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Nostromo – Joseph Conrad

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Consigliamo l’immortale Lord Jim


Nella repubblica sudamericana immaginaria del Costaguana una miniera d’argento diventa il centro del paese per via della sua enorme ricchezza. Charles Gould, l’ultimo di una famiglia di inglesi, decide di portare avanti un progetto che diventerà ossessione: riscattare il peso che gravava sul padre, la vecchia miniera di Sulaco, e farla diventare un centro di potere e di ricchezza. Grazie a questa decisione, Gould edifica attorno alla miniera un vero e proprio gruppo di paesi nei quali si vive esclusivamente per trarre dalla terra il prezioso argento. Gould è assistito dalla sua “infaticabile” signora, la prima donna di Sulaco. Costei seguì il marito, allora solo fidanzato, dall’Europa, sognando una vita di unione coniugale fondata sulla reciproca fiducia e sulla volontà di condivisione di ogni bene e di ogni male. Sulaco, la città più florida e importante del Costaguana, ospita una serie di personaggi occidentali, i blancos, tutti variamente al centro della vita della città se non proprio del paese: Martin Decoud, il dottor Monyngam, il capitano Mitchel, il garibaldino Giorgio Viola con la moglie e le sue figlie. Ma è soprattutto il grande Nostromo, il grande, degno di fiducia, di cui ogni donna sogna l’amore, il Capataz de Cargadores, così chiamato da tutti e da tutti indistintamente considerato degno di ogni iniziativa, blancos o popolani che siano. La vita di Sulaco è, però, legata alle vicende dell’intero Costaguana Paese, come ogni stato sudamericano, continuamente vessato dalle guerre civili, dalla miseria sociale e dall’arretratezza politica. Nella prima parte del libro viene narrata la storia della miniera d’argento, nella seconda parte delle vicende che conducono Martin Decoud e Nostromo a portare a termine un’impresa disperata e, la fine, è la conclusione di tutte le singole vicende, più o meno importanti, dalla grande storia di Sulaco e del Costaguana fino alla triste sorte di Nostromo.

Conrad inventa per intero un paese e una città per dar vita ad una narrazione di amplissimo respiro, paragonabile per senso di magnitudine ai romanzi storici russi. E’ facile accostare Tolstoj a Conrad. Il Costaguana è un paese ideale, ma non per questo segnato dalla felicità eterna. Le vicende storiche che nascono e muoiono in essa fanno da cornice, da contesto per l’intreccio, più che della trama, dei destini individuali. La Storia, sembra dirci Conrad, non è che la somma degli interessi materiali che i singoli individui perseguono, scelgono di perseguire o, piuttosto, dai quali si lasciano condurre. La grande vicenda della rivoluzione e della secessione della parte occidentale del Costaguana è una componente importante del lavoro ma, comunque, è sempre narrata da un punto di vista particolare e non diventa mai una specie di fato assoluto e collettivo, come lo è la guerra in Guerra e Pace o come lo è la peste ne I promessi sposi, vale a dire degli avvenimenti la cui portata si giudica esclusivamente dalla loro assolutezza globale, rispetto ad un destino dell’umanità tutta unita come in un sol canto. In Conrad non c’è niente di tutto questo. Ogni individuo è e rimane indipendente dalla Storia, sebbene sempre parte di essa. In questa dimensione storicizzata della vicenda, anche se pienamente frutto della fantasia dell’autore, prende forma la concezione conradiana della civiltà in generale. Già in altri lavori, come in Lord Jim, Conrad lascia intendere cosa sia per lui il valore della società umana nella sua concretezza, in Nostromo egli spiega coerentemente il suo punto di vista attraverso qualche intrusione del narratore onnisciente all’intero del racconto:

Le tradizioni popolari di tutte le nazioni attestano che doppiezza e astuzia, assieme con la forza fisica, erano considerate – ancor più del coraggio – eroiche virtù dell’umanità primitiva. Superare l’avversario era quel che più contava, nella vita. Il coraggio era dato per scontato. Ma l’uso dell’intelligenza suscitava meraviglia e rispetto. Gli stratagemmi, purché non fallissero, erano onorevoli; il facile massacro di nemici colti alla sprovvista non provocava che sentimenti di gioia, orgoglio e ammirazione. Non, forse, che i primitivi fossero più infidi dei loro discendenti di oggi, ma certo andavano più diritti alla meta ed erano più sinceri nel considerare il successo come unica stregua della moralità.

