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Fallacie di ragionamento

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Consigliamo – Introduzione alle teorie della verità – a cura di Giangiuseppe Pili


Abstract

In questo articolo consideriamo le fallacie di ragionamento, la loro classificazione (ripresa da Varzi et. Al. (2007)) e la loro relativa spiegazione ad un vasto pubblico non necessariamente esperto della materia. Considereremo soprattutto le ragioni per cui le fallacie logiche si presentano e perché sono così diffuse nei discorsi quotidiani. In fine, cercheremo di formulare una conclusione generale sulle fallacie di ragionamento che consideri l’analisi precedente.


Le condizioni per una buona argomentazione non sono molte e si possono riassumere nei seguenti punti: (a) verità delle premesse, (b) grado di pertinenza delle premesse, (c) vulnerabilità della conclusione, (d) minimalità dei passi deduttivi, (e) connessioni strutturali tra premesse, passi e conclusioni, (f) potenza e (g) eleganza. Vediamo se ci sono punti negoziabili. Alcune precisazioni terminologiche: prediligendo la parola ʽargomentoʼ a ʽragionamentoʼ, considereremo comunque i termini come sinonimi e li utilizzeremo come uguali per ragioni di eleganza. La parola ʽargomentoʼ si distingue da ʽargomentazioneʼ perché l’argomento è una forma generale di ragionamento, mentre argomentazione è un insieme di asserzioni concrete dichiarate in un contesto (così ad esempio in Goldman (1999)). Le regole per una buona argomentazione possono essere diverse dalle regole di un buon argomento. Per esempio, una buona argomentazione deve essere persuasiva, cioè saper convincere il pubblico (si veda Goldman (1999)) mentre un buon argomento deve essere vero, pertinente e elegante al di là della sua capacità di persuadere. E nella realtà sappiamo bene che spesso tra un buon argomento e una cattiva argomentazione vince la seconda, nonostante i nostri cari principi logici e semantici per costruire argomenti migliori!

Un argomento, in generale, è un ragionamento formale o informale che prova o dimostra una certa proposizione. Tale ragione può essere di natura deduttiva o induttiva, ma ad ogni modo deve condurre ad un termine in cui la conclusione o è vera o è altamente probabile che lo sia. La natura generale degli argomenti è astratta, cioè non dipende dalle circostanze o dal tempo in cui esso viene formulato ma ha una validità estesa. Questa definizione va presa sostanzialmente come illustrativa e non pretende rigore. Per una analisi di cosa è un argomento, rimandiamo la testo di Varzi et. al (2007).

La verità delle premesse è forse la condizione più importante per la bontà di un argomento. Avere delle premesse false implica poter dedurre qualsiasi cosa in una forma classica (dal falso segue qualsiasi cosa). Ma il fatto di poter dedurre qualsiasi cosa significa avere una conclusione vulnerabile e la potenza dell’argomento è nulla perché esso diventa appunto triviale. Quindi (a) non si può negoziare.

Un argomento che abbia tra le sue premesse una falsità può essere schematizzato così:

non a e a

_

b

Dove le lettere in corsivo stanno per proposizioni e le lettere in grassetto per i connettivi logici. Da qui in avanti manterremo questa convenzione formale. Il condizionale così costruito risulta vero, ma totalmente privo di interesse. Un esempio: se Giuseppe mangia e Giuseppe non mangia, allora Giuseppe dorme. Se fosse vero che Giuseppe dorme, il condizionale risulta vero. Ma anche se fosse falso che Giuseppe dorme, il condizionale risulta ancora vero. Sicché si dimostra trivialmente che l’argomento è valido. E il condizionale della forma considerata risulta vero quali che siano i valori di verità delle singole proposizioni. Sicché si tratta di un argomento triviale, privo di qualsiasi utilità argomentativa. Da questa caratterizzazione si evince in modo chiaro (speriamo!) che la sola condizione di verità delle conclusioni non è sufficiente a discriminare e qualificare un argomento come buono.

Il grado di pertinenza delle premesse è importante per la forza argomentativa di un ragionamento. Si ricordi che da qui in avanti ʽargomentoʼ e ʽragionamentoʼ verranno utilizzati come termini sinonimi per convenzione e senza particolari impegni filosofici. Un ragionamento che abbia delle premesse impertinenti può anche essere vero, ma l’interesse per la verità argomentata è molto basso, tanto più se le premesse non sostengono in alcun modo le conclusioni. Sicché non soltanto per essere buono l’argomento deve essere vero ma le premesse devono sostenere in modo rilevante e pertinente le conclusioni.

