
Introduzione
In un’epoca in cui il tempo è frammentato, accelerato, continuamente interrotto da impulsi e notifiche, ripensare il desiderio alla luce della psicoanalisi e della filosofia significa interrogare l’essere umano nella sua essenza temporale più profonda. Il desiderio non è una meta, né un oggetto possedibile: è ciò che ci struttura, che ci costituisce nella mancanza, come scriveva Lacan, e che si ripete come un’eco nella storia dell’inconscio. Ma questa ripetizione, lungi dall’essere circolare, ha la struttura complessa del contrappunto: voci interiori che si sovrappongono, si rincorrono, si oppongono, e talvolta si accordano senza mai farsi unità.
La musica – e in particolare la forma contrappuntistica – ci offre una metafora potente del funzionamento psichico. Come nella fuga bachiana, l’io non si esprime in un monologo lineare, ma in una polifonia di elementi dissociati, in tensione costante. Ogni sintomo, in questa prospettiva, è un frammento melodico ripetuto, deformato, variato. L’inconscio non parla, canta. E canta sempre la stessa assenza: quella dell’oggetto che manca e che fonda il desiderio.


