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Semplice e semplicità – Un concetto complesso

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In tutte le scienze, sin dai tempi antichi, si parla di semplicità, di maggiore o minore semplicità, di realtà semplici, più semplici etc.. Tutti coloro che si propongono di difendere le proprie tesi, piuttosto di demolire quelle degli altri, spesso usano come argomento il fatto che una certa dottrina, teoria scientifica, struttura filosofica, sia più o meno semplice di un’altra. Come se la sola “semplicità” fosse sinonimo di verità. Ma cosa intendiamo, generalmente, per semplicità?

Quando dico “questo è semplice” voglio dire che esso è “facile”, per esempio è “semplice come bere un bicchier d’acqua”. Con ciò, intendiamo che un’azione è talmente elementare che può esser compiuta senza nessun tipo di attenzione, sforzo o coinvolgimento mentale. Oppure, “è semplice” può esser riferito a qualcosa che devo ancora conoscere, o che ho appena conosciuto, e che riconosco come semplice “uno più uno fa due. Semplice!” Un altro caso di uso della parola “semplice” può essere riferito ad un singolo oggetto privo di molte qualità. Una rappresentazione, ad esempio un acquarello, può essere “troppo semplice” per ricostruire la realtà per quello che è. In questo senso, il concetto di “semplice” è relativo al suo opposto, vale a dire “complessità”. Ciò che è complesso non è semplice. Seguendo questo secondo percorso, possiamo dire che non è semplice ciò che ha molte cause, o molte condizioni, per esistere o essere pensabile: “l’economia è una scienza complessa” nel senso che essa prende un gran numero di influenze variabili e le riunisce per spiegare un solo fenomeno.

La parola “semplice” ha in sé almeno quattro significati diversi. Sintetizziamo i vari esempi in punti nodali:

  1. “Semplice” è “facile”.
  2. “Semplice” è “immediatamente comprensibile”.
  3. “Semplice” è “schematico”, “povero di qualità”.
  4. “Semplice” è contrario di “complesso”, cioè “ha poche condizioni per esistere o esser pensabile”.

Nessun lettore, a questo punto, sarebbe soddisfatto. E’ chiaro che queste quattro definizioni possibili di “semplice” non riescono a spiegare il concetto di “semplicità” in modo esaustivo. Dobbiamo procedere oltre.

Innanzi tutto, dobbiamo osservare come la parola “semplice” non indichi nessun oggetto, cioè non è un nome. Un nome, o una descrizione definita, indica un entità reale indipendente da noi, comunque si voglia considerare la realtà. Se dico “semplice” non indico nessun oggetto e questo è reso manifesto dall’impossibilità di usare “semplice” come il soggetto di una frase: “semplice si muove”, “semplice è sopra il muro”, “semplice è appeso ad un chiodo”. A meno che “semplice” non è un nome proprio costruito ad hoc, non possiamo costruire frasi sensate che abbiano quella parola come soggetto. In gergo linguistico potremmo dire che la “sintassi di -semplice- non prevede la possibilità di comparire come testa di un sintagma nominale”. Dunque, semplice è un aggettivo. Questo è il primo punto.

Ma ciò non basta. Dagli esempi che abbiamo proposto, la parola “semplice” è utilizzata anche in senso negativo rispetto a “complesso”. I due termini sono riscrivibili l’uno nei termini dell’altro, nel senso che uno dei due deve esser assunto come “primitivo” e l’altro come “derivato”. Questo se costruiamo le due categorie in modo tale che “semplice” sia il puro contrario di “complesso”. Se invece consideriamo “semplice” e “complesso” due categorie estreme tra infinite mediane osserviamo che il concetto di “semplice” si relativizza: “questo è più semplice di quest’altro”.

Facciamo il punto della situazione:

  1. “Semplice” è una proprietà di un oggetto.
  2. “Semplice” non indica nessun oggetto, dunque non è un nome.
  3. “Semplice” è contrario di “complesso” in una logica binaria.
  4. “Semplice” è una proprietà relativa di un insieme di elementi continuo, definito tra due categorie “Semplice” e “Complesso”, in una logica fuzzy.

Cerchiamo di rintracciare i significati comuni. In primo luogo è detto “semplice” un elemento di un insieme qualunque, ma non è il nome dell’elemento stesso. In secondo luogo, è detto “semplice” ciò che non è “complesso”. In terzo luogo, possono esistere diversi gradi di “semplicità”, se ci stiamo riferendo ad un elemento di una serie continua crescente.

