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Ivanhoe – Walter Scott

Ivanhoe

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Ivanhoe di sir Walter Scott è uno dei primi romanzi storici. Edito nel 1823 si situa nella narrativa classica europea del XIX secolo. Si tratta di una lettura piuttosto agevole, per quanto non priva di suoi apici e limiti.

La trama è piuttosto articolata, per quanto concentrata in pochi spazi e in poco tempo. Per forma ricorda una mandorla nel senso che inizia in un punto, le strade si diramano in lunghezza e larghezza prima di chiudersi tutte in un unico punto finale. In questo senso il romanzo è assai compatto e segue un filo logico che conduce l’autore a riprendere, sommare e chiudere tutte le vicende aperte insieme nel punto focale. Infatti, in una simile architettura narrativa non si può dare né un centro di gravità né un unico protagonista. Non può non balzare agli occhi della mente del lettore il fatto che Ivanhoe abbia non soltanto poco spazio (una trentina di pagine dedicate nell’intero romanzo) ma pure una relativa poca importanza. Egli è solamente un insieme di piccoli segmenti all’interno della trama, neppure principali per potenza narrativa o di importanza negli snodi nella trama. Riccardo Cuor di Leone, Locksley, Cedric, Rebecca e Isaac, persino Wamba, il buffone, e il porcaro sono tutti personaggi a cui viene dato ben maggiore rilievo.

La trama, dunque, può essere così riassunta. Il romanzo si apre con Wamba e Gurth, due servi del sassone Cedric, che camminano verso il posto di lavoro, cioè la tenuta di Cedric. Essi vengono interrotti da un alto prelato e un templare che vogliono chiedere ospitalità al sassone. Dopo essere stati depistati, questi due riescono comunque arrivare alla tenuta di Cedric, dove fanno conoscenza di alcuni personaggi, tra cui Isaac l’ebreo e un uomo sconosciuto, che poi si scoprirà essere Ivanhoe. Tutti i personaggi principali si recheranno il giorno dopo ai giochi tenuti nel paese vicino, ognuno con ragioni diverse. I cavalieri si sfideranno in tenzone per poter essere ricoperti di onori e poter eleggere la regina della bellezza, che sarà lady Rowena, figlia adottiva di Cedric, preferita alla forse più bella Rebecca, figlia dell’ebreo Isaac. Ivanhoe riporta gravi ferite e viene aiutato da un misterioso cavaliere nero. Ma alla fine ha la meglio e elegge Rowena come regina della bellezza. Costei, però, ha causato l’interesse di un nobile che decide di rapirla per poterla trarre in sposa. Infatti, nella politica del momento il principe Giovanni (si, proprio lui) è in combutta con altri nobili del posto per soppiantare lo sparito re Riccardo, tenuto prigioniero da qualche parte nel continente europeo, dopo essere partito per le crociate. Ivanhoe, debilitato, viene rapito insieme a lady Rowena e al suo numeroso seguito nel post-giostra e vengono tutti portati nel castello di un temibile nobile alleato del principe Giovanni. Dopo un feroce scontro, che poi vede perfettamente contrapposti buoni e cattivi, i prigionieri vengono tutti liberati ma rimane ancora Rebecca da salvare. Rapita dal templare, follemente innamoratosi della bellissima ebrea, viene portata nella fortezza dei templari e rischia di essere arsa sul rogo fino a quando Ivanhoe non la salva rocambolescamente. Il finale, piuttosto ovvio, prevede che Ivanhoe si sposi con Rowena, Riccardo torni al trono e la povera ebrea pianga per tutta la vita la sua disgrazia per un amore impossibile.

Diciamolo subito: per essere un romanzo storico, di storia ce n’è ben poca. La narrazione parla di personaggi e figure storiche realmente esistite ma la loro consistenza è del tutto fantastica, nel momento in cui la fantasia è del tutto dominante rispetto alla dura consistenza della storia. I buoni sono essenzialmente buoni: lo sono per ragioni di sangue, per ragioni di diritto delle genti e per carattere. L’analisi psicologica dei personaggi è totalmente squadrata in funzione di quelle due o tre caratteristiche morali che devono poi contrapporsi. Quindi i normanni (cioè… francesi ante litteram) sono tutti dei depravati, fieri avversari, ma tanto più nemici orgogliosi, le cui sconfitte accrescono la gloria dei vincitori (cioè degli inglesi, ovvero degli angli e dei sassoni). Mentre appunto i sassoni sono tutti buoni, ispirati da una rozza virtù essenziale che li vuole grezzi ma ancora puri. Una storia, dunque, ricostruita a sommi capi, in cui si conservano i nomi ma ben poco la dura essenza delle cose.

