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La crisi dei linguaggi artistici

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La Vienna di fine Ottocento – inizio Novecento, definita anche come la Città dei Sogni, può essere considerata la città – simbolo di un periodo storico che si delinea inquieto e sull’orlo di grandi cambiamenti; non è un caso che Karl Kraus nel 1914 la descriva acutamente come “il terreno di prova per la distruzione del mondo”[1]. La società tardo-asburgica e Vienna in particolare, rispecchiano bene, infatti, la crisi di “una società in cui tutti gli strumenti, o i mezzi di espressione – dal linguaggio dei politici ai principi del disegno architettonico – avevano apparentemente perso contatto con i loro “messaggi” prestabiliti, ed erano stati privati di ogni capacità di svolgere le loro funzioni peculiari.”[2] La nuova cultura che si sta sviluppando è, quindi, quella del “…“modernismo” dell’inizio del secolo XX espresso da uomini come Sigmund Freud […], Adolf Loos, Oskar Kokoschka e Ernst Mach.”[3]

La crisi che la società del periodo si trova a dover fronteggiare è meglio descritta come la crisi dei linguaggi dell’arte; essa investirà, infatti, la letteratura, l’architettura, la pittura e, in primis, la musica, nell’ambito della quale si assisterà al progressivo dissolversi del tradizionale sistema tonale da parte delle avanguardie, di cui Arnold Schönberg e i suoi discepoli furono forse i rappresentanti più eclatanti e innovativi. Anche in campo musicale, infatti, cominciava a farsi pressante il bisogno di riesaminare i mezzi d’espressione, che sembravano ormai incapaci di adempiere alla loro funzione. Infatti, “come poteva ogni “mezzo” essere adeguato a ogni “messaggio”?”[4] In altre parole, come poteva il sistema tonale tradizionale far fronte ai bisogni espressivi delle nuove avanguardie musicali? Se la realtà storica sta cambiando, si sta trasformando, allora anche il linguaggio musicale deve subire una mutazione per poterla esprimere e rispecchiare. La crisi dei linguaggi artistici si accompagna, dunque, a una più vasta crisi della visione della realtà nella società occidentale. Possiamo fare nostra la tesi sostenuta da Janik e Toulmin ne La grande Vienna, secondo la quale non era una coincidenza che psicoanalisi, moderna architettura, dissoluzione del sistema tonale, espressionismo pittorico e positivismo legale e logico nascessero a Vienna nello stesso periodo.

Quella che entra in crisi è la visione della realtà di derivazione platonica (che nella filosofia dell’arte ha imperato quasi indiscussa fino alla prima meta del XIX secolo), secondo la quale la realtà è governata da un ordine logico e ideale, comprensibile soltanto se contemplato attraverso il pensiero. Questo “ordine” si può dire “rappresenta la vera “sostanza delle cose”, e come tale il principio unico ed eterno, “solare”, in grado di illuminarle, in totale trasparenza, nella loro verità. Ma soprattutto in grado di redimerle, purificarle, salvarle dalla loro materialità corporea e sensibile, per destinarle (da sempre) ad una sicura eternità finale”. [5]

Si tratta, perciò, di un modo di concepire la realtà graniticamente saldo in se stesso, in cui non c’è spazio per nessuna ambiguità, in cui ogni cosa e ogni essere occupano il proprio posto, mentre la bellezza è l’essenza ideale che costituisce le cose. Insomma, secondo questa concezione, la realtà è trasparente come il principio che le dà origine. Anche l’arte (e dunque la musica), parla un linguaggio chiaro e univoco: “armonico”. Lo scopo dell’arte è allora, secondo Platone, l’imitazione della bellezza, intesa come ordine ideale, come verità e dunque la sua funzione può essere istruttiva. La musica, infatti, può essere utile alla società soltanto se spinge l’uomo all’elevazione morale, alla catarsi e, come le altre forme artistiche, ha il compito di rappresentare la realtà come basata su un principio logico-matematico ed eterno. Sia la realtà che i linguaggi artistici sono perciò concepiti come chiari e trasparenti[6]. Ma alla fine dell’Ottocento questa salda visione del mondo in cui tutto ha un posto e tutto è al suo posto comincia a incrinarsi: l’uomo, trascinato dal progresso e travolto dalla rapida industrializzazione della società, inizia a sentirsi estraniato, sradicato, diventa inquieto; anche il suo rapporto con le cose, con gli oggetti si fa più ambiguo, meno certo. I linguaggi artistici entrano in crisi perché non sono più capaci di raccontare, con i mezzi tradizionali, una realtà in veloce trasformazione: c’è, quindi, bisogno di un cambiamento, di adeguare linguaggi e metodi artistici alla nuova realtà che si va delineando e alle nuove inquietudini umane. In specifico, per quanto riguarda la musica, si tratta di scuotere dal profondo le vecchie leggi armoniche e di allargare fino alla sua disgregazione, il tradizionale sistema tonale, che dalla fine del 1600 in poi aveva servito così bene tutti i compositori e i musicisti. È con la crisi cromatica, quindi, che ha inizio la dissoluzione del sistema tonale. Ma mentre comincia ad andare in pezzi un sistema messo a punto da una tradizione che ha le sue radici nel Medioevo, musicisti e compositori si trovano a dover cercare di risolvere in maniera radicale non soltanto dei puri problemi “tecnici”, quanto piuttosto sono costretti a rivedere anche tutti i valori e le norme che la teoria musicale aveva fino a quel momento presentato come modelli estetici ed etici da seguire immutabilmente. Non è, dunque, una crisi confinata al mondo sonoro ma qualcosa di molto più profondo: “essa era un riflesso di quel “consumo” storico di una civiltà che poneva in discussione tutta quanta la cultura, l’arte e la vita sociale.”[7]

