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Le avventure di Oliver Twist – Charles Dickens

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Quale esempio eccellente del potere dell’abito fu il piccolo Oliver Twist! Avvolto nella coperta che fino a quel momento era stata la sua sola protezione, sarebbe potuto essere tanto il figlio di un nobile, quanto il figlio di un accattone; anche l’estraneo più sicuro di sé avrebbe trovato difficile stabilire quale fosse il suo posto nella società. Ma, dopo che era stato infagottato nelle vecchie fasce di cotone, ingiallite a furia di essere adoperate, venne a essere in tal modo segnato, etichettato e destinato al proprio posto: un bambino a carico della parrocchia, un orfano dell’ospizio, l’umile servo mezzo morto di fame la cui sorte a questo mondo sarebbe stata quella di essere maltrattato e disprezzato da tutti, e mai compatito da nessuno.

 Charles Dickens

Le avventure di Oliver Twist è uno dei più celebri romanzi di Charles Dickens uscito a puntate in una rivista letteraria tra il 1837 e il 1838. Nel romanzo vengono narrate le vicende di Oliver Twist, un piccolo orfano abbandonato nel mondo. Costui viene al mondo e la madre muore. La vita di Oliver inizia, così, nel peggiore dei modi quasi nel peggiore dei mondi, perché almeno nell’Inghilterra del XIX ci poteva essere la speranza di venire salvati miracolosamente, a differenza degli abitanti del terzo mondo di oggi. Oliver mangia poco ed è abbandonato alle inadempienti cure del sistema parrocchiale inglese, gestito da individui come il signor Bumble, signore rispettabile solo nell’abito ma tra i più capaci nel far apparire giuste le proprie speculazioni personali. Dopo che Oliver viene sorteggiato tra i compagni come loro rappresentante, e che è costretto a chiedere al personale di ricevere più cibo, è osteggiato dai gestori dell’istituto. Dopo essere stato punito severamente per l’atto di ribellione, viene ceduto ad un lavoratore di pompe funebri. Ma neppure questa sistemazione sembra ottimale, laddove il suo padrone lo maltratta ancora di più e lo costringe ad un’esistenza fatta di morti diseguali e soprafazione egualitaria tra i vivi. Dopo qualche tempo, Oliver riesce a scappare e si dirige a Londra, città nella quale sperava di poter trovar rifugio. Dopo essere giunto all’estremo delle sue forze, viene abbordato da un giovane ladruncolo. Costui lo conduce dal signor Fagin, un vecchio ebreo che teneva vari giovani con sé, addestrandoli all’illustre professione del latrocinio. Il mondo del vecchio Fagin è fatto di ladri, esseri turbolenti, e donne poco raccomandabili, tra cui la giovane Nancy e il signor Sikes. I giovani già ben avviati a tale professione illustrano come possono i vantaggi di quella vita al giovane Twist: “Il signorino Bates spalleggiò questo consiglio con alcune sue esortazioni morali; esaurite le quali lui e il suo amico Dawkins si lanciarono in una vivida descrizione dei numerosi piaceri consentiti dalla vita che conducevano, inframmezzandola con una serie di allusioni per far capire a Oliver che non avrebbe potuto fare di meglio se non assicurandosi, senza ulteriori indugi, il favore di Fagin nello stesso modo con il quale se lo erano assicurati loro”.[1] Nonostante Oliver sia restio e recalcitrante ad imparare quel nobile mestiere, alla fine viene impelagato in una vicenda di furti: egli doveva rubare il fazzoletto ricamato ad un onesto signore che avidamente leggeva dei libri in una bancarella ma, in realtà, Oliver si rifiuta di obbedire all’ordine ma viene accusato del tentativo di furto ugualmente. Infatti, le cose non vanno come dovrebbero: “Fermate il ladro! Fermate il ladro!” V’è una sorta di magia nel suono di queste parole. Il bottegaio si allontana dal banco e il carrettiere del carro; il macellaio abbandona la carne e il fornaio il cesto con il pane; il lattaio lascia il bidone del latte, il fattorino i plichi che sta portando, lo scolaretto le biglie, il selciatore lo scalpello, il bimbetto il cerchio con il quale sta giocando. E tutti corrono via in gran disordine, causando una confusione enorme, urtandosi, sbraitando, urlando, facendo stramazzare i passanti quando voltano agli angoli, eccitando i cani e spaventando le galline; e le vie, le piazze, i cortili riecheggiano lo strepito”.[2] Oliver viene preso e condotto di fronte al giudice. Ma il signore non si decide a sporgere denuncia contro il giovane Twist, perché era convinto di aver visto degli altri ragazzi fuggire via. Oliver, ormai del tutto prostrato e incapace di reggersi in piedi, crolla in preda alla febbre. Dopo vari alterchi con il giudice istruttore, il buon signore si prende cura di Oliver, anche perché il giovane gli ricorda qualcuno ormai dimenticato da tempo. Il bambino viene curato adeguatamente dal signor Brownlow e dalla governante. Quando si rimette, il povero bambino racconta la sua storia al caritatevole signore il quale è incline a credergli ma non ne è certo. Tanto più che si impegna in una particolare scommessa con un suo amico bisbetico: Oliver avrebbe dovuto portare i soldi al libraio, con i quali il signor Brownlow estingueva il debito contratto il giorno del furto del fazzoletto. Oliver è lieto di potersi dimostrare utile e riconoscente al bravuomo ma, come esce, viene ripreso dal gruppo di Fagin, terrorizzati all’idea che Oliver potesse raccontare della sua pregressa situazione e mandare all’aria l’intera organizzazione criminale. Sicché si ricomincia daccapo. Quando ormai sembrava che il giovane Twist avesse trovato una sistemazione onorevole, ecco che sprofonda nuovamente nel male e nel malessere e nell’indigenza. Tanto più che sentiva i sensi di colpa per non aver portato i soldi al libraio. Brownlow fu distrutto dalla perdita della scommessa e impose di cancellare dalla memoria collettiva delle persone della sua casa il nome di Oliver Twist. Oliver, intanto, tirava avanti fino a quando fu nuovamente costretto a compiere un furto insieme al violento Sikes e ad altri dell’organizzazione. Ma le cose volgono al peggio quando il giovane Twist viene ferito ad un braccio da parte dei proprietari della casa in cui sarebbe dovuto avvenire il furto. Da quel momento, però, la vita di Oliver cambia. Dopo un primo momento di titubanza, una giovane ragazza, Rose Mayle, si prende cura di lui e lo proteggerà dalle intemperie della vita. Troverà validi alleati e riuscirà anche ad arrivare al buon signor Brownlow con l’aiuto del quale non solo si riuscirà a chiarire l’origine familiare di Oliver, restituendogli così la dignità, ma pure a sgominare per intero la banda di Fagin: il signorino Bates, il furbacchione, Sikes e Fagin stesso. Questo grazie all’intermediazione di una ragazza, quella Nancy che rappresenta uno dei migliori personaggi dell’intero libro.

