Press "Enter" to skip to content

Desiderio e Contrappunto: la Psicoanalisi come Filosofia del Tempo Interiore

Copyright: Pixabay

 

Introduzione 

In un’epoca in cui il tempo è frammentato, accelerato, continuamente interrotto da impulsi e notifiche, ripensare il desiderio alla luce della psicoanalisi e della filosofia significa  interrogare l’essere umano nella sua essenza temporale più profonda. Il desiderio non è una  meta, né un oggetto possedibile: è ciò che ci struttura, che ci costituisce nella mancanza,  come scriveva Lacan, e che si ripete come un’eco nella storia dell’inconscio. Ma questa ripetizione, lungi dall’essere circolare, ha la struttura complessa del contrappunto: voci interiori che si sovrappongono, si rincorrono, si oppongono, e talvolta si accordano senza mai farsi unità.

La musica – e in particolare la forma contrappuntistica – ci offre una metafora potente del funzionamento psichico. Come nella fuga bachiana, l’io non si esprime in un monologo  lineare, ma in una polifonia di elementi dissociati, in tensione costante. Ogni sintomo, in questa prospettiva, è un frammento melodico ripetuto, deformato, variato. L’inconscio non parla, canta. E canta sempre la stessa assenza: quella dell’oggetto che manca e che fonda il desiderio.

La filosofia – da Platone a Deleuze – ha sempre avuto il compito di pensare il tempo e il divenire. Ma è la psicoanalisi che ha osato ascoltare il tempo interno, quello che non scorre in modo lineare ma che ritorna, si arresta, si inceppa. Il soggetto non vive nel tempo oggettivo, bensì in un tempo pulsato, affettivo, che può essere accelerato da un’ansia primitiva o rallentato da un lutto non elaborato. In questo tempo musicale della psiche, il trauma non è solo un evento, ma una dissonanza non risolta, una cadenza sospesa.

Freud lo aveva compreso nel concetto di ‘compulsione a ripetere’, dove il soggetto si trova inchiodato a una scena, a una tonalità affettiva, come se la partitura della sua vita fosse già stata scritta. Ma la cura analitica, come l’improvvisazione musicale, consente l’emergere di variazioni inattese. Il terapeuta non interviene come un correttore di errori, bensì come un interprete sensibile, capace di sostenere il ritmo dell’altro, di modulare il silenzio, di riconoscere il tempo nascosto del sintomo.

La soggettività contemporanea – iperconnessa, performativa, frammentata – fatica a entrare in risonanza con se stessa. In questo contesto, l’ascolto diventa un atto rivoluzionario. Non si tratta più di parlare, ma di saper ascoltare il desiderio nella sua struttura musicale. La filosofia può allora ritrovare, nella psicoanalisi e nella musica, due alleate silenziose: entrambe operano per sottrazione, entrambe mirano all’invisibile, entrambe si muovono sul confine tra senso e non-senso.

Lacan diceva che il reale è ciò che resiste alla simbolizzazione. Il suono, prima del linguaggio, è forse la sua forma più pura. Prima della parola, c’è la voce. Prima del significato, c’è la vibrazione. La clinica psicoanalitica più profonda non lavora solo con il detto, ma con il detto male, con il balbettio, con l’intonazione, con il ritmo. Ogni soggetto è una melodia spezzata che cerca di ritrovare la propria cadenza.

Il pensiero non è lineare. Il pensiero è musicale. Non procede per deduzione, ma per variazione. Ogni concetto è un tema che ritorna, si trasforma, si piega su se stesso. In questo senso, fare filosofia con la psicoanalisi significa comporre: non dimostrare, ma risuonare. È questo il gesto radicale che oggi serve alla filosofia: imparare ad ascoltare i vuoti, le pause, gli scarti. E riconoscere, nel soggetto, non un’identità da definire, ma una partitura da accogliere.

