
1.0 Introduzione
Il testo proposto “C’è gioco e gioco” redatto dalla pedagogista Barbara Zoccatelli e dalla formatrice Angela Palandri vuole dimostrare brevemente come il gioco sia uno dei primi imprinting fondamentali nei bambini sin dalla fascia di età 0-3 anni. Il bambino, infatti, si prepara alla vita giocando, impara ad affrontare le difficoltà di questa e a trovare soluzioni ai problemi che gli si pongono davanti, dapprima sottoforma di gioco, più avanti a partire dall’adolescenza sottoforma di soluzioni pratiche intellettive. È proprio attraverso il gioco che i bambini imparano i propri punti di forza e i propri punti di debolezza: non a caso nei primi anni di vita i bambini sperimentano utilizzando tutto ciò che gli passa sottomano[1], proprio perché sono alla ricerca della propria dimensione. Nella parte successiva del testo le relatrici si soffermano su quali varie tipologie di giochi il bambino ha a disposizione (migliaia) e quali sono dimostrati come i più efficaci, inoltre si soffermano brevemente sul ruolo dell’educatore nei nidi di infanzia.
2.0 “Educatori e lavoro di cura”: filosofia e teoria.
Attraverso il tema dell’educatore, ci si può collegare direttamente a uno degli argomenti del corso di Pedagogia Sociale, ovvero quello degli “Educatori e lavoro di cura”, dove Noddings specificava che “ogni persona vorrebbe essere oggetto di cura […] e che il mondo sarebbe un luogo migliore se tutti noi ci curassimo di più gli uni degli altri”[2].
E nei secoli, ma soprattutto dopo il periodo degli illuministi e soprattutto dalla metà dell’1800, si è capito che nessuna società può prosperare se dietro non c’è un apparato educativo e sociale dove le persone si prendono cura le una delle altre. Un teorico fondamentale del concetto della cura è stato il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889 – 1976) che in diversi saggi, ma specialmente in Essere e tempo del 1927[3], specifica che la cura è quella persona (teorizzata poi più avanti dai pedagogisti contemporanei) che dà forma all’essere e che fa agire secondo delle intenzioni specifiche.
Con questo concetto ben ci si ricollega dunque alla sperimentazione degli infanti nei giochi che per primi, attraverso l’aiuto o meno dei genitori, cercano soluzioni ai problemi. Passando attraverso il pensiero di vari filosofi (oltre il già citato Heidegger, sicuramente il fondatore di questo concetto di Cura[4]) si è arrivati a varie diramazioni:
- “La mancanza d’essere” dove la cura è necessaria dal principio per trovare una personalità propria;
- “La relazionalità dell’esserci” ovvero il bisogno delle persone gli uni degli altri (fra gli altri il rapporto educatore-bambino e viceversa);
- “Relazionalità e dipendenza” concetto che rafforza ancora più la fragilità degli esseri umani come figure solitarie e delle dipendenze naturali che si devono sviluppare per poter crescere come individui;
- “La direzionalità della cura” ovvero le varie sfaccettature che la cura detiene come la cosiddetta merimna, parola greca che si riferisce alla cura come preoccupazione per la sopravvivenza, all’attenzione necessaria per preservare la vita. È la cura istintiva, quella che ci spinge a proteggerci dai pericoli e a soddisfare i bisogni primari. La therapeia che va oltre la semplice sopravvivenza e si concentra sulla guarigione, sia fisica che emotiva. E infine, la epimeleia che rappresenta il livello più elevato di cura, quello che si assume la responsabilità dell’esistenza altrui per favorirne la piena realizzazione. È la cura che educa, che accompagna, che sostiene la crescita e lo sviluppo. Questa forma di cura è strettamente legata all’educazione, intesa come processo di coltivazione dell’essere umano.[5]
Scrive Luigina Mortari[6], professoressa ordinaria di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Verona:
“C’è un intreccio prezioso tra relazione ed educazione e queste, a loro volta, sono strettamente connesse alla cura […] La cura risponde a un bisogno essenziale: il bisogno di trovare qualcuno che ci aiuti a divenire quello che possiamo divenire.”[7]