Le avventure di Oliver Twist narra le vicende del reietto per eccellenza, un bambino abbandonato a sé stesso e condannato ad una vita di soprusi e violenze. La narrazione non segue, però, il punto di vista del bambino ma di uno spettatore partecipe alla sua vita, non come se ne fosse il padre ma come se fosse un amico compassionevole e buono. Tutto il romanzo è pervaso di un senso emotivo profondo, talvolta viscerale, altre volte brutale non senza momenti di delicatezza. Ma tutto è fondato sul duplice eccesso del buono che viene vinto dal cattivo fino a quando la forza della provvidenza non si inverte. La provvidenza, dunque, perché il libro è pervaso da un senso religioso profondamente protestante che vede nella sorte dei personaggi un’istanza di quel progetto divino deterministico che concepisce i buoni come salvi e i cattivi come condannati. Oliver Twist è nato buono e non può che finire bene, proprio perché Dio ha già deciso la sua sorte. Allo stesso modo Fagin, l’ebreo, è l’infame per antonomasia, traviatore di costumi e dissoluto nel comportamento ed è costretto a finire nel peggiore dei modi. Nella visione dickinsoniana presentata in Oliver Twist si può vedere la stessa metafisica di un altro scrittore che inserisce nella sua opera tutta la carica del suo pensiero religioso, il Tolkien de Il signore degli anelli. Ogni elemento nella trama ha un suo preciso posto, una sua collocazione così come ogni personaggio è buono o cattivo e, in base a questa forza immanente in lui, è destinato ad avere un certo ruolo piuttosto che un altro. Alla fine, il male si paga e il bene trionfa. Questo anche attraverso espedienti narrativi che forzano quello che il percorso ordinario e prevedibile delle vicende umane: alla fine, quando tutto torna, torna però in un modo tale che un lettore contemporaneo può avere due generi di reazioni distinte e contrastanti: irritazione e incredulità o bonaria benevolenza. Questo elemento provvidenzialistico è rimarcato proprio dalla trama: dal principio tutto sembra andar male a Oliver, il quale, però, si dimostra sempre buono di cuore e di mente; alla fine tutto finisce nel migliore dei modi. Altro elemento che suggerisce questa lettura è che ogni personaggio cattivo muore di morte violenta: Sikes e Fagin in modo identico (impiccati) sebbene con modalità differenti. In questo senso, sembra che la visione dickinsoniana sia improntata da una specularità che inverte gli opposti: tanto il bene quanto il male hanno una dimensione speculare con la sola differenza che il bene è destinato a trionfare sul male per ragioni ultime. Ed è in questo, forse più che in tutto il resto, che il lettore contemporaneo potrebbe rimanere dubbioso di fronte al romanzo di Dickens.

