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La pedagogia non è puericultura!

Abstract: L’articolo mira ad evidenziare il legame tradizionale esistente tra la pedagogia l’epistemologia e la logica, una relazione poco conosciuta. Un’alleanza che si oppone a concezioni ingenuamente naturali e intuitive dello sviluppo umano che travisano la pedagogia e l’azione educativa riportandola a facili concetti di cura, di mera relazione individuale o alla puericultura.

Lo stereotipo che riduce la pedagogia alla prassi di cura e accompagnamento dei bambini, si riporta al senso evocato dal nome stesso, che ha radice in paìs, “ragazzo”, e agogòs “colui che conduce”. Il pedagògo era infatti, nell’antica Atene, colui che aveva il compito di accompagnare i fanciulli a scuola, in palestra, a teatro. Nella concezione comune, questo significato pare aver messo radici e nonostante più di due millenni siano trascorsi, la pedagogia sembra essere connotata essenzialmente da significati pratico-esperienziali.

Ne deriva che occuparsi della cura fisica o al limite del benessere psicologico del minore, renderebbe esaustivamente competenti nel campo pedagogico. Di contro, un’educazione priva di confronti competenti con le aspettative istituzionali e sociali o storico-culturali e con contenuti etico-normativi, è estemporanea, unilaterale e tradisce quelle istanze essenziali di globalità, adeguatezza culturale, partecipazione critica e comprensione assiologica che ne fanno una risorsa umanamente congrua.

La scarsa informazione sul senso della pedagogia e sul suo portato valoriale, produce spesso un calderone di teorie e ideologie sul bambino che hanno come principio una seduttiva e vuota “buona relazione”, che dissimula le ambizioni adulte: ricevere riconoscimento sociale e lodi perfino dal discente, sviandolo così dall’assumere un atteggiamento di autentica responsabilità personale rispetto ai propri percorsi evolutivi. Sarà poi la richiesta di impegno istituzionale e saranno poi gli standard sociali a decretare lo scacco di questi deboli ideali a spese di progetti di vita sfumati nell’inconsapevolezza e nel senso di inadeguatezza culturale e sociale.

Se diamo uno sguardo alla storia, notiamo invece che la pedagogia si presenta almeno all’inizio come filosofia dell’educazione. Non mancano infatti, fin dall’antichità, i luoghi e le riflessioni filosofiche sulla formazione dell’uomo. Un luminoso esempio è dato dalle considerazioni platoniche sull’educazione delle tre classi sociali nella pòlis: i reggitori, i custodi e i lavoratori. Il filosofo di Atene, affida alla formazione di queste tre classi la garanzia dell’armonia nella pòlis e della virtù dei cittadini ponendo particolare attenzione sui reggitori, che sono destinati alla guida della città. Essi, per imparare ad agire con giustizia, devono seguire un lungo percorso formativo che dura fino all’età di cinquant’anni, coltivando la filosofia e la prassi politica. In ciò il senso politico della pedagogia che mira intenzionalmente alla promozione delle facoltà personali per ottenere armonia sociale, comprensione delle leggi e della giustizia.

In anticipo su Platone, Socrate e i Sofisti riflettendo sull’educabilità della virtù, giungevano al concetto di scienza o epistème, che confluiva nell’intellettualismo socratico, ovvero nella dottrina secondo la quale noi facciamo sempre ciò che crediamo sia il bene e se facciamo il male è per mancanza di conoscenza.

Agli albori dello sviluppo della società occidentale i filosofi greci elaboravano interessi etici aprendo contemporaneamente lo spazio sulla riflessione epistemologica e pedagogica. I filosofi ritenevano infatti che la virtù fosse insegnabile, in particolare Socrate, che considerava la conoscenza somma virtù perchè condizione di tutte le altre.

Spesso sfugge la relazione tra pedagogia e conoscenza che in Platone motivava l’educazione delle facoltà dell’anima. In particolare della razionalità, rappresentata nel Fedro come un auriga alla guida di una biga alata trainata da due cavalli che si indirizzano verso direzioni opposte, rendendo difficile la guida del mezzo. Dirigendosi verso l’iperuranio, il mondo al di là dal cielo, l’auriga avrebbe potuto contemplare le idee più elevate. Per poterlo fare tuttavia doveva essere in grado di guidare bene i due cavalli, che rappresentano le due parti sensibili dell’anima, la concupiscenza e l’ira; altrimenti sarebbe precipitato verso il basso trovandosi privato della conoscenza e della capacità quindi di procurarsi una vita eccellente.

