
Arnold Schönberg parla del lungo percorso musicale che lo ha portato a quella che lui chiama la “scoperta” della dodecafonia in una conferenza del 1941 da lui tenuta all’Università della California, poi rivista e pubblicata nel 1950 nella raccolta di saggi Style and Idea. La dodecafonia, spiega, non è un “sistema della scala cromatica”, ma un vero e proprio metodo. Sono stati necessari ben dodici anni di tentativi per riuscire nella titanica impresa di creare un nuovo modo di comporre, in grado di sostituire quelle “articolazioni strutturali” che prima venivano garantite dal sistema tonale. Schönberg chiama questo nuovo metodo da lui ideato metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra. La caratteristica principale di questo nuovo – e complesso – modo di comporre musica è quella di utilizzare soltanto una serie di dodici note diverse per ogni composizione: nessuna nota può essere ripetuta nella serie e questa deve obbligatoriamente utilizzare tutte le dodici note della scala cromatica in un ordine diverso rispetto a quello in cui si presentano nella scala. Come spiega Eimert nel suo Manuale di tecnica dodecafonica, “la musica dodecafonica esiste soltanto come sistema di rapporti tra le dodici note […] la più piccola unità di questa musica è la configurazione delle dodici note…”[1]: se la più piccola unità del sistema tonale è la singola nota, nel metodo dodecafonico, invece, essa diventa la serie.
Nella serie dodecafonica “[…] ogni suono… diventa equivalente ad ogni altro, dando luogo a una nuova forma di organizzazione strutturale.”[2] Un’importante conseguenza di questo è che la dicotomia consonanza/dissonanza, su cui tanto aveva riflettuto e lavorato Schönberg, viene del tutto annullata; pertanto, si può parlare di ultimo stadio della “emancipazione della dissonanza”. Schönberg, però, considera la svolta dodecafonica uno sviluppo della precedente libera atonalità di cui ha fatto ampio utilizzo e non un brusco cambiamento di direzione: la “scoperta” della dodecafonia è il naturale traguardo di tutto il suo percorso artistico e personale, la risposta definitiva alla sua esigenza di rinnovamento e coerenza iniziata con la crisi spirituale che lo aveva colto durante gli anni della Prima Guerra Mondiale e che lo aveva spinto a riabbracciare la religione ebraica.
Il metodo dodecafonico nasce quindi “… dall’esigenza di controllare razionalmente il metodo compositivo della “emancipazione della dissonanza” nato in epoca espressionista.”[3] Esso garantisce una perfetta unità alla composizione perché ogni nota e ogni intervallo trovano il loro posto e la loro logica nella successione dei suoni della serie. “La composizione con dodici note”, dice Schönberg, “è un’organizzazione derivante dalla necessità di rendere meglio comprensibile la musica cosiddetta “atonale”…”[4] La tecnica dodecafonica permette, quindi, a Schönberg di trovare un “ordine più elevato e migliore” al materiale sonoro e di eliminare tutti gli “orpelli” che appesantiscono la musica, di eliminare cioè tutto ciò che non è essenziale: “Questa è la vera economia artistica”, dichiara già nella Harmonielehre, “impiegare solo i mezzi assolutamente indispensabili per ottenere un determinato effetto, tutto il resto è improprio e quindi goffo, non potrà mai essere bello perché non è organico all’opera…”[5]
La tecnica dodecafonica si può a ben ragione ritenere la massima espressione della creatività artistica e musicale del controverso compositore viennese che nel 1933, per sfuggire alle persecuzioni naziste, va in esilio prima a Parigi e poi negli Stati Uniti, Paese nel quale rimase poi fino al 1951, l’anno della sua morte. Ed è proprio negli USA, più precisamente a Los Angeles dove entrambi risiedono, che Schönberg fa la conoscenza di Thomas Mann, già vincitore di un Premio Nobel e, all’epoca, forse il più importante scrittore di lingua tedesca. I due non divengono intimi amici, ma si frequentano con le rispettive consorti, anche perché hanno conoscenze comuni, come Alma Mahler – Werfel, la vedova di Gustav Mahler, anch’ella residente a Los Angeles, dove tiene regolarmente un salotto culturale con la cerchia di intellettuali fuggiti dall’Europa nazi-fascista. I due artisti iniziano a scambiarsi lettere e biglietti cortesi e un po’ formali, ma anche complimenti sinceri riguardo alle rispettive opere e ai traguardi raggiunti… senonché questo rapporto amichevole s’interrompe bruscamente, trasformandosi in una burrascosa querelle fomentata soprattutto da Schönberg. Nel 1947 Thomas Mann dà alle stampe il suo capolavoro Doctor Faustus, un romanzo che rivisita in chiave contemporanea l’antico mito del patto con il diavolo e che ripercorre le vicende artistiche e biografiche di Adrian Leverkühn, eccentrico e originale compositore – di fantasia -, che cede al demoniaco per ottenere l’assoluta genialità creativa. Mann si era fortemente ispirato alla Dodecafonia per le composizioni del suo protagonista e, in fase di stesura del romanzo, aveva chiesto aiuto a T.W. Adorno (ex allievo del compositore Alban Berg, a sua volta ex allievo di Schönberg) per comprendere la teoria di questo complesso metodo compositivo che poi aveva riportato nel suo libro.