Siamo mutati da allora. L’uso dell’intelligenza suscita poca meraviglia e meno rispetto.[1]

In questo passo Conrad sembra avvicinarsi molto all’idea nietzschiana secondo cui l’uomo moderno non è, nella sostanza, diverso dall’uomo di duemila anni fa, semplicemente, ha mutato le sue opinioni morali, finendo per accettare l’idea che nell’affermazione di sé bisogna darsi delle regole: non è che sia sbagliato agire in un certo modo, non è il fine l’errore, quanto il modo della sua attuazione. Quando l’intelligenza era utile per raggiungere un certo obbiettivo, allora suscitava un certo rispetto, il rispetto della vittoria: la conseguenza e non l’azione, l’intenzione in sé, ha un qualche valore. Il ripiegamento sulla coscienza del bene e del male nell’azione sono la causa dell’ipocrisia e della vanità. Non siamo migliori dei nostri predecessori, siamo uguali ma più ipocriti. Conrad si richiama esplicitamente, in un passo, all’eroe omerico e non è un caso.

La Storia intera non è altro che un’esecuzione di interessi materiali, solo essi, infatti, hanno la forza di avvinghiare a sé la mente degli uomini in modo da renderla costante, fissa, capace di vivere solo in funzione di una sola idea così da diventare la natura umana efficiente e non patologicamente dispersiva. In balia di troppe passioni, le azioni umane sono come i colpi sferrati da uno schermidore principiante: se vanno a segno sarà per caso. Ma per realizzare davvero qualcosa di durevole occorre una grande costanza, garantita solo da interessi ideali e concreti, capaci di avvinghiare l’animo ma di gratificarlo parzialmente:

“Non vi sarà mai pace? Non si avrà mai riposo?” Disse Emily Gould, in un bisbiglio…

“No!” L’interruppe il dottore. “Non c’è pace né tregua, nel perseguimento degli interessi materiali. Questi hanno la loro legge, la loro giustizia. Ma è una legge che si fonda sulla convenienza, una legge inumana: è senza rettitudine, priva di quella perseveranza e forza che si trova soltanto nei principi morali. Non è lontano, signora, il tempo in cui tutto ciò che la concessione Gould rappresenta sarà di peso, per il popolo, come lo erano alcuni anni fa, la barbarie, la crudeltà e il malgoverno.”[2]

In questo pezzo di dialogo viene chiarito il pensiero di Conrad intorno alla natura del “progresso”: l’utile è l’unico imperativo, cioè una legge che può fare a meno dell’uomo ma alla quale è difficile sottrarsi. Tutto viene valutato in base al parametro dell’efficienza e non contano le ragioni umane, morali ma solo se un’azione ha prodotto qualcosa di utile o no. In questo circolo vizioso, giacché non c’è mai un termine ad un processo di creazione di utilità da altra utilità, non c’è spazio per la tregua, la pace. Così tutto quello che è stato fatto per giustizia diventa inutile, diventa dannoso, va eliminato. Questa è la lezione della Storia conradiana, fatta di ombre senza troppe luci. Il processo storico conduce inevitabilmente a questa condizione contraddittoria in cui ciascuno si piega alla ricerca di ogni utilità dimenticando che tutto ciò non conduce alla pace perché richiede il sacrificio del singolo di fronte all’economia o all’idea: il valore è scaturito dalla capacità di produrre dei beni, il che significa che noi stessi verremo valutati in base a ciò. L’improduttivo è secondario e deve sparire. Questa non è vita da uomini, secondo Conrad o, almeno, non è capace di darci un senso.

Anche in questa circostanza ci piace fare un paragone tra Tolstoj e Conrad e della loro distanza.  Il russo aveva una visione profondamente positiva dell’uomo. Sebbene non aveva l’ingenuità per credere che esistessero davvero i buoni senza macchie e i cattivi senza pregi, è chiaro che nella sua visione universalistica l’umanità è fatta di buone intenzioni. La storia dell’umanità, anche quando è fatta di guerra e sangue, non è mai così terribile e, anzi, la guerra diventa motivo di orgoglio e distinzione degli eroi. Gli eserciti sono belli anche quando hanno fame e le battaglie, per dirla con Kubrick, sono degli “affascinanti balletti mortali”. Conrad descrive i suoi eserciti in modo chiaro: uomini sporchi, con divise semidistrutte e con i capi incapaci di prendere decisioni intelligenti, animati unicamente dalle loro terribili passioni che li conduce a giustificare ogni nefandezza. Non c’è redenzione nella storia, solo una sequela di assurdità che vengono accettate dagli individui più razionali ma che risultano comunque impossibile da eliminare, rivalutare, correggere.