Platone ci dice infatti che dalla razionalità dipende la capacità di condursi ed orientarsi nel “mare del secolo” e di condurre la pòlis con giustizia ed equilibrio, secondo verità.

Ma venendo a ciò che ci è più prossimo, siamo indotti dalla storia a renderci conto di due fattori che obbligano qualsiasi discorso pedagogico a porsi sul piano di una conoscenza che non è facilmente assimilabile al senso comune o al buon senso in generale. Il primo l’abbiamo già introdotto ed è il fine dell’educazione intesa come sviluppo e potenziamento delle facoltà razionali considerate come guida, in funzione della scelta libera da vincoli soggettivi e situazionali.

Il secondo è la comprensione delle procedure razionali generali che caratterizzano il pensiero scientifico per poterne insegnare i principi.

Si tratta infatti di comprendere come funzionano i processi psicologici effettivi che contraddistinguono l’uso della ragione ma si tratta anche di comprendere quale sia il risultato concreto di tali processi nel mondo contemporaneo. La teoria della logica e l’epistemologia assolvono a quest’ultimo compito rendendo evidenti i tratti dell’uso valido dell’intelligenza attraverso lo studio dei teoremi logici fondamentali, delle procedure del ragionamento, della costruzione dei concetti e della natura della concezione scientifica del mondo.

La pedagogia si stacca quindi felicemente dai luoghi comuni con le ricerche psicologiche di Piaget.Infatti, lo “studio del bambino” proposto dall’autore, è uno studio di epistemologia genetica. Il celebre psicologo e pedagogista, già direttore dell’Istituto Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, si propone di comprendere i processi psicologici sottostanti al comportamento cognitivo umano per capire come sia possibile l’evoluzione del pensiero in vista dello sviluppo del pensiero scientifico. Sulla base di strumenti concettuali logico matematici, Piaget valuta lo sviluppo dei ragionamenti dall’infanzia all’adolescenza. Da ciò emergono bene i rapporti che esistono tra gli schemi formali della logica e i processi ad essi sottostanti. Mettendo in luce le differenze tra diversi stadi di sviluppo, Piaget assolve al suo compito. Identifica infatti i due aspetti della pedagogia accennati:

– Gli effettivi processi psicologici sottostanti al ragionamento.

– La natura del ragionamento stesso espressa come procedura logico formale in atto.

Si comprende quindi la natura adattiva e attiva del pensiero intesa nei termini di “assimilazione e accomodamento”, che sono invarianti dello sviluppo relative all’adattamento dell’organismo all’ambiente e che determinano le differenti qualità di ragionamento nelle diverse età. Diventa più chiara quindi la natura formale della logica e la flessibilità del pensiero formale rispetto alle modalità di pensiero negli stadi precedenti l’adolescenza. Si comprende anche che le abilità di seriazione e di classificazione sono condizioni empiriche della numerazione e si vede quindi che esiste una differenza effettiva tra la realtà psichica e la definizione formale di numero elaborata dalla matematica (che considera solo le classi), differenza che può incidere sull’apprendimento.

Dal pragmatismo di Dewey invece si diparte la grande teorizzazione pedagogica che caratterizzerà la concezione della scuola americana del ‘900, almeno fino al 1959 quando le critiche bruneriane al pragmatismo stesso, espresse nella conferenza di Woods Hole, porteranno ad una riforma scolastica che avvierà il paese al successo nella competizione con l’Unione Sovietica per la corsa allo spazio.

Anche in questo caso si inizia dalla comprensione della natura della conoscenza, dell’esperienza e dei modi di elaborazione dell’esperienza.

E’ sufficiente citare il titolo del saggio del 1910 How we think, Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione, per comprendere che quando si parla di educazione non si può prescindere dal considerare la formazione del pensiero, ovvero dei modi di elaborare ipotesi, giudizi, inferenze, concetti, ragionamenti validi ecc.

Le istanze suddette vengono espresse da Dewey in questa forma: “ imparare significa imparare a pensare”. “Sebbene non sia compito dell’educazione insegnare a dimostrare ogni affermazione pronunciata, non più di quanto lo sia insegnare ogni possibile nozione, è suo compito coltivare abitudini profonde ed efficaci nel distinguere le convinzioni verificate da mere affermazioni, congetture e opinioni[…]. Non importa quanto una persona conosca per sentito dire, se non ha abitudini di tal sorta non è intellettualmente educata[…]. La formazione di un tale habitus è la formazione della mente”.

