] Stravinskij, I. Poetica della musica, op. cit.
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