Oliver rappresenta il bambino puro, buono nell’animo e sventurato. Sin da subito il suo onore è macchiato (secondo la visione di allora) per essere generato da una donna colpevole e non riconosciuto da alcun padre (non a caso, alla fine del libro, questa “colpa”, che oggi potrebbe indignare qualche lettore per il fatto di non riconoscerla in alcun modo come un peccato, questa “colpa” verrà cancellata). Egli è, come dice la bella introduzione di Chesterton nell’edizione Mondadori, un ottimista metafisico: si stupisce che gli uomini siano cattivi perché lui è intrinsecamente buono e pensa prima di tutto al bene e che esiste solo il bene. Egli è l’ingenuo beffato o omaggiato dalle circostanze, ma non è privo di spina dorsale laddove è chiamato a difendersi o a dare prova della sua riconoscenza. Ben inteso, non si tratta di un personaggio “eroico”, quanto di un espediente narrativo per mostrare una realtà precisa: la realtà del bambino povero nella società inglese del XIX secolo.

Il signor Bumble è, invece, il burocrate per eccellenza ed è anche l’uomo, insieme a Fagin, che Dickens dipinge con toni di massimo fastidio e rabbia. Egli è insensibile al problema dei bambini che gli vengono affidati ma è sempre capace di farsi tornare i conti come meglio crede. Dickens, che non è privo di una sua macabra ironia, lo condannerà ad espiare una colpa che è dovuta proprio al suo principale pregio: egli si sbaglierà nel fare i calcoli sul suo matrimonio con la direttrice sua amica, e verrà costretto a subire le angherie della bisbetica.

Fagin, invece, rappresenta la malvagità pura, il diavolo sceso in terra e incarnato in una parvenza che di umano ha solo la finzione: pusillanime, capace solo di raggiri, traviatore dei costumi dei giovani, ladro, all’occorrenza anche assassino o mandante dei più gravi delitti contro la persona e la proprietà. Egli non è dotato di alcuno scrupolo ed è capace di incassare ogni possibile torto, se questo gli porta un vantaggio ultimo, come dimostrano le plurime vicende con Sikes.

La signorina Rose è la donna angelo salvifica che guida Oliver nella sua risalita dall’inferno. Egli lo aiuta quasi senza ragione, così come erano privi di grandi ragioni i cattivi. Nessuno ha una storia degna di nota. In fondo, neppure Oliver è dotato di una sua individualità spiccata laddove ogni personaggio non è altro che un’occorrenza della provvidenza, sicché ogni lato psicologico o individuale è quasi sconfessato di fronte al suo ruolo nel mondo e, dunque, nel romanzo. L’impalpabilità della figura di Rose, sebbene così importante, è una riprova della tesi appena sostenuta.

L’unico personaggio che è foriero di una certa ambiguità è la signorina Nancy, consapevole del proprio stato di abbruttimento a causa dei cattivi insegnamenti di Fagin e capace di dare un concreto aiuto alla causa di Oliver. Eppure, lei sa di essere “colpevole”, per tutti i suoi errori e tutte le sue malefatte, per quanto siano in gran parte dovute a Fagin e alla sua triste situazione morale ed economica. Per questo sarà disposta ad accettare la sua espiazione anche con la morte. Una morte terribile e atroce ma che “le spetta” perché nel mondo di Dickens non si dà che una sola forma di espiazione. La più definitiva.