Siamo arrivati al limite dell’analisi sull’uso della parola, cioè su ciò che intendiamo dire quando un “x è più semplice di un y”. Però non abbiamo rintracciato alcun significato chiaro per la proprietà “semplice”. Sembra esser chiaro che essa non abbia alcuna valenza assoluta. Non esiste il “più semplice” di tutto, l’assolutamente privo di complessità. Sin dai primi esempi, semmai, abbiamo osservato che “semplice” si dice di oggetti, fatti, comportamenti concreti. La concretezza è una proprietà relativa, si può ragionevolmente dubitare sul fatto che qualcosa sia più o meno concreto. Ma ciò che vogliamo osservare è la “contestualizzazione” e “relatività” del significato della parola in questione.

A questo punto, diciamo che: “Semplice è una proprietà che ha un significato chiaro a partire dal contesto di uso. In tutti i casi, si riferisce ad una maggiore o minore complessità rispetto ad un dato insieme di elementi.” Se applichiamo questa idea a contesti più rigidi che non il linguaggio comune, che non esiste se non nella testa di chi parla, possiamo dire: “semplice è l’entità più elementare di una teoria”. Cioè “semplice è ciò che non consente ulteriori suddivisioni all’interno di un sistema assiomatico qualunque, sia esso una teoria logica o scientifica.” Eccoci, finalmente, al significato più puro del termine.

La definizione di questa parola richiede, come abbiamo mostrato, una collocazione chiara di essa nel contesto d’uso, altrimenti, ha un significato relativo, come quando diciamo che “giocare a pallone è più semplice di giocare a scacchi”, non chiarendo assolutamente nulla della proprietà “semplice” ma dando al lettore l’intuizione che ci sia qualche significato, in realtà, non altro d’una pura vaghezza. E’ “semplice” in una partita di pallone, il pallone, il giocatore di calcio, le linee segnaletiche. E’ “semplice” in una partita a scacchi la singola casella. Ma non si può dire che esista una qualche proprietà assoluta detta “semplice” tanto è che la parola in questione è del tutto priva di significato in contesti non chiari.

A questo punto possiamo giungere ad un’applicazione di tale parola in un contesto più scientifico-filosofico. “Semplice è l’elemento non ulteriormente scomponibile di una teoria” ad esempio, “In geometria, semplice è il punto”. In questo caso, la parola “semplice” si applica al singolo contenuto della scienza in questione. Questa definizione non è relativa alla costruzione formale, ma al suo contenuto, cioè quell’informazione minimale richiesta dalla materia per riuscire a formulare delle asserzioni sensate. Nessuna scienza ragiona senza alcun contenuto possibile, anche la logica parla di “proposizioni”. Una formula di questo genere “a implica b” non ha alcun senso se non sappiamo già che “a” e “b” sono frasi possibili.

Esiste anche un altro uso della parola “semplice” che si avvicina di più al significato intuitivo contenuto nell’esempio “giocare a pallone è più semplice che giocare a scacchi”. Possiamo dire “la fisica moderna è più semplice della fisica aristotelica”, questa è una frase vera, ma dobbiamo spiegare il perché. “Semplice” in questo caso non si riferisce al contenuto della scienza, infatti, il contenuto dovrebbe essere lo stesso. Inoltre, potrebbe anche apparire che la frase sia falsa perché la scienza di Aristotele, la sua fisica, è molto più intelligibile della scienza fisico-matematica attuale. Anche un ragazzo del liceo può leggere la “Fisica” di Aristotele, mentre, a parte qualche raro intelletto, non è così per la fisica quantistica. Ma qui non stiamo intendendo “semplice” con “facile”. “Semplice”, in questo caso, è “numero minimo di premesse per una spiegazione di un fenomeno”. Cioè con essa stiamo indicando la capacità predittiva di due sistemi assiomatici di stesso genere. Le premesse della fisica moderna sono essenzialmente minori di quelle della fisica aristotelica ( ad esempio, il numero delle cause fisiche della teoria moderna è di due, mentre quella aristotelica ne prevedeva il doppio ). Dunque, la fisica moderna è più semplice rispetto a quella aristotelica per questo, non perché sia più facile.

Possiamo adesso concludere. In primo luogo, la parola “semplice” non ha alcun senso al di fuori di un contesto. Nelle teorie scientifiche essa ha rilevanza in due sensi:

  1. Il minimo nucleo d’informazione di una teoria è il semplice.
  2. Il numero delle premesse di una teoria indica il grado di “semplicità” di una teoria.

Così abbiamo tenuto conto sia del valore “assoluto” di semplicità che del suo grado di relatività. Solo all’interno di una teoria il “semplice” ha un senso.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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