Dewey non si limita ad una ricerca contemplativa di epistemologia, psicologia, e logica ma ricava da queste ricerche qualcosa di chiaramente volto a migliorare la scuola, per migliorare la società. Il discorso pedagogico si amplia quindi con la sociologia e la storia, la teoria delle organizzazioni e l’antrolpologia. Da ciò le opere Democrazia e educazione, Scuola e società, Il mio credo pedagogico.

La svolta bruneriana introduce alla pedagogia a noi più prossima cronologicamente. La scoperta di Bruner, che lo sviluppo cognitivo può sempre essere agevolato e potenziato, supera il puerocentrismo pragmatista e porta ad una concezione della scuola centrata sulla conoscenza, intesa questa come costruzione collettiva e situata dei concetti e dei significati.

Il culturalismo, che Bruner eredita da Vygotskij, offre lo sguardo su ciò che è eminentemente pedagogico, al di là dagli apprezzabili apporti delle altre discipline quali la psicologia e la sociologia. La cultura e la conoscenza infatti, per i due autori, non sono solo un sostrato interpsichico simbolico e semiotico condiviso, ma diventano nel corso dello sviluppo la base dell’identità individuale e la ragione delle differenze individuali. La cultura evolve e si alimenta della creatività dei singoli quando sono educati alla comprensione e alla produzione di senso.

Anche qui come nel pragmatismo, il problema dell’educazione e dell’istruzione può essere riportato ai modi e ai tempi in cui si sviluppano le strutture della conoscenza, che vengono definite da Bruner su tre fronti. La conoscenza attiva, legata alla prassi e al movimento, la conoscenza iconica costituita da immagini e la conoscenza simbolica, relativa ai concetti. La formazione dei concetti è studiata sperimentalmente da Bruner nel confronto tra risoluzione di problemi e teoria della logica per ricavare le regole che caratterizzano i processi psicologici effettivi che le persone usano nell’elaborazione dei contenuti della conoscenza e nella costruzione di concetti.

Da questo breve excursus si può comprendere quindi come sia storicamente impossibile riportare la pedagogia alla puericultura o alla cura, ma anche solo ad un’intuitiva “buona relazione” individuale vuota di progettualità e perciò sfavorevole ad una socializzazione funzionale a società complesse. In riferimento agli autori citati, possiamo invece affermare che la pedagogia è un campo multidisciplinare, che elabora filosoficamente concezioni dell’evoluzione sociale e culturale dell’uomo su basi deduttive/induttive, ermeneutiche e fenomenologiche, radicate sul terreno di ricerche empiriche in psicologia sperimentale, sociologia e antropologia. Lo scopo è organizzare tecnicamente l’educazione e le scuole per ottenere da esse il massimo risultato possibile nei termini di sviluppo umano, evoluzione culturale e qualità della vita.

Riferimenti bibliografici:

Renzo Tassi, Itinerari Pedagogici, 1999, Bologna

Marco Cerasti, La Pedagogia del ‘900, 1994, Genova

Patricia H. Miller, Teorie dello Sviluppo Psicologico, 1994, Bologna

Platone, Dialoghi, a cura di Carlo Carena, Milano, 1970

J. Dewey, How we Think, Boston, New York, Chicago, 1910


Massimo Fabi

Nato a Trieste nel 1968, mi sono laureato nel 1999 presso l'Università degli Studi di Trieste in Scienze dell'Educazione seguendo l'indirizzo per Esperti nei Processi Formativi. Ho scritto una tesi in Storia della Filosofia dal titolo Bontadini e il Dialogo con L'Idealismo incentrata sugli studi bontadiniani del gnoseologismo moderno e sull'intenzionalità del pensiero. Negli anni successivi, dopo aver seguito un master in Formazione dei Formatori e un corso di perfezionamento in Terapia della Famiglia, mi sono iscritto all'albo dell'Associazione Nazionale dei Pedagogisti (ANPE). Tuttavia, gli interessi per la logica e la filosofia della scienza, sviluppati all'università durante un tirocinio del prof. Alessandro Cortese, allievo di Bontadini, in Scrittura Filosofica, mi hanno seguito portandomi tutt'oggi a concentrarmi sulle problematiche relative all'analisi del linguaggio, alla coscienza critica, all'epistemologia, alla metafisica e agli aspetti fondazionali e metodologici delle scienze umane. Ho collaborato inoltre come Mentor dell'Università di Duke per il corso Think Again: Inductive Reasoning della piattaforma on line Coursera dell'Università di Stanford.

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