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Dedalus Ritratto dell’artista da giovane – James Joyce

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Si era cacciato, vagabondando, in un labirinto di viuzze strette e sudice. Dai vicoli osceni sentiva scoppi di rauco tumulto, di risse e la canzone strascicata di ubriachi. Continuò ad avanzare, non scosso, domandandosi se era venuto a finire nel quartiere degli ebrei. Donne e ragazze vestite di lunghi abiti vistosi attraversavano la via da una casa all’altra. Passavano con indolenza, profumate. Lo prese un tremito e gli si offuscarono gli occhi. Sorgevano al suo sguardo agitato le fiamme a gas, gialle contro il cielo nebbioso, e bruciavano come davanti a un altare. Dietro le porte e nei corridoi illuminati c’erano gruppi, addobbati come per un rito. Era in un altro mondo: si era svegliato da un letargo di secoli.

 James Joyce

Dedalus Ritratto dell’artista da giovane è un romanzo autobiografico di James Joyce, tradotto con grande perizia da Cesare Pavese. La storia di Stephen Dedalus è quella di un giovane irlandese cresciuto all’interno della cultura propria dell’isola, così divisa tra un cattolicesimo ortodosso e l’amore rinascente verso le radici celtiche che sfociarono in un rinnovato e forte senso nazionalista, pur estraneo alla sensibilità di Stephen.

Il libro può essere diviso idealmente in cinque parti, scandite anche da vistose differenze nello stile. La prima parte racconta l’infanzia di Stephen, vissuta tra la casa e la scuola, periodo durante il quale Stephen già sembra possedere una coscienza introversa, schiva ma anche profondamente sensibile alla realtà e al dovere. La seconda parte narra l’esperienza di Stephen all’interno del collegio dublinese dei gesuiti, dopo che i genitori si erano trasferiti a Dublino. La terza considera il mutamento adolescenziale nel duplice aspetto della presa di consapevolezza di una nuova prorompente sessualità e dei tumulti di una coscienza sensibile e divisa tra le nuove passioni e il senso religioso propriamente cattolico, in cui la passione fatica a trovare una cornice coerente all’interno della vita dell’individuo rispetto all’esaltazione stessa dell’ascesi e del mistico. La quarta segna il momento di passaggio tra la coscienza prostrata di Stephen tra la passione e la religione, tra il sentimento ascetico e quello carnale in cui la svolta non stravolge la necessità razionale e passionale di Stephen ma la conduce verso l’esperienza estetica priva del sostrato religioso. L’ultima parte segna il completamento della maturazione del processo di liberazione di Stephen dalla religione all’arte, che sostituisce l’esigenza di purezza all’interno della sua coscienza inquieta.

Dedalus Ritratto dell’artista da giovane è un capolavoro della narrativa in cui la narrazione è anche metanarrazione in sé stessa. Infatti, da un lato, la lettera del testo restituisce l’evoluzione di una coscienza che prende progressivamente consapevolezza di sé rispetto all’altro, sia inteso in senso fisico che concettuale. Ma ad una lettura più attenta si osserva come l’autore ripercorra la sua stessa evoluzione per rischiarare un senso più profondo del semplice raccontarsi: egli porta alla luce la nascita, la genesi dell’artista, come sottolinea lo stesso sottotitolo. Infatti, Stephen cresce con una coscienza inquieta, in cui il senso del peccato e della sua intrinseca consapevolezza matura verso una progressiva sensazione di incertezza nei confronti della morale cattolica così forte nel panorama irlandese. Egli è combattuto non soltanto psicologicamente, ma anche razionalmente tra la concezione cattolica della realtà e un ideale diverso in cui la sua coscienza coglie la condizione della realtà pur senza riuscire ancora a fornire una ricostruzione concreta. La svolta avviene quando Stephen Dedalus deve scegliere se proseguire nella formazione religiosa piuttosto che passare ad una definitiva esistenza laica. E la scelta di campo non è decisiva solamente rispetto al punto di vista concreto, ma anche rispetto a quello astratto. Il giovane Stephen Dedalus comprende come egli non accetti più l’approccio al senso del mistico del cattolicesimo, ma riconosce come sua ragione di vita l’esperienza estetica compiuta e consapevole. Ed è proprio questa definitiva crescita intellettuale che fa del romanzo un vero e proprio intreccio inestricabile tra la coscienza che contempla il mondo e coscienza che contempla se stessa per ritrovare le sue proprie ragioni della genesi di un’idea che è la pura sostanza della vita dell’autore: l’esperienza estetica libera da preconcetti, sovrastrutture e morali. Liberazione che passa attraverso la duplice strada del sentimento e della ragione: dal punto di vista sentimentale, Dedalus rigetta l’ascetismo cattolico per abbracciare compiutamente le passioni del mondo in ogni senso, mentre dal punto di vista razionale, Stephen non perde la necessità di una contemplazione pura del mistero della realtà, ma la ritrova all’interno dell’esperienza puramente estetica. In cui egli crede e in cui egli finisce per vivere. La fine del romanzo coincide con la fine stessa della ricerca, interiore e spirituale, coscienziale e razionale, che ormai ha preso compiutamente visione di quanto crede e di quanto intende fare in relazione a ciò che riconosce come parte di sé.