La conclusione non deve essere vulnerabile. Con ʽvulnerabileʼ si intende che la conclusione può essere obiettata facilmente come falsa sulla base di un nuovo argomento. E’ evidente che se la conclusione è incontrovertibile, allora a prescindere dalle considerazioni delle premesse e della loro pertinenza, l’argomento risulterà comunque con un suo grado di plausibilità. Mentre se la conclusione è debole, ipso facto lo è tutta l’argomentazione. Facciamo un esempio: “Giuseppe mangia e non dorme, quindi Giuseppe studia logica”. E’ evidente che la conclusione è opinabile, sicché l’argomento è debole. Si noti come questo argomento molto banale sia inficiato anche dal fatto di non disporre di un alto grado di pertinenza tra le premesse e la conclusione. Il che è un sintomo del fatto che si possa attaccare anche sul piano della vulnerabilità della conclusione. Si faccia caso, infatti, che un argomento può ricadere in diverse fallacie allo stesso tempo, tanto più che noi stiamo considerando argomenti di natura semantica e non solamente formale, nel qual caso le condizioni sono meno ma più forti.

La minimalità dei passi deduttivi non è una fallacia particolarmente temibile, nella misura in cui tutto sommato si può comunque dimostrare qualcosa con più assunti o più passi dei necessari. Tuttavia è evidente che il principio aureo di economia è da rispettarsi per quanto possibile, se non altro perché la sua violazione amplifica il rischio di errori. Oltre al fatto che decresce anche la possibilità di venir compresi ovvero che l’argomento risulti comprensibile. Infatti, supponendo che l’argomento abbia un numero di passi e assunzioni sproporzionato rispetto al necessario, risulterà più arduo da accettare. Anche in questo caso, infatti, ci sarebbe la violazione del principio di pertinenza delle premesse con la conclusione.

Dato il fatto che un argomento si sostanzia su dei passi che collegano le premesse con la conclusione, è indispensabile che essi siano dei buoni collegamenti tra le premesse e la conclusione. Questo principio ha una certa assonanza con la razionalità generale delle pianificazioni in cui la razionalità dei fini intermedi deve essere mantenuta in relazione alla razionalità generale del piano perché se anche un solo fine intermedio fosse irrazionale, allora tutto il piano sarebbe irrazionale. Così, premesse mal collegate alle conclusioni o sono impertinenti o non riescono ad esserlo quanto potrebbero e il risultato è un argomento debole.

Non tutti gli argomenti hanno la stessa potenza. Un argomento che dimostrasse un fatto triviale non dimostra qualcosa di molto interessante. Quindi, quel che vorremmo da un argomento è che esso ci indichi una forma generale di un ragionamento da cui possiamo trarre nuove inferenze altrettanto forti rispetto alle premesse. Il modus ponens è un esempio classico di argomento potente.

In fine, si riconosce una valenza anche all’eleganza di un ragionamento, con il che in genere si intende che rispetti il principio di economia sulle premesse e che le conclusioni siano ben collegate alle premesse. Naturalmente, l’argomento deve essere vero, potente e le conclusioni pertinenti. Si tratta, dunque, di una proprietà gradata che segue dal fatto che un certo argomento è tanto più elegante quanto è più buono. La bontà di un argomento segue invariabilmente dal rispetto delle condizioni (a-f).

L’analisi formale consente analisi di forme argomentative universali in un certo sistema logico, ma non consente di considerare le singole argomentazioni. Inoltre, le condizioni logiche formali per formulare criteri per discriminare e qualificare un buon argomento, oltre a variare da sistema a sistema, non consentono sempre di qualificare argomenti di natura tipicamente semantica, cioè che richiedono l’analisi del significato dei termini (singolari, predicati, relazioni) e di come questi interagiscano per formulare una buona o cattiva argomentazione. Per tale ragione, la logica formale (che va distinta dalla logica tout court che è qualcosa di molto più vasto, su questo punto importante Ragunì (2009)) non può considerarsi sufficiente per trattare delle argomentazioni di natura semantica e informale.