All’interno di questo quadro, vivono i singoli personaggi di un lavoro epico e, al contempo, estremamente concreto. Ogni individuo ha una sua storia, per quanto breve, bella o brutta. Tutti godono di una loro individualità che merita di essere raccontata. Raramente assistiamo a descrizioni di massa perché Conrad non crede alle masse. Ogni volta che viene introdotto un personaggio, presto o tardi, verrà narrata la sua personale vicenda. Così il romanzo si arricchisce di nuovi particolari che consentono al lettore di vivere in prima persona gli avvenimenti di un paese inesistente.

Uno dei temi dominanti di Nostromo è l’ossessione del “tesoro”. Ciascun personaggio ha una sua idea fissa, dalla quale non riesce a districarsi e per la quale vive e, talvolta, finisce per dare la vita. La coerenza morale, in senso ampio, dei personaggi è notevole e li conduce inevitabilmente al fallimento. Il dottor Monyngam non riesce mai a divincolarsi dalla memoria delle atroci torture subite, che lo ha condotto ad un irrimediabile scetticismo sul valore degli uomini, e rimane vincolato alla sua maledizione dalla quale, alla fine, non vuole sottrarsi. Come vien detto, il dottore era troppo scettico per credere nell’umanità ed era convinto che nessuna azione, sua o altrui, sarebbe potuta mai andare a buon fine. Tuttavia, la sua idea fissa non gli consentiva soluzioni più definitive: la sua ammirazione per Emily Gould, la prima signora di Sulaco, era troppo profonda e rinsaldata dalla comprensione che aveva di lei per gettare la sua vita nel nulla. Cosa che, invece, capita a Martin Decoud, giornalista costretto a diventare una sorta di capo politico, ideatore della secessione. Costui era, in realtà, un nichilista, in modo molto simile a quel personaggio di Padri e figli, Evgénij Vasìl’ev Bazàrov. Egli aveva deciso di amare una donna, unica idea che gli si fissava nella testa, in grado di dargli qualche ragione di vita. Tuttavia, quando finisce con le spalle al muro, costretto ad una forzata solitudine, si rende ben presto conto che quella sola speranza non gli basta a dare un senso alla sua esistenza e anch’egli troppo scettico per credere in qualcos’altro, finisce per togliersi la vita. Nessuno si domandò di come e perché Martin Decoud morì: forse, secondo Conrad, un vero nichilista finisce così come egli stesso concepiva la sua vita, priva di qualunque significato. Charles Gould, invece, era animato da “un’idea astratta e concreta”: la miniera d’argento che era costata la vita al padre. Egli, “d’animo idealista ma pratico”, finisce per servire la sua stessa idea più che essere l’idea a servire per lui. Charles sopporta ogni sacrificio, finisce per accettare la corruzione come atto necessario, e accetta di schierarsi col partito politico più conveniente, tutte azioni per lui rivoltanti perché uomo di profonda coerenza morale per non provarne un intimo disgusto; ma, soprattutto, taglia fuori la moglie dal suo ideale la quale vivrà in solitudine ogni suo moto d’animo e ogni sua passione. Nostromo è colui che più di tutti finisce soggiogato dal “tesoro”, dall’idea fissa che conduce ad ogni sotterfugio e tradimento pur di essere posseduto. Impossibile non pensare a Il signore degli anelli e non sospettare che Tolkien avesse letto il romanzo di Conrad. Nostromo finisce per essere l’unico a conoscenza di dove è nascosto un carico d’argento di un valore immenso. Egli, a seguito della guerra civile e dopo aver udito le ultime parole della moglie morente di Giorgio Viola, si rende conto di come la sua unica aspirazione fosse la vanità di essere considerato il migliore e più affidabile degli uomini. Ma, in fondo, nessuno si curava veramente di lui e quando, durante la guerra civile, viene creduto morto, nessuno si è strappato le vesti per la sua eventuale dipartita. Finisce per convincersi del fatto che i ricchi si fanno solo i propri affari, in particolare anche i Gould che, apparentemente così ragionevoli e buoni, non sono altro che degli opportunisti: il popolo è solo carne da cannone e deve venire sacrificato “per i più alti interessi”, ai quali, naturalmente, i ricchi si guardavano bene dal sacrificarsi. Così Nostromo, il capo dei cargadores, l’uomo di Sulaco, il più desiderato lavoratore e il più corteggiato, finisce per ricadere nell’odio sordo nei confronti di quel mondo dal quale si sentiva tradito totalmente.