Sarà Gustav Mahler a mettere in luce per primo la crisi attraversata dal linguaggio musicale. Nonostante non abbia partecipato direttamente alla sperimentazione musicale delle avanguardie del primo Novecento, Mahler è ammirato e sostenuto con entusiasmo sia da Schönberg che dai suoi allievi, anche quando pubblico e critica gli sono ostili e la sua musica viene etichettata in senso dispregiativo Kapellmeistermusik. Mahler continua nelle sue composizioni la dissoluzione del linguaggio musicale tradizionale. Le sue composizioni si presentano lunghe, eterogenee, apparentemente caotiche e dispersive, piene di citazioni recuperate da motivi folkloristici e popolari. Se ascoltate in maniera superficiale vengono percepite come una sorta di pot-pourri musicale, ma in realtà esse possiedono una loro logica e una coerenza interna che donano a ciò che egli scrive “… non solo un sigillo etico, ma un valore eversivo, di rottura con le convenzioni e le simmetrie del passato.”[8]

Il linguaggio musicale di Mahler, frantumato, lacerato, si può dire, ben riflette il periodo di profonda crisi e ripensamento che le arti e la società in generale stanno attraversando. L’opera d’arte perde in questo periodo la sua forma perfetta per farsi incompiuta: la sua coerenza interna e la sua unità formale un tempo manifeste, ora sono nascoste, difficili da individuare. Ciò avviene perché adesso le opere d’arte raccontano una realtà che non è più armoniosa, né compatta, né tantomeno rassicurante, ma è invece ambigua, scissa, oscura e presaga di incombenti pericoli a cui ancora non si sa dare un nome.

Il mondo di ieri, così ben descritto da Stefan Zweig [9] nel suo omonimo libro, sta per finire.

 

Questo articolo è stato tratto da: Savelli, L., Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica, Wondermark, 2021


Riferimenti bibliografici:

Eimert, H. Lehrbuch der Zwölftontechnik, Wiesbaden, Breitkopf & Haertel, 1952 (trad. it.: Manuale di tecnica dodecafonica, Milano: Carisch, 1954

Janik, A. & Toulmin, S., Wittgenstein’s Vienna, 1973 (trad. it: La Grande Vienna, Milano: Garzanti, 1984).

Lisciani-Petrini, E., Il suono incrinato, Torino: Einaudi, 2001.

Savelli, L., Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica, Wondermark, 2021.

Zweig, S, The World of Yesterday: An Autobiography, New York, 1943 (trad. it: Il mondo di ieri, Milano: Garzanti, 2022).

 

[1]     Die Fackel, n. 400, estate 1914.

[2]     Janik, A. & Toulmin, S. Wittgenstein’s Vienna (trad. it: La Grande Vienna, Garzanti, 1984, p. 27.

[3]     Ivi. p. 9

[4]     Ivi, p. 27

[5]     Lisciani-Petrini, E., Il suono incrinato, Torino, Einaudi, 2001, p. 8.

[6]     Ivi.

[7]     Eimert, H. Lehrbuch der Zwölftontechnik, Wiesbaden, Breitkopf & Haertel, 1952 (trad. it.: Manuale di tecnica dodecafonica, Milano, Carisch, 1954, p. 7).

[8]     Lisciani-Petrini, E., op. cit., p. 31.

[9]     Il mondo di fine Ottocento è stato tratteggiato in maniera impareggiabile da Stefan Zweig nella sua autobiografia The World of Yesterday: An Autobiography (trad. it Il Mondo di Ieri, Milano: Garzanti, 2022).


Linda Savelli

Linda Savelli è dottoressa in filosofia, perfezionata in scienza e filosofia (epistemologia generale e applicata), dottoressa in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità iscritta alla sez. B dell’Albo degli Psicologi della Toscana (Nr. Iscrizione 8747), dott.ssa in Psicologia Clinica e della Riabilitazione e ha un Master di primo livello in Mediazione Interculturale. Da anni si occupa di divulgazione filosofica e psicologica e, più recentemente, ha iniziato a occuparsi di interventi riabilitativi e rieducativi nell’anziano, di supporto accademico e di libroterapia. È autrice di libri e articoli a carattere divulgativo e scientifico, nonché di racconti e di una silloge di poesie.

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