Con fallacia di ragionamento si intendono tutti gli errori che danneggiano la cogenza delle argomentazioni in cui insorgono (la definizione è sostanzialmente ripresa da Varzi et. Al. (2007), testo da cui abbiamo tratto la struttura di questo articolo: rimandiamo a questo testo coloro che vogliono ritrovare i fondamenti dell’articolo ma con esercizi e rigore che in un simile lavoro non possono essere presentati). Quindi, in generale, una fallacia è qualsiasi errore che mina le fondamenta di un argomento, rendendolo almeno in parte vizioso. Lo studio delle fallacie è molto interessante per almeno due ragioni, ragioni che generalmente non vengono ben espresse dai testi di settore, dando per scontato il fatto che studiare la logica è tanto premio a se stesso da non meritare considerazioni di natura extralogica che, in genere, sono quelle più interessanti. Una prima ragione consiste nel fatto che conoscere le fallacie di ragionamento aumenta la probabilità di evitarle, anche se questo non è ovviamente necessario. Tuttavia, una buona conoscenza delle fallacie logiche dovrebbe essere il sintomo di una vasta conoscenza dell’arte argomentativa.

Ma è la seconda ragione che probabilmente è quella più convincente: la conoscenza delle fallacie logiche consente di comprendere i motivi per cui un argomento è debole oppure no. Si tratta del classico caso in cui dare del cretino agli altri è poco utile, a meno che non si cerchi di capire perché uno è un cretino. Ad esempio, molto spesso le code agli uffici postali nascono da una deficienza condivisa per cui tutti si ritrovano misteriosamente riuniti nello stesso posto per la stessa cosa. Dire che questo fenomeno è sintomo di deficienza può essere ovvio, ma saper spiegare da dove nasce la deficienza è tutt’altra cosa e risulta un’operazione non sempre agevole. Un caso clamoroso di questo fatto è il ritardo dei pullman che fanno un giro ciclico ad orario. Tutti noi abbiamo conosciuto il fenomeno di vedere pullman vuoti che passano immediatamente dopo pullman stracarichi (possibilmente sui quali ci siamo anche noi). Il fenomeno è talmente diffuso che non può essere generato semplicemente da questo o da quel sistema di trasporti, ma si genera in automatico, misteriosamente. Ed è questo ʽmisteriosamenteʼ che deve farci insospettire, riconoscendo il fatto che diamo dell’inetto agli autisti e dell’inefficiente al sistema di trasporti ma non sappiamo dare una spiegazione del motivo per cui questo fenomeno si propone. E allora, saper spiegare perché un ragionamento funziona male significa comprendere nel profondo i motivi intrinseci per cui un ragionamento funziona… bene o male. Saper capire che dietro la deficienza ci sta comunque qualcosa di profondo è cosa per pochi. Quei pochi che, però, hanno veramente capito un fatto: che la deficienza nasconde qualcosa di intelligente, anche se viziato.

Le fallacie vengono classificate in vari tipi e il loro studio si fa risalire sin alle origini della filosofia e della logica. Già con Aristotele abbiamo studi sistematici di questi ragionamenti viziati e il fatto che si tratti di studi molto antichi lo dimostra anche il fatto che molte fallacie hanno mantenuto il vecchio nome latino. Forniamo, dunque, una tassonomia di massima: (a) fallacia semantiche, (b) fallacia formale, (c) fallacia induttiva, (d) fallacia di presunzione, (e) fallacia di pertinenza. Forniamo una caratterizzazione generica per ciascun genere di fallacia e poi analizziamo brevemente le caratteristiche delle singole fallacie.

(a) La fallacia semantica deriva dall’uso di un linguaggio vago o ambiguo, ovvero viziato dalla presenza di un termine con più significati o con un significato eccessivamente vago. (b) La fallacia formale consiste nell’applicazione invalida di una regola valida oppure dall’applicazione di una regola invalida. (c) La fallacia induttiva si fonda sul fatto che la probabilità della conclusione non è supportata dal ragionamento complessivo e dalla probabilità delle premesse. (d) La fallacia di presunzione è un ragionamento in cui si presuppone la verità che si vuole dimostrare. (e) La fallacia di pertinenza consiste nel fatto che le premesse e le assunzioni di un argomento non sostengono la conclusione. Si intende che con questa tassonomia (a-e) non si esauriscono tutte le possibili fallacie, ma sono sicuramente quelle più considerate e più diffuse.