Tutti i personaggi finiscono così per sentirsi traditi da tutti gli ideali “tradizionali” che non consentono di giustificare la propria esistenza, se non al carissimo prezzo, di una sofferenza per la vita stessa che non ammette nessun riscatto: tutti i personaggi sono soli, non solitari. Mangiano, bevono e parlano ma ognuno per sé e ciascuno per una ragione sua, distinta. Non c’è nessuna redenzione in un mondo del genere e, forse anche per questo, Conrad sembra indicare la strada degli “interessi materiali” come l’unica in grado di garantire coerenza (perché solo ciò che è utile va salvato e tutti siamo in grado di renderci conto di ciò che conviene e di ciò che non conviene) e una ragione di vita: ci sarà sempre qualcosa da fare in nome dell’utilità. Così ogni personaggio non solo si sente tradito ma anche fallito perché incapaci di vincere nel momento della verità. Conrad, in questo, è maestro implacabile: costruisce situazioni in cui ciascuno deve far vedere quanto valga la coerenza non ad un ideale astratto ma a se stesso. E tutti finiscono irrimediabilmente per perdere:

Stimava altamente l’intrepido coraggio di quell’uomo [Nostromo], a cui dava scarsissimo peso, scettico com’era verso l’umanità in generale, a causa di quel particolare episodio in cui lui, come uomo, era fallito. Avendo dovuto affrontare, da solo, durante il suo periodo di eclissi, molti pericoli fisici, conosceva bene quell’elemento pericolosissimo, che tutti hanno in comune: la schiacciante, paralizzante sensazione della pochezza umana, che è, appunto, ciò che da sconfigge l’uomo in lotta contro le forze della natura, da solo, lontano dagli occhi dei propri simili.[3]

Questo passo vale per tutti i personaggi del libro. Conrad ha chiaro il punto: quando ci sentiamo soli di fronte alla realtà dura, nuda e cruda nella sua assoluta brutalità, ci sentiamo paralizzati più che dalla nostra insignificanza, dall’insignificanza dei nostri sforzi. Questo senso interno del nichilismo e di quanto l’uomo riconosca se stesso come troppo piccolo e troppo limitato, opprime l’animo a tal punto da non consentirgli più alcuna capacità di reazione. Questo sentimento colpisce tutti i Nostri personaggi nei nel momento della verità ai quali, tutti, vengono chiamati da Conrad.

Lo stile di Nostromo è diverso rispetto a quello presentato in Lord Jim o in L’agente segreto o nei vari racconti. La dominanza del tema introspettivo non c’è sempre e ovunque, come invece nei testi brevi. Mentre la prosa è più piana e leggermente meno densa rispetto a quella di Lord Jim e, a differenza di questo, la struttura narrativa generale riguarda comunque la Storia di un intero paese e non la storia di un singolo personaggio: una differenza, questa, abbastanza rilevante. Nostromo ha un respiro epico e assoluto, da un lato, ma anche estremamente concreto, dall’altro, proprio come gli ideali dei personaggi: se in L’agente segreto la lingua è ricercata ma comunque sempre legata alla piccola vicenda, in Nostromo il lessico si fa elevato, astratto e potente, epico in una parola. D’altra parte, c’è molta varietà in questo romanzo perché si ritrovano comunque, sebbene sparsi, i temi di Conrad suonati con gli stessi strumenti che nelle altre opere. Ma una caratteristica a sé di questo romanzo è l’intrusione del narratore che, ora esplicita ora riportata la propria opinione con le parole dei personaggi, quasi didascalicamente ci spiega le ragioni profonde e intime per cui qualcosa accade o qualche pensiero balena nella mente di un particolare personaggio.

In conclusione, è un libro difficile da apprezzare perché solo le persone intelligenti, molto oneste con se stesse e muniti di grandi capacità critiche, possono apprezzare fino in fondo le conseguenze introspettive e intellettuali della lettura di questo romanzo. L’insieme degli uomini è piuttosto ampio ma lo è molto meno quello delle persone intelligenti, ancora più piccolo è quello delle persone intelligenti e oneste con sé stesse. Così non suscita stupore se questo libro non fu omaggiato del benestare del “grande” pubblico e di almeno metà della critica e si capiscono anche le parole di Virginia Woolf in merito a questo romanzo che, sebbene  non siano fuori luogo, non sono nemmeno appropriate fino in fondo. E’ un libro difficile da mandare giù, a differenza del magnifico e metafisicamente ottimista Guerra e pace. Ci piacerebbe che tutti potessero apprezzare Nostromo perché vorrebbe dire che viviamo effettivamente in un mondo migliore.



CONRAD JOSEPH

NOSTROMO

MONDADORI

PAGINE: 518.

EURO: 9,50

 


[1] Conrad J., Nostromo, Mondadori, Milano, 1997, p. 352.

[2] Ivi., p. 464.

[3] Ivi., p. 395.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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