Scrivere, analizzare, pensare: sono tutte pratiche musicali. Implicano un tempo, un’attesa, un ritorno. Il desiderio non è un punto d’arrivo: è una tensione che attraversa ogni nota della nostra esistenza. Comprenderlo significa accettare che la verità del soggetto non si dice mai tutta, ma si intuisce nel controcanto, nella variazione, nel timbro sottile che accompagna ogni parola. E forse, proprio lì, in quel contrappunto invisibile, si cela la libertà.

 

Contrappunto e Inconscio: Il Soggetto a Più Voci

Se l’Io non è un’entità solida ma una rete in movimento, una costellazione dinamica di voci e impulsi, allora è necessario un linguaggio capace di pensare la soggettività nella sua complessità. La filosofia, da Hegel a Deleuze, ha proposto modelli dialettici e rizomatici; la psicoanalisi, con Freud e Lacan, ha offerto una topologia pulsionale e simbolica. Ma è forse la musica – e in particolare il contrappunto – a fornire la metafora più fedele per pensare l’inconscio: una struttura a più voci, in tensione costante, capace di articolare il desiderio, la mancanza, il ritorno e la trasformazione.

 

Voci Interne: un Caso Clinico

Alessia, 36 anni, musicista di formazione classica, arriva in analisi dopo un lungo periodo di insonnia, attacchi di panico e una perdita di senso generalizzata. Racconta di sentire ‘troppe cose insieme nella testa’, come se una partitura interiore suonasse senza sosta, a senza armonia. Ogni volta che tenta di concentrarsi o di prendere decisioni importanti, qualcosa dentro di lei ‘inizia a parlare troppo forte’.

Durante le prime sedute, emergono ricordi d’infanzia legati a un’educazione musicale rigidissima, imposta da un padre direttore d’orchestra. L’immagine di un’ideale di perfezione musicale, mai raggiunta, si lega al suo senso di fallimento e alla comparsa dei sintomi. In sogno, ricorre un motivo: si trova su un palco, ma lo spartito è illeggibile. La fuga musicale, che amava da bambina, è ora diventata incubo.

Nel corso dell’analisi, si lavora sul riconoscimento delle diverse ‘voci interne’: quella del padre, quella del Super-Io perfezionista, quella del desiderio infantile di libertà. Alessia inizia a scrivere brevi pezzi musicali, ciascuno basato su un soggetto emotivo diverso. Una fuga composta durante un sogno notturno diventa oggetto di un’interpretazione: ogni uno esposizione del tema corrisponde a una figura interiore, e la composizione musicale si rivela strumento simbolico per integrare le tensioni psichiche.

Alessia non ‘guarisce’ in senso lineare. Ma impara a distinguere le voci, a riconoscerle, a risuonare con esse. La sua fuga interna diventa abitabile. In analisi, come in musica, la trasformazione non è data dalla cancellazione del conflitto, ma dalla sua rielaborazione ritmica. La sua ultima frase, dopo tre anni di lavoro: ‘Ora so di non essere una, ma tante. E posso ascoltarmi senza paura’.

In modo sorprendentemente affine, la fuga bachiana si costruisce attraverso un dialogo continuo tra voci distinte. Il soggetto musicale è esposto (tesi), quindi viene ripreso da una risposta modificata (antitesi), e infine sviluppato nei cosiddetti episodi, dove le voci interagiscono, si contaminano, si trasformano (sintesi). Ogni esposizione non è una semplice ripetizione, ma un’elaborazione del materiale originario, che acquisisce senso proprio nella relazione con ciò che lo contraddice.

Nel contrappunto, come nella dialettica hegeliana, non esiste un’unità semplice. Ogni voce è autonoma ma non isolata. È nella tensione tra le voci – spesso dissonanti – che si genera un ordine superiore, una forma complessa e stratificata. Bach, dunque, non scrive semplici melodie: costruisce strutture del pensiero in suono. Ogni fuga è un laboratorio dialettico, dove l’identità del soggetto musicale si forma attraverso la ripetizione differente, la variazione, il ritorno trasformato.