Iniziamo, dunque, con la prima categoria: le fallacie semantiche (gruppo a) si sostanziano su un’ambiguità lessicale piuttosto che su ambiguità grammaticale (anfibolia) piuttosto che su termini intrinsecamente indeterminati che determinano paradossi simili a quelli del sorite (se un calvo è senza capelli, un uomo con un capello è ancora calvo? Se si, allora con due?…) o della nave di Teseo (se sostituisco ad una nave un pezzo è ancora la stessa nave, se sostituisco due pezzi? Tre?…). Un esempio di fallacia semantica sostanziata su un’ambiguità lessicale potrebbe essere il seguente: “se un cavallo nitrisce, ogni pantalone ha un cavallo, allora i pantaloni nitriscono”. Oppure: “chi trova un amico trova un tesoro”. Mentre un esempio di vaghezza viziata: “Il cibo è buono se mangiato col sugo, dunque la torta alla crema è buona mangiata con il sugo”. In genere le fallacie semantiche si sostanziano sulla mancanza di precisione da parte di chi sta argomentando, che dimostra principalmente il fatto che, perlomeno, non si è reso conto del fatto che egli non ha dedicato sufficiente attenzione al problema di chiarirsi i significati dei termini prima di utilizzarli.

(b) Si incorre in una fallacia formale ogni qualvolta si applica una regola invalida, ovvero si usa una regola che consente di dedurre contraddizioni in alcuni casi. Per mostrare l’invalidità di questa fallacia è sufficiente formulare un controesempio che mostra come la regola può condurre a contraddizioni, cioè a dedurre proposizioni palesemente false. Per esempio: “se a allora b, allora non a implica non b“. Questa è una regola logica invalida. Sicché la sua applicazione non conduce ad una forma argomentativa corretta in ogni caso. Chi formula questo genere di argomenti in genere non si rende conto che sta utilizzando un principio invalido, nel momento in cui la regola utilizzata sembra funzionare. Vediamo altri casi classici di fallacie che ricadono all’interno della categoria (b).

La fallacia formale può anche incorrere nel caso in cui si attribuiscano caratteristiche ad un insieme di oggetti considerato come tutto a partire dalle caratteristiche delle parti. Quindi ad esempio: “Alcuni cani sono maculati, quindi tutti i cani sono maculati” è un ragionamento palesemente invalido.

La fallacia formale di divisione avviene quando nella scomposizione di un insieme o di un intero si attribuiscano impropriamente proprietà alle parti considerando le proprietà del tutto (esempio: “tutti i cani hanno le zampe, quindi il cane Fido ha le zampe” magari Fido ha perso le zampe per un incidente stradale…).

La fallacia formale dell’argomentazione a catena si verifica quando un argomento fonda la conclusione si sostanzia su una catena di passi in cui ogni passo dell’argomento porta ad un nuovo passo che è indesiderabile arrivando così a negare la premessa. Formulo un esempio che mi è stato fatto realmente: “Se a quel gruppo di persone concedi il diritto di sposarsi, poi finisci per concedergli anche il diritto di avere la condivisione dei beni e alla fine magari avranno addirittura il diritto di adottare bambini”. E’ evidente che questo sia un pessimo modo di ragionare (specialmente su simili temi…), ma qua cerchiamo di concentrarci sullo ʽstileʼ argomentativo: la fallacia dell’argomentazione a catena è straordinariamente diffusa. Specialmente in politica. In genere, chi formula questi argomenti vuole mostrare come l’applicazione di un solo principio di deleterio in più casi. Il problema è che la sua applicazione ai più casi non è sempre lecita oppure il principio non ammette di per sé la reiterazione indefinita. Nel caso considerato, infatti, il concedere un certo diritto x non implica affatto che si debba concedere anche un altro diritto y, almeno non sulla base del motivo per cui x era stato concesso.

La fallacia formale di falsa dicotomia si sostanzia sulla supposizione erronea che tra diverse alternative ve ne sia una vera. Anche di questa posso portare un divertente esempio tratto dalla mia esperienza quotidiana: “Lidia è silenziosa perché è molto precisa oppure perché non vuole sbagliare”. Eppure questa persona, di dubbio livello intellettuale, non era né l’una né l’altra cosa. In questi casi, avviene che chi formula l’argomento supponga che esso sia vero sulla base di alcune assunzioni false per quanto verosimili.