Data la lettura del romanzo che abbiamo voluto fornire, non ci sembra il caso di addentrarci nella descrizione dei personaggi minori, come Sikes, il furbacchione o il buon dottore perché essi non sono né più strutturati né differenti nella sostanza rispetto a quanto abbiamo appena detto. Le avventure di Oliver Twist sono interessanti soprattutto perché mostrano la visione dell’uomo della strada che, dotato di un suo innato istinto di giustizia non certo scevro da elementi violenti o razzisti (come dimostra l’intera vicenda di Fagin), rivendica la sua dignità di fronte al resto del mondo. Come dice giustamente Chesterton, Dickens sta sempre dalla parte dei più deboli. Con il che, naturalmente, non significa farne risaltare in pieno le ragioni se non per il fatto che la povertà dovrebbe essere combattuta a fin di bene e non sfruttata a fin di male. Ma per il resto egli risulta incapace, in questo romanzo, di far risultare le motivazioni profonde e interiori di una miseria reale che ben sorpassa, in complessità, l’ingenua visione sociale e religiosa, provvidenzialistica di Dickens, che non riesce ad avvicinarsi a Dostoevskij anche quando le tematiche di principio sembrano le stesse.

CHARLES DICKENS

LE AVVENTURE DI OLIVER TWIST

MONDADORI

PAG.: 530.

EURO: 10,00.

 


[1] Dickens C., (1838), Le avventure di Oliver Twist, Mondadori, Milano, p. 169.

[2] Ivi., Cit., p. 89.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

2 Comments

  1. Enrico Edoardo Giovannelli Enrico Edoardo Giovannelli 2 Novembre, 2013

    Ottima recensione. Leggendo il romanzo, ci si rende conto che, a distanza di quasi un secolo e mezzo dalla pubblicazione, il mondo è rimasto lo stesso di allora. Chi è più prepotente vuole sopraffare il più indifeso, e chi è più forte vuole schiacciare il più debole. Cambiano i costume, le tecnologie, ma l’uomo rimane sempre il solito. Il romanzo insegna però che c’è sempre qualcuno più furbo di te, e soprattutto, non è da trascurare che il cuore dell’uomo, nonostante tutte le cattiverie e le malvagità a cui può assistere, è capace di azioni incredibili. Nancy è la martire per eccellenza, dopo una vita di disonestà e peccati(dettati e costretti ad essere eseguiti dalla necessità di sopravvivere), arriverà a rischiare tutto per un bambino che a malapena conosce. Non manca nel romanzo quella scintilla di speranza a cui tutti vogliono credere fortemente, Oliver stesso, nonostante tutte le cattiverie che subisce(arrivano anche a sparargli un colpo di pistola) non sia arrende al fatto che anche il peggiore degli individui può essere redento, e non perché Oliver sia un ingenuo, ma perché crede che la speranza sia l’ultima a morire. Magari in certi individui, come appunto Fagin o Sikes, bisogna scavare a fondo, ma vale sempre la pena di tentare!!

    • Enne Tech Enne Tech 2 Novembre, 2013

      Caro Enrico,

      Grazie per il commento. Sono d’accordo con molto di quanto scrivi e condivido le idee di fondo del commento (c’è sempre la possibilità di emendarsi dalle proprie colpe comprendendo l’errore e rimediando per esso (il caso di Nancy)). Però non sono convinto del tutto che anche Dickens la pensasse così. Come ho cercato di evidenziare nella recensione, Fagin e Sikes non cambiano mai. Ma nessuno cambia perché tutti hanno un destino già segnato (o, almeno, così pare). Il processo di purificazione progressiva di Oliver è emblematica. Il discorso, secondo me, è che Dickens, da protestante, intravedeva il destino dalle opere degli uomini, sicché, in quanto ciascuno di noi ha una via predeterminata dalla volontà di Dio, non c’è né redenzione né speranza per individui come Sikes o Fagin e la stessa Nancy non termina certamente nel migliore dei modi. Insomma, sono d’accordo con te per gli ideali di redenzione ma non sono sicuro che così la pensasse Dickens, almeno nel libro Le avventure di Oliver Twist.

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