2.1 I servizi educativi per l’infanzia: la pratica.
Nella seconda parte del testo “C’è gioco e gioco” le relatrici mettono in risalto vari intrecci, ovvero: il ruolo che hanno i giochi di qualità nella crescita dei bambini, il ruolo che gli educatori svolgono nei nidi, il ruolo che ha l’enviroment circostante il gioco, vale a dire l’ambiente circostante.
Gli asili nido devono la loro nascita alla legge n°1044 del 6/12/1971[8]. Inizialmente citando l’art.2 lo scopo dei nidi era quello di “provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale”[9]. Oggi giorno rimane sicuramente attuale questo articolo, tuttavia per fortuna, rispetto al passato le donne sono molto più integrate a livello sociale rispetto all’epoca.
I nidi sono il primo processo (nota bene, non sono un obbligo, come lo sono poi gli step scolastici successivi) in cui i bambini hanno il contatto con degli educatori professionisti del settore che si prendono cura del loro benessere e della loro crescita. Essendo infatti il bambino dai 0 a 3 ancora totalmente dipendente dagli adulti ha un assoluto bisogno di una guida. I nidi sono dunque dei contesti di crescita dove i bambini vengono stimolati già dai primi mesi dalla loro vita soprattutto attraverso il metodo del gioco. L’osservazione da parte dell’educatrice britannica Elinor Goldschmied[10] (1910-2009) del fatto che i bambini soprattutto nella fascia 1-2 tendono a scoprire il mondo attorno a loro stessi attraverso la manipolazione delle cose attorno a loro, ha portato al concetto di “gioco euristico”[11] (dal greco eurisko, scoperta). La funzione principale del gioco euristico è proprio quello di favorire la scoperta, e quindi la conoscenza autonoma, delle cose: uno dei più noti giochi in questa forma è il cosiddetto “cesto dei tesori”.
Nel testo della Zoccatelli e della Palandri, esse sostengono come i nidi siano delle “officine del fare” e proprio per questo dovrebbero “arricchire la propria offerta educativa dedicando uno spazio fisico […] dove le idee e le mani dei grandi danno forma ai giochi dei piccoli”. Infatti, in questa fase della loro vita i bambini manipolano, toccano, assemblano e spostano gli oggetti in maniera non casuale (anche se potrebbe sembrare diversamente): compito di un buon educatore è quello di raccogliere questi feedback e trasformarli in una materia di ulteriore crescita e gioco per i bambini che in questo periodo assimilano tantissimo ciò che gli viene proposto.
Osservare e ascoltare, Progettare, Documentare, Valutare sono i punti cardine che un buon educatore dovrebbe seguire: per farli propri un educatore deve affrontare un percorso di studio, come quello di questo corso di laurea, e deve affrontare un percorso sul campo lavorativo diretto. Il testo proposto sottolinea come la figura dell’educatore debba essere una figura proattiva e attiva in tutto questo il processo di crescita dell’infante[12].
3.0 Giochi Sociali e Acquisizione del Linguaggio – I Fondamenti dello Sviluppo Umano
I giochi e le interazioni sociali sono una delle componenti fondamentali attraverso cui gli esseri umani apprendono. Infatti, la necessità di una sperimentazione sicura in un ambiente protetto in cui le giovani generazioni possano imparare è condivisa in tutto il regno animale. In particolare, tutti i mammiferi sembrano intrattenere una qualche forma di gioco sicuro per consentire alla prole di crescere senza rischi di morte e lesioni.[13] Questo è particolarmente evidente anche nei predatori come i leoni, i cui gruppi di femmine sono socialmente basati poiché cacciano in gruppo.[14]I piccoli leoni non solo interagiscono tra i coetanei, ma anche con leoni adulti, di solito, ma non necessariamente, femmine. Anche gli scimpanzé sono animali sociali e si intrattengono in giochi sociali. Va detto che questi giochi sono spontaneamente parte di un addestramento generale in cui le giovani generazioni imparano a sopravvivere nella giungla o nella savana. È un requisito fondamentale per loro imparare a rotolare e a combattere senza rischiare la vita. La necessità di apprendere in ambienti sicuri attraverso attività che possano essere vantaggiose sia dal punto di vista cognitivo che dell’efficienza fisica è sicuramente condivisa anche dagli esseri umani.
Infatti, gli esseri umani crescono particolarmente lentamente e l’età adulta viene raggiunta dopo almeno sedici anni, quando l’adolescenza trasforma permanentemente il corpo e la mente dei giovani uomini e donne. Prima di raggiungere la maturità fisica, i bambini non sarebbero in grado di sopravvivere in natura senza la protezione fisica e il cibo fornito dai genitori e dalla loro comunità[15]. Tuttavia, durante quel periodo cruciale, il cervello è particolarmente suscettibile alla plasticità ed è allora che vengono plasmati gli aspetti più critici del processo di apprendimento umano.
Infatti, è tra 0 e 5 anni che i neonati e i bambini sono esposti per la prima volta al linguaggio e, se non lo fossero, potrebbero perdere per sempre la capacità di parlare, come mostrato nel brillante film Il Ragazzo Selvaggio del regista francese François Truffaut[16]. In quel film, il protagonista è un insegnante che cerca disperatamente di insegnare a parlare a un “ragazzo selvaggio” (in quel caso un bambino abbandonato nei boschi dai genitori e quindi sostanzialmente incapace di unirsi alla civiltà). “Gli insegneremo a vedere ed ad ascoltare”. Questo tema verrà abbondantemente trattato da Jean Itard, considerato il fondatore della pedagogia speciale.[17]
Tuttavia, come il film e la ricerca scientifica hanno poi dimostrato, gli esseri umani hanno bisogno di essere esposti al linguaggio e alla cura come visto all’inizio molto presto, altrimenti possono perdere la capacità cerebrale di acquisire il modo di parlare.
Il filosofo contemporaneo statunitense Noam Chomsky, per esempio, ha dimostrato come il linguaggio sia una caratteristica universale della mente, il cui addestramento precoce attiva “interruttori” attraverso i quali l’apprendista discrimina diverse tipologie di linguaggio a seconda della padronanza della sintassi[18]. Tuttavia, non c’è dubbio che l’acquisizione del linguaggio non sia un’attività solitaria ed è altamente sociale per natura. Infatti, l’apprendimento auto-rinforzato inizia piuttosto tardi, soprattutto quando si iniziano le scuole medie e superiori.
È interessante notare che il filosofo del linguaggio, l’austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951) sosteneva che il linguaggio è un insieme di giochi linguistici in cui le sotto-regole possono cambiare l’interpretazione ordinaria del linguaggio o addirittura creare nuovi significati.[19] I giochi linguistici si basano su come gli esseri umani considerano il linguaggio come parte della loro vita ordinaria, essenzialmente come qualsiasi altra parte della loro esistenza sociale e fisica. Le componenti sociali dei giochi linguistici sono essenziali per i bambini piccoli per imparare la lingua, poiché i genitori, e in particolare la madre a seconda di chi è il genitore più esposto alla crescita del neonato, stimolano continuamente passivamente e attivamente i bambini attraverso giochi linguistici. Svolgono anche un ruolo importante nel controllare i loro errori linguistici e nel trasmettere involontariamente l’accento della regione. Di conseguenza, i giochi e le interazioni sociali sono uno dei modi principali, anzi, il modo principale, attraverso cui gli esseri umani imparano a parlare e, attraverso di esso, imparano a comunicare e, di conseguenza, padroneggiano le abilità sociali che li rendono in grado di sopravvivere e prosperare.
3.1 Oltre il Linguaggio – I Giochi come Strumenti di Apprendimento per Buone Curve di Apprendimento
Tuttavia, sarebbe fuorviante presumere che il linguaggio da solo sia una delle componenti chiave del gioco sociale e di come il gioco ludico si inserisca in una richiesta pedagogica più ampia. La Palandri e la Zoccatelli affermano che “integrare gli aspetti fisici e cognitivi insiti nell’esperienza richiede molta cura e attenzione da parte dell’educatore”. Dunque, come abbiamo già considerato per i leoni e altri mammiferi, la sperimentazione ludica svolge un ruolo importante in qualsiasi processo di apprendimento umano, specialmente fisico. Soprattutto all’inizio, i neonati molto piccoli non sanno camminare e i loro movimenti sono molto goffi. Ancora una volta, imparano a navigare nel mondo solo attraverso un processo assistito di tentativi ed errori, poiché i genitori devono cooperare con il bambino piccolo per aiutarlo a sviluppare anche il senso della locomozione attraverso solo due gambe. Più in generale, in termini di pedagogia, non c’è modo semplice di sostituire il gioco, soprattutto in contesti sociali.[20]
Infatti, già gli antichi greci (come abbiamo visto sono fra i principali precursori di tutto il pensiero della pedagogia moderna) consideravano che l’apprendimento dovesse essere acquisito per fasi e attraverso attività sociali. Come esempio paradigmatico, la Repubblica di Platone potrebbe essere considerata uno dei testi più antichi sulla pedagogia della civiltà occidentale[21]. Il filosofo incentra in particolar modo lo scritto sul percorso ideale verso la filosofia, la regina delle scienze. Si presumeva che tutta la società studiasse a seconda del loro futuro tipo di impiego. Soprattutto i filosofi, che necessitavano di più tempo per studiare, erano continuamente esposti all’argomentazione dialettica attraverso l’apprendimento assistito tra i pari e l’insegnante. Questo modello di apprendimento attraverso l’interazione sociale nella simulazione ludica di vere dispute filosofiche ha gettato le basi per tutta la concezione classica della pedagogia, specialmente durante il Medioevo. Solo relativamente di recente i modelli di pedagogia hanno cercato di considerare più simulazioni, modellazioni e modi di apprendimento meno astratti per coprire più terreno su altri aspetti dello spettro di apprendimento.
4.0 Considerazioni finali attraverso l’esempio del gioco degli scacchi
Si è evinto come il processo di sviluppo dei bambini passi attraverso i giochi e attraverso l’aiuto consapevole mirato e consapevole dei genitori, degli educatori e degli adulti in generali con i quali vivono. Negli scacchi, per esempio, l’apprendimento di movimenti complessi e delle abilità cognitive passa attraverso il gioco sociale. In contesti scolastici, compresi gli asili nido e le scuole materne, gli istruttori di scacchi utilizzano scacchiere estese grandi quanto i bambini. I pezzi sono di solito ancora più alti a seconda dell’età. Gli istruttori di solito inventano giochi per i bambini in cui insegnano la geometria di base (muovendosi solo su colonne o diagonali) e le relazioni spaziali (dove posizionare i pedoni). Insegnano anche i principi di base della matematica (contando quanti cavalli e alfieri) e il rispetto delle regole sociali (ogni bambino deve muovere una volta alla volta).[22]
Ma secondo Giangiuseppe Pili, filosofo degli scacchi e giocatore di scacchi, l’esperienza di apprendimento più importante è semplicemente la disciplina e l’importanza delle informazioni fattuali.[23] Anche in una fase di sviluppo molto precoce, i giovani giocatori imparano a stare seduti (per quanto possibile), a fare operazioni mentali e a rispettare le regole.
Come osservò il filosofo idealista tedesco e dirigente scolastico Hegel, “la disciplina è l’unico modo per vincere il lato indisciplinato della natura umana, così da incanalare gli sforzi verso un comportamento sociale più produttivo.[24]” A questo proposito, gli scacchi, come gioco regale della nostra cultura, hanno abbracciato con successo questo ruolo, dimostrando come i principi pedagogici basati sui giochi sociali possano influenzare positivamente lo sviluppo delle giovani generazioni.
BIBLIOGRAFIA
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Dispense di studio del corso di Pedagogia sociale Prof. C. Macale – Prof.ssa A. Retinò – Prof. D. Apa
SITOGRAFIA
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https://www.aiutamiafaredame.it/il-gioco-euristico/
https://www.conoscereinformare.org/2024/09/20/pedagogia-educazione-heidegger/
[1] Ottavi, Dominique. “Gli evoluzionisti: pensare lo sviluppo.” Grandi pensatori dell’educazione.-(Scuola e Università; 4.0) (2018): 60-64.
[2] Noddings N. (2002). Starting at Home. Berkeley and Los Angeles, Los Angeles: University of California Press.
[3] Martin Heidegger, Essere e Tempo, traduzione di Alfredo Marini, Milano, Mondadori, 2017
[4] Mortari, Luigina. “Educatori e lavoro di cura.” Pedagogia oggi 15.2 (2017).
[5] Mortari, Luigina, and Marco Ubbiali. “Research for Children: An Ethics of Care in Action.” When Qualitative Researchers Care. 2017. 3030-3030.
[6] https://www.vitaepensiero.it/scheda-libro/luigina-mortari/sulletica-della-cura-9788834355428-395666.html
[7] https://mag.unitn.it/eventi/72812/chi-si-prende-cura-di-chi-cura
[8] Per una storia dell’evoluzione della donna nella società dopo l’istituzione di tale legge “Genere, legami materni e pedagogie narrate”: https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/women_education/issue/view/345
[9] Vd nota 7
[10] E. Goldschmied. Persone da 0 a 3 anni, crescere e lavorare nell’ambiente nido. Junior, Bergamo 1994
[11] Bilewicz-Kuźnia, Barbara. “The experimental approaches and creative mindsets of children in heuristic play.” Agathos 8.2 (2017): 197-211.
[12] Benetton, Mirca. “Le credenziali pedagogiche dell’educatore nel nido d’infanzia.” SCUOLA LAVORO E PROFESSIONI 16 (2017): 113-131.
[13] Bruner, Jerome, Alison Jolly, and Kathy Sylva, eds. Il gioco. Ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell’uomo. Vol. 4. Armando Editore, 1995.
[14] Vereni, P. “Il Gioco.” (2023).
[15] Batini, Federico, et al. “La lettura ad alta voce nell’infanzia: il ruolo dei genitori.” Lifelong Lifewide Learning 16.37 (2020): 26-41.
[16] Baraldi, Matteo. “I bambini perduti: il mito del ragazzo selvaggio da Kipling a Malouf.” (2006): 0-0.
[17] Itard, Jean M. Il fanciullo selvaggio dell’Aveyron. Armando editore, 2007.
[18] https://www.scuolafilosofica.com/465/critiche-a-chomsky
[19] https://www.scuolafilosofica.com/5810/le-ricerche-filosofiche-secondo-wittgenstein
[20] Milan, Giuseppe, and Emma Gasperi. Una città ben fatta. Il gioco creativo delle differenze. Pensa Multimedia, 2012.
[21] Plato, et al. La repubblica. Vol. 28. Bibliopolis, 1998.
[22] Cavazzoni, Carlo Alberto, et al. Il castello degli scacchi: fiabe e leggende per imparare il gioco degli scacchi: la battaglia più antica del mondo che non fa male a nessuno. Le due torri, 2008.
[23] Pili, Giangiuseppe. “Un mistero in bianco e nero.” La filosofia degli scacchi, Le due Torri, Bologna (2012).
[24] Dispense di studio del corso di Pedagogia sociale Prof. C. Macale – Prof.ssa A. Retinò – Prof. D. Apa
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