La psicologia dei personaggi, come già si accennava, sono costruiti in funzione della loro composizione morale. Un Cedric può avere un carattere orgoglioso e iracondo, ma viene vinto dalla sua bonaria qualità umana. Non ci sono personaggi ambigui e tutti pagano il fio della loro scelta di campo, che poi è una scelta di campo dovuta principalmente alla loro relativa appartenenza ad un campo politico. Sicché i tratti psicologici dei normanni e dei templari sono caratterizzati da un’assenza di onestà e una spiccata depravazione verso qualità morali specifiche (chi è ossessionato dal possesso sessuale, chi dal potere e chi dal proprio possedimento e dalla propria ricchezza). Gli unici a non rientrare pienamente in questa geometria della politica delle passioni psicologiche sono gli ebrei, cioè Isaac e Rebecca, i quali devono fare continuamente di necessità virtù, arrangiarsi un po’ con la ragione un po’ con l’abnegazione. Ma loro devono pagare il fio della storia, ben poco clemente con i membri della loro religione. Sia ben chiaro che Walter Scott simpatizza apertamente con gli ebrei e questo gli fa pure onore. Però egli sfrutta i pregiudizi del senso comune del suo tempo su costoro per tratteggiarne qualità esteriori e interiori piuttosto di superficie. Quindi Isaac è un po’ taccagno, un po’ avaro e un po’ strozzino. Anche se buono. Rebecca è un angelo macchiato dalla sfortuna di appartenere ad un incarnazione sbagliata.

La costruzione geometrica del romanzo mostra che la storia conserva tutto ciò che c’è di buono e ciò che c’è di cattivo. In altre parole la Storia di Walter Scott è la somma algebrica del buono e del cattivo, in cui il buono può trionfare attraverso l’uso sistematico della violenza a fin di bene. Riccardo non lesina mazzate a nessuno, come pure Ivanhoe, che per riconquistare la fiducia del padre e l’amore di Rowena si batte come un cavaliere di altri tempi. Di quei tempi mai esistiti. Prima segue Riccardo in Terra Santa (consentendo a Scott di giustificare la finale redenzione propriamente politica tale da consentirgli di avere una giustificazione plausibile per la sua gestione della cosa pubblica), poi ritorna in patria e si batte in ogni modo e in ogni dove, addirittura per una ebrea giusto perché egli combatte sempre per i deboli, anche quando ebrei. Perciò il lieto fine è in senso ampio e in senso stretto. In senso stretto perché Ivanhoe realizza tutto ciò che un uomo può desiderare: si sposa, ottiene l’approvazione paterna  e la legittimità politica direttamente da Riccardo. In senso ampio perché compie il bene della patria e del sangue: si sposa con Rowena, nobilissima donna, e porta avanti l’unione ideale del popoli inglese.

Il lieto fine è però frustrato dal fatto che c’è anche chi paga la storia in senso puramente negativo. Rebecca si deve accontentare di aver salva la vita e di pregare per la sorte della coppia felice. Tutto perché Rebecca è ebrea. E’ la storia che va così. Se nasci dalla parte sbagliata, puoi avere ogni virtù ma nulla ti cancellerà la macchia.

Walter Scott è uno di quegli scrittori che sfrutta le convenzioni del senso comune per tessere la sua ragnatela narrativa senza doversi prendere l’onere di costruire veri e propri personaggi. Egli, infatti, utilizza i suoi personaggi come figurine di un album i cui tratti caratteristici risaltano attraverso la duplice funzione che essi devono svolgere nella Storia. Da un lato infatti essi svolgono un ruolo puramente morale, da un altro hanno un peso politico. In base a questa duplice funzione Scott riutilizza intuizioni e schemi presenti nell’immaginazione del lettore per dare alle sue figure una parvenza di realtà. Come un certo genere di grandi scrittori (per esempio il sempre scozzese Stevenson), egli sfrutta a proprio vantaggio una serie di preconcetti per dare peso ad un personaggio-segnaposto altrimenti impalpabile.

Alla luce della ragione del XXI secolo, che rifiuta ogni possibile costruzione narrativa fondata su una sorta di bipolarismo morale e, tanto più politico, questo romanzo risulta sicuramente interessante da un punto di vista di storia della narrativa. Si tratta pur sempre di un affresco consapevole e compiuto di un mondo ricostruito alla luce della fantasia di un autore del XIX, in cui l’Inghilterra imperiale in ascesa, vincitrice dell’Orco, vuole trovare una propria collocazione immaginifica in un passato del tutto lontano dalla realtà. E’ comprensibile. Anche noi abbiamo avuto il nostro Manzoni e I Promessi Sposi. Però, appunto, tutto ciò ci fa riconoscere la grandezza di un testo più che farcelo amare. Perché non si può amare qualcosa in cui non si crede.


Walter Scott

Ivanhoe

Mondadori

Euro: 10,00.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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