Il romanzo, dunque, è una metanarrazione ma pur sempre una narrazione. La narrazione ricalca nello stile i momenti di transizione della coscienza del giovane artista: l’infanzia viene narrata mediante momenti, discontinui e incostanti, con un lessico evocativo in cui ognuno ritrova le sensazioni primordiali della propria infanzia. La freschezza linguistica, unita ad una sintassi essenziale, riproduce gli effetti di una coscienza primordiale, alle origini, per così dire, del percorso. Dall’infanzia si passa all’esplorazione del momento di transizione con l’adolescenza, in cui la pressione dei compagni e della scuola diventa più chiara e la coscienza più matura, ma ancora del tutto acerba, fatica a trovare un inquadramento stabile. Il momento di massima instabilità interiore procede con l’avanzare dell’età e con la scoperta della sessualità, in cui ogni individuo fatica a ritrovare un ordine. Dedalus scopre il mondo triviale della città di Dublino, ma viene frustrato dai sensi di colpa propriamente cattolici e finisce per abbandonarsi ad un senso di castrazione fisica per redimersi dal senso di malessere generato dalla consapevolezza del peccato della carne. Momenti di grande narrativa vengono toccati in quelle pagine magmatiche in cui il tumulto interiore viene restituito con un grande senso di onestà intellettuale. Tutto il senso di rigetto e di necessità di rianalizzare il passato viene mostrato durante il lungo discorso di un gesuita che condanna senza appello tutte le passioni carnali dell’uomo, per ritrovare, secondo la sua visione, un più profondo senso della realtà: le immagini infernali, insieme così terribili e così puerili, vengono impietosamente riportate da Joyce, come a rimarcare da quali forche caudine la sua coscienza abbia dovuto passare. Dopo il rigetto della religiosità la coscienza matura in una cornice di coerenza che si rivive ancora attraverso un linguaggio che riporta ora più ragionamenti compiuti rispetto alle sensazioni, ora divenute meno potenti e più latenti. La narrazione si chiude in prima persona, in un momento di definitivo abbandono, non semplicemente del mondo irlandese, ma della sua stessa cornice culturale: non è più “giovane” e quindi il ritratto stesso della giovinezza deve terminare.

La coscienza, allora, è divenuta consapevole e matura, capace di riconoscere in sé il proprio senso della vita, un punto di vista propriamente in prima persona, ma che vede l’oggettività del proprio senso e ne ha ormai dato una chiara forma compiuta. Un caso quasi unico nella narrativa, le analisi filosofiche di estetica nella narrazione offerta da James Joyce sono degne di un grande filosofo, laddove esse si inscrivono coerentemente nel senso più compiuto di una comprensione di sé e della propria produzione artistica. L’arte joyciana vuole essere, così come egli spiega, una contemplazione del mondo non cinetica, cioè statica, in cui le passioni non smuovono l’animo del fruitore quanto lo conducono ad una maggiore chiarezza e consapevolezza di sé. In questa ultima meta-metanarrazione, in cui l’autore non prende più sé e la propria ragione come oggetto di riflessione ma considera puramente la qualità e la valutazione della ragione ultima del (suo) vivere, si dischiude il senso profondo di una coscienza complessa, intricata e grandiosa in cui ogni essere umano, che ha vissuto i travagli di un’esistenza dominata da una ragione di vivere che si è dischiusa al sé progressivamente, prima in sordina nell’oscuro sentimento e poi nella luce della ragione, può riconoscere. Ed in questa purezza soggettiva ritroviamo qualcosa di perfetto, adamantino presente in tutti noi. Solo un grande genio della letteratura poteva riuscire a comporre un quadro così profondamente soggettivo e, al contempo, così potentemente universale.


James Joyce

Dedalus Ritratto dell’artista da giovane

Adelphi

Pag.: 304.

Euro: 12,00.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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