La reazione infuriata di Schönberg non si fa attendere: nel 1948 inizia tra il compositore e lo scrittore un carteggio agguerrito che riguarda la paternità della tecnica dodecafonica; Schönberg, infatti, si sente defraudato nei suoi diritti d’autore e chiede a Mann di porre rimedio. Mann acconsente, pur a malincuore, ad aggiungere una postilla al romanzo in cui dichiara che la paternità della Dodecafonia è da attribuirsi a Schönberg, ma il compositore, che inizialmente si dice d’accordo con tale postilla, accuserà poi Mann pubblicamente di non aver dato abbastanza rilievo all’importanza della sua figura artistica nella stesura della stessa. Schönberg non leggerà mai completamente il Doctor Faustus – complici le problematiche di salute legate alla vista di cui soffre – ma la querelle, tra alti e bassi e con il coinvolgimento della stampa e degli amici di ambo le parti, si trascinerà per un paio d’anni, per poi terminare del tutto nel 1950.
Schönberg, nella sua insistenza a voler vedere riconosciuta apertamente la paternità di un metodo compositivo su cui aveva lavorato con totale impegno e dedizione per molti anni, ricerca quel riconoscimento intellettuale che per tanto tempo gli è sfuggito in patria e che ora vede nuovamente messo a repentaglio: “Per i tedeschi sono ebreo, per i latini un tedesco, per i comunisti sono un borghese mentre gli ebrei stanno con Hindemith e Stravinsky”[6], scriverà sconsolato in una delle sue missive. Il compositore viennese teme di rimanere, quindi, una figura indistinta, sullo sfondo o, peggio, accomunata al personaggio tormentato e sifilitico del Leverkühn di Mann. Lo scrittore tedesco, che fin dall’inizio era stato restio ad aggiungere quella nota esplicativa al suo romanzo, ritiene di aver creato – con l’aiuto di Adorno – una sorta di versione ad hoc della tecnica dodecafonica, per attagliarla all’essenza stessa del suo romanzo[7], che è intriso di magia nera e che nulla ha a che fare con Schönberg e le sue reali composizioni. Come che sia, la contesa giunse infine a un termine e la rappacificazione ebbe carattere sia privato che pubblico, con buona pace di tutti gli attori coinvolti. A noi resta un carteggio dai toni colti ma accesi, che ci spinge a riflettere anche sulla condizione degli esuli ebrei al tempo del nazi-fascismo, quando il rischio di perdere la propria identità era qualcosa di più che una percezione paranoide.
Bibliografia di riferimento
Eimert, H., Lehrbuch der Zwölftontechnik, Wiesbaden, Breitkopf & Haertel, 1952 (trad. it: Manuale di tecnica dodecafonica, Milano, Carisch, 1954).
Manzoni, G., Arnold Schönberg, l’uomo, l’opera, i testi musicati, Milano, BMG RICORDI MUSIC PUBLISCHING, 1997.
Salvetti, G., La nascita del Novecento, Torino, E.D.T., 1991.
Savelli, L., Consonanze, dissonanze… e i 12 cavalieri della musica, Wondermark, 2019.
Schönberg, A., Harmonielehre, Wien, Universal Edition, 1922 (trad. it: Manuale di armonia, Milano, Net, 2002).
Schönberg, A. & Mann, T., A proposito del Doctor Faustus, lettere 1930 – 1951, Milano, Archinto, 1993.
[1] Eimert, H., Lehrbuch der Zwölftontechnik, Wiesbaden, Breitkopf & Haertel, 1952 (trad. it: Manuale di tecnica dodecafonica, Milano, Carisch, 1954), p. 19.
[2] Frova, A., Musica celeste e dodecafonia. Musica e scienza attraverso i secoli, Milano, BUR, 2006.
[3] Salvetti, G., La nascita del Novecento, Torino, E.D.T., 1991, p. 213.
[4] A. Schönberg come cit. in Manzoni, G., Arnold Schönberg, l’uomo, l’opera, i testi musicati, Milano, BMG RICORDI MUSIC PUBLISCHING, 1997, p. 98.
[5] Schönberg, A., Harmonielehre, Wien, Universal Edition, 1922 (trad. it: Manuale di armonia, Milano, Net, 2002), p. 340.
[6] Schönberg, A. & Mann, T., A proposito del Doctor Faustus, lettere 1930 – 1951, Milano, Archinto, 1993, p. 79.
[7] Schönberg & Mann, op. cit., p. 80 – 81.



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