Anche la psicoanalisi, come la filosofia di Hegel, descrive un soggetto diviso, attraversato dal negativo. L’Io non è una sostanza, ma un’interfaccia instabile tra desideri contraddittori, pulsioni e norme. È un effetto di sintesi mai definitiva. Freud parlava di sintomi come compromessi: sono il risultato di una lotta tra forze inconciliabili, che trovano nella forma sintomatica una momentanea soluzione. Lacan, riprendendo Hegel, ci invita a pensare il soggetto come effetto di una mancanza, di una divisione costitutiva.

In questa prospettiva, la fuga bachiana diventa non solo una metafora estetica del soggetto, ma un suo equivalente strutturale. Ogni voce è come un’istanza psichica: Es, Io, Super-Io, fantasmi, identificazioni. L’analisi, allora, può essere letta come l’ascolto di un contrappunto interno. E il lavoro analitico come un tentativo non di armonizzare, ma di fare spazio alle voci, di consentire la loro coesistenza senza annientamento.

 

Conclusioni

Il soggetto moderno, attraversato da contraddizioni e desideri frammentati, trova nel contrappunto una forma simbolica capace di rappresentarlo. La filosofia hegeliana ci insegna che l’identità nasce nel movimento dialettico, nel superamento del negativo. La psicoanalisi, da Freud a Lacan, insiste sulla struttura divisa dell’Io e sulla necessità di un’elaborazione del desiderio attraverso la ripetizione. Bach, con le sue fughe, anticipa inconsapevolmente questo paradigma: ogni voce entra in dialogo con le altre, ogni ripetizione è una variazione, ogni dissonanza una possibilità di trasformazione. Pensare il
soggetto come contrappunto significa allora accettarne la complessità, ascoltare le sue voci interne e riconoscere che la verità non si trova nell’unità, ma nella coesistenza tensiva delle differenze.

 

Bibliografia

Freud, S. (1920). Al di là del principio di piacere. In Opere, Vol. IX. Torino: Bollati
Boringhieri.
Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni. In Opere, Vol. IV-V. Torino: Bollati
Boringhieri.
Hegel, G.W.F. (1807). Fenomenologia dello Spirito. Trad. it. Laterza, Roma-Bari.
Lacan, J. (1979). Il Seminario. Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi.
Torino: Einaudi.
Lacan, J. (1981). Il Seminario. Libro XX: Ancora. Torino: Einaudi.
Adorno, T.W. (1971). Introduzione alla sociologia della musica. Torino: Einaudi.
Rosa, H. (2015). Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda
modernità. Torino: Einaudi.
Bollas, C. (1989). L’ombra dell’oggetto. Milano: Cortina.
Reik, T. (1985). Ascoltare con l’orecchio terzo. Roma: Astrolabio.
Winnicott, D.W. (1971). Gioco e realtà. Roma: Armando.
Lyotard, J.-F. (2004). Il postmoderno spiegato ai bambini. Roma: Castelvecchi.
Green, A. (1993). Il lavoro del negativo. Roma: Borla.


Federica Mazzocchini

Federica Mazzocchini è psicologa e psicoterapeuta, specializzata con lode presso la Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato, a orientamento psicoanalitico umanistico. È abilitata con lode all’insegnamento della filosofia e scienze umane negli istituti superiori. Unisce nella sua ricerca la profondità della psicoanalisi con la riflessione critica della filosofia e l’interesse vivo per le trasformazioni culturali e sociali contemporanee. Il suo stile di pensiero è marcatamente interdisciplinare, attento tanto all’elaborazione teorica quanto alle forme simboliche attraverso cui l’inconscio si esprime: musica, linguaggio, sogno, scrittura. Appassionata lettrice di Freud, Lacan, Fromm e Hegel, coltiva una visione del soggetto come realtà complessa, attraversata da tensioni, desideri e possibilità di trasformazione.

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *