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Linguistica Italiana – Minimi linguistici in “Fontamara” di Ignazio Silone

  • 1. Introduzione:

Ponendo come massima d’ispirazione generale, ed assunto fondamentale del carattere d’indagine, l’idea che il socialismo sia naturalmente intrinseco alla classe proletaria[1], appare necessario conciliare questo caposaldo con un accurato ricamo del tessuto linguistico quando la finalità è quella di romanzare la realtà contadina di un piccolo paesino, fondato interamente sul lavoro nei campi ed improvvisamente portato in rovina dall’oppressione fascista. Tale è lo spirito fondamentale del romanzo Fontamara di Ignazio Silone, pubblicato nel 1930 in Svizzera[2] con l’intento di raccontare, in termini vagamente autobiografici ed amaramente ironici, una realtà in cui l’autore stesso crebbe, da cui scaturirono gli ideali rivoluzionari che lo portarono ad aderire nel 1921 al Partito Comunista (Cassata in Silone 1978:7).

Dando per assodato che il fondamento politico-filosofico del romanzo è da riscontrarsi negli ideali socialisti di lotta contadina (d’Orlando 2020), l’interesse del presente articolo si orienta sulla dimensione linguistica del romanzo, andando pertanto ad indagare come le scelte linguistiche siloniane abbiano permesso di far aderire il romanzo al sentimento di lotta contadina di cui l’opera è ricca testimonianza. Il presente lavoro si premura dunque di impiegare una metodica analitica e scientifica di approccio alla patina linguistica del romanzo, con particolare accento posto sui livelli di lessico e sintassi[3]. Sarà premura del presente articolo dimostrare come la scelta della varietà di italiano substandard in determinati e strategici contesti comunicativi del romanzo sia fondamentale e rendere fedelmente l’effetto di sviluppo degli ideali socialisti in una realtà composta da contadini privi di istruzione alcuna, se non quanto più basilare, divergente dalla realtà autoriale di Silone, personalità di grado d’istruzione relativamente alto[4]. L’interesse linguistico del presente lavoro è giustificato dalla cura che Silone pose nell’intessitura della prosa, ornandola con preziosi minimi linguistici che rimandano alla dimensione di riferimento sopracitata, è pertanto mia premura invitare l’occhio critico che si approcci alla materia siloniana a prestare attenzione a come le scelte linguistiche, qui definite minimi linguistici, accrescano notevolmente il valore genere di un’opera che un assoluto capolavoro del suo genere.

L’idea di partenza si basa sull’assunto proposto da Berruto (1987:21) con lo schema di variazione linguistica, tramite il quale è possibile attribuire ai cafoni del romanzo una competenza denominata substandard (altresì italiano popolare). Fine ultimo è quello di indagare i minimi linguistici del romanzo per dimostrare come la cura del tessuto sia ricamata in direzione di una fedele resa delle condizioni socio-culturali dei cafoni.

  • 2. Lessico: la scelta di toponomastica e onomastica

Il primo livello di interesse della presente analisi linguistica riguarda le scelte lessicali compiute da Silone. Mirando a riprodurre, seppur con relativa attinenza autobiografica, una realtà attuale ed esistente trasposta in un paese inesistente, scelta che permise all’autore di aggirare la censura in quanto romanzo di denuncia, è fondamentale osservare come i lessemi di denominazione impiegati da Silone siano sintomatici della realtà veicolata dal romanzo.

Sul fronte della toponomastica, la scelta risulta quasi interamente attinente alla realtà, tutti i luoghi citati, quali Fucino, Marsica, Fossa e Sulmona, sono realmente presenti nella geografia abruzzese. L’unico luogo effettivamente inesistente risulta essere il paese principale d’ambientazione, Fontamara. La scelta della toponomastica è piuttosto ironica, il nome si compone di due morfemi lessicali, font-e e amar-a, che si fondono con caduta del morfema grammaticale flessivo della prima parola, il vocoide anteriore medio-alto /e/. Semanticamente, il nome è funzionale ad evocare la vicenda perno del romanzo, l’indebita ed ingiusta appropriazione della fonte d’acqua che giungeva a Fontamara, che dunque acquista un significato di amarezza per i fontamaresi.

Maggiormente peculiare è invece la scelta dell’onomastica. In primis, è fondamentale porre una distinzione di fondo tra le due categorie più generali di personaggi figuranti nel romanzo: i cafoni sono contadini, tanto di Fontamara quanto di altri paesi purché appartengano a tal classe di lavoratori[5], sono persone di bassa estrazione sociale, prive di istruzione e dunque costantemente soggiogate dai cittadini, ossia le persone di maggior estrazione sociale, dai proprietari terrieri sino ai governati[6]. I nomi dei cafoni oscillano tra la dimensione contadina (si vedano i vari Scarpone, Cipolla, La Zappa e Uliva) e la dimensione religiosa, assolutamente centrale nella realtà del paese (si vedano i vari Venerdì Santo, Ponzio Pilato, Maddalena e Dalla Croce). Due casi d’eccezione figurano tuttavia: Teofilo, i cui due confissi (prefissoide Theos e suffissoide philos) lasciano intendere l’appartenenza alla dimensione religiosa, egli è difatti il sacrestano ed unico abitante di Fontamara a padroneggiare correttamente il latino; Baldovino, nome di derivazione medio-orientale, è stato a lungo nome di Crociata[7] e nome regale[8], divenendo poi nome proprio di asino, attestato con tal accezione in Rutebeuf[9] e successivamente in Cecco Angiolieri[10] e Cino da Pistoia[11], dunque nel presente contesto funge da indicatore d’appartenenza al lavoro della terra nonché da indicatore d’ignoranza, in termini relativamente più compassionevoli che dispregiativi.

Totalmente differente è l’onomastica dei cittadini, che oscilla tra la dimensione legislativa, con i personaggi di Innocenzo La Legge e don Circostanza, di cui si pone in risalto la particella don anteposta non come titolo religioso ma nobiliare[12], ed il nome auto-esplicativo della capacità di sfruttare le circostanze a proprio favore, e la dimensione prettamente nobiliare con i personaggi di Clorinda (nome composto dal prefissoide greco Clori e dal suffissoide -linda di origine germanica), don Carlo Magna, il cui cognome può essere inteso come derivato dal latino magnus o come forma metatetica, tipicamente romanesca e centro-italiana, di mangia, sintomatico della ricchezza e prosperità di beni alimentari del personaggio, ed infine Filippo il Bello, nome altisonante e regale[13]. Appare dunque chiaro come Silone abbia dedicato particolare cura ed attenzione alle scelte dell’onomastica dei propri personaggi, in conformità con la volontà di restituire un immaginario tipico popolare e contadino che contraddistingue Fontamara e di impregnare magistralmente la propria prosa di una satira di furore popolare e contro la ricchezza dei pochi.

 

  • 3. Ulteriori scelte lessicali di Silone:

Come ampiamente spiegato nel §2, il personaggio di Teofilo risulta essere l’unico in grado di maneggiare il latino in maniera corretta. Analizzando i precedenti letterari, ricorre immediatamente alla mente il capitolo II dei Promessi Sposi con l’impiego del latino da parte di Don Abbondio per distrarre Renzo dal fatto originale[14], e nonostante le convergenze tra personaggi, l’impiego del latino da parte di Teofilo figura come orazione religiosa[15], una preghiera per la salvezza durante uno scontro armato a Fontamara. La resa fonografica del latino dimostra una certa distanza tra Silone come autore del romanzo, che riporta una retrospezione di quanto accade, e Silone personaggio compartecipe delle vicende di Fontamara, la capacità di trascrivere in latino con morfosintassi impeccabile dimostra una competenza di lingua latina che rivela il vero volto di cultura di Silone, discostandolo momentaneamente dalla realtà dei cafoni.

L’italiano substandard, o popolare, proprio dei cafoni di Fontamara si rivela nella categoria del lessico tramite una proprietà di linguaggio notevolmente ridotta, che si concretizza nell’impiego di una terminologia generale, per nulla specifica o settoriale, che mai oltrepassa la barriera dello standard e genera immediate ambiguità quando arriva a toccare l’italiano burocratico. Si noti, ad esemplificazione di ciò, l’impiego del termine generico carta per indicare un contratto, lessema che viene inserito da Silone “autore”, ma che diversamente permane come estraneo al lemmario dei cafoni, ed ulteriormente si noti l’ambiguità generata dal termine lustro nei cafoni, i quali non sono in grado di riconoscere l’eguaglianza tra cinquant’anni e dieci lustri.

Il lemmario impiegato da Silone nel romanzo contribuisce a restituire una prosa affabile, rimanendo ancorato ad un carattere sostanzialmente popolare. Le scelte lessicali sono totalmente basiche ed inoltre prive di latinismi, grecismi, forestierismi o preziosismi alcuni. Vi è invece grande abbondanza di lessico attinente alla dimensione contadina, sintomatico della profonda conoscenza che ogni cafone ha di questo argomento, ed alla dimensione religiosa, in quanto il Cristianesimo figura come perno, come punto di riferimento fondamentale, incontrovertibile ed incrollabile nella vita dei fontamaresi.

Non mancano tuttavia in questo livello d’analisi dei minimi[16] linguistici di grande interesse, in particolar modo si fa riferimento a due scelte lessicali relativamente inusuali. Nello specifico, tenendo a mente l’ambientazione di questi minimi nella sezione di narrazione del soggiorno di Berardo a Roma, risultano piuttosto impropri del contesto il termine persica, impiegato per indicare la pèsca, ed il termine scialarsela (Silone 2016:149). Andando per gradi, il termine persica è corretto da impiegare nell’ambiente romano poiché questo lessema risulta essere una variante dialettale, propriamente romana ed in tal ambiente confinata, ma risulta alquanto assurdo pensare che in pochi giorni Berardo abbia acquisito una tal competenza lessicale da padroneggiare un dialetto diverso dal suo. Ancor più peculiare risulta invece la scelta di scialarsela, un lessema dialettale proprio dell’ambiente siciliano, attestato in Luigi Capuana[17], Luigi Pirandello[18] e Andrea Camilleri[19]. L’attestazione del lessema anche in Matilde Serao[20] lascia tuttavia pensare che questo non fosse confinato all’ambiente siciliano, ma, ritenendo valida la demarcazione tra italiano di centro-Italia e italiano meridionale tracciata dall’isoglossa Ancona-Roma[21], è piuttosto ardito pensare che il lessema avesse sconfinato con tal portata da divenir proprio anche di un cafone.

  • 4. Scelte siloniane di sintassi

Il tessuto sintattico di Fontamara risulta essenzialmente paratattico, affabile, talvolta monotono e ripetitivo, anche per il basso grado di variazione del lemmario impiegato. L’uso di paratassi a sostituzione dell’ipotassi rende chiaramente l’idea di un’estrazione socioculturale bassa, evitando la complicazione dei periodi si evita anche l’impressione di restituire delle vicende caratterizzanti dei parlanti colti. Particolarmente sintomatico della ripetitività lessematica e della monotonia sintattica è la scelta stilistica impiegata nel passaggio in cui il sermone di protesta di Berardo nei confronti del prete contiene una ripetizione perpetrata per un totale di ventidue volte del lessema pane (Silone 2016:113). La scelta di non impiegare la tecnica del tema sospeso, o altresì di non impiegare elementi anaforici o deittici, permette di focalizzare l’attenzione del lettore sul lessema in questione e lascia trapelare un senso di amara ironia, che difatti è proprio delle parole di Berardo.

Come già s’è reso noto, la tecnica alla base della prosa siloniana si fonda sull’idea di sdoppiamento della propria personalità rapportata alle vicende, a seconda della più o meno ampia distanza che lo separa da quella realtà. All’approccio con il romanzo si giunge a credere, a buon diritto, che le vicende abbiano un solido fondamento autobiografico, velato dalla finzione atta ad aggirare la censura del regime fascista. La biografia di Silone lo vede infatti cresciuto in un paesino dell’Abruzzo, fondato sulla tradizione contadina ed in cui figurano, con debito orgoglio autoriale, innumerevoli cafoni. Pertanto, quando Silone deve rapportarsi alle vicende narrate sceglie di mediare tra le due tecniche di presa diretta e retrospezione, con conseguenti differenzi sul piano della sintassi. La vicinanza autoriale alle vicende, in forza di una contiguità diretta tra la realtà biografica dell’autore e quanto raccontato nel romanzo, permette di far figurare Silone come un cafone egli stesso, compartecipe del sentimento degli altri contadini e della realtà socioculturale del paese, il che si traduce in una prosa basilare, estremamente affabile e paratattica, discorsiva e dal lemmario semplice. Rovescio totale della situazione si ha invece quando figura la distanza effettiva che Silone sperimenta al momento della narrazione, egli si trova in confino forzato in Svizzera, il che gli ha permesso tuttavia di consolidare la propria base culturale e di imporsi nel panorama autoriale. Al manifestarsi di questo distacco sostanziale si avverte una netta demarcazione dal punto di vista sintattico, s’intravedono timidi ma significativi procedimenti ipotattici, si amplia il lemmario con l’uso ricorrente di sinonimi e si dimostra un approccio consapevole alle vicende di cui, invece, i cafoni non sono che vittime immobili.

La distanza autoriale che Silone assume si traduce anche nelle scelte di resa fonografica. Nel panorama del novecento sono svariati gli esempi di gran valore di autori che, per rendere fedelmente la realtà raccontata, restituiscono fedelmente anche il dialetto parlato, con appropriata resa fonografica, spiccano i nomi del lucano Pasquale Festa Campanile e di Anna Maria Ortese nelle sue trasposizioni letterarie di Napoli[22]. La scelta di Silone invece non protende in questa direzione, i dialoghi sono resi interamente in italiano standard, per quanto sia possibile convenire univocamente che il dialetto parlato in un paesino abruzzese degli anni ’20-’30 differisse, e non marginalmente, da quello che è l’italiano standard: secondo le rilevazioni effettuate all’altezza del 1911 l’analfabetismo era stato notevolmente ridotto, raggiungendo il 40%, un dato ben poco confortante se si tiene conto che, all’altezza del rilevamento effettuato nel 1951, ancora il 66% della popolazione italiana risultava dialettofona[23], senza dubbio una stima in calo vertiginoso rispetto alla realtà immediatamente post-unitaria, debitrice anche dell’austera politica repressiva attuata dal regime fascista, ma trattasi in ogni caso di un dato che permette d’affermare a buon diritto che attribuire la competenza, su diamesia orale, di italiano standard ai cafoni sarebbe un assurdo caso di sovrastima. È tuttavia possibile convenire, o quantomeno ipotizzare, che la scelta di Silone di adottare un italiano puramente standard non fosse finalizzata ad evitare qualsivoglia tipo di censura linguistica o ad un’inesperienza dell’autore del dialetto locale, si tenga conto che Silone stesso nacque a Pescina de’ Marsi, quanto più alla prospettiva di raggiungere un pubblico di ampiezza ben maggiore tramite l’eliminazione di una patina dialettale che altresì risulterebbe oscura per il pubblico distante dalla realtà abruzzese.

  • 5. Conclusione:

Come s’è premurato di dimostrare il presente articolo, le scelte di Silone, seppur mascherate dietro una prosa che tendenzialmente, per quanto affabile, rasenta lo standard, permangono impresse nella memoria del lettore attento che vi si approcci con sguardo critico, e presentano un alto tasso di interesse linguistico. Tanto il livello lessicale quanto quello sintattico sono orientati verso la realtà contadina, essenzialmente popolare, di bassa estrazione ed istruzione, talvolta restituendo un minimi linguistici riconducibili al substandard, magistralmente ricamato da mano colta, e talvolta veicolando il messaggio tramite il velo d’amara ironia che è proprio del romanzo in questione.

Il romanzo di Silone, dunque, presenta un linguaggio solo apparentemente piatto, ma ricco di memorabili minimi linguistici che si prestano all’occhio attento. È dunque doveroso ed a buon diritto affermare che Silone abbia reso giustizia e giusta memoria alle lotte contadine, in nome di un ideale socialista che tutt’oggi, piegato dalla svolta capitalista, non ha perso il suo vigore. Grazie alle pagine di Silone, nel soffocante e frenetico mondo moderno ancora soffia il vento di rivolta.

Bibliografia delle opere impiegate per l’analisi:

Baldi 2005 = Baldi G., Fontamara: ottica dal basso, straniamento e comico antifrastico, in Baldi G., Eroi intellettuali e classi popolari nella letteratura italiana del Novecento, Liguori, 2005, pp. 255-276

Berruto 1987 = Berruto G., Sociolinguistica dell’Italiano contemporaneo, Carocci Editore, Roma, p. 21

Berruto, Cerruti 2022 = Berruto G., Cerruti M., La linguistica, Un corso introduttivo, III edizione, D Scuola, Milano, 2022

Bonomi 2010 = Bonomi I., Le strutture dell’italiano, in Masini A., Bonomi I., Piotti M., Morgana S., Elementi di linguistica italiana, Carocci Editore, Roma, 2010

Brioschi, Di Girolamo, Fusillo 2021 = Brioschi F., Di Girolamo C., Fusillo M., Introduzione alla letteratura, Carocci Editore, Roma, 2021

Casadei 2013 = Casadei A., Il Novecento, II edizione, Il Mulino, Bologna, 2013

Cassata 1978 = Cassata M. L., Introduzione, in Silone I., Paese dell’anima, Edizioni A.P.E. Mursia, Varese, 1978

Cortelazzo 1972: Cortelazzo M., Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, III: Lineamenti di italiano popolare, Pacini, Pisa, 1972, p.11

D’Achille 2019 = D’Achille P., Breve grammatica storica dell’italiano, Carocci Editore, Roma, 2019

De Mauro 1970 = De Mauro T., Per lo studio dell’italiano popolare unitario, p.49, in Rossi A., Lettere di una tarantata, De Donato, Bari, 1970

Ferrari 2019 = Ferrari A., Che cos’è un testo, Carocci Editore, Roma, 2019

Marazzini 1998 = Marazzini C., Lingua italiana: profilo storico, Il Mulino, Bologna, 1998

Masini 2010 = Masini A., L’italiano contemporaneo e le sue varietà, in Masini A., Bonomi I., Piotti M., Morgana S., Elementi di linguistica italiana, Carocci Editore, Roma, 2010

Mieli 2005 = Mieli P. (direzione generale di), La letteratura italiana, I contemporanei, RCS Quotidiani, per Corriere della Sera, Milano, 2005

Piotti 2010 = Piotti M., Elementi di testualità, in Masini A., Bonomi I., Piotti M., Morgana S., Elementi di linguistica italiana, Carocci Editore, Roma, 2010

Silone 2016 = Solone I., Fontamara, Oscar Mondadori, Milano, 2016

Silone 1978 = Silone I., Paese dell’anima, Edizioni A.P.E. Mursia, Varese, 1978

Silone 1998 = Silone I., Romanzi e saggi, Mondadori, Milano, 1998

Spinazzola 2010 = Spinazzola V., L’esperienza della lettura, Edizioni Unicopli, Milano, 2010

Bibliografia delle opere citate:

Angiolieri = Angiolieri C., Rime, XIII sec., in Angiolieri C., Cavalli G. (a cura di), Rime, BUR, Milano, 1979

Balestrini 1971 = Balestrini N., Vogliamo tutto, Feltrinelli, Milano, 1971

Camilleri 1992 = Camilleri A., La stagione della caccia, Sellerio, Palermo, 1992

Camilleri 1980 = Camilleri A., Un filo di fumo, Garzanti, Milano, 1980

Capuana 1894 = Capuana L., Il Raccontafiabe, Bemporad, Firenze (Tip. S. Landi), 1894

Festa Campanile 1983 = Festa Campanile P., La nonna Sabella, Tascabili Bompiani, Milano, 1983

Levi 1945 = Levi C., Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Firenze, 1945

Manzoni 1840 = Manzoni A., I Promessi Sposi, ed. 1840, cap. II, p.35

Marx, Engels 1848 = Marx K., Engels F., Togliatti P. (traduzione di), Manifesto del Partito Comunista, Editori Riuniti, Roma, 2017 (1° ed. originale, 1848)

Ortese 1993 = Ortese A. M., Il mare non bagna Napoli, Einaudi, Torino, 1953

Pirandello 1904 = Pirandello L., Il fu Mattia Pascal, 1904, in Nuova antologia di lettere, scienze ed arti, Serie 4 v. 111 1904 p. 245-273, Roma

Rutebeuf = Rutebeuf, Li testament de l’asne (fabliau), Ms. L (cc. 4v – 5r) e NRCF n.III

Segre 2010 = Segre C., Dieci prove di fantasia, Einaudi, Torino, 2010

Serao 1881 = Serao M., Cuore infermo, F. Casanova, Torino, 1881

Silone 1965 = Silone I., Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze, 1965

Opere che hanno ispirato il presente lavoro:

d’Orlando 2020 = d’Orlando V. Per una lettura gramsciana di Fontamara d’Ignazio Silone in Cimini M., Ignazio Silone o la Logica della privazione, Atti del Convegno Internazionale di Studi Caen (7 Febbraio 2019) Pescina (23-24 Agosto 2019), Casa Editrice Carabba, [17 p.], 2020, (Convegni e celebrazioni), 978-88-6344-585-5. ffhal-02562014f

Campo 2002 = Campo V., La bicicletta della narrativa scolastica, 2002, in Tirature ’02, I poeti fra noi. Le forme della poesia nell’età della prosa, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2002

Mineo 2020 = Mineo N., Letteratura italiana del Ventennio tra le due guerre e Fontamara, Università di Catania, 2020

Negri, Tagliani 2021 = Negri A., Tagliani R., Fictio, Falso, Fake, Sul buon uso della filologia, Ledizioni Ledipublishing, Milano, 2021

Piotti 2019 = Piotti M., Minimi linguistici nei film di Carlo Verdone, Università degli Studi di Milano, Italiano LinguaDue, n. 1. 2019.

[1] Con riferimento alle teorie di Marx ed Engels espresse nel Manifesto (cfr. Marx, Engels 1848).

[2] Al momento della pubblicazione l’autore si trova in Svizzera per esilio forzato dall’oppressione fascista. A tale altezza diacronica ancora non è pervenuta la notizia della morte del fratello Romolo (1932), la cui personalità sarà ispirazione per il personaggio di Berardo.

[3] L’analisi si limita a tali due livelli poiché la scelta linguistica di Silone non prevede una resa fonografica del dialetto impiegato nel paesino abruzzese, impedendo per tanto un qualsivoglia tipo di analisi fonomorfologica.

[4] Il cursus studiorum di Silone, nato a Pescina dei Marsi, comincia a Roma, prosegue a San Remo sotto la guida di Don Orione e si consolida in Svizzera, con l’ingresso dell’autore nella Repubblica delle Lettere.

[5] Il termine è attestato anche nel capolavoro autobiografico Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (cfr. Levi 1945).

[6] “La legge è fatta dai “cittadini”, è applicata dai giudici che sono “cittadini”, è interpretata dagli avvocati che sono tutti “cittadini”. Come può un contadino aver ragione?” (Silone 2016:69).

[7] L’eco contemporaneo è sottolineato dall’impiego del nome nella versione romanzata della Chanson de Roland proposta da Cesare Segre (2010) come onomastico del figlio di Gano di Maganza, patrigno di Orlando e marito di Berta.

[8] Cfr. Baldovino Conte di Fiandra, XIII sec.

[9] Cfr. Rutebeuf, Li testament de l’asne, v.78 (1252 circa).

[10] Cfr. Cecco Angiolieri, Stando lo Baldovino dentro un prato, dalle Rime.

[11] Cfr. Cino da Pistoia, “di così fatta gente balduina”.

[12] L’espediente era solito essere impiegato dapprima nella realtà nobiliare spagnola, Cervantes stesso impiega la particella nel nome del hidalgo Don Quijote de la Mancha, ed il medesimo utilizzo è fatto, tra i tanti, dal Manzoni, con la contrapposizione tra don Abbondio, effettivamente membro del Clero, e don Rodrigo, appartenente alla classe nobiliare.

[13] Cfr. Filippo il Bello di Fontainebleau, re di Francia dal 1285 al 1314.

[14] ““Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”, sono le parole di Renzo che ricorrono durante il colloquio con Don Abbondio (cfr. Manzoni 1840).

[15] “libera nos Domine, libera nos Domine. Ab omni malo libera nos domine. Ab omni peccato, libera nos Domine. Ab ira tua, libera nos Domine. A subitanea et improvisa morte, libera nos Domine. A spiritu fornicationis…” (Silone 2016:96-97).

[16] Il termine fa riferimento ad espedienti linguistici peculiari che si inseriscono in una prosa tendenzialmente regolare e, seppur non vadano ad alterarne la struttura generale, la impreziosiscono dando prova di raffinata elaborazione (cfr. Piotti 2019).

[17] Capuana 1894.

[18] Pirandello 1904.

[19] In Camilleri figurano nove attestazioni, tra le quali in romanzi quali Camilleri 1980 e Camilleri 1992.

[20] Serao 1882.

[21] Il termine definisce una linea tracciata che crea una demarcazione tra i dialetti italiani centrali e quelli meridionali (cfr. Marazzini 1998).

[22] Cfr. Festa Campanile 1983 e Ortese 1953.

[23] Le statistiche provengono da Sabatini F., Lingua del novecento, 2011, per Treccani Online: https://www.treccani.it/enciclopedia/lingua-del-novecento_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/, https://www.treccani.it/


Simone Di Massa

Disse il linguista Noam Chomsky che nella vita "è importante imparare a stupirsi dei fatti semplici", ciò è esattamente quanto i miei lavori di linguistica, filologia e letteratura cercano di apportare a SF, il culto degli studi e della ricerca e la meraviglia della semplicità, fino alla minima parola poetica. Studioso di Lettere Moderne a Milano, da sempre vivo con l'ambizione di tenere alti i valori sacri del mondo delle lettere, donando con i miei lavori quanto il panorama letterario ha donato a me, apportando alla mia vita nuovi colori e la consapevolezza che la totalità non è che un insieme di dissonanze.

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