Le fallacie induttive (gruppo c) si fondano su un cattivo bilanciamento delle probabilità tra le premesse e la conclusione. La validità induttiva di un’argomentazione è la probabilità che la conclusione dell’argomentazione sia vera date le premesse. Anche le fallacie induttive hanno diverse categorie laddove la validità induttiva di un’argomentazione può essere inficiata in vari modi. Un caso classico della fallacia induttiva è la generalizzazione impropria e consiste nel trarre conclusioni sulle proprietà di un intero insieme di oggetti a partire dalla generalizzazione su pochi elementi di quella classe. Ad esempio “Luigi e Mario sono arrapati, Luigi e Mario sono maschi, quindi in fondo tutti i maschi sono arrapati”. Questo esempio, dunque, del tutto inedito nell’esperienza quotidiana, si formula in genere quando si vuole considerare una proprietà di un’intera categoria a partire dalla propria esperienza, anche quando questa sia poca o nulla.

L’analogia impropria (gruppo d) è una fallacia induttiva connessa alle forme di ragionamento analogico conformi allo schema: x assomiglia a y, y1… yn, y1… yn godono della proprietà P quindi x gode della proprietà P. Ad esempio, “il cane Fido assomiglia a un grosso topo, un grosso topo ha dei grossi denti, quindi il cane Fido ha dei grossi denti”. Sia notato qui che molti argomenti di natura razzista o di altro genere si fondano spesso su analogie improprie. Nel XIX secolo, ad esempio, si era fondata una categorizzazione umana su base razziale sulla base delle somiglianze più o meno stringenti con i primati. Quindi, all’epoca, si era mostrato con immagini apposite il grado di somiglianza di certi individui africani con delle scimmie, finendo casualmente per ʽdimostrareʼ che quegli uomini erano sostanzialmente delle scimmie (qui scatta anche la fallacia di petizione di principio che vedremo oltre). Si tratta, evidentemente, di un argomento pseudoscientifico fondato su un’analogia impropria del tipo appena considerato. Quindi, ancora una volta, è evidente che simili argomenti fallaci sono tanto più pericolosi quanto più hanno una veste simile a quelli veri. Anche qui si può vedere un’applicazione di una fallacia per analogia impropria: un buon argomento ha delle premesse, dei passi e delle conclusioni, quindi tutto ciò che ha delle premesse, dei passi e delle conclusioni è un buon argomento è… chiaramente un cattivo argomento!

Veniamo ora alla fallacia dello scommettitore (gruppo e). Questo genere di fallacia è piuttosto comune e si schematizza così: x non si verifica da n casi, n casi è percepito come un numero significativo entro il quale x non si verifica, x si verifica presto. Ad esempio, il numero 3 non si verifica da cento tiri di dado, quindi 3 sarà il prossimo numero o comunque non lontano dal prossimo numero. Per chiunque abbia giocato a RisiKo! è un’esperienza comune quella di aspettarsi gli agognati 6, sicché continuamente c’è chi si lamenta del fatto che a lui i 6 escono più raramente che agli altri! Il fatto è che la percezione di un fatto che si desidera ardentemente si realizzi è indipendente dal fatto che si vorrebbe realizzato. Ma la percezione del desiderio è continua mentre la realizzazione del fatto no (il desiderio è percepito in un continuum interiore, il fatto si realizza solo talvolta), sicché si può finire assai spesso per credere che il prossimo attimo sarà proprio quello in cui si verifica il fatto desiderato. Questo accade anche in contesti in cui non c’entra assolutamente niente il fato dei dadi e dei numeri. Per persone normali trovare moglie è difficile (o trovare marito). Più si desidera il partner e più si contano gli attimi e i giorni dall’ultima opportunità di averne uno, sicché si fa una stima di quando sia lecito considerare il prossimo avvenimento o la prossima opportunità.

Come già detto, la fallacia dello scommettitore si verifica spesso quando il desiderio di un evento è intenso e scisso dall’evento desiderato. E’ interessante considerare che la fallacia dello scommettitore si genera anche all’inverso, cioè per il desiderio di non subire un certo evento di cui si sottostima la probabilità di avvenimento. Per cui è ben noto che a morire di infarto non siamo mai noi, ma gli altri. Oppure quando immaginiamo la storia dei popoli al passato e noi tra quelli ci immaginiamo sempre grandi condottieri, principi e regine nonostante sia molto più probabile che noi facessimo parte di quei disgraziati che non contavano assolutamente nulla.

All’interno della fallacia dello scommettitore si fa rientrare anche la fallacia in cui si considera una causa falsa, caso in cui sussiste nell’argomento una confusione tra causa ed effetto oppure si è data una spiegazione non sufficiente del nesso causale. In fine, tra le fallacie dello scommettitore si fa rientrare anche quella che non considera l’evidenza contrastante contro la conclusione (fallacia dell’evidenza soppressa).

Consideriamo ora alla fallacia di presunzione (gruppo f), che consiste genericamente in un ragionamento in cui si presume la verità di ciò che si vuole dimostrare. Questa fallacia, nota comunemente come petizione di principio (petitio principii), non soltanto è ben studiata e conosciuta sin dall’antichità, ma rimane una delle sempreverdi nel suo campo. La sua forma è genericamente fondata su un ragionamento di tipo circolare: tra le premesse del discorso figura la conclusione (anche se a volte sotto mentite spoglie). Il pericolo sta appunto nel fatto che talvolta può essere talmente camuffata dall’uso di sinonimi o parafrasi che la fallacia non emerge nella sua chiarezza.

Il fatto curioso della fallacia di presunzione è che essa è di fatto un argomento dalla forma logica ineccepibile (valida): “se x, allora x” è chiaramente una forma logica che dimostra solo verità, quindi è un argomento valido. Tuttavia risulta triviale, tautologico e quindi privo di interesse. Sicché la petizione di principio trova le sue ragioni sulla presupposizione del discorso che non sul discorso stesso.

Si diceva, infatti, che la fallacia di presunzione è molto diffusa. I motivi sono diversi, tra cui il fatto che a volte non è chiaro neppure a chi formula l’argomento la distinzione tra le conclusioni e le premesse. Questo perché normalmente l’ordine delle premesse e dei passi dimostrativi e della conclusione non sono posti in questo ordine, ma sono mischiate. In secondo luogo, le persone normalmente non si aspettano di voler negare le loro assunzioni quanto di volerle affermare e darle per buone. Sicché è molto economico formulare un argomento sostanzialmente vacuo ma apparentemente efficiente che dimostra proprio ciò che vorremmo noi. E c’è anche una terza ragione. Dato il fatto che non si dimostra altro che quel che si desidera, è facile presentare una assunzione a priori come se fosse data per dimostrata e poi per ovvia. Il risultato è che si costruisce un’apparenza di giustificazione proprio là dove non si è detto proprio nulla. Questa è una mossa tipicamente usata dai burocrati. Nel caso in cui vogliano dimostrare che sei colpevole, se tu dici y allora sei colpevole proprio per y, mentre se poi smentisci e dici che x, allora sei colpevole guarda caso proprio per x. Questo ricorda molto un argomento che abbiamo denominato in altra sede argomento dell’ultima spiaggia.

In fine, veniamo alle fallacie di pertinenza (gruppo g). In generale le fallacie di pertinenza appaiono quando le premesse non dispongono di un nesso logico con la conclusione oppure hanno una bassa probabilità su un piano induttivo. Ci sono molti generi di fallacie di pertinenza e sono tutte molto celebri. Innanzi tutto c’è la fallacia ad hominem in cui si attacca la persona che sostiene l’argomento per privare di validità l’argomento stesso. Sia ben chiaro che in alcuni casi la fallacia ad hominem può anche funzionare laddove, ad esempio, si dimostri che una persona non ha competenze per esprimere una certa opinione laddove, in questo caso, si vuole dimostrare che la testimonianza della persona o l’asserzione della persona non può essere assunta dagli uditori come dotata di un alto grado di evidenza: quindi vien messo in dubbio una certa capacità cognitiva del soggetto, non certo il fatto che il suo argomento sia logicamente ben formulato.

Esistono diverse fallacie ad hominem, di cui forniamo una generica trattazione rimandando a Varzi et. Al. (2007) gli interessati: fallacia di abuso (si attacca la categoria di appartenenza per screditare l’argomentatore), fallacia di colpa per associazione (rifiuto tesi per critica alla reputazione dell’argomentatore), fallacia di conflitto di interesse (si accusa di parlare in base al proprio vantaggio personale), fallacia ad verecundiam (una certa tesi viene assunta e difesa per autorità), fallacia ad populum (una certa tesi viene difesa sulla base di un luogo comune condiviso), fallacia ad ignorantiam (non si portano prove che non-p quindi p). In fine, abbiamo la fallacia ignoratio elenchi (caso in cui le premesse sostengono un’altra conclusione).

In conclusione, formulare un buon argomento non è banale, anche se poi può risultarlo da un punto di vista logico. Quel che noi desideriamo dall’argomento è che esso sia ben formulato, con premesse vere, passi giustificati e capaci di conservare la verità delle premesse, e vogliamo delle conclusioni vere e interessanti. Perché le conclusioni siano interessanti, le premesse devono essere pertinenti. Inoltre, un buon argomento rispetta anche un sano principio di economia generale (il minimo numero di premesse) che strumentale (il minimo numero di passi). Il fatto che non sempre sia possibile garantire una dimostrazione pulita non significa che questa forma di pulizia o eleganza sia da sottostimare nella qualità delle argomentazioni. In fine, vogliamo che il nostro argomento sia privo di vizi.

I vizi delle argomentazioni, tuttavia, fanno parte della nostra vita quotidiana, il che dimostra, ancora una volta che tra ragionare e ragionare bene c’è una grande differenza. E imparare a ragionare bene dovrebbe essere un obiettivo condiviso della specie umana, mentre è appannaggio di pochi che all’interno di un circolo già ristretto provano sul serio a capire i motivi per cui ha senso ragionare nel modo migliore.

I vizi delle argomentazioni, le fallacie di ragionamento, sono comunque una materia molto interessante su cui vale la pena insistere un po’ del proprio tempo perché mostrano i cortocircuiti a cui vanno incontro i ragionamenti delle persone: talvolta partono dal principio che la loro tesi sia vera e autoevidente, altre volte pretendono di costruire per somiglianza categorie che non esistono, piuttosto che costruirsi aspettative sui numeri che usciranno nel futuro in base a quelli usciti nel passato. Purtroppo ragionare bene costa fatica, specialmente se non si esercita uno studio costante. Mentre far finta di ragionare bene costa comunque molto meno. A prescindere dai motivi per cui ciò sia così, risulta il fatto che… se questo è un buon argomento, allora avete speso del tempo in modo positivo leggendo questo saggio. Mentre se è un cattivo argomento, be’… allora avete perso del tempo. Il che lascia intendere qualcosa del motivo per cui, tutto sommato, vale la pena evitare le fallacie logiche!

Bibliografia essenziale e ragionata

Iacona A., (2010), L’argomentazione, Einaudi, Torino.

Testo introduttivo sulla natura delle argomentazioni.

Goldman A., [1999], Knowledge in a Social World”, Oxford University Press, Oxford.

Si tratta del principale lavoro di epistemologia sociale in un unico volume da parte di un unico autore. Alvin Goldman presenta la sua concezione epistemica verofila in cui lo scopo dell’epistemologia sociale è indagare, descrivere e valutare le condizioni per cui la conoscenza  (almeno credenza vera, cioè conoscenza debole) si diffonde nello spazio sociale. In questa sede Goldman non soltanto presenta una teoria generale, con una panoramica delle posizioni alternative tutte criticate puntualmente, ma anche due sezioni di come l’epistemologia sociale può valutare specifici ambiti sociali. In almeno un capitolo Goldman si dilunga sull’analisi delle argomentazioni e della loro differenza con gli argomenti. Si tratta, come molte delle opere di Goldman, di un lavoro eccellente.

Ragunì G., (2009), I confini logici della matematica, Aracne, Roma.

Lavoro molto interessante sulla rivalutazione della semantica (metalogicha) all’interno della logica matematica. Si tratta di un lavoro prezioso sotto molti aspetti e tratta in modo non specificamente formale di argomenti formali. Si consiglia la lettura per chi voglia approfondire la propria conoscenza della logica e, data la natura propriamente semantica del libro, è consigliato anche come palestra argomentativa.

Varzi A., Nolt J., Rohatyn D., (2007), Logica, McGraw-Hill, New York.

Libro introduttivo di logica formale (logica proposizionale, predicativa, calcolo della linguaggio logico proposizionale e predicativo) e non formale (ragionamento induttivo, fallacie logiche, calcolo della probabilità) molto chiaro, con un’ampia sezione di esercizi commentati. Si tratta di uno dei migliori manuali introduttivi sulla logica classica base di riferimento della logica filosofica nei principali corsi di filosofia della logica e della logica formale. Consigliato il capitolo delle fallacie logiche.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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